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suo cugino, una sequela d’osservazioni che avrebbe fatto meglio attribuire a parecchi fra gli abitanti del villaggio. Ogni improbabilità di fatto sparve innanzi la considerazione conveniente di sua possibilità, e, dopo un istante di riflessione, la giovinetta, chiudendo le labbra, coll’espressione della più invariabile fermezza, disse che il signor Barton non avrebbe in avvenire occasione di fare somiglianti rimarchi.

Era di troppo evidente, dal calore del suo colorito e dalla dignità del suo viso che l’anima sua era in una disposizione eroica. Ma la povera zia Abigaille provava molto rammarico d’averla afflitta, e si studiò di ogni suo mezzo per consolarla, dicendole:

“Maria, io non credo che Guglielmo abbia voluto biasimarti. Ei sa pure che voi non avete cattive intenzioni...

— Cattive intenzioni! disse Maria in aria di sdegno.

— Ma, ragazza, ei sa bene che voi non potete avere esatte cognizioni del mondo e delle cose: e se voi foste un po’....

— Io non lo sono stata.. Fu lui il primo parlarmi; fu lui che sempre cominciava: mi chiamò sua cugina ed egli è mio cugino.

— No, ragazza mia, voi vi ingannate imperocchè dovete rammentarvi che il suo avolo era...

— Importa assai a me che ciò ch’era l’avolo suo. Ei non aveva il diritto di pensar male di me come ha fatto.

— Ora spero, Maria, che voi non vorrete per questo muovergli querela: egli non può mutarsi di animo; non è vero?