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168 l’aridosia


Ser Iacopo. Dico che verrò molto volentieri, che ho una gran fame.

Aridosio. Oh ser Iacopo! Ogni troppo è troppo. Ei vi sará un colombo che ieri tolsi di bocca alla faina; poi sei zacchere e del finocchio. Non vi basta?

Ser Iacopo. Cotesta è roba da vendere.

Aridosio. E, oltre a darvi cena, quando voi avete bisogno d’un mezzo fiorino, venite a me: che ve lo impresterò e ve lo lasserò tenere un di intero intero, e piú, se piú vorrete; ed ogni po’ di pegnuzzo mi basta. E che vi pare?

Ser Iacopo. Parmi che voi siate il maggior ricognoscitor di benefizi che io vedessi mai.

Aridosio. Oh! Voi non sapete il ben ch’io vi voglio. Io vi giuro, per questa croce, che, se io non avessi dato quel rubino alli spiriti, ch’io ve lo donerei; ed, alla fé, che me ne sa peggio per amor mio che vostro.

Ser Iacopo. Io l’ho per ricevuto; e ve n’ho il medesimo obligo che se dato me lo avessi.

Aridosio. Fo perché voi veghiate ch’io non son misero come io son tenuto. Ma andatevi con Dio; non state piú a disagio. A rivederci stasera.

Ser Iacopo. Addio, adunque.

Aridosio. Mi raccomando a voi. Oh! Che fa saper usar quattro parole! Io ne l’ho mandato contento come s’io gli avessi donato quel rubino. Cosí non l’avessi io dato agli spiriti, che maladetti sien eglino! che altri che loro non me l’arebbe mai fatto donare. Ma io indugio pure a cavar la mia borsa e riporla, per poter cercar di Tiberio acciò ch’io li faccia patir la pena di quanti peccati e’ fece mai a’ suoi di e di quelli ch’egli ha a fare. Ma ecco a punto uno che vien di qua, che mi guasta il mio disegno. Aspetterò che ei sia passato.