Il milione (Pagani, 1827)/Vita di Marco Polo
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VITA
DI MARCO POLO.
i. Nel secolo felice, in cui ogni cuore italiano ardeva d’illustrare la patria con opere virtuose e onorate, tutti all’uopo correvano all’armi, all’uopo alle faccende civili, ma nelle repubbliche, principalissime cure erano le arti, la navigazione, i traffici, fonti inesausti di opulenza, di potere alla beata penisola. Ne’ Comuni, giornalmente accorrevano uomini industriosi, e sagaci, dalle terre, dalle ville soggette, e a ciò fare grande stimolo era, speranza di fortuna, il permutare inopia ed oppression provinciale, in sembianze incerte di libertà e di padronanza. Venezia nel secolo duodecimo era al sommo della celebrità e della potenza, ed ivi convenivano i popolani provinciali più che altrove. Fra le molte famiglie che vi si recarono, seppe sottrarsi dall’oblio quella de’ Poli, creduti originarj di Sebenigo in Dalmazia. Verso la metà del vicolo decimoterzo era in due rami divisa, distinti in Poli da S. Geremia, e da S. Felice, dai quartieri della città, che abitavano (Zurl. Dissert. t. i. p. 42. Albero di Marc. Barb. in calce alla vita)
II. Alla casata di S. Felice pertennero Niccolò e Maffio. Argomento di non isterile curiosità sarebbe il conoscere qual’educazione ebbero uomini di poi tanto celebri, ma mancano a ciò le memorie: è da credere tuttavolta che l’avesser modesta e prudente, qual convenivasi in libera città, e che fossero in ogni util faccenda istruiti: certo egli è che si rammentano come nobili, onorati, e savi cittadini (Marc. Pol. Proem. t. ii. p. 5.)
III. Non usavasi allora nelle città italiane, viversi nell’ozio superbamente, pago ciascuno del non sudato retaggio. Ognun si studiava nell’arricchirsi d’esperienza, di ricchezze, di lumi per usarne a pro della patria. E per avvantaggiare le cose loro, i due fratelli Poli si recarono in Costantinopoli. L’imperizia, l’ignavia, la povertà di Baldovino II. avevan del tutto oscurato lo splendore della Nuova Roma. E lo squallore presente di metropoli un tempo tanto opulenta, agevolò ai Poli l’acquisto di molte preziose robe. Possessori di grandi mercatanzie, pensarono cercare altrove ventura, e tenuti insieme molti ragionamenti, risolsero passare nel Mar Maggiore per recarvi i loro capitali, e comprate molte bellissime gioje, superfluità, che la generale inopia reca a vile, fecero vela per Soldadia, ove rimasero un tempo (Proem. t. i. e ii. ) II VITA IV. Ivi dimorando sentirono commendare Barca, Cari del Cap- tchac(i),ode’Tarlaridi Ponente,come uno de’più liberali e cortesi signori, che fosse stato mai fra quelle genti,e pensarono alla sua corte recarsi. Giunti alla sciata e barbara di lui sede , ei della venuta dei due fratelli ne ebbe piacer grandisissimo, e fece loro grand’ onore . 1 Poli mostra- rongli le gioje che avevano seco , ed avendole quel signore d’ assai lodate, liberalmente a lui le donarono. La tanta cortesia de’Veneti lo sorprese; nè volendo in generosità esser vinto, fece dare a quelli il doppio del valore delle gioje , ed inoltre gli presentò riccamente ( ibid. ) V. Volevano i Poli tornare in patria , quando subitamente si accese asprissima guerra fra questo Barca , ed Ulagu signor di Persia , e suo cugino (2) . Era perciò grave pericolo ai due fratelli il tenere la via fatta innanzi , e furono consigliati d’inoltrarsi tanto a levante da contornare gli stati di Barca , e con lunga deviazione, tornare a Costantinopoli per la Persia. Seguirono il consiglio, si posero in via, così giunsero a Boccara , città dell’ Asia Media, capitale del pingue patrimonio di Zagatai, figlio di Gengiscan , che Barac allor possedeva (3) . Le guerre civili dei Mogolli empievano di turbamenti l’Asia occidentale, e il ritorno dava ai due fratelli gravi cure, perciò in quella terra fecero assai lunga dimora, che lor diè agio di apparare il tartaresco linguaggio. Frattanto giunse in Boccara un ambasciatore, che Ulagu spediva nel Catajo al Gran Can , supremo signore di tutti i Tartari . Era uomo di molta dottrina; ei volle conoscere i due fratelli, e frequentandoli, tanto a lui piacquero i graziosi e buoni costumi loro , che gli confortò ad andare seco lui a questo maggior re de Tartari, affermando, che gratissima gli sarebbe la lor venuta, per non aver mai alcun Latino veduto ; e che ne riceverebbero grandissimo onore , e beneiicj . Essi non potendo tornare alle proprie case, senza grandissimo pericolo , ri- (1) Hoc anno ( 1266.) moriebatur, maximus Tartarorum in plagis septentrio- nalibus rex Borea, fi lius Sajen Chani, filius Duschi Chani, filii Gen-kiscani. Solium istius regni et urbs capitalis est Sarai . Haud multum hic vir alienus erat ab Islamismo.Succedebat ipsi ex patruo nepos Margu-Timur,filius Tagani, filii Batui, iilii Duschi Chani , filii Gen-kischani ( Abulfed. Annales Muslem t. v. p. 2. ) (2) Ulagu figlio di Tuli, figlio di Gengiscan, chiamalo Abulfeda il maledetto Principe de’ Taitari : morì vicino a Marrag nel 1264. Successeli Aboga, o Abaca ( Abulf. I. c. t. v. p. 17.) (3) Barac era figlio di Junsutu, di Mutugan , di Zagatai , di Gengiscan . Lo inviò Cublai in Buccaria per ¡scacciarne Caidu , figlio d’Ottai Can, suo mortale nemico. Barac vi riusci, e come feudatario di Cublai resto al possesso della contrada, lisso si fece Maomettano ^De Guign. t. ir. p. 5n.) DI MARCO POLO III posta in Dio ogni fidanza, fur contenti di seguitar l'ambasciatore. E certo maravigliosa fu la lor costanza, di avventurarsi alla fede d’ un Tartaro, nome spaventevole ad orecchio europeo. Ma comuni sono gli esempi , che barbari perfidi, spietati in guerra , serbino la fede promessa più intatta de' popoli che si vantano di civiltà . VI. Col Persiano, giunsero Niccolò e Mallio alle tende delGran Can a Chemenfu in Tartaria . Reggeva lo scettro mogollo, il magnanimo Cublai Can , ed in esso l’educazione, la cultura cinese temperò la natia ferocia, ma non infievolì la tempra vigorosa d animo tartarico . Esso come i suoi antecessori vagheggiava l'imperio del mondo , ma nell’intemperante cupidità, non come essi, soggiogava per distruggere, anzi per accrescersi di potenza ; e educazione avendo avvivati nel suo cuore sensi d'umanità, misericordia fu madre di beneficj, infatti con miti leggi resse le assoggettate provincie. Ei gradi sommamente la venuta de due Latini, gli accolse benignamente, gli onorò: avido di sapere le cose di Ponente, domandò loro dell'Imperadore de' Romani , degli altri regi e principi Cristiani; della grandezza, costumi, e possanza loro; come ne’ lor reami osservavano giustizia, come governavano le milizie e le guerre. Diligentemente domandò poi del Papa, delle cose della Chiesa, della fede Cristiana, e a tutto i savi e prudenti Viniziani risposero con verità , e d’ ogni cosa lo appagarono . Il maggior ostacolo all intedimento orgoglioso de’Gengiscanidi di domare il mondo intiero, erano i potentati Saracini; perciò lor politica era il blandire iCristiani, per averli compagni alla distruzione del comune nemico . Cublai risol- ?>e inviare i due fratelli suoi ambasciatori al Papa, per pregarlo di mandar cento uomini savi , ed istruiti , e capaci d’ addottrinare nella fede di Gesù Cristo le genti sue, e mostrar loro la fallacia degl idoli . Non credo io già che un imperante asiatico, che dalla viltà dei vinti ebbe titolo di Chitsu, o di avo de’secoli , che Yven, o celeste appellò la sua casata ( toni.ir. not. 285. ), che per le incontinenti sue voglie assoggettò all’obbrobrioso tributo delle più avvenenti donzelle una provincia, che ne vantava di leggiadrissime e di bellissime ( Ibid. Lib. II. cctp. ir. ) volesse abbracciare il Vangelo. Altre considerazioni a ciò fare lo muovevano : infatti incaricò i Poli di chiedere al Papa, che le persone che invierebbe, fossero delle sette arti liberali addottrinati, nell’intendimento chiarissimo di ritrarre i suoi popoli dalla barbarie, e di farli istruire uelle dottrine da essi ignorale . ( Proem. toni. i. e //. ) \ II. Consentendo i due fratelli all'ambasciata, Cublai gli munì di lettere al Papa , e di una tavola d’oro , che dichiarandoli suoi messaggi, v’era scritto di rispettare, vettureggiare, alloggiare, alimentare, cali IV VITA uopo scortare i due fratelli in tutta l’estension dell’Imperio . Così pressoché in tutta la sua ampiezza i due Poli traversarono l’Asia, e sicuramente giunsero alla Giazza porto dell’Armenia Minore , e di lì fecer vela per Acri. Ivi seppero che Papa Clemente era morto, e avvisando d’aspettare che elezion di Papa si facesse,pensarono intanto restituirsi alle loro case ( Proem. t. n e not. relativ. ) . Vili. Giunti i due fratelli in Venezia, trovò Niccolò che la donna sua, che aveva lasciata incinta, era morta, ed era ne rimaso un figlio, da esso non peranche veduto, in età allora di diciannove anni ( t.n.p. //.) , cui in memoria di uno zio, era stato dato il nome di Marco, e questi è quell’appunto che dettò il Milione . Nell’assenza del padre, ei fu probabilmente allevato da un qualche parente : nè dalla dettatura del suo libro apparisce che il giovinetto fosse istruito nelle lettere e nelle scienze. Ma da quello traluce però,che non si mancò di erudirlo nelle discipline^ che utili esser potevanii, nel leggere, nello scrivere, ne’computi, nelle pratiche di mercatura e di navigazione; e l’evento dichiara, che anche ciò , può bastare per giungere all’apice di mortai fama. Che diligentemente fosse allevato, il manifesta l’amore che nudrì sempre per la patria, l’indole perspicace di lui, il manieroso, prudente, accorto contegno che serbò in tante vicende, presso tante eslranie genti. E certo egli è,che natura fu a lui liberale di quei doni , di cni cortese è agl’ Italiani e a Veneti principalmente, di quei modi piacevoli, che fuor di patria acquistali loro benevolenza e amicizia. Fu gran ventura anche del giovinetto, il potere attingere ampia istruzione dalla consumata esperienza del padre e dello zio, che nelle lunghissime loro peregrinazioni, nel conversare con tante genti, tante cose apparorono . IX. Penandosi troppo a fare elezione di Papa , i due fratelli temerono che del soverchio loro indugio il Gran Can si sdegnasse , perciò s’imbarcarono per Acri conducendo seco loro il giovinetto Marco . Di U peregrinarono a Gerusalemme , e prosternali dinanzi al Gran Sepolcro, lo avran bagnato di lacrime, rimembrando che l’ignavia, e la corruttela dei Cristiani, rendè vana la magnanima impresa del pio Goffredo (i) . Tornati in Acri, si presentarono a Tebaldo Visconti Pontificio Legato in Palestina, e lo richiesero di lettere pel Gran Can, che dichiarassero essi aver fatto il loro ufficio fedelmente, ma che non erasi per anche fatta l e- lezione del Papa , ed ottenuto ciò che chiedevano tornarono alla Giazza. (l) I Poli si recarono in Gerusalemme , anche per prender dell’ olio delle la in— pane del Santo Sepolcro , che secondo il manoscritto Soranziano vo'eva avere la madre del Gran Can, che era Cristiana ( Zurl. Dissert. t.i. p.52 ). DI MARCO POLO V Tebaldo intanto ebbe messaggio d'Italia, che lo istruì essere ei stato eletto a regger le somme chiavi, e il novello Pontefice, che assunse il nome di Gregorio X, considerando che poteva allora secondar le domande del GranCan, richiamò i Poli, che il re d’Armenia fornì di navilj, per tornare in Acri. L’eletto Papa con grande onore gli accolse, die ad essi lettere pel Gran Can , e aggiunse loro a compagni Niccolò da Vicenza, e Gulielmo da Tripoli , frati predicatori letterati, e gran teologi , e tenuti per li più saggi della provincia, che munì d’ogni facoltà e privilegio , che credè necessario a promuovere il bene della Chiesa, la conversione de’pagani ( Cod.Par. i.p. 9. ); indi benedicendoli gli accomiatò. X. Tornati indietro i Veneti,trovarono l’Armenia Minore nel pianto . Bibars Soldano d’Egitto, flagello delle Cristianità dell’ Oriente , ardeva di vendicarsi del re della contrada,che aveva mossi ai suoi danni i Mogolli, e con grande esercito scorreva, e bruciava le terre del reame, di che impauriti 1 due frati, date le carte e 1 privilegi del Papa ai due fratelli, tornarono indietro . Ma i Poli non si lasciarono vincere dal terrore, e senza esitanza prenderono la volta di Chemenfù residenza estiva del Gran Can (1) . Tollerarono in via molti disagi per lo nevi, pe’diacci, perle piene de’fiumi, e penarono ad arrivarvi tre anni. Giunti a Che- inenfu si recarono al maestro palazzo, ove trovarono il Gran Can attornialo da’suoi baroni; e prosternatisi,,del rivederli mostrò grande allegrezza ,e chiese chi fosse il giovane ch’era con loro: Niccolò rispose: egli è vostro uomo, e mio figliuolo . Indi dierono conto dell’ambasciata, e tanto crebbero nella grazia del signor dei Mogolli, che in corte ebbero onore più d’altro barone ( ibicl ) . XI. La lunga dimora fatta da Marco in tante, e si diverse contrade, le maravigliose cose vedute , non meno che l’esperienza de’suoi maggiori , suscitarono il vivido ingegno del giovinetto . E tosto saggiamente si avvisò di porre in iscritture e memoriali, ciò che era degno di ricordanza . ( Rum. JVavig. Praef al voi. ir.); e così non dimenticandosi veruna cosa, potè dei suoi scuoprimenti far copia ai Latini. E tanta fino di bel principio iu la sua diligenza e perspicacia, che di ciò che narra come veduto da lui, non avviene che due.o tre fiate di vederlo da irrefragabili ' O (1) Questa città come dicemmo (t. 11. not. 2y5.) fu edificala da Mangu Can . A quella Cubl-ii die il titolo di Chan-tu, o di Alta Corte ( Ilist. des Mong. p.641.) ed il Polo 1 appellò nell una e nell' altra guisa , lochè fu occasione d’inciampo ai suoi commentatori ( t. u p. i3. e 14<>.); nè la riconobbero nelle due denominazioni per una medesima città . E probabile che nell’assenza de’Poli, Gublai desse quel titolo novello alla citta, e che perciò nel Milione l’appellassero col primo nome all'andata prima i Poli , e nell’altra guisa quando vi ritornarono .. VI VIT A autorità smentito . Tempi non furono mai, che offrissero al par dell’Asia per inopinate e maravigliose vicende,cagioni a più profonde meditazioni. Recente era la distruzione della rea e inaudita tirannide degli Assassini dell’Al Gebal, e del sacerdozio, e dell’imperio fondato da Maometto; e ciò per opera d’un popolo barbaro , oscuro , nudl'ito in erma sconosciuta regione . Mentre tanto percossa era la legge di Maometto, vili schiavi, usurpatasi la signoria dell’Egitto, minacciavano d’estermiilio gli avanzi delle corrotte colonie cristiane della Palestina e della Siria . Dalle rive dell’ Eufrate, fino all’estremità dell’Oriente, tutto pendeva dalla volontà del Gran Gan, e dalle sponde dell’ Ouon , della Tuia, dell’Hoang-ho, par- tivansi gli ordini tremendi, in virtù de’ quali erano tinte di sangue , le acque del Volga , del Danubio, della Vistola , della Morava ; nè eravi altro indizio di decadenza di tanto potere, che le inimicizie, e le guerre che incominciavano a suscitarsi fra’ Gengiscanidi. XIL Mangu cui era succeduto Cublai suo fratello, accrebbe molto l’imperio all’occidente della Cina . I suoi capitani assalirono il Tibet, e distruggendo terre è borgate , gl’infelici abitanti uccidendo, parvero ambire a signoreggiar solitudini.E della sorte lacrimevol dei vinti, potè il nostro viaggiatore con gli occhi propri giudicare ( t.n.lib. u.cap.j7.). Imperando Mangu, i Mogolli domarono anche il Yunnan , recarono la guerra nel Gannan, o Tunkino, e lo assoggettarono a tributo : ma l’ardore di Mangu era di consumare la distruzione dei Song . Ei stesso si mosse contro l’Imperio Meridionale , ma la città di Ho-tclieu oppose insuperabile resistenza . La lunghezza dell’assedio suscitò negli alloggiamenti Mogolli micidiale contagio , che fece accorto anche il potente Mangu di sua mortale condizione . Perchè respirasse aria più pura fu trasportato sulla montagna diTiao-ya, ina ivi di cinquantadue anni d’età, dopo otto di regno, cessò di vivere ( Hist. des Mong.p. 553. e seg.). XIII. Cublai, ambizioso quanto il fratello , lo vinse nell’arte di recar le cose al suo intendimento: in ciò solo dalla grandezza abbagliato, di rivolgere ogni sua cura alle cose terrene, e di nulla curare le celestiali ed eterne. Perciò indifferente per ogni culto, Cristiani, Saraci ni, Tartari, Cinesi , Turchi ai suoi servigi chiamò; ed ebbe 1’ attedi farsene utili e zelanti cooperatori , d’ affezzionarseli , largo conceditor d’onoranze , di ricchezze , di lodi qual’ esso era , ma in un severo all’ uopo , ed abile a destar ne’pravi salutare timore. All’arrivo dei Poli, già da più anni ardeva fierissima guerra fra’Mogolli, e i Cinesi, interrotta soltanto da alcune tregue. Ultimamente onesta occasione ebbe di rinnuovarla Cublai, per essere stati assassinati due suoi ambasciatori, che aveva spediti a Hang-tcheu, città detta dal Polo Quinsai, e residenza allora dei Song • D! MARCO POLO VII Alla Corte Meridionale ogni balìa di fare a suo grado avea Kia-sse-tao principale ministro, e vuoisi eli ei fosse l'istigatore dell uccisione de’legati, per occultare i vergognosi patti che aveva consentiti . Audacissimi erano i viziosi, perchè Tu-tsong che allor regnava, era voluttuoso, e vile, ed a- borriva ogni civile faccenda,ogni cura regale.Cublai, finche fu travagliato ne' primi anni del suo governo da ribellioni e congiure , condusse fiaccamente l’impresa, e dovè differire a trar vendetta dell uccisione de’suoi legati. Accaddeiulanto, che in Lui-tchiù,il più valente capitano de’Song, l’ab- borrimento che sentiva pel ministro, spense ogni carità di signore; passò ai servici delMo"ollo,e invitò il GranCan a consumare la distruzione dei O O ? Song,e tanto ne infiammò Cublai, che richiamò dalla Persia Bayan, il più celebre de’ suoi generali per governare la guerra ( t. //. not. 5^1. ) (i). a«i. i?<58. XIV. Morì Tu-tsong, ed ogni potere rimase a Kia-sse-tao , all’arte- fìce della rovina dell’ Imperio . Ei fece escludere dalla successione il primogenito di Tu-tsong, ed eleggere a signore Tchao-hien , il secondogenito, fanciullo allora di quattro anni. Due eserciti furono mossi ai danni dei Song,e Bayan capitano supremo, s’avanzò fino all Hoang-ho,e chiese ad Hai-gan-fu di aprirli le porte ( t. u. not. 584 ) ; ma la città negò di farlo, e quell’esempio imitarono altre città , cui il Mogollo aveva intimata la resa . Per non lasciarsi tante terre nemiche alle spalle, Bayan ne assediò una regolarmente, la vinse , ne passò gli abitanti al fil delle spade ( ibid. p• 3o4- ) • bn atto tanto crudele , la viltà de Cinesi , le lusinghiere proferle dell’aggressore , recarono le città ad arrendersi senza difesa , quantunque munitissime fossero, e tutte da larga e profonda fossa difese ( Ibid.p.So3. ). Non si attentarono i Cinesi di disputare a Bayan il passaggio dellTIoang-ho, larghissimo fiume, perciò potè inoltrarsi finoal Tche- Kiang senza ostacolo . 1J u tanto pericolodell imperio, 1 ignavia della difesa, le avite glorie conculcate , crebbero a dismisura l’odio contro il ministro , il quale scosso dai pubblici clamori, risolse con forte esercito andar contro il nemico ; ma quel codardo, senza avventurare la sorte d’ una giornata, retrocedè. Numeroso navilio Cinese difendeva il Tche- Kiang, ma quel di Bayan, le navi nemiche ruppe, sommerse, incendiò,o dispeise, e il capitano passo il fiume con gloria.Quei nuovi inforluuj recarono al colmo l odio contro Kia-sse-tao; l’imperadrice madre e reggente, dovè deporlo, cacciarlo in esilio . Ei fu tolto di vita, ma non a pubblico esempio, a terror de protervi , ma per privata vendetta. È fama che Cublai mandasse nuovi legati alla corte di Hang-lcheu , con (i) Gli Annali Cinesi quest’ultima rottura la pongono avvenuta nel 1268. Àiurco Polo 1’ a imo dopo . Vili VITA An. 12 Alì. 13 istruzione di offerir pace all’Imperadore , se volevasi riconoscere suo vassallo ; ma furono assassinati ancor essi , e 1’ irritato Gran Can die ascolto al consiglio di Bayan di spengere i Song . Inoltrandosi il condottiero come vincitore minaccioso, avendo saputo l'Imperadrice ch’era stata vinta la città diKia-liing, ultimo antemurale di Quinsai, riconobbe non esservi altra via di salvezza, che di chiedere misericordia al vinci- "6 tore: essa mandò a Bayan il sigillo dell'imperio,che lo inviò al suo signore: l’oratore che recollo, chiese pietà per l’impubere imperadore, ancora in abito di dolore per la morte del padre; ma il capitano freddamente rispose : « dovere i Song il loro inalzamento alla spoliazione d’ un fan- a ciullo : essere volontà del cielo che passasse a Cublai la signorìa d’un « fanciullo «. Invitato a recarsi dall’imperadrice, se ne escusò , disse ignorare il ceremoniale dovutole. Padrone di Quinsai mandò Ja reggente, il fanciullo al suo signore prigionieri (i). L’arrivo di quegl’illustri infelici, riempie di giubbilo il Gran Can, e la corte : una delle spose di Cublai sola si stava malinconica ; richiestane l’occasione dal marito: « signore, ella disse , dall avvenuto alla dinastìa dei Song, ravvisate « i destini della nostra «. Due fratelli del prigioniero innanzi la som- mension di Quinsai si posero in salvo : i guerrieri e servitori fedeli dei Song appo loro nel Fokien si raccolsero. I Mogolli per la sicurezza delle novelle conquiste, per la diminuzion dell’esercito non poterono con prontezza inseguirli: ma afforzatisi di poi, contro di loro si mossero, nè i Cinesi crederon prudente d’avventurarsi alla sorte d’una giornata, e co’ due rampolli del sangue imperiale s’imbarcarono. Toan-tsong il maggiore, infermatosi, cessò di vivere in isoletta deserta. Succedutoli il fratello Ti-ping, s’unirono ad esso i suoi fidi, e composero armata poderosissima. Vennero ad affrontarla i Mogolli con non meno numeroso stuolo. Erano le navi Cinesi schierate in faccia all’isola di Yai, ed avevano a schiena acque basse , e credevanle capaci di riparargli da ogni nemica aggressione. Ma venuti alle mani, altro stuolo tartarico sopraggiunto, penetrò nel marazzo , assalì a schiena i Cinesi : essi combatterono con ostinazione, con virtù, ma oppressi da due parti, ne fu fatta dai Mogolli tanta strage, che narrasi, che centomila perdessero la vita nella giornata. In tanta misera condizione, un servitore del giovine Imperadore, vedendo chiusa ogni via di salvezza,appressatosi al giovinetto, esclamando: « morti rai signore e non servo « strettolo fra le sue braccia lo gettò in mare, ed ambedue si annegarono. Il disperato esempio seguirono l’imperadrice, (i) Come dirassi posteriormente, anche una principessa, sorella del detronato fanciujlo, venne in poter di Cublai, che condusse in Persia Marco Polo . DI MARCO POLO xvil XXIII. Deve destarsi vaghezza di sapere se i Poli compiessero le ambasciate,di cui avevali incaricati Cublai Can. ^Niun sentore rimane che si recassero ai principi Cristiani, ma in dubbio non può ìichia- marsi, che fossero dal Papa, gelosi di compiere l’incarico onorato, e zelanti come essi erano del propagamento della Legge Evangelica. Essi nel recarsi alCatajo furono apportatori al Gran Can di presenti di blandissima valuta per parte di Gregorio X. ( t. n. Proem. p. 13. ) ; è da credere che non men splendido e cortese col l*apa losse il signoi dell Asia. Che Cublai inviasse ad esso donativi il sappiamo dal Polo, che parla d’ una tela d’amianto per gran presente, nella quale fu riposto il Santo Sudario. Ma chi in quell’ età potè recarla a Roma dal Catajo , se non i Veneti viaggiatori 5 come avrebbe saputo Marco 1 uso clic ne iu latto, se 11011 era il latore del presente,se a Roma ei stesso non 1 avesse iccato? ( t. 11. p. 40. Cocl. Parig. I. p. 58. ) È da presumere inoltre che come cosa passata per le sue mani, il Polo prendesse occasione di ragionarne ( 1). XXIV. Era il viaggiatore già in età matura,e nulla aveva fatto per la patria. Ma ebbe agio di operare a suo prò per alcune vicende avvenute poco tempo dopo il suo ritorno, e dicharò che se fu intrepido viaggiatore, abile trattatore d’affari in terra straniera, fu all'uopo, anche magnanimo,e generoso cittadino. Leggesi nelle storie contemporanee, che giunse nuova al Senato di Venezia, che Lampa Doria con settanta galere Genovesi era nelle acque di Curzola , e tosto la signorìa fece armare novanta galere per andare incontro al nemico , una delle quali capitanò l’animoso Marco ( Ramus. I. c.) . Duce dei Veneti era Andrea Dandolo detto il Calvo, uomo di gran sapienza e virtude. Ei andò in traccia del nemico, e giuntone alla presenza, secondo lo Storico Dandolo , i Genovesi da terrore occupati,con umiltà offersero pace; perciò montati i Viniziani in superbia, la ricusarono, e il dì di nostra Donna di Settembre dierono battaglia. Al primo scontro, dieci galere Genovesi furono predate, o sommerse, perciò maggiormente insolentendo i Viniziani , avidi di preda, senza ordine spingendosi innanzi, colti da impetuoso vento, fu- (2) Nel Testo Parigino leggesi: » et por coi ( cioè per essere quella tela incorri, bustibile )» leSen Suder de nostre Seigneur Jesucrist hi fu mis dedans ». Non spiego , come il volgarizzatore che pubblichiamo trashuasse, che il Gran Can mandò la tela per esservi riposto il Santo Sudario, mentre per esserne nota la proprietà il Papa ve la fece riporre. E chi potè di questi particolari istruire il Papa, se non ii Polo. E se non l’avesse recata ei stesso, non avrebbe saputo l’uso che ne fu fatto. Può dedursi anche la legazione dei Poli al Papa dalla creazione deU'ArcivescovadoCambalicen- ... I 6e, di poco posteriore al loi o ritorno ( Slor. del Milione cap. xlvi.) . Marc. Poi. T. I. 3 XVIII VITA rono contro terra cacciati. Vergendo i Genovesi il modo disordinato dell’ aggressione , ripreso animo, dierono il segno d’assalire, e ordinate, e strette le loro galere virilmente il nemico combatterono . Allora il terrore passò nell’annata dei Veneti, che si difesero fiaccamente, o si dierono alla fuga . In tanto disdoro, e pericolo, il Duce supremo, e Marco Polo, colle loro galere valorosamente, e con grand'animo si spinsero innanzi, e combattendo per la patria, ad es empio e salute dei loro, abbandonati dagli altri, Marco fu ferito, ed ambe due caddero con ses- santacinque galere in poter del nemico ( Andr. Dand.Chron. Rer.Ital, Script, t. xii. p. 408. Rcimus. I. c. ). Il Duce supremo per così tristo evento pochi giorni dopo di dolore si morì, Marco fu mandato in Genova prigioniero ( Ibld. ) (•)• XXV. Era precorsa ne Ila città la fama delle grandi virtù di Marco, del viril modo con cui aveva combattuto, dei suoi portentosi viaggi, e sebbene non fosseli restituita la libertà, non come prigioniero, ma come un caro ospite fu tenuto . Per vedere ed udire uomo tanto raro, concorse alla sua prigione tuttala città . Ognuno era avido di sapere le cose maravigliose da lui vedute , e astretto più fiate a doverle ripetere in un giorno, lochè davagli tedio e molestia, fu consigliato da un nobile Genovese suo amico, di porre in iscritto la relazione del suo viaggio, An 1198 e avuto agio di far venire da Venezia i suoi memoriali e scritture in quell’ anno istesso (2) la dettò in francese ad un Pisano , detto Rusti- chello, compagno del suo infortunio. Questo libro, che poscia il Milione (1) Lo Storico Genovese Stella così narra il fatto ( Annal. Genuens . Rer. Italie. Script, t. xvii. p. 9^5.). » Anno praemissae nati vitati» 129S. dum essent Januae 9 capitane! Conradus Spinula , et Lamba de Auria, strenuus ipse Larnba ductor et » caput Galearuin lxxviU. Ianuensium , contra Venetos maris Adriatici sinum » adiit, quem in presenti Gulfum Ve neliarum, navigantes appellant. Et hujus anni v septima die septembris XC VII. Galeas ipsorum Venetorum reperiens,dato bello a- » pud locum Scurzulam nominatu(n,sic valide conili xit Venetos, quod galeas LXXXV. » accepit ex suis, reliquis duodeciin versis in fug;im . Combustis itaque ejusdem » Praeceptoris edictum de Venetorum galeis LXVII. cum aliis XVIII. restantibus, » sunt deducti captivi septem millia,et quadrinugenta:et eundem, Scurzolae locum,
- magnificus iIle Lamba devinciens, illuni comburi mandavit . Qui Januae XXVI.
» die appulit triumpho iucnndo ». Il racconto del Dandalo differisce nel porre come accaduta la battaglia il giorno appresso , e nell’ appellare Curzola e non Schurzola come lo Stella il luogo della battaglia . Il Ramujio erra ponendo la battaglia accaduta pochi mesi dopo il ritorno dei Poli , quando avvenne tre anni dopo. Ma in ciò non dee darlisi fede,smentito da due storici cosi autorevoli delle due genti (2) IlParig. I. (p.2.) il Ramus.( p-4) conleruiauo che detto il Milione nel iay8. fu detto (i), a breve termine si divulgò, e ne fu di copie tutta Italia ripiena (2) . Tanto tutti desideravano sapere, ciò eh esso aveva veduto, o apparato,di così lontane regióni,e di un popolo ch’era il terrore dell’universo ( Ram. I. c.).
XXVI. Amarissima fu a Niccolò, a MalBo la prigionia di Marco, e il dolore aggravavano alcuni riflessi. Tanto animoso era l’odio delle due rivali repubbliche, che temevano che la prigionia di Marco durerebbe molti anni. Vedevano fallito il loro proponimento di accasarlo ( Ram. l.c.). In secoli morigerati è di grand’affare l’avere descendenza
- desiderosi erano i Comuni, che non si spengesser que’nomi, che per ereditaria affezione davano sangue e sostanze a servizio della patria, che non si disperdesse il retaggio di virtudi e di esempi di nomate famiglie
- si apprezzava non degenere nobiltà, che esercitava beneiica clientela verso le condizioni minori, e che manteneva vincoli di affezioni e di carità fra’vari ordini dello stato. Era grave ai Poli di lasciare tante loro ricchezze a trasversali, di mancare dell’estrema consolazione, che persona di loro sangue chiudesse loro le luci. Ciò recò Niccolò già molto vecchio, ma di complessione gagliarda ad accasarsi di nuovo ( Ramus. I. c.).
XXVII. Ma la pacificazione fra Veneti e Genovesi, creduta tanto lontana, per cui vanamente si erano adoperati principi e magnati, Matteo Visconti Vicario Imperiale in Lombardia, e Capitan Generale di Milano, con universale sodisfazion conchiuse,e le due repubbliche ne stipularono l’atto solenne il di Maggio del 1299. Così il Polo recuperò la libertà,e onoratamente tornò in patria,immune d’ogni menda della viltà ai suoi conpagni imputata (3). 11 Polo anche in questa occasione mani(1) » Ci comcncent le Lobrique de cest livre, qui est appellé le Divisament da monde». Tale era l’intitolazione che portava da primo la relazione ( Parig. 1.
chap. I. ). Nel lesto che pubblichiamo è appellato il libro di Marco Polo, Cittadin di Venezia, nel quale tratta delle condizioni, c provincie del mondo. Intorno a questo Rustichello vedasi Stor. del Milione ( p. ix. not. 4. ) . Quanto al soprannome dato ad esso e al suo libro di Milione ( Ibid. cap. xxvi ) (a) Ciò dichiara quanto erronea sia l’asserzione del Signor Pinckerton, che il viaggio del Polo rimase ignoto (Geograph. t. iv. p. 158. ) (3) Qui non può darsi fede al racconto del .Ramusio, la cui somma autorità è smentita dalla Cronaca d’Andrea Dandolo . Imperocché non è possibile l’imagiDare, che nel far la pace non fossero riposti in liberta i prigionieri . Anzi che lo lusserò si deduce dalle parole stesse dello .storico ( Andr. Dand.l.c.p. 409 ).» Mu19 tis eo tempore ( fatta la pace ) ex Sopracomìtibus Venetorum, prò Curzolae fa* cto detentis, et de aliis qui codem bello secus Curzolam timiditate fugerunt, in TITA festò l’indole sua nobile e generosa, non si alterò nel trovare il padre suo maritatole consentì ancor esso ad accasarsi; e di quei maritaggio nacquer due figlie, e un maschio cui die nome di Maffio, e con Marco, figlio di questo ebbe termine la sua descendenza ( Albero di Marco Bàrbaro ), S’ignorano le ultime vicende del celebre viaggiatore , sappiam per altro che ebbe il contento di rendere al padre gli estremi uffici di liliale carità (i). Profittò della quiete domestica per ritoccare il Milione, ed ampliare la tumultuaria dettatura fattane mentre era prigioniero. XXVIII. Niuno fu più avido di lui d’istruirsi , ni uno più generoso nel farne copia . Tutto quello che vide di più singolare ne’tre regni della natura descrisse. Raccontò le grandi avventure di cui fu testimone , o che udì raccontare da persone degne di fede, scrisse la storia della straordinaria rivoluzione che mutò faccia a tanta parte del mondo. Dichiarò l’occasione della grandezza de’ Tartari, che si deduce, dalla cieca obbedienza ai loro sigonri , dalla mirabile frugalità di quelle genti , dalla dura educazione,che rendevala atta ad ogni più aspra fatica.Ma alla loro grandezza si scorge quanto cooperasse colui, che ne fu il fondatore, il qual accese i Mogolli di amor di preda , di dominazione, e di rinomanza , sensi che penetrano anche negli animi i più incolti . Studiosissimo il Polo delle costumanze dei popoli, le straordinarie descrisse: politico ed uom di stato, dai regolamenti di buon governo, che vegliavano in Quinsai,poterono i suoi contemporanei, i posteri apparare quanto suggerisca la più consumata, e diffidente esperienza pel reggimento dei più vasti comuni . Niuno può rifiutarli il vanto, che il suo libro suggerisse ad Omodeo Tassi lo stabilimento delle Poste in Europa ( t.i.p. <^2.not.). Nel Milione evvi alcun cenno dell’incisione innanzi il Finiguerra ( t.n. p. 200 ) . Ei ampliò il regno dell’imaginazione col raccontare tante cose stupende e sconosciute; e parve dare un novello mirabile impulso alle umane facoltà, l’esempio della sua ardimentosa,imperturbabil costanza: infatti dopo lui, non s’interruppero le relazioni dell’Europa colla Gina.
- carceribus inclusi sunt : comtnissumque est Advocatoribus Communis, diligen-
» tem inquisitionein deberent Tacere super eis , qui examinato negotio , quam f> plures culpabiles repererunt, de quibus supplicium sumptum est ». Ma secondo altra lezione, furono alle preci di molti assoluti, con pravo esempio ai presenti, e ai futuri. Il Ilamusio narra che in quattro anni IViccolò ebbe tre tìgli, e che Marco per la grazia in cui era presso i primi gentiluomini , e tulta la città di Genova dopo alcuni anni recuperò la libertà. Ma tale asserzione non è fondata su verun documento , dall’ allegato è indirettamente smentita , ed è contraria alla sana critica . (i) Secondo 1 Albero di Marco Barbaro mori Niccolò nel i5to. , LI MARCO POLO XXI Ma aneli’esso provò l’invida malevolenza, e fece anch’ei il tristo esperimento, che la reputazione d’uomini sommi è sovente in balìa dei maligni, e degl’ignoranti . La strabocchevole grandezza e opulenza dell’imperio tartarico,fu creduta una favola, e perciò fu spacciato bugiardo, ed esso e il suo libro, ne ebbero per derisione il soprannome di Milione (ì). XXIX. Il tempo fa ragione dell’invidia e dell’ignoranza, ed il vero emerge ne'secoli posteriori, ed anche fra’gentili contemporanei, perciò gl’imparziali lo tennero in altissima stima, che procacciavasi con grate maniere. Attestano T Àqui, Fra Pipino, ch’esso era ingenuo, di gran valore (i. n.p. 4- ), savio, fedele, devoto, e ornato di onesti costumi,e ciò per relazione di coloro che il conoscevano, e che per le molte sue virtù la relazione dei suoi viaggi era degna di fede . Anche i più illustri personaggi, che giungevano in Venezia , erano avidi di conoscerlo. La figlia dell’ infelice Baldovino li. erede di vani diritti, e di sventure, che recò in dote a Filippo di Valois, nominò il Signor di Cepoy suo Vicario Generale nell’ Imperio di Costantinopoli , ed esso nel passare da Venezia volle conoscere, com’ei lo appellaci manieroso viaggiatore che per isli- ma ili esso e per reverenza pel suo signore, gli die copia del Milione, lo- cliè fu occasione di divulgare la fama del Polo in Francia ( Sinner.Cata- i3q7 log.Cod. Manus. Bibl. Bernens. Beni. 1770. i/iS.t. /i. p./[\g.e seg.). Sappiamo ch’ei giunse almeno al settantatreesimo anno d’età, per una testa- An. i5a3. (») Cosi scrive il Dogiioni nell’Istoria Veneziana ( Venez.1598. in 4 ° piGl.).
- Fu a tal tempo anco quel Marco Polo , cosi celebre, il quale con Niccolò suo
» padre, e con MaiHa suo fratello di famiglia nobile Veneziana, ritrovandosi in » Costantinopoli con un grosso capitale di merci, portatevi per mercantare , si
- condusse nella Corte del Gran Can del Catajo,dove si fermò per molti annije in
» maniera fu da quel signore ben visto , et accarezzato , che per li molti doni , » che ne ebbe si tornò nella patria con notabil ricchezze : dove perchè nella rela- j» zione del Gran Can , e della sua molta potenza , nominava spesse volte le mi-
- gliaja, e li milioni, acquistò alla sua casa , che era po9ta nel confine di San Gio-
» van Gtisostomo , che or fa l’anno , si abbrugio totalmente , con gran danno di
- molli, il detto nome di Cha Milione . Egli scrisse le gran cose che aveva viste si
- stupende, che un gran tempo fur tenute per favolose , ma poi sono state ritro-
- vate , et approvate per vere , come nel suo libro si legge stampato nel secondo
- volume delle Navigazioni , e Viaggi di Gio. Battista Ramusio, che con degni di-
» scorsi , dà notizia dello stato e della vita di lui . Che se un tanto uomo avesse
- avuta conoscenza dell’elevazione de’poli, et delle graduazioni, essendo nelle
« altre cose diligentissimo scrittore , non averieno gli studiosi di Geografia, che » cosa desiderare piti compita della cognizione di quei paesi, di quel eh’ esso nei » suoi sciiiti racconta, » XXII TITA mentaria disposizione, in virtù della quale rendè la libertà ad un suo schiavo ( Zurl. Diss. t. /. p. 7 1. ) • Ed opinerei che quell’atto benigno, di poco precedesse la sua morte. La sua spoglia mortale fu riposta nella Chiesa di S. Lorenzo, probabilmente nel sepolcro che fece fare pel padre suo (1) . XXX. Ecco il poco che sappiamo d’uomo tanto famoso, che alla repubblica, emula della sua patria preparò il vanto di aver dati i natali allo scuopritore di un Nuovo Mondo, che per avere ravvivata la notizia dei Mozioni, che soffiano nei mari dell’Indie, può essere l’Ippalo posteriore appellato (v. 1.1. p. i56.) . Dirimpetto alle peregrinazioni del Polo, fanciullesche furono quelle dei celebrati Argonauti. Ei solo arricchì di più lumi l’Europa, che la dotta Grecia, la potente Roma, e i posteri hanno allogato il Polo fra’più rari ed illustri figli della nostra penisola . Ed a mio avviso merita d’essere 1’Erodoto Italiano appellato (2). Infatti al tempo dell’Alicarnassense era la Grecia la più gentile , e colta contrada dell’universo; eralo al tempo del Veneto l’Italia. Poco innanzi il nascimento del Greco emerse il Medo , che distrusse le più potenti monarchie dell’Asia, ed esso scrisse della guerra medica, delle costumanze e vicende dei popoli vinti. Poco innanzi il nascimento del Veneto, il Tartaro soggiogò pressoché tutta l’Asia, parte d’Europa , e il viaggiatore scrisse dei Tartari , e delle costumanze dei popoli debellati . Viaggiò Erodoto per erudirsi,e vedere le regioni che descrisse; agio di farlo ebbe il Polo, e di penetrare fino alle barbare dimore di quelle genti . S’istruì il Greco dai sacerdoti Egizj , depositari del sapere di quella età ; l’Italiano ebbe copia di lumi alla Corte di Cublai Can, ch’era la più civile e potente dell’Asia. Istruitisi ambedue di cose ignote, ebbero entrambi (1) Sappiam dal Ramusio che in quella chiesa diè sepoltura al padre suo . Il S anso vi no poi ( Ven. Illust. Ven. l581 .p. 25.) scrive: » sotto l’Angiporto ( di San Lo- 9 renzo ) è sepolto quel Marco Polo, cognominato Milione, il quale scrisse i viaggi
- del Mondo Nuovo , e che fu il primo avanti Cristoforo Colombo , che ritrovasse
» nuovi paesi , al quale non si dando fede, pei’ le cose stravaganti , eh’ egli rac- p conta , il Colombo aggiunse credulità ai tempi dei nostri padri » (2) Non so se questo parallelo darà occasione di scandalo al sig. Ugo Foscolo , o almeno di amplificazione.Esso fornito di grand’ingegno non ha bisogno di mendicar gloria co’sarcasmi, soprattutto quando non hanno fondamento. Ei mi attribuisce d’ aver comparato il Petrarca ad Epaminonda , e per rendere più guardinghi i leggitori al prestar fede, anche a certe asserzioni d’uomini meritamente reputati ingegnosi , gli prego di volgere lo sguardo sulla pagina della mia rita del Petrarca cui allude il sarcasmo: mi permetterà il signor Foscolo di ripeterli quel celebre verso p Rien n’ est’ beau que le vrai t le vrai seul eti aimable . DI MARCO POLO XXIII il nobile divisamento di farne copia ai loro concittadini, avvegnaché lunghe peregrinazioni non estinsero in essi amor di patria. Figli di due celebri repubbliche, voller giovar loro, non solo col senno , ma colla mano, e il Greco per salvare Alicaruasso dalla tirannide di Liddamo combattè, il Veneto lo fece valorosamente contro i Genovesi, che volevano opprimere la patria sua ; ma quelli ne ebbe in premio T esilio , questi la prigionia. Narrarono ambedue cose non più vedute, nè udite, e nè ebbero fama di menzognieri , quatunque dichiarassero di narrare nuli solo ciò che viddero,ma ciò che udirono, in etadi,nelle quali non era argomento di vanità il non credere, anzi gli uomini per naturai lealtà erano creduli di soverchio : per le favole udite e narrate, molti gli biasimarono, altri più accorti gli escusarono, e seppero scevrare ciò che dissero per fatto proprio, o d’altrui, e per ciò furono ambedue acremente assaliti e difesi ( Herod. de V Archer. Vie d’ Herod. t. i. ). Non è mio intendimento l’esaltare il Polo a detrimento del vero, che dee essere il primiero scopo dello scrittore , nè perciò per T abbondanza della locuzione , nò per potente eloquenza voglio il Veneto al Greco agguagliare, nò credo che meritino i tre libri del Milione i nomi delle Grazie , come si meritarono quello delle Muse i nove dello storico d’ Alicaruasso . Il Testo da noi pubblicato per semplicità e ¿schiettezza di favella è a niuna delle prose del secolo deci- nioterzo secondo, ma cotal pregio non è del Polo, ma del volgarizzatore, o per meglio dire del fiorentino dialetto di quella età, poiché tuttor si disputa in qual favella fu dettato il Milioue . Il Veneto cede dunque all’Alicarnassense per l’abbondanza, l’eleganza, l’armonia dello stile, più per fato dei tempi, che per disparità d’ ingegno ne’due. L’ Italia non era ancora ai tempi del Polo, colta , eloquente quanto la Grecia ai tempi d’ Erodoto . Spuntavano appena appo noi i primi fiori del poetar gentile per opera dei Cavalcanti , e dei Cini . Era giunta all'apice dello splendor letterario la Grecia ai tempi d’Erodoto, e già avevan fama d’eccellentissimi istorici, Ecateo, Santo Lidio, Ellanico di Lesbo, Conon Lampsaceno. Il Greco nipote di Pariasi, celebre poela d'Alicaruasso, ebbe probabilmente la più colta, ed accurata istruzione . Il Veneto si educò nel tumulto de’viaggi, e può dirsi di lui come d' Ulisse, ch’ei apparò, perche.* Di molti uomini vide le cittadi, Ed il genio conobbe e il sentimento . Ma in politica, in ardimento, in destrezza, nel condurre a termine cose difficilissime ili un vinse il Polo, come a ragion deesi inferire dalla fiducia che dimoslrogli il più potente dei Gengiscanidi : ne io credo ■ XXIV VITA che alcuno osi affermare che l’età nostra, nell' arte di regger gli uomini , vinca le elà passate . Del governo della famiglia, sommo maestro fu Giobbe, del principato Giuseppe. E a coloro che ammirano i così detti eroi, fondatori di grandi imperi,e che si cinsero corone grondanti di sangue e di lacrime, non dierono i secoli posteriori a lor ventura , uomini che comparar si possano ai Gengiscanidi (i). (i) Nella splendida edizione dell'Opera intitolata Vite e Ritratti d’illustri Italiani . Padova Tipografia Bettolìi 1812. t. 1. 4-° fu data una Vita di Marco Polo scritta dal chiarissimo Don Placido Zurla,ed un ritratto inciso di lui,senza indicazione dell’originale da cui fu tratto. Non ho creduto riprodurlo,perchè fui, dall’esatto ed illustre letterato Ab. Morelli assicurato con sua lettera de’iò.di Novembre 1818. che fu copiato su quello s che a capriccio fece dipingere il Grisellini nel Salone dello Studo di Venezia. DI MARCO POLO IX madre, le sue dame . Così finì la signorìa dei Song, dopo trecento venti anni di durata ( torri. //. not. 547-)- e così avviene quaudo Iddio vuol far ragione degl' imperj. XV. Giunsero i Poli alla corte tartarica, mentre si travagliavano quelle guerre, e Marco, nel Milione ne scrisse la storia. Ma in quei frangenti Niccolò e Maflìo renderono al Gran Can un importante servigio . Cublai volle che la guerra contro i Song, s’incominciasse dall’assedio di Siang-Yang, baloardo dell’ Hu-quang. Ma i difensori leali , soccorsi dal forte sito, circondato di molte acque, che ne rendevano malagevoli gli approcci, e agevolavano il vettovagliar la città, fecero così lunga e mura vigliosa difesa, che già domato l’Imperio dei Song, non fecer mostra d’arrendersi, con grave dispiacere del Gran (ìau : offrirono i Poli di far mangani alla maniera di Ponente, per battere con effetto la città . Cublai accettò la proferta , feceli provvedere di operai, e d’ogni cosa opportuna, e furono costruite macchine capaci di scagliar pietre di trecento libbre di peso; e trasportate per acqua sotto la città, tanto dauno Aa. «*79. recaronle alla prima scarica, che atterriti i terrazzani, a onorati patti si arresero. Questa spedizione fatta cosi presta, crebbe la reputazione de’ tre Yinieiani presso il Gran Can e la sua Corte ( toni.ir.p.Ò02. ) (1) . La conquista dell’Imperio Meridionale, diede occasione di valersi utilmente di Marco.Bayan appena ebbe in suo potere Quinsay, pose sotto sigillo gli uilìzj e tribunali, ed estrasse poscia dagli archivi le carte geografiche , e le memorie utili a conoscere le forze, e i redditi della novella signoria. 9 O Cublai, per raccorre ampia messe di notizie amministrative, inviò il giovinetto Poloa Quinsai. L’opulenza, l’agiatezza , il lusso, la vastità della molle città, destò stupore nel Viniziano, che ne fece incantevole descrizione: crebbero la meraviglia i redditi strabocchevoli dell' opima conquista : ei ne enumerò i dazi, e potè esserne a pieno istruito dai registri, quando ivi fu a farne là ragione, (2) e da ciò che leggesi nel Milione ( 1) Anche lo Storico Raschid,narra i particolari riferiti dell'assedio di Saja fu eh’ ■esso appella Sian-fu . Ma l’onore dell’ invenzione delle macchine l'attribuisce ad un Maomettano di Damasco , o di B-ilbecca( Hist. des Mong. p. 679 ). Nel Testo Parigino si legge , che i due fratelli e Marco , proposero al Gran Can di costruii e «jaelie macchine, e che si servirono d’un Alemanno , e d’ un Cristiano Nestorino loro familiari , ch'erario buoni maestri di macchine . E detto pure, che erano passati tre anni dopo la conquista del paese de’Mangi, e la piazza non erasi peran he arresa-Ciò dichiara che i mangani furono costruiti nell’anno e che mijueU'an- no dimorava Marco alla Corte del Can. ( Cod. Par. p 162.) • (a) Si legge nel Ramusiano ( t. li. p. 340.) : # avendosi trovato messcr Marco
- in questa citta di Quinsai,quando ai rende conto ai fattori del Gran Cun dell'eu-
Alarc. Poi. T. /. a X VI TA appare, che non lasciarono i Cinesi pregio d’invenzione a verun altra XVI. Quantunque a pochi tanto arridesse fortuna, quanto al signor de’ Tartari, mortale anche esso provò l'amarezza, e l’umiliazione, di cui fu egli stesso l’artefice . Egli errò, come non pochi potenti di gran mente, e di gran cuore, per aver riposta cieca fiducia , in tale, che ne era indegno. Cublai aveva inalzato al ministero supremo un Saracino, appellato Achama,cui diede ogni arbitrio e potere. L’iniquo se ne giovò per appagare le voglie le più ree: incontinente quanto a Maomettano si concede, conculcava 1’ onore delle famiglie , le mogli, le figlie altrui facendo passare nel suo serraglio: imperioso, vendicativo, insaziabile di ricchezze, angariava i soggetti, e faceva il suo signore odiosissimo. Niuno osava parlare a Cublai delle iniquità di quel tristo: la cecità del padrone, rendeva formidabile il servo , e il terrore spengeva ogni affezione di sovrano e di patria . Per tante reità acquistò Achama l’odio de’Calaini in guisa, che assente il Gran Can da Gambalu, congiurarono contro il Saracino e r uccisero , e non meno irritati contro Cublai , vollero l’intero Catajo ribellarli. Ma la fede, e severità del rettore Mogollodi Gambalu, sventò la congiura . Istruito l’imperadore di quelle vicende, eragli grave, il persuadersi d’aver riposta per più di quattro lustri tanta fiducia in quell’ iniquo : nel tumulto di rimorsi e di dubbiezze, prudentissimo fu il suo contegno. Volle verificare i reati che s’imputavano ad Achama, ed ai suoi figli , ed essere dell’accaduto esattamente istruito. A ciò fare era d’uopo d’ uomo imparziale, di provata destrezza e probità , non Sara- Aiì. 1282. cia° perchè poteva parteggiare per gli accusati, non Cinese perchè poteva gravarli . Il Polo era in Gambalu quando accaddero quelle vicende ( t. 11. p. 180.) , e alla sua lealtà affidò l’istruzion dell’affare . Ei disse il vero, e convinta dalle sue reità la scellerata famiglia , Cublai fece gettare ai cani la spoglia d’ Achama , e giustiziare i suoi figli. Il servigio importantissimo rendulo dal Polo d’aver sottratti i popoli dalla tirannide de’ figli d’Achama , procacciò al Veneto l’onore d’ essere negli A11- » trate e numero degli abitanti ». Ma nel Testo della Crusca e nel Parigino è detto: f> sicché io Marco Polo, che ho veduto,e sono stato a far la ragione» ( t. 1. p. 146 ). Dice poi che della nobiltà di quella provincia il re di essa ne scrisse a Bayan, che la conquistò, e questi lo mandò a dire al Gran Can: » ed io vi conterò per ordine » ciò che l’ ¡scrittura conteneva , e tutto è vero perchè io Marco il vidi poscia co’ » miei occhi » ( ibid. p. 140. ) . Da questo cenno, si ravvisa, che vedeva i dispacci dei Generali al Gran Can , lo che è una conferma della carica che aveva in corte , che dichiareremo nel seguente capo . DI MARCO POLO XI nali della Cina rammentato (i). In quelli trovo che aveva la carica di Assessore del consiglio privato dell’ Imperadore : ed ecco come potè leggere i dispacci dei generali al Gran Can, di cui si giovò nelle sue relazioni, quando potè farlo senza violazion dell’onor suo, e del segreto (2). Della natura dell’uffizio delicatissimo che esercitava erano le variale importanti commissioni, di cui il signor suo lo incaricò . XVII. L ampio imperio dei Song passato in potere di Cublai, non lo saziò di conquiste; volse le sue cupide brame a domare i reami della penisola oltre Gange , che assicuravamo del possesso dell Yun-nau non del tutto sottomesso, e della montuosa regione, che dalle indiche maremme separa la Cina (3). Ivi avevano per innanzi penetrato i Mo- golli, ma non riuscirono a fondarvi ferma potenza, perciò il Gran Can spedì contro quei reami un florido esercito . Il pericolo comune mosse a collegarsi fra loro i regi di Mieli, e di Bengala, che si apparecchiarono a valida resistenza. Essi e i Mogolli vennero a giornata: e nei campi di Yen-tchan avvenne ai Tartari, come ne’Tarentini ai Romani, quando combatterono le falangi dell audacissimo Pirro. Spaventati dal fetore, dall’inusitata vista degli elefanti i cavalli degli assalitori, si ributtarono con tanta ostinazione, che fu impossibile di ricacciarli contro il nemico. Ma i Tartari in quel cimento vinsero di perspicacia , di virtù i generosi figli di Roma : in vicina foresta allogarono i destrieri, e governarono la guerra, come nella seconda battaglia data a Pirro : con ogni industria offesero co’ loro proiettili gli elefanti, che non essendo bardati di cuoio, infierirono per le dolorose trafitte, e per sottrarsi ai colpi, dando di tergo si rovesciarono sulle schiere indiane, nescompo- (1) Nella Storia Universale redatta dalla Società de’Letterati Inglesi (Ven. I778.Ì114.0 t.xLin. p.556.) è detto che negli Annali Cinesi si racconta che ilPoIo stette per piu anni alla Corte dell’Jmperudore Chi-Tsu,che cosi i Cinesi appellano Cublai , ma non dichiarano d’onde trassero quella notizia , nè peranche era pubblicata la Storia Generale della Cina traslatata dal P. Maillu . Può leggersi ( t. 11. Lib. 11. cap. 8.). la diffusa relazione del Polo di questo fatto, che ebbe commission di verificare, alla nota 375. ivi abbiam trascritto il passo delle Storie Cinesi , nel quale si fa menzione del Veneto . (a) Citammo di sopra il passo ove dice aver veduta la lettera di Bayan al Gran Can . (3) La guerra contro i regi di Mien e di Bengala , secondo la lezione del Milione del JVovus Orbis avvenne nel 1282. Secondo gli Annali della Cina nell'anno appresso . La differenza d’un anno fra Marco Polo, e lo citate storie è frequente , e dee supporsi occasionata dalla discrepanza nel ridurre i cieli cinesi all’ era nostra ( t. 11. not. 477. ) ili VITA «ero 1'ordinamento, le sbaragliarono, e ne agevolarono la distruzione (¿. il. Lib. II. cap. \i. not. 477- e seg. ) . Per quella vittoria poterono i Mogolli sottomettere il regno di Mien,e assicurarsi il possedimento del Yun-nan, e dei paesi a libeccio della Gina. Usava Cublai verificare il contegno dei suoi ufficiali nelle provincie lontane, amava conoscere l’indole dei novelli soggetti, e ciò che era duopo per renderseli, se non del tutto benevoli, almen tolleranti di giogo . E commissioni tanto importanti, in così splendide conquiste affidò alla sperimentata lealtà e perspicacia del Polo, divenuto uomo savio, e di gran valore oltremisura (t. i. p. 7 ), il quale aveva di già apparate non solo le costumanze de’Tartari, ma quattro variati linguaggi dell’Asia, che leggeva e scriveva ( Cod. Parig.p. 11. ) e che a nostro avviso erano l’Arabo , il Mogollo, il Turchesco, e il Cinese (1). Ciò mosse Cublai ad inviarlo in legazione a Garazan, paese a confine di Mien , donde si spinse fino alla capitale di quel reame. Tale era la distanza di quella terra , che penò sei mesi ad arrivare, e ciò gli die agio di visitare una parte dell’ Asia, ove forse non mai Europeo penetrò . Marco non ignorando che il Gran Can aveva per folli coloro, che nulla sapevan narrare di quello che ave- van veduto, e che più amava i costumi delle terre sapere, che quello perchè egli aveva mandato ( Ibid. ) , per piacere a Cublai tutto vide, tutto apparò, per poter ogni cosa ridire. E tornato in corte non solo diè conto della commissione, perchè egli era ito, ma seppe ridire tutte le meraviglie, e le grandi e le nuove cose che aveva trovate. E dee essere grandemente riconoscente 1’ Europa a Cublai, che giusto estimatore dei meriti del Veneto , gli diè tali incarichi, per cui ebbe agio di rac- corre tante peregrine notizie, di cui abonda il Milione. Tornato daU'am- (1) Che l'Arabo apparasse può argomentarsi dall* asserire, ch’ei aveva consultate le carte da navigare del mar dell’ Indie , lavoro certamente degli Arabi ; lo conferma dando alle diverse regioni bagnate dall’ Eritreo nomi arabeschi. Quanto al Turco, ebbe agio di appararlo nel dimorare per un anno a Badagshan : pare che di ciò dia un cenno, raccontando che da un suo compagno detto Zuficar ebbe relazione del paese dì Chinchintalas , e dell’amianto, perchè avverte che esso era uno Turchio ( t.i. p. 4° ) : ei forse notò di che gente era, per indicare, che ne conosceva la favella . Questo Turco disse poi suo compagno , perchè come esso era assessore al consiglio di stato , ovvero perchè come esso fu governatore di provincia. 11 Cinese potè appararlo a Gun-tcheu ove dimorò un anno all’andata in Cina, e alia corte del Gran C m . Ch* ei lo sapesse parmi che lo dichiarino le tante commi.tsioni che ebbe per la Cma Meridionale : e il narrare che ei fu a far la ragione de' tributi in Quinsai, lochè non avrebbe potuto fare senza leggere le carte, e i registri Cinesi i^uanlo al Mogollo, che appella Tai laro , che lo appaiasse ei sleiso lu aifaiuia . DI MARCO POLO XIII basciata (li Carazan, tanto al Gran Can, ai suol baroni piacque il Polo, che tutti lo commendarono di gran senno, e di gran bontà, e dissero che se vivesse diverrebbe uomo di grandissimo valore - E il monarca giusto remuneratore dei suoi meriti, sei chiamò sopra tutte le sue ambasciate ( tom. /• Proem.). XVIII.Tanta autorità, tanti onori a straniero conceduti dall'Impe- radore, il distinguer Marco più d'ogni altro barone, destò grande invidiai Fbid.) E se l’aulico veleno non fu mortifero al Polo,dee conghietturar- si, che avvenisse per la natura delle sue faccende,che lo trattennero lontano dalla corte . Infatti afferma, che di poi non cessò dall’andare in ambasciata pel Gran Can, tanto ei fu sodisfatto della prima; cosi potè apparare dell’Asia, più che nessuno uomo che nàscesse al mondo ( t. i. p. -7. ) . Ebbe uffici anche di grand’ onore : lo deputò Cublai a reggere Yan-gui , o la-tcheu, città che aveva su ventisette altre giurisdizione, ove risiedè per tre anni , È malagevole lo stabilire il tempo di quel governo, ma panni che ciò dovesse accadere, tornato che ei fu da Gara- xa n e da Mien. Quel reggimento era di tanta importanza, che usa vasi conferirlo ad un dei Gran Baroni dell’Imperio ( t. 11. Lib. //. cap. Co, not. I Gran Baroni erano i componenti i due supremi consigli,, che intendevano sotto 1’ immediata dependenza del Gra Can alle militari, e alle civili bisogne dello stato (i. 11. Lib.11. cap. 19.). XIX. In ispeciale discorso trattammo delle legazioni del Polo, e qui è duopo toccarle con brevità. E incerto se come lo segnano gl’itinerari dei Poli nella Tela del Salon dello Scudo, fosse di commis- sion del Gran Can a Caraeorum , e a Samarcanda . Non cade dubbio , che visitasse il paese di Tsiampa , e la Penisola oltre Gange (1), le An 1,85 isole del Mare Indiano, Sumatra , e il Ceylan , che navigasse il Canale dell;» Sonda , e così avesse agio, primo fra gli Europei dei secoli di. mezzo, di affissare le stelle « Non viste mai, fuorché alla prima gente «< che segnano il Polo Antartico ( t. //. p. 119. e not. 741)- XX. Le ricchezze del reame di Kuaua, o della moderna Giava , mossero il rapace Cublai ad inviarvi un legato, per intimare all’isola di sottoporsi a tributo. Proposta tanto ingiuriosa, fu accolta con tanto sdegno, che bollato in volto il messaggio,lo rimandarono vituperosamente al (1) I Codici ptà autorevoli del Milione segnano l'anno 1285, per questa legazione ( Par. 1 p. 189 ) . Sappiamo dalle Storie Cinesi ohe il Gran C.in per raccorre i tributi ri »pedi poderoso naviliu . Il signor della contra la crasi sottomesso a tributo.. Pére che di li s» recasse a Sumatra la prima volta« XIV VITA Gran Can . Tale affronto lo accese d’ardore di vendetta , e fatte allestire moìte navi,vi s’imbarcarono trenta mila guerrieri,che sciolsero le vele da Siven-tcheu nell intendimento di vendicare l’insulto. Nell’armata s’imbarcò il Polo con ispeciali commissioni: ma i Mogolli furono dagl’isolani vinti con frode ; e obbligati ad abbandonare l’isola, a Siveu-tcheu si restituirono con vergogna . ( t. //. p. i5o. not. 718. ) XX I. Nè onori, nè ricchezze, nè grazie e liducia d’ un tanto monarca , spensero amor di patria ne’Poli; Venezia non come altre repubbliche Italiane fu a’suoi figli cruda matrigna, anzi ad essi madre benigna e pia. Più fiate espressero al Gran Can il desiderio di ritornarvi, ma come far si poteva con potentissimo signore asiatico : desso tanto gli amava che 11011 sapeva da loro separarsi. Avvenne intanto che Arguii signor di Persia (1), inviò al Gran Can,di cui si riconosceva vassallo, tre ambasciatori. Era morta la reina Bolganasua moglie, la quale innanzi di morire domandò al consorte,di non accogliere nel vedovo talamo altra donna che del suo lignaggio, e per chiedere una tal donzella verniero gli ambasciatori al Gran Can, che trovata giovinetta di diciassette anni, graziosa, e avvenente del sangue di Bolgana, detta Cogatin, fermò inviarla al signor della Persia. E della scelta furono gli ambasciatori oltre misura contenti. Prenderono colla principessa la volta di Persia, per la medesima via che avevano tenuta innanzi; ma per guerre novellamente accesesi fra alcuni signori dei Tartari,era tanto malsicuro il cammino,che dopo alcuni mesi di viaggio tornarono indietro al Gran Can. Avvenne che in quel medesimo tempo era giunto dalle parti delle Indie Marco Polo, e delle contrade che visitate aveva recò molte novelle, e fra le altre cose discorse quanto sicuramente si navigava per que’ mari. Udito ciò gli ambasciatori vollero secolui abboccarsi , e nel frequentarlo, non meno che i suoi parenti, ne ebbero concetto di uomini prudenti, saggi, e pratichi di quelle navigazioni, perciò molto desiderosi furono d'averli a compagni(Cod.Parig.i. p. i3. ): ne chiesero il permesso al Gran Can, che per una tanta occasione non osò rifiutare di separarsene. E fatti alla sua presenza venire i Poli, disse loro molte graziose parole, dimostrò quanto amore portava loro, e nel permettere che accompagnassero gli ambasciatori, volle che promettessero, alcun tenpo dimorati in terra di Cristiani, ed a casa loro (1) Era secondo Abulfeda ( Histor. Muslem. t. v.p. 101.) figlio d’Aboga, figlio d’Ulagu , di Tuli, di Gengiscan . Argon fu ucciso nell’anno 1291. da Nagaiho Tolaboga,discendente anch’esso di Gengiscan,e Imperadore de Tartari Settentrionali . L’ usurpatore che il Polo appella Chiacato , chiamalo Abulfeda Carachtu , era fratello d’ Argun , e figli di esso Casan , e Charbanda . DI MARCO POLO XV tornerebbero a lui, quantunque ottuagenario, tanto della brevità e confini della vita mortale, lo rendeva immemore la sua potenza. Gli fece munire di tavole d'oro, per essere d’ogni cosa forniti, e gli dichiarò suoi ambasciatori al Papa, ai re di Francia, di Spagna, ad altri principi Cristianie nelTaccomiatare i Viniziani gli presentò riccamente di rubini e di gioie, e diè loro tanto danaro,da mantenersi colle genti del loro seguito due anni. L’illustre comitiva da Cambalù prende la volta di Siven-tcheu, ove trovò allestite quattordici grosse navi , pronte a salpare per Ormus . La giovinetta reina, non fu la sola principessa allìdata alla custodia de’Poli; Cublai inviò ad Arguii, anche una regale donzella del sangue dei Song, che per le vittorie di Bayan venne in suo potere , destinata a cambiare le ritorte tartariche, in ischiavitù di serraglio (i). Lunga, pericolosa, micidiale fu la navigazione pel mare delle Indie , in guisa che di seicento uomini che s imbarcarono, soli diciotto ne sopravvissero, mentre delle donne una sola perì. Giunti i Poli, le reine, un solo ambasciatore superstite in Ormus, seppero che Arguii era morto, che usurpatasi era la signoria Acatu , sotto colore di reggerla per Casali tìglio d’Argun, e suo nipote . Onorato accoglimento riceverono i Poli in Persia , e giunti a Te- briz capitale del reame, ebbero ordine di condurre la sposa dalle parti dell’ Arbor Solo a Cazan , che Cogatin sposò . Dimorando in Persia, seppero che Cublai era morto , e deposero ogni pensiero di tornare al Ca- tajo . Avidi dopo tanti anni di rivedere la patria, fu dal signor della Persia con non minor splendore, che dal Gran Can provveduto all’agiatezza e sicurtà del loro viaggio. Tanto cortesi e leali erano le loro maniere , che le reine nel viaggio avevanli tenuti per padri, e così gli obbedivano, e piansero amaramente nel separarsi da loro. I Viniziani presero la volta di Trebisonda, di li fecer vela per Costantinopoli, indi per Negroponte, e giunsero dopo tante fatiche e pericoli salvi in Venezia, e ne renderono a Dio grazie solenni. ( Proem. t. /. e u.) XXII. Quando il sapere era raro, gli scrittori più intenti ad ammaestrare, che a magnificar se medesimi , essendo modestia tenuta in gran conto , di se poco o nulla discorsero , e perciò molti fatti d’ uomini illustri vennero in oblivione . Così praticò Marco Polo , e delle sue posteriori vicende non fece motto nel suoMdione: ciò che ne sappiamo, in gran parte si debbe all’ illustre Giovan Batista Ramusio , tenero più che (lì Questa notizia leggesi nel Parigino ( p. i5. ) e nel nostro: ivi è detto che oltre Cugalin , ivi nomata Cogacin, affidò alla custodia dei Poli la regina Cacesia ( nome probabilmente corrotto ), figlinola del re de’ Mangi ( t. I. p. 9.): nel Parigino manca il nome di questa Principeasa. XVI VITI altro mai della fama d’ un tanto concittadino. Ei racconta che avvenne ai Poli, come ad Ulisse dopo i suoi lunghi errori. Questi gentiluomini assenti da tanti anni, non furono riconosciuti da alcuno dei lor parenti, cli-e repulavangli morti, come corsa ne era la fama . I lunghi disagi , gli anni, avevano i loro lineamenti alterati, e il volto , la loquela spiravano un non so che di tartarico. Erano grossamente vestiti, come l’usano i viaggiatori nell’Oriente, ove pericolosa è esterior splendidezza. Possedevano un bello e grandioso palagio nella contrada di San Giovan Grisostomo, che anche ai tempi del Ramusio, la Corte del Milione appel- lavasi, di cui eransi alcuni loro parenti impossessati ; ne i viaggiatori poterono persuadere loro di esser quelli che erano . Pensarono allora i Poli di procedere in guisa da essere dai congiunti loro riconosciuti , ed in uno di tornare in onore a tutta la città : ne invitarono molti a sontuoso banchetto, e comparvero in veste talare di raso cremisi, e nel dar l’acqua alle mani, se ne spogliarono, e fattala a pezzi la donarono ai servi. Cosi fecero di abbigliamenti di domasco, e di velluto dello stesso colore, di cui poscia si rivestirono. Terminata la mensa, licenziati i domestici, Marco recò le grosse vesti del viaggio, e scucitele, ne trasse rubini, zaffiri carbonchi^ diamanti, smeraldi 7 con tanta arte celati , che uiuno avrebbe potuto immaginare, che tante ricchezze avessero indosso, nè che potessero possederle, tanto strabocchevole ne era il valore, perchè ogni loro avere nel partirsi dal Gran Can permutarono in gioje,per agevolarne la sicurezza e il trasporto. L’inestimabile tesoro, le cose vedute innanzi, colsero di tal meraviglia gli astanti , che gli riconobbero veramente quelli onorati e valorosi gentiluomini di Casa Polo,che si affermavano, di che prima dubitavano, e fecero ad essi grandissimo onore e reverenza. Divulgatasi la cosa, tutta la città, si nobili, che popolani corsero alle case loro, e fecer ad essi le maggiori dimostrazioni di amorevolezza, e Maffio eh’ era il più anziano dei Poli onorarono d’una Magistratura, che a quei tempi era di molta autorità nella Repubblica ( Rainus. Nàvig. voi. il. Pref. ) (i) e Marco fu eletto del Gran Consiglio ( Alber.di Marc. Bar- baro in càlce ) , (i) Il Sig. Marsden non da gran fede a questo racconto: un tal fatto a lui sembra, che dichiari un impasto di vanità e di follìa, incoerente al carattere grave • prudente d* uomo qual si fu Marco ( Introduci, p. xix. ) Ma diverse erano le costumanze venete del secolo xnt. dalle inglesi del xix. E cosa lodata, efficace in un tempo, è vituperata e derisa in un altro . Il narrato non è in contradizione colle co- «tumanze orientali, le quali erano familiari ai Poli, e che veglian tuttora. Uso comune è in Asia di ostentare magnificenze nei festini, mutando le vesti, ed io stes»o t’ho vedute usare ad alcun ricco orientale in Europa .