Il fiore di maggio/Guglielmo e Maria

Guglielmo e Maria

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Harriet Beecher Stowe - Il fiore di maggio (1843)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1853)
Guglielmo e Maria
La zia Mary Il giorno del Signore (schizzi cavati dal portafoglio d'un vecchio gentiluomo)

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GUGLIELMO E MARIA.



L’eroina del nostro racconto abitava, in un villaggio della Nuova Inghilterra, una casa in mattoni rossastri e d’aspetto imponente. Godeva di tutte le agiatezze della vita suo padre, diacono della chiesa, possedeva greggi, buoi, e ricchezze in abbondanza, fino al superfluo, e dominii in cui tutto era indizio di grandezza e di opulenza. La casa sorgeva quasi nascosta in mezzo una foresta di pomi, coronati di fiori in primavera, carichi di frutta in autunno, e là appresso il giardino, chiuso da una palizzata tinta in vermiglio, rallegrava gli occhi colle sue magnificienze. Vedevansi nella tarda stagione, delle zucche che parevano contendersi lo spazio per spiegare tutta la pompa de’ loro frutti dorati; delle mela, con dovizia di colori, vi lussureggiavano con tanto splendore come sole vespertino quando volge maestosamente al tramonto, dopo essersi tuffato in un frotto di nugole: dei citriuoli, già venuti a maturanza, e riserbati per trarne il seme, vi gustavano le delizie della vita contemplativa; e delle panocchie [p. 157 modifica]di gran turco, spingevano uno sguardo dorato attraverso le ingiallite foglie. I raggi del sole vibravano sui rubicondi grappoli d’una siepe di uvaspina che costeggiava la cinta; ed un fusto di acazia, specie di curiosità d’orticoltura, innalzavasi solitario e raggruppato in un’angolo del giardino.

Ma ci verrebbe meno lo spazio se ci prendesse voglia di enumerare tutte le ricchezze di Enos Taylor. Quel diacono era uno di quegli esseri necessarii, che senza avere in sè nulla di rimarchevole sono utili d’assai come anelli di catena nella società. Ben differente era la sua cognata, signora Abigaille Evetts, che alla morte della sposa del diacono, assunse le redini del governo della casa.

Quella signora divideva un’opinione professata da un gran numero di filosofi diceva, che per prosperare, gli affari di questo mondo esigevano una grande attenzione, e comechè non si dasse briga come quelli di sorvegliar l’universo, riparava quest’omissione spiegando un’attività senza confini nel dipartimento che erale confidato. Agli occhi suoi era ad evidenza necessario che ognuno fosse presto, ed agisse, lunedì perchè era il giorno del ranno, il martedì perchè era il giorno di stirare la biancheria; il mercoledì per cuocere il pane; il giovedì perchè vigilia del venerdì e non meno eccellenti ragioni aveva pel rimanente della settimana. Era su di lei che pesava l’impegno di ricordare a tutti gli abitanti della casa ciò che ognuno fra di loro doveva fare, dal principio alla fine dell’intiero periodo de’ sette giorni e disimpegnava con tanta solerzia quell’obbligo, che era ben [p. 158 modifica]raro che in tutta la casa si compiesse un atto arbitrario.

Era, la signora Abigaille che rammentava al povero diacono quando gli era mestieri uscire, o far ritorno a casa; quando doveva levarsi o sedere; così non poteva commettere peccati d’omissione che con malizia e premeditazione.

Ma la sorveglianza d’una famiglia numerosa di figli, era per una donna così attiva, cagione di continuo irrequiare. Esaminare se il volto fosse lavato; gli abiti raccomodati, il catechismo studiato; vedere se non fossero divelti i fiori, gittate pietre ai polli; se non fosse insultato il grosso cane di guardia, tutto ciò era un cumolo di cure che pesavano assolutamente sopra Abigaille dimodochè, diceva ella, la sua esistenza, ed i progressi della sua pinguetudine erano un perpetuo miracolo.

Il maggiore de’ figli, posto sotto la sua direzione, all’epoca in cui ha principio quest’istoria, era una giovinetta di nome di Maria, che già toccava l’età dell’adolescenza. Sappiamo che al dì d’oggi non si può scrivere l’istoria d’una donna, senza attribuirle le grazie d’un silfo, occhi ammirevoli, o per lo meno una voluttà indefinibile sparsa su tutta la sua persona. Ma, da qual che anno, furono dati in luce tanti consimili racconti, che parmi abbiamo ora già consumate tutte le varietà d’occhi, di capigliature, di denti, di labbra, e di forme indispensabili per una eroina, e reso impossibile la scoperta d’una nuova combinazione di simili attrattive. Tutto ben considerato, io reputo come una buona ventura per me d’avere a trattare d’una persona che non [p. 159 modifica]era una bellezza. Non potevasi prenderla nè per una silfide, nè per una ninfa, nè per una fata. Non aveva una presenza nè distinta, nè distinta, nè magnifica; ma somigliava in tutto ad una vera giovinetta, quale, puoi ritrovarne a dozzine, senza prestarvi la più leggiera attenzione, ed il cui aspetto, così poco rimarchevole come l’acqua, può del pari ricevere mille modificazioni, dalle circostanze a cui va accoppiato. Un gusto perfetto nell’abbigliarsi, disinvoltura e gaiezza nelle maniere una costante effusione di sentimenti amabili producevano in lei tutti gli effetti della bellezza. Possedeva abbastanza dignità per imporre agli impertinenti, senza soffocare la confidente libertà e la spiritosa vivezza, di cui tanto compiacevasi. Nessuno possedeva una più divertente collezione di istoriette, di canzoni, di tradizioni rustiche, di que’ tratti bizzarri e franchi di indole che formano gli elementi d’una gaja conversazione. Aveva letti tutti i libri che seppe procurarsi. L’istoria di Robin, la Bibbia della famiglia di Scott, posta nella biblioteca chiusa a vetri nel luogo il più appariscente, un volume staccato di Shakespeare, e qualche romanzo di Gualtiero Scott, che una famiglia un po’ letterata del vicinato avevale prestato. Scriveva i suoi pensieri su di un’album; ritagliava le strofe che rinveniva ne’ giornali; faceva una piccola raccolta di miosoti, e bottoni di rose dissecche, in reminiscenza di molti amici affezionati, e conservava ancora certo numero di piccole pratiche sentimentali, famigliari alle giovinette di sedici anni all’incirca. Era ben anche dotata di molta industria, sicchè non eravi lavoro femmineo che non acquistasse dalle sue mani perfezione. [p. 160 modifica]Il suo cucire (e crediamo che questa arte sia troppo poco considerata nel descrivere i particolari delle perfezioni delle eroine) il suo cucire era in vero straordinario; i punti-innanzi somigliavano ad una schiera di perle, i punti-indietro avevano del meraviglioso: e pei punti-in croce, che s’insegnano dalle maestre di scuole nel villaggio, ella non aveva uguali. Che diremo poi delle sue paste e de’ suoi puddings? Avrebbero di certo sedotto il più caparbio celibatario della terra. E del suo talento per scopare, o spazzolare? “Quante figlie si sono in ciò mostrate valenti, ma tu, o Maria, tutte le vinci!„ — Ora che cosa mai vi aspettate? L’arrivo di un giovinotto, senza alcun fallo. Ebbene, proprio di que’ tempi, venne a stabilirsi nel villaggio, per asssumere la direzione della scuola certo Guglielmo Barton. Se volete averne precise informazioni, noi non possiamo che indirizzarvi alla signora Abigaille, che era assai versata nella storia e genealogia delle vecchie comari, ed avrebbe potuto raccontarvi qualmente l’avolo suo proprio, Jke Evetts, aveva preso in moglie una cugina del figlio di Pietro Seranton, pro zio di Polly Moseley, la cui figlia Maria sposò il padre di Guglielmo Barton, nell’epoca appunto in cui la casa del signor Pietro era rimasta preda alle fiamme. Poi la buona signora vi avrebbe incominciato il racconto dell’istoria particolare di tutti i rami della famiglia dalla loro venuta d’Inghilterra. Chechessia sappiamo per fermo che Abigaille lo avevo per cugino, che fu accolto in pensione dal diacono, e dopo avere, pel corso di una settimana fatte alcune osservazioni su Maria, risolvette, di chiamare anche lei cugina; ciò che avvenne nel modo il più semplice al mondo. [p. 161 modifica]

Maria ne aveva da prima rispetto, perchè le era noto come avesse compiuti gli studi di latino, di greco, di tedesco e perchè aveva nella sua stanza una biblioteca, di cui la vista soltanto bastava a farla sospirare, rammentandole quante cose in essa potrebbe apprendere, che allora ignorava. Ma le sue prime impressioni scomparvero ben presto, ed i due giovani furono tosto i migliori amici di questa terra. Guglielmo prestava libri a Maria, che dal canto suo davagli lezione di francese, senza impicciarsi dal fastidioso verbo, la cui conjugazione si appresenta per la prima in latino, ed in inglese. Guglielmo prodigava alla giovinetta i più utili consigli sulla coltura dello spirito, il miglioramento dell’indole; ciò che consolidava potentemente la loro amistà. Ma sventuratamente per Maria Guglielmo faceva ovunque sul bel sesso, la stessa impressione che su di lei; e in molte occasioni erasi in pubblico distinto, come a mo’ d’esempio con lezioni di botanica. Aveva a viva inchiesta del comitato del 4 luglio, pronunciato un discorso, che lo aveva coperto di gloria. Non ignoravasi ancora ch’egli era poeta e che aveva in segreto composta una canzonina romantica, che mandava in visibilio i lettori di Bulwer.

In fine, non potevasi moralmente porre in dubbio, in conformità ai principii della certezza, che egli avrebbe trovato conveniente di fare ogni settimana una dozzina di visite alle signore del villaggio, se esse si fossero credute in obbligo di accoglierlo.

Guglielmo ne faceva di visite, giacchè, come tutti gli uomini di studio, sentiva il bisogno d’essere spronato dalla società. Ma dopo le assemblee, o le ore di [p. 162 modifica]scuole e di canto, ritornava con Maria con tanta costanza e semplicità, come se fossero stati sposati da un anno. La conversazione con lei era di necessità più famigliare che con chicchessia; ciò che destava invidia in più d’un cuore e faceva correre pel villaggio un’interessante varietà di dicerie.

“Io mi stupisco, diceva una, in vedere Maria Taylor, ridere e scherzare così nel mondo con Guglielmo Barton.

— Le sue maniere sono troppo poco riservate, diceva un’altra.

— È chiaro che nutre pensiero su di lui, diceva una terza, e non sa nemmeno nasconderlo.

Qualcuna di simili chiacchiere giunsero all’orecchio della signora Abigaille, che aveva buon cuore, e si sarebbe rammaricata di mostrare la sua indignazione. “Alla fine! pensò fra sè, ciò vuol dire che Maria ha bisogno d’un avvertimento e ch’io debbo parlarle.„

Ma si risolse dapprima a parlare a Guglielmo e il giorno istesso, dopo pranzo, mentre il giovane esaminava un trattato di trigonometria, e sezioni coniche, ella toccò così la questione:

“La nostra Maria, si fa bella ogni giorno.„

Guglielmo assorto nella soluzione d’un problema, e appena ponendo ascolto alle parole che gli eran dirette, rispose per istinto:

“Sì.

― Un po’ storditella! soggiunse Abigaille.

— Lo so, disse Guglielmo gli occhi fissi su E. F. B. C.

— Non siete forse d’opinione che alle volte sia con [p. 163 modifica]voi un po’ troppo famigliare, e troppo ciarliera? Sapete pure che non sempre le giovinette pongon mentes a ciò che fanno.

— Certo, disse Guglielmo, seguendo il filo della soluzione dal problema.

— Parmi che sia bene che gliene facciate motto, disse la signora Abigaille.

— Bene! Bene! rispose Guglielmo seguendo ancora la lettura del libro, che poi chiuse, e intascò per andarsene a scuola.„

Oh sgraziata distrazione! di quanti equivoci può un uomo rendersi responsabile dalla sola abitudine di rispondere sì o no, senza far attenzione a quanto gli vien detto.

All’indomani, Guglielmo erasene ito pe’ suoi studi, mentre Maria lavava le stoviglie della colazione, la zia Abigaille incominciò un colloquio con molto riguardo a mezzo di questa osservazione:

“Maria, parmi scorgere che sia conveniente per voi usare per lo innanzi, un po’ meno famigliarmente con Guglielmo.

— Famigliarmente, disse Maria trasalendo, e lascian do quasi cadersi di mano la tazza. Perchè mia zia? che volete significare con questo?

— Ma, mia cara Maria, non dovete parlargli con tanta libertà, qui in mezzo alla gente nè in verun luogo; ciò non sta bene.„

La vergogna soffuse le guancie di Maria, fino alla fronte mentre con dignità rispondeva:

“Io non fui troppo libera, so ciò che è decente e nulla ho fatto che sorpassi le convenienze.„ [p. 164 modifica]

Quando si dà un consiglio, è ingrato doverne constatare la necessità e la signora Abigaille, a cui assai importava l’avviso dato, sentissi quasi obbligata a sostenerlo.

“Ma sì, Maria, voi ne avete passati i limiti; e tutto il contado ne fe rimarco.

— A me poco cale di ciò che può dire il contado, e sempre oprerò secondo mi parrà conveniente, rispose la giovinetta. E mi so bene che il cugino Guglielmo non può essere di questa opinione.

— Ebbene! Da qualche parola sfuggitagli, io credo ch’egli non sia alieno da tal pensiero.

— Oh! zia, che cosa ha egli dunque detto? chiese Maria rovesciando quasi una sedia per la vivacità con cui si rivolse ad Abigaille.

— Misericordia! non è mestieri atterrare tutta una casa, Maria, io non so bene ricordarmelo, ma il senso generale delle sue espressioni mi ha fatto nascere tal pensiero.

— Mia zia! raccontatemeli; ditemene tutti i particolari, disse Maria seguendo Abigaille che girava per la stanza, ripulendo le mobiglie.„

Come molte persone caparbie che scorgendo d’essere ite troppo in là, ma che arrossiscono di retrocederne, Abigaille se ne stette ostinata sulle generali, ed assi curò soltanto che aveva udito Guglielmo dire qualche parola, che dava indizio di sua disapprovazione.

Tal metodo non è certo il più consolante, che possa adottarsi verso una persona dotata d’una immaginazione vivace. Così in meno di cinque minuti, Maria aveva collocate nella sua mente, ponendole a carico di [p. 165 modifica]suo cugino, una sequela d’osservazioni che avrebbe fatto meglio attribuire a parecchi fra gli abitanti del villaggio. Ogni improbabilità di fatto sparve innanzi la considerazione conveniente di sua possibilità, e, dopo un istante di riflessione, la giovinetta, chiudendo le labbra, coll’espressione della più invariabile fermezza, disse che il signor Barton non avrebbe in avvenire occasione di fare somiglianti rimarchi.

Era di troppo evidente, dal calore del suo colorito e dalla dignità del suo viso che l’anima sua era in una disposizione eroica. Ma la povera zia Abigaille provava molto rammarico d’averla afflitta, e si studiò di ogni suo mezzo per consolarla, dicendole:

“Maria, io non credo che Guglielmo abbia voluto biasimarti. Ei sa pure che voi non avete cattive intenzioni...

— Cattive intenzioni! disse Maria in aria di sdegno.

— Ma, ragazza, ei sa bene che voi non potete avere esatte cognizioni del mondo e delle cose: e se voi foste un po’....

— Io non lo sono stata.. Fu lui il primo parlarmi; fu lui che sempre cominciava: mi chiamò sua cugina ed egli è mio cugino.

— No, ragazza mia, voi vi ingannate imperocchè dovete rammentarvi che il suo avolo era...

— Importa assai a me che ciò ch’era l’avolo suo. Ei non aveva il diritto di pensar male di me come ha fatto.

— Ora spero, Maria, che voi non vorrete per questo muovergli querela: egli non può mutarsi di animo; non è vero? [p. 166 modifica]

— Poco a me cale di ciò ch’egli pensa„ disse Maria involandosi di là colle lagrime agli occhi.

Quando chicchessia cade in una simile afflizione, la prima cosa che può fare sedere e metter lagni per lo spazio di un’ora o due. Maria seguì perfettamente quest’uso, facendo, in quel frattempo, numerose riflessioni sull’instabilità delle umane amicizie: e fermando in cuore il proposito di non affidarsi a nessuno, tutta la sua vita: e persuadendosi che il mondo ha il cuore freddo e vuoto; e ritornandosi in mente una moltitudine di simili brillanti massime, che letto aveva ne’ libri, e la cui verità non l’aveva mai tanto evidentemente colpita. Alla fine, chiese a sè che cosa dovesse fare, e decise che non doveva per lo innanzi volgere alcuna parola a Guglielmo, ed in quella vece chiedere che cessasse d’essere in pensione da suo padre: e da ultimo, acconciatosi il cappello, decise dare a passar la giornata presso un’altra zia, che aveva dimora nella vicinanza, per non imbattersi a pranzo con Guglielmo.

Ma accade che il giovane professore, di ritorno della scuola per meriggiare, trovossi fuor dell’usato solo, nel tempo della sospensione della scuola; ed avendo saputo ove trovavasi Maria, risolvette d’andare a prenderla dalla zia, dopo la scuola della sera, e ricondurla a casa.

Così sull’imbrunire, quando Maria stavane due o tre parenti, il signor Guglielmo entrò in sala Maria, aveva tanto desiderio di non farsi accorta, che volse la testa, e diresse lo sguardo fuori d’una finestra, mentre Guglielmo le si avvicinò per parlarle. Poi; dopo [p. 167 modifica]averlo inteso due o tre volte richiedere di sua salute, si volse a lui, e d’un tuono freddo gli disse:

“Parlate a me, signore?„

Guglielmo parve alquanto sorpreso, ma sedendo vicino a lei:

“Certamente, rispose: e venni per sapere qual motivo vi spinse a fuggirvene, senza farvene motto.

— Non vi ho posto mente,„ soggiunse Maria con sussiego, ciò che appo le signore significa:

“Vi dispenso d’ora innanzi da ogni conversazione.„

Guglielmo comprese che era intervenuto qualche straordinario accidente. Pure nella lusinga d’essersi ingannato, continuò:

“Come! vi pigliate sì poca briga di me che ho tanto pensato a voi! non è che per vedervi che son venuto così da lungi.

— Duolmi che vi siate dato tanto incomodo, disse Maria.

— Cugina, siete voi oggi indisposta?

— No signore, rispose Maria,„ continuando il suo lavoro d’ago.

V’aveva, ne’ suoi modi, qualche cosa di così marcato deciso, che Guglielmo si credette sotto l’impero di un’illusione, si volse e legò colloquio con una signorina, mentre Maria, volendo provargli che poteva parlare, se fosse tale la sua volontà, cominciò il racconto d’una novella, che fece tantosto scoppiar dalle risa i suoi parenti.

“Maria è d’una straordinaria gajezza„ disse avvicinandola il vecchio suo zio.„

Guglielmo la contemplò, non gli era mai sembrata [p. 168 modifica]tanto gioviale, nè di più lieto umore e prese a credere che la cugina Maria fosse capace di porre talvolta un uomo nell’imbarazzo.


Si allontanò, ed avvicinandosi al vecchio Zaccaria Coan prese a discutere sulla cultura del grano turco soggetto che per fermo esigeva una grande profondità di pensiero, poichè Guglielmo non era mai sembrato più grave, per non dire più melanconico, Maria, volgendo gli occhi sopra di lui, fu colpita dell’espressione triste e quasi tetra con cui porgeva ascolto al signor Zaccaria, e stette persuasa ch’ei non pensasse al grano turco, più di quello che se ne occupasse ella stessa.

“Io non ebbi mai l’intenzione di affliggerlo tanto, pensò fra sè; e poi, fu sempre con me grazioso. Ma a me e non ad altri doveva parlare.„

Poi, volse anco una volta lo sguardo al cugino.

Guglielmo taceva, stando seduto a contemplare un lume con un’ostinazione che di nuovo confuse la giovinetta, e la spinse a farsi nuovi rimprocci.

“Certamente, mia zia aveva ragione, diss’ella. Non si può sempre padroneggiare la mente. Io mi sforzerò di dimenticare i suoi torti.„

Non convien credere però che Maria rimanesse silenziosa e distratta durante il soliloquio. No di certo: garrula e sorridente pareva la persona la meno preoccupata della sala. Così trascorse quella sera fino all’istante in cui la società si sciolse.

“Sono agli ordini vostri per accompagnarvi, disse Guglielmo con una cortesia fredda e quasi fiera.

— Ve ne son grata, rispose la giovane sull’istesso tuono, ma ho in animo di passar qui la notte...„ Poi ad un tratto cambiando inflessione di voce: [p. 169 modifica]

“No, diss’ella, non posso sopportare ciò più a lungo. Ritorno con voi a casa, cugino Guglielmo.

— Sopportar che? domandò sorpreso Guglielmo.„

Maria era ita in cerca del cappello. Ritornò, prese il braccio, e s’avvio con lui verso la casa paterna.

“Voi m’avete consigliata d’esser sempre franca, mio cugino, disse Maria. Debbo e voglio esserlo. Vi dirò adunque ogni cosa, sebbene, oso dirlo, non affatto conforme alle regole.

— Tutto... che? domando Guglielmo.

— Cugino, disse Maria, senza por mente alle sue parole io fui oggi afflitta assai.

— Me ne accorsi, Maria?

— Ebbene, ciò è penoso, continuò ella, sebbene anzi tutto, noi non possiamo sperare d’essere perfetti da tutto il mondo... Ma non trovo conveniente, che non ne abbiate fatto motto con me.

— Ma di che cosa, Maria?„

In questo mentre giunsero ad una risvolta che faceva la via trasversando un boschetto. Quel luogo fronzuto, reso vago dalla verzura, era animato dal dolce mormorio d’un ruscelletto. Sull’orlo del lieve pendio, un vecchio tronco d’albero rovesciato offeriva comodo sedile, su cui brillavano in piccole macchie i raggi di luna, che vi cadevano dopo avere attraversato il verde fogliame.

Quel luogo era delizioso, e Maria vi si soffermò, sedendovi quasi a raccogliere i suoi pensieri. Dopo aver colto un ramicello flessibile, e giuocato un’istante coll’acqua, cominciò:

“Primieramente, cugino mio, è naturalissimo che [p. 170 modifica]voi abbiate parlato in tal guisa, giacchè poteva ciò cadervi in mente. Ma non avrei creduto mai che fosse tale da vostra convinzione.

— Sarei una volta ben felice di ssapere di che cosa si tratta, rispose Guglielmo coll’accento d’una paziente rassegnazione.

— Ah! dimenticava a che ancor non vi ho detto, riprese ella gittando indietro il suo cappello, ed esprimendosi come chi vuol rischiarare un dubbio. Ebbene, cugino mio, mi venne riferito che voi abbiate che le mie abitudini con voi, vi sembran troppo libere, troppo famigliari.... Ora, vedete bene, proseguì lanciando lampi dagli occhi suoi, vedete bene, che non era cosa facile per me di spiegarmi; ma ho, cocominciato con franchezza, e proseguirò affine d’illuminarmi.„

Guglielmo rispose soltanto:

“Chi vi ha ciò riportato, o Maria?

— Mia zia.

— Pretende ella ch’io gli abbia ciò detto?

— Sì; ed io non vi rimprovero tanto d’averlo detto, quanto d’averlo pensato, poichè a voi è conto quanta riserva mi sia imposta verso di voi. Siete voi che avete ricercata la mia amicizia, e fatto acquisto della mia confidenza. E’ non è quindi bene che voi più d’un altro, abbiate concepito tale opinione di me!

— Io non l’ho giammai pensato, disse Guglielmo tranquillamente.

— E nemmeno detto?

— Giammai! E non poteva credere che voi me ne doveste fare un’accusa, o Maria.

— Ma... disse Maria. [p. 171 modifica]

— Ma, rispose francamente Guglielmo, vostra zia Abigaille si è di certo ingannata.

— Allora! eccomi felice, disse Maria racconsolata e fissò lo sguardo sul ruscello: Poi levando gli occhi, con fuoco soggiunse:

— E voi non dovete neppur sospettarlo, cugino. Io sono vivace e mi esprimo con franchezza; ma non ho giammai pensato, e sono certa di non pensare mai che ciò che una sorella potrebbe dire. Siete voi sicuro di fare altrettanto se tutta la mia felicità dovesse dipendere da ciò o Guglielmo?„

Si volse a lui, lo guardò di fronte, è leggendo a chiare note ne’ suoi occhi, perdette ogni ombra di dubbio. Allora si alzò, lasciò che suo cugino le prendesse la mano e la posasse sul braccio; e così ebbe fine la prima e l’ultima loro querela.