Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/176

164 l’aridosia


Ser Iacopo. Voi séte pur semplice; che, a posta d’uno anello che vai dieci scudi, vi volete perdere una casa che vai cinquecento.

Aridosio. Dieci scudi? E’ mi sta in trenta fiorini; ed è l’antichitá di casa nostra.

Ser Iacopo. Dunque non volete che si partano altrimenti? Io l’ho intesa.

Aridosio. I’ voglio, io.

Ser Iacopo. Lassatevi cavare quell’anel di dito.

Aridosio. Non ci sarebbe egli altro modo?

Ser Iacopo. A fatica c’è questo. E vi giuro che non ne potete aver il miglior mercato.

Aridosio. Oh Dio!

Ser Iacopo. E se non si può far altro?

Aridosio. Ben. Io voglio che si oblighino a rifarmi tutti e’ danni che m’hanno fatti in casa.

Ser Iacopo. Questo è bene ragionevole; e lasciatene il carico a me.

Aridosio. Farannom’egli male a cavarmel di dito?

Ser Iacopo. Niente.

Aridosio. Non si potrebbe egli metter in dito a voi?

Ser Iacopo. No, che bisogna che sia cavato di un dito della vostra mano.

Aridosio. Io non vorrei che mi s’appressassino. Come potremo noi fare?

Ser Iacopo. Potrebbesi tagliar la mano e gittarla lá, che ei lo cavassin a loro bell’agio.

Aridosio. Cotesta pazzia non farò io. Ma chiuderò ben gli occhi per non gli vedere.

Ser Iacopo. Aspettate. Io vi legherò questa berretta innanzi agli occhi, che voi non vedrete né sentirete niente.

Aridosio. Graffierannom’ei le mane?

Ser Iacopo. A punto! State voi a vostro modo?

Aridosio. Messer si.

Ser Iacopo. Tenete la candela da quest’altra mano.

Aridosio. Unbè?