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170 | l’aridosia |
Ruffo. Tiberio, dico io.
Aridosio. Mio figliuolo?
Ruffo. Penso sia vostro figliuolo: sua madre ne sapea el certo. Ma lasciatemi dire. E, insino adesso, non ha avuto comoditá di far altro che di andarla a veder nel monistero dove elPera perché non aveva da darmi un soldo. Ma, questa mattina, venne con animo deliberato d’averla in ogni modo; e, fatta ch’ei me l’ebbe condurre in casa mia, mi cominciò a pregare ch’io gne ne dessi, dicendo che stasera mi darebbe i danari. Io, che sapevo come le cose vanno delle promesse, non volea star forte a nessun modo. Finalmente, quando e’ vidde che per amor averla non potea, si voltò alla forza e cavòmmela di casa.
Aridosio. Oimè! Che sent’io?
Ruffo. State pure a udire. E, perché io l’andavo drieto rammaricandomi e dolendomi di si gran torto, ei mi disse ch’io avessi pazienzia insino a stasera; che mi pagherebbe venticinque ducati, come piú volte gli avevo detto ne volevo.
Aridosio. Dov’è egli, che io lo vo’ am azzare?
Ruffo. Adesso, che io andavo per veder pur se me li avessi voluti dare (non ch’io n’avessi molta speranza), mi volevon giuntare con un rubin falso e darm’ad intendere che valeva trenta ducati; e debbe valere sei carlini. Ond’io, veggendomi a simil partito e sappiendo quanto voi siate omo dabbene e quanto e’ vi dispiaccion le cose mal fatte, son venuto a voi pregandovi che almanco mi facciate rendere la mia stiava. S’ei vi piacerá poi donarmi qualche cosa, per quel che la sia peggiorata, sendo divenuta di vergine maritata, sará rimesso nella discrezion e liberalitá vostra.
Aridosio. Adunque gli ha fatto questo, lo sciagurato, ch?
Ruffo. Pensatel voi. Ei son stati rinchiusi e soli in casa vostra forse sei ore.
Aridosio. In casa mia?
Ruffo. In casa vostra.
Aridosio. E chi te l’ha detto?
Ruffo. Sollo, che ci hanno desinato lui ed Erminio; e ho visto ordinarvi.