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172 l’aridosia


Ruffo. Un rubino in tavola. Io credo che fosse falso. Avea assai bella mostra; legato all’antica; scantonato un pochetto da una banda. Dice ch ’è antico di casa vostra.

Aridosio. Io non so s’i’ sogno o s’io son desto, alle cose che tu mi di’. Donde dicev’egli d’averi’ avuto?

Ruffo. Io non so tante cose.

Aridosio. Ai segni e’ par quello. Ma come può egli anche esser desso? Io non mi fido in tutto di costui perché ei dice molte cose che non posson essere vere.

SCENA VI

Lucido, Ruffo e Aridosio.

Lucido. Guarda se gli è cascato a punto el presente in su l’uscio!

Ruffo. I’ vi priego che non mi facciate far torto.

Lucido. Adesso ch’io ho i danari in mano....

Aridosio. Non dubitare.

Lucido. ... bisogna far buon cuore ed acconciarmi il viso bene. I’ vi so dire, Aridosio, che voi siate capitato a buone mani.

Aridosio. Hai tu sentito quel che dice costui?

Lucido. Mille volte l’ho sentito. Non sapete voi che gli è (pazzo?

Ruffo. Pazzo mi vorresti far voi. Ma non vi riuscirá; che siamo in luogo ove si tien iustizia.

Lucido. Taci; che ti darò i tua danari, come ti lievi di qui.

Ruffo. I’ non vo’ tacere, se prima non me li dai. Ve’ in che modo mi vorrebbe levar da Aridosio!

Aridosio. Ben. Che cosa è questa, Lucido?

Lucido. Non v’ho io detto che gli è pazzo?

Aridosio. Che dice e’ di Tiberio e di venticinque ducati e d’un rubino falso? Io non l’intendo.

Lucido. Una disgrazia che gli è intervenuta l’ha fatt’impazI zare; e non fa mai altro che parlar di queste cose. Cosí quando