Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/183


atto terzo 171


Aridosio. E qual è la casa mia?

Ruffo. Quella li.

Aridosio. Io non so se tu vuoi la baia di me. Io so che in casa mia non può essere stato.

Ruffo. E perché?

Aridosio. Come «perché»? Perché l’è stata spiritata; e non v’è stato nessun, un pezzo fa.

Ruffo. Spiritata? Mi piacque! Io so ch’io v’ho visto altro che spiriti!

Aridosio. Tu debbi aver scambiato. Non lo so io, che mi son trovat’a cavarnegli?

Ruffo. Orsú! Sia come voi volete; che questo non importa. Io vorrei che voi mi facessi rendere la mia stiava o, se non altro, venticinque ducati.

Aridosio. Ch’io ti dia venticinque ducati? Io non li ho, quando io te li volessi dare. Ma la stiava ti prometto io bene che la riarai e, se sará possibile, come gne ne desti. E lui lo voglio conciare in modo che ne verrá compassione a te, che t’ha offeso. Ma dove lo potrei io trovare?

Ruffo. Io lo lassai in casa vostra con Livia.

Aridosio. Tu abbachi.

Ruffo. Si, voi.

Aridosio. Può far il mondo che tu vogli’essere si caparbio che tu voglia saper me’ di me questo?

Ruffo. Fatevel dire a Lucido.

Aridosio. Chi lo sa me’ di Lucido? Dov’è egli?

Ruffo. Adesso era in piazza che mi vuoleva dar quel rubino.

Aridosio. Quale Lucido di’ tu?

Ruffo. El medesimo che dite voi.

Aridosio. Di’ tu Lucido servo di Erminio?

Ruffo. Cotesto, dico.

Aridosio. Dunque, lui s’impaccia di queste cose?

Ruffo. S’ei se n’impaccia? Lui gli fa fare tutti questi disordini.

Aridosio. Io ho paura che tu non t’inganni. E che rubino era quello che ti voleva dare?