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atto terzo 159

ATTO III

SCENA I

Lucido e Tiberio.

Lucido. In fine, e’ danari fanno ogni cosa. Quand’io ebbi contato al prete ciò che io volevo da lui, subito si cominciò a fare scrupolo dicendo che questo era un uccellare la relligione. Poi, quand’io li promissi dua scudi, ei rimutò la cosa e disse che, s’io lo facevo a fine di bene e per rimettere d’accordo il padre e ’l figliuolo, che farebbe ogni cosa; si che bisogna giuntarlo di piú dua scudi. L’interessi hanno a correre sopra lui, questa volta. Ma, dappoi che io ho acconcio il fatto del prete, mi bisogna aguzzar l’ingegno come io abbia a fare el diavolo. E che vogl’io anche pensare? Come s’io non sapessi quanta è la sciochezza de’ vecchi e massime del nostro! E’ putti farebbon, oggidí, lor credere che fussino le chimere. E questo è il bello: che, parendo loro essere savi, vogliono consigliare altri, avendo e’ medesimi necessitá di esser consigliati; e pruovon questo col dire che fanno manco errori che e’ giovani. Ed è ben vero che e’ fanno manco cose. Ma che bad’io d’entrare in casa avanti che Aridosio ed il prete arrivin qui? Tò, tò, tò. Oh di casa! olá! aprite! Tò, tò. Volete ch’io rompa questa porta? O costor son morti o assordati. Tò, tò, tò. Tiberio, apri! ch’io son Lucido.

Tiberio. A questo modo, si? Tu non ti debbi ricordare ch’io ti avea promesso lasciar rovinare la porta prima che aprire a nessuno.

Lucido. Per Dio, che, se tu osservi alli altri quel che tu prometti come tu hai osservato questo a me, ne poni a l’imperadore. Bene. Seiti tu cavato la voglia?