era una bellezza. Non potevasi prenderla nè per una silfide, nè per una ninfa, nè per una fata. Non aveva una presenza nè distinta, nè distinta, nè magnifica; ma somigliava in tutto ad una vera giovinetta, quale, puoi ritrovarne a dozzine, senza prestarvi la più leggiera attenzione, ed il cui aspetto, così poco rimarchevole come l’acqua, può del pari ricevere mille modificazioni, dalle circostanze a cui va accoppiato. Un gusto perfetto nell’abbigliarsi, disinvoltura e gaiezza nelle maniere una costante effusione di sentimenti amabili producevano in lei tutti gli effetti della bellezza. Possedeva abbastanza dignità per imporre agli impertinenti, senza soffocare la confidente libertà e la spiritosa vivezza, di cui tanto compiacevasi. Nessuno possedeva una più divertente collezione di istoriette, di canzoni, di tradizioni rustiche, di que’ tratti bizzarri e franchi di indole che formano gli elementi d’una gaja conversazione. Aveva letti tutti i libri che seppe procurarsi. L’istoria di Robin, la Bibbia della famiglia di Scott, posta nella biblioteca chiusa a vetri nel luogo il più appariscente, un volume staccato di Shakespeare, e qualche romanzo di Gualtiero Scott, che una famiglia un po’ letterata del vicinato avevale prestato. Scriveva i suoi pensieri su di un’album; ritagliava le strofe che rinveniva ne’ giornali; faceva una piccola raccolta di miosoti, e bottoni di rose dissecche, in reminiscenza di molti amici affezionati, e conservava ancora certo numero di piccole pratiche sentimentali, famigliari alle giovinette di sedici anni all’incirca. Era ben anche dotata di molta industria, sicchè non eravi lavoro femmineo che non acquistasse dalle sue mani perfezione.