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174 l’aridosia


Lucido. Gli è onesto. Vatten, in malora.

Aridosio. Ben: avevi e’ quarteruoli amannati?

Lucido. Gli portavo meco per questo, perché spesso m’incontro in lui: e altrimenti non è possibile di levarselo da dosso; e parmi mal aver adoperare le pugna, possendol mandar contento con quattro quarteruoli.

Aridosio. Ei diceva che Tiberio era stato con quella fanciulla a desinar, stamani, in casa mia.

Lucido. Ah! ah! ah! Non vi dich’io che gli è pazzo?

Aridosio. Ma dell’altre cose che m’ha dette non so io che mi dire.

Lucido. Sarebbe bella! Se voi vedete che dice si grandi svarioni, come li potete voi creder el resto? Ma usciamo di questo ragionamento. La cosa degli spiriti è ita bene, secondo che m’ha ragguagliato ser Iacopo.

Aridosio. Eh! ch! ch!

Lucido. Oh! Non son eglino usciti di casa?

Aridosio. Si; ma gli hanno voluto il mio rubino buono. Ma, in ogni modo, l’ho caro. So ben io perché.

Lucido. Ed io, patrone, non ho aver qualche mancia?

Aridosio. Zucche! Io me ne vo in mance.

Lucido. Eh! Al povero Lucido...?

Aridosio. Orsú! I’ son contento.

Lucido. Che mi darete?

Aridosio. Ci vo’ pensar un di. Ma, perch’io son solo in casa e sono ancor digiuno, vorrei un po’ mangiare in casa Marcantonio. Va’ innanzi, Lucido, e ordina. Da bere, un po’ di pane e una cipolla mi basta: che io non sono avvezzo con molte cerimonie.

Lucido. In casa Marcantonio non si mangia cipolle.

Aridosio. Ordina di quel che v’è.

Lucido. Io vo ad obidirvi.

Aridosio. Mi parea mille anni di levarmelo dinanzi per poter tórre la borsa. E anche ho fame. Ed anche risparmierò questo pane, che lo avevo portato meco. Poi voglio ritrovare questa matassa, ch’io sto confuso quel ch’io m’abbia a credere. Ma