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atto terzo 167

SCENA IV

Ser Iacopo e Aridosio.

Ser Iacopo. Venite sicuramente, ch’ei se ne son iti affatto.

Aridosio. Affatto affatto?

Ser Iacopo. Come ho io a dire?

Aridosio. Ringraziato sia Dio! Ad ogni modo, e’ dovevono esser un monte di poltroni a starsi tuttodí nel letto a voltolare. Gli avevono ancor apparecchiata la tavola. Ma che farò io di quel letto e di quella tavola e di quelle masserizie che v’hanno portate? Dio me ne guardi ch’io adoperassi cose di diavoli!

Ser Iacopo. Mandatele a me, che son ciurmato.

Aridosio. E voi toccheresti mai quelle cose? Egli è meglio ch’io le faccia vendere.

Ser Iacopo. Avevo trovato l’omo!

Aridosio. Mi pagheranno pure e’ danni che m’hanno fatti in casa; e non arò andar drieto a lor promesse.

Ser Iacopo. E che danni v’hanno e’ fatti?

Aridosio. Rott’una pentola; arso una granata; e delle legne, credo: che io non mi ricordo a punto quanti pezzi gli erono.

Ser Iacopo. Voi siate valente a tener a mente e’ pezzi delle legne!

Aridosio. Chi è povero bisogna che faccia cosi!

Ser Iacopo. Ed a me non si viene niente delle mia fatiche?

Aridosio. Oh! Lucido m’aveva detto che voi non volevi niente.

Ser Iacopo. È vero ch’io dissi a Lucido che non voleva altro che quello che a voi piaceva.

Aridosio. Oh! Cosí fanno gli uomini da bene. Venite stasera a cena meco, per questo amore.

Ser Iacopo. Cotesto non farò io, che io non vo’ morirmi di fame.

Aridosio. Che dite voi?