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atto terzo 169


SCENA V

Ruffo e Aridosio.

Ruffo. Ti so dire ch’egli avevano trovato il corribo! Dov’è’ m’hanno a dare venticinque ducati, voglion con una doppia tórmene cinque de’ mia.

Aridosio. Che dic’egli di ducati?

Ruffo. Io farò quel ch’io promessi loro. Me n’andrò a Aridosio, che intendo che è in Lucca, e dorròmi con lui. E son certo che mi fará render Livia o pagare il resto de’ danari.

Aridosio. Che dia voi dice egli di me e di danari? Dio m’aiuti. J a Ruffo. Va’ a credi poi tu in persona senza pegno! Noi farò mai. Ma di questo ne son io piú sicuro che s’io avessi el pegno. Anzi, mi pare al certo d’aver guadagnati quei venticinque ducati. E, se ben l’ha perso la sua virginitá, la qual io ho sempre guardata com’una gioia, ognun non sa in quant’acqua si peschi.

Aridosio. Costui m’intorbida la fantasia. E non intend’ogni cosa.

Ruffo. El caso sarebbe che la fussi figliuola da vero di chi s’è detto; bench’io n’ho persa fa speranza.

Aridosio. Oh povero Aridosio! Ognun ti fa disegni a dosso.

Ruffo. Io non so se quello è Aridosio o uno che lo somigli. Egli è pur desso. A tempo, per mia fé, v’ho riscontro.

Aridosio. Perché? che vuoi tu da me?

Ruffo. Cosa giusta e ragionevole.

Aridosio. Che non lo di’?

Ruffo. Questa mattina, Tiberio vostro figliuolo venne a casa mia, dove è stato piú volte, per voler comprar da me una fanciulla, ch’io ho allevata da puttina, molto bella.

Aridosio. Di’ tu di Tiberio?