Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Notte con luna e cielo stellato. Terrazzo sopra la casa di Ecclitico con torre nel mezzo, o sia specula, ed un gran canocchiale su due cavalletti. Quattro fanali che illuminano il terrazzo.

Ecclitico e quattro Scolari.

  Tutti.

  O luna lucente,
  Di Febo sorella,
  Che candida e bella
  Risplendi lassù,
  Deh, fa che i nostri occhi
  S’accostino ai tuoi,
  E scopriti a noi
e Che cosa sei tu.

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Ecclitico. Basta, basta, discepoli,

Alla triforme dea le voci giunsero;
Esauditi sarete in breve termine.
Su via, tosto sugli omeri
Prendete l’arcimassimo
Mio canocchial novissimo.
Drizzatel su la specula 1,
Perpendicolarmente in ver l’ecclitica.
Vuò veder se avvicinasi
De’ due pianeti il sinodo,
Idest, quando la luna al sol congiungesi,
Che dal mondo volgare ecclissi appellasi.
Andate, andate subito,
Pria che Cinzia ritorni al suo decubito.
Scolari.   Prendiamo, fratelli,
  Il gran telescopio,
  O sia microscopio,
  O sia canocchial.
  Vedrem della luna
  Se il tondo sereno
  Sia un mondo ripieno
  Di gente mortal.
(Prendono il canocchiale, e lo portano dentro alla specula2, vedendosi spuntar fuori dalla sommità della medesima.
Ecclitico. Oh le gran belle cose,
Che a intendere si danno
A quei che poco sanno per natura!
Oh che gran bel mestier ch’è l’impostura!
Chi finge di saper accrescer l’oro,
Chi cavar un tesoro,
Chi dispensa segreti,
Chi parla dei pianeti,
Chi vende mercanzia
Di falsa ipocrisia;

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Chi finge nome, titolo e figura:

Oh che gran bel mestier è l’impostura!
Io fo la parte mia
Con finta astrologia,
Ingannando egualmente i sciocchi e i dotti,
Chè un bravo cacciator trova i merlotti.
Eccone uno: ecco quel buon cervello
Del signor Bonafede.
Da lui che tutto crede,
Con una macchinetta,
Inventata dal mio sottile ingegno,
Far un colpo galante ora m’impegno.

SCENA II.

Bonafede e detto.

Bonafede. Si puol entrar?

Ecclitico.   Sì, venga, mi fa grazia.
Bonafede. Servo, signor Ecclitico:
In che cosa si sta lei divertendo?
Ecclitico. Nella speculazion di varie stelle.
Stav’or considerando
L’analogia che unisce
Alle fisse Ferranti,
Al capo di Medusa il Can celeste,
Al cuore del Leon la Spiga d’oro,
Ed all’Orsa maggior l’occhio del Toro.
Bonafede. Oh bellissime cose!
Anch’io d’astrologia son dilettante;
Ma quel che mi dà pena,
È il non saper trovar dottrina alcuna
Che mai sappia spiegar cos’è la luna.
Ecclitico. La luna è un corpo diafano,
Che dai raggi del sol è illuminato;

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Ma in quel bel corpo luminoso e tondo,

Che credete vi sia? V’è un altro mondo.
Bonafede. Oh che cosa mi dite?
Colà v’è un altro mondo?
Ma cosa son quei segni,
Che si vedon nel corpo della luna?
So che un giorno mia nonna,
La qual non era sciocca,
Mi disse ch’ella avea gli occhi e la bocca.
Ecclitico. Scioccherie, scioccherie. Le macchie oscure
Son del mondo lunar colline e monti.
Non già monti sassosi,
Come da noi veggiam, ma son formati
D’una tenue materia,
La qual s’arrende e cede
Alla pression del piede;
Indi s’alza bel bello, e non si spacca3,
Onde l’uomo cammina, e non si stracca.
Bonafede. Oh che bel mondo! Ma ditemi, amico,
Come siete arrivato
A scoprir cosa tale?
Ecclitico. Ho fatto un canocchiale
Che arriva a penetrar cotanto in dentro
Che veder fa la superficie e il centro.
Individua non solo
I regni e le provincie,
Ma le case, le piazze e le persone.
Col mio canocchialone
Posso veder lassù, per mio diletto,
Spogliar le donne quando vanno a letto.
Bonafede. Oh bellissima cosa!
Ma dite, non potrei,
Caro Ecclitico mio,
Col vostro canocchial veder anch’io?

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Ecclitico. Perchè no? Benchè io sia

Solo inventor della mirabil arte,
Voglio che ancora voi ne siate a parte.
Bonafede. Obbligato vi sono, e vi sarò.
Vederete per voi cosa farò.
Ecclitico. Nella specula entrate;
Nel canocchial mirate.
Cose belle vedrete,
Cose rare, per cui voi stupirete.
Bonafede. Vado, e provar io voglio,
Se con quel canocchial sì lungo e tondo
Alla luna poss’io veder il fondo.
Ma chi son quei signori,
Che dovenota io deggio entrar, vengono fuori?
Ecclittico. Sono scolari miei,
Amanti della luna come lei.

SCENA III.

Gli Scolari escono dalla specula, e s’inchinano a Bonafede.

Bonafede. Servitor obbligato.

Scolari.   Felice e fortunato
  Chi è amico della luna;
  Per voi sì gran fortuna
  Il Ciel riserberà.
Bonafede.   Il Cielo mi conceda
  Sì gran felicità.
Scolari.   La vostra bella mente
  Che più d’ogn’altra sa,
  La luna facilmente
  Conoscere potrà. (partono
Bonafede.   Il Cielo mi conceda
  Sì gran felicita. (entra nella specula
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Ecclittico. (Farò che tutto creda

La sua semplicità).
Olà, Claudio, Pasquino, (vengono due Servi
La macchina movete,
Fate ch’ella s’appressi al canocchiale;
Onde mirando in quella
Il signor Bonafede
Movere le figure ad una ad una,
Creda mirar nel Mondo della Luna. (partono i Servi
Quanti sciocchi mortali
Con falsi canocchiali
Credono di veder la verità,
E non sanno scoprir la falsità.
Quanti van scrutinando
Quello che gli altri fanno,
E se stessi conoscere non sanno.
(Si vede accostarsi alla cima del canocchiale una macchina illuminata, dentro la quale si muovono alcune figure.
Il signor Bonafede
Ora di veder crede
Le lunatiche donne sol lassù,
E lunatiche sono ancor quaggiù.
(Bonafede esce dalla specula ridendo
Bonafede. Ho veduto, ho veduto.
Ecclitico. E cosa mai?
Bonafede. Ho veduto una cosa bella assai.
  Ho veduto una ragazza
  Far carezze ad un vecchietto.
  Oh che gusto, oh che diletto,
  Che quel vecchio proverà.
  Oh che mondo benedetto,
  Oh che gran felicità! (torna nella specula
Ecclitico. Se una ragazza fa carezze a un vecchio,
Non la sprona l’amor, ma l’interesse;
Lo vezzeggia, lo adora.

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Ma che crepi5 il meschin non vede l’ora.

(Bonafede esce dalla specula
Bonafede. Ho veduto, ho veduto.
Ecclitico.   E che, signore?
Bonafede. Una cosa per cui rido di cuore.
  Ho veduto un buon marito
  Bastonar la propria moglie,
  Per correggere il prorito
  D’una certa infedeltà.
  Oh che mondo ben compito,
  Oh che gusto che mi dà! (torna nella specula
Ecclitico. Volesse il Ciel che quanto
Fintamente ha mirato,
Fosse nel nostro mondo praticato.
Se gli uomini di garbo
Alle cattive mogli
Desser di bastonate un precipizio.
Avrebbero le donne più giudizio.
(Bonafede torna a uscir dalla specula
Bonafede. Oh questa assai mi piace!
Ecclitico.   Che vuol dire?
Bonafede. Ho veduto il contrario
Di quello che fra noi si suol usare,
Da un uomo e da una donna praticato.
  Ho veduto dall’amante
  Per il naso esser menata
  Certa donna innamorata,
  Che chiedeva invan pietà.
  Oh che usanza prelibata!
  Oh si usasse ancora qua!
Ecclitico. E qui ancor si useria,
Se gli uomin 6 non patisser la pazzia.
Bonafede. Caro signor Ecclitico,
Ho veduto gran cose;

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E per farvi veder che son contento,

Questa borsa tenete.
Ecclitico.   Oh, meraviglio!
Bonafede. Eh prendetela, via, che io così vuò.
Ecclitico. Se volete così, la prenderò.
Bonafede. Diman ritornerò.
Ecclitico.   Siete padrone.
Bonafede. Certo quel canocchiale è assai ben fatto.
Tutto, tutto si vede. Ho un gusto matto.
  La ragazza col vecchione:
  Uh carina, bel piacere!
  Il marito col bastone:
  Bravo, bravo, oh bel vedere!
  Una donna per il naso:
  Che bel colpo! Che bel caso!
  Oh che mondo benedetto!
  Oh che gran felicità!
 
Oh che gusto che mi dà! (parte

SCENA IV.

Ecclitico, poi Ernesto e Cecco.

Ecclitico. Io la caccia non fo alle sue monete;

Ma vorrei, se potessi,
La sua figlia Clarice,
Custodita con tanta gelosia,
Torla dalle sue mani, e farla mia.
Ernesto. Amico, vi son schiavo.
Ecclitico. Servo, signor Ernesto.
Cecco.   Riverisco
Il signor segretario della Luna.
Ecclitico. Sei pazzo, e tal morrai.
Ernesto.   Veduto uscire
Ho dalla vostra casa

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Il signor Bonafede. È vostro amico?

Ecclitico. Amico ed amicone
Della mia strepitosa professione.
Ernesto. Egli ha una bella figlia.
Ecclitico.   Anzi n’ha due.
Cecco. Anzi rassembra a me,
Che colla cameriera n’abbia tre.
Ernesto. Son di Flaminia amante.
Ecclitico. Ed io Clarice adoro.
Cecco. Per Lisetta ancor io spasimo e moro.
Ernesto. L’ho chiesta al Bonafede,
Ed ei me l’ha negata.
Ecclitico. Spera di maritar le proprie figlie
Con principi d’altezza.
Cecco.   E così spera
A un conte maritar la cameriera.
Ecclitico. Corrisponde Flaminia all’amor vostro?
Ernesto. Mi ama con tutto il cor.
Cecco.   La mia Lisetta
Per le bellezze mie par impazzita.
Ecclitico. E Clarice è di me pur invaghita.
Ditemi, vogliam noi
Rapirle a questo pazzo?
Ernesto. 11 Ciel volesse!
Ecclitico. Secondatemi dunque, e non temete.
Cecco. Un ottimo mezzan so che voi siete.
Ecclitico. Di denar come state?
Ernesto.   Quando occorra,
Io voterò l’erario.
Cecco. Io sacrificherò tutto il salario.
Ecclitico. Andiamo; ho un macchinista,
Che prodigi sa far. Con il mio ingegno
Oggi di far m’impegno
Che il signor Bonafede, o sia baggiano,
Le tre donne ci dia colla sua mano.

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Cecco. Oh bravo!

Ernesto.   E come mai?
Ecclitico.   Tutto saprete.
Preparate monete;
Preparate di far quel che dirò,
E la parola mia vi manterrò.
  Un poco di denaro,
  E un poco di giudizio
  Vi vuol per quel servizio:
  Voi m’intendente già.
  Contento voi sarete,
  Ma prima riflettete
  Che il stolido e l’avaro
  Mai nulla ottenirà.

SCENA V.

Ernesto e Cecco.

Cecco. Costui dovrebbe al certo

Esser ricco sfondato.
Ernesto.   E a che motivo?
Cecco. Perchè a far il mezzano
Egli non ha difficoltade alcuna;
Ed è questo un mestier che fa fortuna.
Ernesto. Tu dici male; Ecclitico è sagace,
E se in ciò noi compiace.
Il fa perchè Clarice ei spera ed ama7.
Cecco. Ho inteso, ho inteso. Ei brama
Render contenti i desideri suoi,
E vuol far il piacer pagar a noi.
Ernesto. Orsù taci, e rammenta
Chi son io, chi sei tu.
Cecco. Per cent’anni, padron, non parlo più.

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Ernesto. Vado in questo momento

Denaro a provveder. Tu va, m’attendi
D’Ecclitico all’albergo, ove domani,
Mercè il di lui talento,
Spero che l’amor mio sarà contento.
  Begli occhi8 vezzosi
  Dell’idolo amato,
  Brillate amorosi9,
  Sperate che il fato
  Cangiar si dovrà.
  Bei labbri ridenti
  Del viso che adoro,
  Sarete contenti,
  Che il nostro ristoro
  Lontan non sarà.

SCENA VI.

Cecco solo.

Qualche volta il padron mi fa da ridere.

Ei segue il mondo stolido;
Cambia alle cose il termine,
E il nome cambia bene spesso agli uomini.
Per esempio, a un ipocrita
Si dice uom divotissimo,
All’avaro si dice un bravo economo,
E generoso vien chiamato il prodigo.
Così appella talun bella la femmina,
Perchè sul volto suo la biacca semina.
  Mi fanno ridere
  Quelli che credono
  Che quel che vedono
  Sia verità.

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  Non sanno i semplici

  Che tutti fingono:
  Che il vero tingono
  Di falsità.

SCENA VII.

Camera in casa di Bonafede con loggia aperta, tavolino con lumi e sedie.

Flaminia e Clarice.

Clarice. Eh venite, germana,

Andiam su quella loggia,
A goder della notte il bel sereno.
Flaminia. Se il genitor austero
Ci ritrova colà, misere noi!
Clarice. Che badi a’ fatti suoi.
Ci vuol tener rinchiuse
E dall’aria difese,
Come fossimo noi tele di ragno.
Flaminia. Finchè noi siam soggette
Al nostro genitor, convien soffrire.
Clarice. Ma io, per vero dire,
Stanca di questa soggezion noiosa,
Non veggo l’ora d’essere la sposa.
Flaminia. E quando sarem spose,
Avrem di soggezion finiti i guai?
Anzi sarem soggette più che mai.
Clarice. Eh sorella, i mariti
Non son più tanto austeri.
Aman la libertade al par di noi;
Ed abbada ciascuno ai fatti suoi.
Flaminia. Felici noi, se ci toccasse in sorte
Un marito alla moda. Ah sventurate,
Se un geloso ci tocca!
Clarice.   In pochi giorni,

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O ch’io lo guarirei,

O che al mondo di là lo manderei!
Flaminia. Vorreste forse avvelenarlo?
Clarice.   Oibò!
Ma il segreto io so.
Con cui questi gelosi
Dalle donne si fan morir rabbiosi.
Flaminia. Se l’accordasse il padre,
Spererei con Ernesto esser felice.
Clarice. Lo spererei anch’io
Con Ecclitico mio.
Flaminia. Quell’Ecclitico vostro
È un uom ch’altro non pensa,
Che a contemplar or l’una, or l’altra stella.
Clarice. Questo è quello, sorella,
Che in lui mi piace più.
Finchè ei pensa alla luna, ovvero al sole,
La sua moglie farà quello che vuole.
Flaminia. Ma il genitore io temo
Non vorrà soddisfarci.
Clarice.   Evvi in tal caso
Un ottimo espediente:
Maritarci da noi senza dir niente.
Flaminia. Ciò so che non conviene a onesta figlia,
Ma se amor mi consiglia,
E il padre a me si oppone,
Io temo che all’amor ceda ragione.
  Ragion nell’alma siede
  Regina dei pensieri,
  Ma si disarma e cede,
  Se la combatte amor.
  E amor se occupa il trono,
  Di re si fa tiranno,
  E sia tributo, o dono,
  Vuol tutto il nostro cor.

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SCENA VIII.

Clarice, poi Bonafede.

Bonafede. Brava, signora figlia!

V’ho detto tante volte
Che non uscite dalla vostra stanza.
Clarice. Ed io tant’altre volte
Mi sono dichiarata
Che non posso soffrir di star serrata.
Bonafede. E ben, bene, fraschetta,
So io quel che farò.
Clarice.   Sì, castigatemi;
Cacciatemi di casa, e maritatemi.
Bonafede. Se io ti maritassi,
Non castigherei10 te, ma tuo marito.
Nè castigo maggior dar gli potrei,
Quanto una donna pazza qual tu sei.
Clarice. Io pazza? V’ingannate.
Pazza sarei qualora
Mi lasciassi un po’ troppo intimorire,
E avessi per rispetto a intisichire.
  Son fanciulla da marito,
  E lo voglio, già il sapete,
  E se voi non mel darete,
  Da me stessa il prenderò.
  Ritrovatemi un partito
  Che sia proprio al genio mio;
  O lasciate, farò io:
  Se lo cerco, il troverò.

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SCENA IX.

Bonafede, poi Lisetta.

Bonafede. Se mandarla potessi

Nel Mondo della Luna, avrei speranza
Castigata veder la sua baldanza.
Lisetta. Serva, signor padrone.
Bonafede.   Addio, Lisetta.
Lisetta. Vuol cenare?
Bonafede.   È anco presto, aspetta un poco.
Lisetta. Ho posta già la panatella al foco.
Bonafede. Brava, brava. Lisetta, oh se sapessi11
Le belle cose che ho vedute!
Lisetta.   E cosa
Ha veduto di bello?
Bonafede. Ho avuta la fortuna
Di mirar dentro al tondo della lima.
Lisetta. (Ecco la sua pazzia).
Bonafede.   Senti, può darsi...
Sai che ti voglio ben. Può darsi ancora,
Se tu mi sei fedel, se non ricusi
Di darmi un po’ d’aiuto,
Ch’io ti faccia veder quel che ho veduto.
Lisetta. Sapete pur ch’io sono
Vostra serva fedele, e se mi lice,
Vostra tenera amante.
(Invaghita però sol del contante).
Bonafede. Quand’è così, mia cara,
Della ventura mia ti voglio a parte.
Vedrai d’un uomo l’arte
Quanto può, quanto vale;
Le prodezze vedrai d’un canocchiale.

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Lisetta. Vorrei che un canocchial si desse al mondo,

Con cui vedeste il fondo
Del mio povero cor, che sol per voi
Arde d’amore e fede.
(Egli è pazzo davver se me lo crede).
Bonafede. Per rimirar là dentro
In quel tuo cor sincero,
Serve di canocchial il mio pensiero.
Vedo che mi vuoi bene,
Vedo che tu sei mia.
Lisetta. (Ma non vede che questa è una pazzia).
Bonafede. Doman ti vuò menar dal bravo astrologo;
Vedrai quel che si pratica lassù
Dalle donne da ben come sei tu.
Lisetta.   Una donna, come me,
  Non vi fu, nè vi sarà;
  Io son tutta amore e fè,
  Io son tutta carità.
  Domandate a chi lo sa.
  Sì ch’è vero, ognun dirà.
  Io malizia in sen non ho;
  Sono stata ognor così.
  Poche volte dico no;
  Quando posso, dico sì.
  Ma lo dico, già si sa,
  Salva sempre l’onestà.

SCENA X.

Bonafede, poi Ecclitico. Poi Clarice e Lisetta.

Bonafede. È poi la mia Lisetta

Una buona ragazza.
Non è di quelle serve impertinenti,
Che quando hanno le grazie del padrone,
Vogliono in casa far le braghessone.

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Ecclitico. Ehi, signor Bonafede, (di dentro

Si puol12 entrar?
Bonafede.   Oh cappari, chi è qui?
Venite, signor sì;
Cos’è sta novità?
Qualche cosa di grande vi sarà.
Ecclitico. Compatite s’io vengo
In quest’ora importuna a disturbarvi:
Un segno d’amicizia io vengo a darvi.
Bonafede. Oh, che buona ventura a me vi guida?
Ecclitico. V’è nissun che ci ascolti?
Bonafede.   No, siam soli.
Parlate pur con libertà.
Ecclitico.   Voi siete
L’unico galantuom ch’io stimo ed amo.
Onde vi vengo a usar per puro affetto
Un atto d’amicizia e di rispetto.
Bonafede. Obbligato vi son. Ma che intendete
Voler dire con ciò?
Ecclitico.   Vengo da voi
Per sempre a licenziarmi.
Bonafede. Oh dei! per sempre?
Ditemi, cosa fu?
Ecclitico. Amico, addio. Non ci vedrem mai più.
Bonafede. Voi mi fate morir. Ma perchè mai?
Ecclitico. Tutto confido a voi. Sappiate, amico,
Che il grande imperatore
Del bel mondo lunar con lui mi vuole.
Io fra pochi momenti
Sarò insensibilmente
Trasportato lassù per mio destino,
E sarò della Luna cittadino.
Bonafede. Come? È vero? Oh gran caso! Oh me infelice,

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Se resto senza voi! Ma in qual maniera

La voce di lassù potè arrivare?
Ecclitico. Là nel mondo lunare
Un astrologo v’è, come son io.
Che ha fatto un canocchial simile al mio.
Congiunti nella cima i canocchiali,
E levato il cristallo, o sia la lente,
Facilissimamente
Sento quel che si dice in l’altro mondo,
E col metodo stesso anch’io rispondo.
Bonafede. Oh prodigio! oh prodigio! Ed in che modo
Sperate andar tant’alto?
Dalla terra alla luna vi è un gran salto.
Ecclitico. Tutto vuò confidarvi.
Dal canocchiale istesso
Il grande imperatore
Mi ha fatto schizzettar certo licore,
Che quando il beverò,
Leggermente alla luna io volerò.
Bonafede. Amico, ah, se voleste.
Aiutar mi potreste.
Ecclitico.   E come mai?
Bonafede. Schizzettatemi un po’ di quel licore
Che v’ha mandato il vostro imperatore.
Ecclitico. (Eccolo nella rete).
Bonafede.   E poi anch’io
Verrò lassù con voi.
Ecclitico.   Ma non vorrei,
Che se ne avesse a mal sua maestà.
Bonafede. È un signor di buon cor, non parlerà
Ecclitico. Orsù, mi siete amico;
Vi voglio soddisfar. Quest’è il licore.
Giacchè non v’è nessuno,
Vuò che ce lo beviam metà per uno.
Bonafede. E poi come faremo?

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Ecclitico. E poi ci sentiremo

Sottilizzar le membra in forma tale,
Che andremo insù come se avessim l’ale.
Bonafede. Beverei, ma non so...
Sono fra il sì ed il no.
Ecclitico. Compiacervi credevo;
Se pentito già siete, io solo bevo. (finge di bevere
Bonafede. Non lo bevete tutto,
Per carità.
Ecclitico.   Tenetemi, che ormai
Mi sembra di volare. Oh me felice!
Oh singoiar fortuna!
Or or sarò nel Mondo della Luna, (straluna gli occhi
Bonafede. Cos’avete negli occhi?
Parete ispiritato.
Eccunco. Dallo spirto iunar son invasato.
Addio. Vado.
Bonafede.   Fermate.
Voglio venir anch’io.
Ecclitico.   Ecco; tenete
Il resto del licor dunque, e bevete.
Bonafede. Ma le figliuole mie? Ma la mia serva?
Ecclitico. Quando sarete là,
Grazia per esse ancor s’impetrerà.
Vado, vado.
Bonafede.   Son qui, bevo; aspettate. (beve
Ecclitico. (Bevi, buon pro ti faccia.
Io bevuto non ho. Fra pochi istanti
Dal sonnifero oppresso e addormentato,
Crederà nella luna esser portato
Bonafede. Ecco bevuto ho anch’io.
Mondo, mondaccio rio,
Per sempre t’abbandono.
Uomo sopralunar fatto già sono.
Ohimè! sento un gran foco.

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Ecclitico. Soffrite. A poco, a poco

Tramutar sentirete
Tutte le vostre membra, e goderete.
Bonafede. Par che mi venga sonno.
Ecclitico.   Ecco l’effetto
Che fa il licor perfetto.
Bonafede. Non posso star in piedi.
Ecclitico.   Accomodatevi. (lo fa sedere
State pronto a salire, e consolatevi.
Bonafede. Mi sembra di volar.
Ecclitico.   Lo credo anch’io.
Bonafede. Caro Ecclitico mio,
Ditemi dove sono. In terra, o in aria?
Ecclitico. Vi andate a poco a poco sollevando.
Bonafede. Mi vo sottilizzando.
Ma come uscir potrem... da questa stanza?
Ecclitico. Abbiamo in vicinanza
Un ampio fenestrone.
Bonafede.   Vado, vado senz’altro.
Ecclitico.   (Oh che babbione 1)
Bonafede.   Vado, vado; volo, volo.
Ecclitico.   Bravo, bravo, mi consolo.
Bonafede.   Dove siete?
Ecclitico.   Volo anch’io.

Bonafede. a due Addio mondo, mondo addio.
Ecclitico.
(escono Clarice e Lisetta

Clarice. Caro padre, cosa c’è?
Lisetta. Padron mio, che cos’è?
Bonafede. Vado, vado; volo, volo.

Clarice. a due Dove, dove?
Lisetta.
Ecclitico. Oh che fortuna!

Bonafede. Vo nel Mondo della Luna.

[p. 505 modifica]
Clarice. a due Muore, muore13, ohimè che muore!
Lisetta.
Bonafede.   Oh che gusto, oh che diletto!

Ecclitico.   Viva, viva, oh che fortuna!

Clarice. a due Muore, muore.
Lisetta.
Bonafede.   Cara luna,

  Vengo, vengo, vengo a te. (s’addormenta

Clarice.
Lisetta.
a due

Muore, muore, presto, presto.
Qualche spirto troverò.
Presto, presto tornerò. (partono

Ecclitico.   Il buon sonnifero

  Gli offusca il cerebro.
  Portar dagli uomini
  Via lo farò.
  Fabrizio, Prospero, (vengono due Servi
  Su via, prendetelo,
  E là portatelo
  Nel mio giardin. (portano via Bonafede
  Le donne tornano
  E si disperano.
  Perchè già credono
  Morto il meschin. (tornano Clarice e Lisetta
Clarice. Povero padre, ahi che morì!
Lisetta. Ahi, che di vivere tosto finì!
Ecclitico. No, non piangete, non è così.

Clarice. a due No, non piangete, non è così.
Lisetta. Ahi che tormento, ahi che morì!
Ecclitico. Fe’ testamento, eccolo qui.
Clarice. a due Ahi che tormento, ahi che morì!
Lisetta.
Ecclitico. Lascio a Clarice sei mille scudi,

Se di sposarsi risolverà.

[p. 506 modifica]
Clarice. Era mortale, questo si sa.

Ecclitico. Lascio a Lisetta cento ducati,
Quando il marito ritroverà.
Lisetta. Era assai vecchio, questo si sa.
Ecclitico. Povero vecchio, più nol vedrete!

Clarice. a due Ahi che tormento, che voi mi date!
Lisetta.
Ecclitico. Pronta è la dote, se la volete.
Lisetta. a due Mi fate ridere, mi consolate.
Clarice. Viva chi vive.
a tre Chi è morto, è morto.
Dolce conforto
La dote sarà.14


Fine dell’Atto Primo.



Segue il Ballo, nel quale si rappresenta il Mondo della Luna in un globo trasparente, con V Astrologo ed il credulo che fanno le loro osservazioni, derisi dalle Donne che attendono l’effetto dell’impostura. S’apre il globo ed escono da quello due Uomini e due Donne lunari, che si figurano esser quelli veduti già da Bonafede col canocchiale, e descritti nelle sue canzonette; dopo di che s’uniscono, ed intrecciano le loro danze.


Note

  1. Ed. Zatta (1794): specola.
  2. Zatta: lo portano alla specola.
  3. Zatta: stacca.
  4. Zatta: donde
  5. Fenzo: creppi.
  6. Fenzo: gl’uomin.
  7. Così Zatta. Nelle edd. Fenzo, Tevernin, Guibert e Orgeas ecc.: ei spera e l’ama.
  8. Fenzo: Begl’occhj.
  9. Guibert-Orgeas e Zatta: Brillanti amorosi.
  10. Fenzo: castigarei.
  11. Zatta: Brava, brava Lisetta! Oh se sapessi ecc.
  12. Zatta: puole.
  13. Fenzo: More, more ecc.
  14. Nell’ed. Zatta: “a due Viva chi vive, chi è morto è morto’ — Dolce conforto la dote sarà”.