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raro che in tutta la casa si compiesse un atto arbitrario.

Era, la signora Abigaille che rammentava al povero diacono quando gli era mestieri uscire, o far ritorno a casa; quando doveva levarsi o sedere; così non poteva commettere peccati d’omissione che con malizia e premeditazione.

Ma la sorveglianza d’una famiglia numerosa di figli, era per una donna così attiva, cagione di continuo irrequiare. Esaminare se il volto fosse lavato; gli abiti raccomodati, il catechismo studiato; vedere se non fossero divelti i fiori, gittate pietre ai polli; se non fosse insultato il grosso cane di guardia, tutto ciò era un cumolo di cure che pesavano assolutamente sopra Abigaille dimodochè, diceva ella, la sua esistenza, ed i progressi della sua pinguetudine erano un perpetuo miracolo.

Il maggiore de’ figli, posto sotto la sua direzione, all’epoca in cui ha principio quest’istoria, era una giovinetta di nome di Maria, che già toccava l’età dell’adolescenza. Sappiamo che al dì d’oggi non si può scrivere l’istoria d’una donna, senza attribuirle le grazie d’un silfo, occhi ammirevoli, o per lo meno una voluttà indefinibile sparsa su tutta la sua persona. Ma, da qual che anno, furono dati in luce tanti consimili racconti, che parmi abbiamo ora già consumate tutte le varietà d’occhi, di capigliature, di denti, di labbra, e di forme indispensabili per una eroina, e reso impossibile la scoperta d’una nuova combinazione di simili attrattive. Tutto ben considerato, io reputo come una buona ventura per me d’avere a trattare d’una persona che non