Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA.

Strada.

Floro e Crocco.

Floro. Che tu sia maledetto!

Venisti sul più bello a disturbarmi.
Crocco. Oh questa sì, ch’è bella!
Questi non sono i patti
Seguiti fra di noi.
Voi vorreste, padron, tutto per voi.
Floro. Ma, se ho da dir il vero,
Più della principessa
Piacemi assai la cameriera, e quasi
Ora sono pentito
Il titolo aver finto, ed il vestito.
Crocco. Ancor a tempo siete,
Se cambiar lo volete;
Anzi, se non cambiate,
Quanto prima verran le bastonate.
Floro. Perchè?
Crocco.   Perchè in Sorrento
Già v’è chi vi conosce.
Floro.   E chi v’è mai?
Crocco. Una donna da voi abbandonata,
Che vi segue, e che vuol esser sposata.
Floro. Come ha nome?
Crocco.   Lindora.
Floro.   Oh maledetta!
E quando l’hai veduta?
Crocco.   Stamattina,
Col cappello e il bordon da pellegrina.

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Floro. Or devo più che mai,

Per fuggir l’insolenza di costei,
Mentir il nome e li natali miei.
Crocco. Eccola, che sen vien.
Floro. Lasciami solo.
Crocco. Volentiernota me ne vo,
Chè in sta sorte d’imbrogli io non ci sto.
  Una femmina quando è arrabbiata,
  Pare un cane che morde, che abbaia;
  Anzi pare una gatta irritata,
  Che con l’ugne vuol tutti graffiar.
  Alla larga da questa bestiaccia
  Fuggo, fuggo, che ho troppa paura.
  Sembra bella la donna alla faccia.
  Ma sovente fa l’uomo tremar. (parte

SCENA II.

Floro, poi Lindora.

Floro. Eccola, che s’accosta.

Ora vi vuol franchezza e faccia tosta.
Lindora. Ab! che miro. Sei tu?
Floro. Men confidenza.
Che cos’è questo tu?
Lindora. Morto non sei?
Floro. Quando morto foss’io, non parlerei.
Lindora. Traditor, scellerato,
Alfin t’ho ritrovato.
Floro. E che pretendi
Dal principe Ferrante?
Lindora. Ab bugiardo, ab birbante!
Per ingannar Lindora,
E forse per gabbar altre persone,
Esser di camerier fingi il padrone?

1

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Floro. Io camerier? Ti pare,

Che questa faccia mia
Di cameriere sia?
Perchè clemente io sono,
Vanne, vil femminuccia, io ti perdono.
Lindora. Credi non ti conosca?
Lo so che Floro sei.
Floro. Floro? Or m’avvedo,
Pellegrina gentil, del vostro inganno.
Voi non avete torto.
Floro mi somigliava, e Floro è morto.
Lindora. No, no, non me la ficchi.
So che somigli al principe Ferrante,
Ma un certo non so che,
Briccon, conosco in te,
Che nel principe certo non si trova;
Io che ti praticai, lo so per prova.
Floro. Eh vanne, che sei stolta:
Un principe mio pari non ti ascolta.
Lindora. Signor principe caro, ecco la carta
Sottoscritta da lei d’esser mio sposo.
Se non mi vorrà far giusta ragione,
Con il suo principato andrà prigione.
Floro. Olà, femmina audace,
Così parli con me?
Lindora. Così parlo con te.
E se finger tu segui con malizia,
Or vado ad accusarti alla Giustizia.

SCENA III.

Cleante e detti.

Cleante. Principe generoso,

A voi chiedo perdono,
Se un estremo cordoglio

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Mutoli e mesti innanzi voi ci rese.

Aggravandosi il male
Del genitor, ch’è pur suocero vostro,
È l’estrema cagion del dolor nostro.
Floro. Bene, vi compatisco;
Spiacemi che stia male
Il principe mio suocero.
Che ha la principessa mia consorte?
Cleante. Oppressa è dal dolor barbaro e fiero.
Lindora. (Costui è dunque il principe da vero?)
Floro. Noi la consoleremo.
Il modo troveremo2
Di rallegrarla un poco.
Lieta sarà quando vedrà lo sposo,
Si bello, sì compito e sì grazioso.
Lindora. (Questa val un tesoro;
Tutto Floro rassembra, e non è Floro).
Floro. Ma in Sorrento non sanno
Certe genti volgari ancor chi sono.
Ditemi, non son io
Il principe Ferrante?
Cleante.   È ver.
Floro.   Non venni
A prendere in isposa
Rosmira principessa,
Vostra germana?
Cleante.   È ver.
Floro. Dunque il mio nome
Il mio grado, il mio affetto,
Sappia chi non lo crede, a suo dispetto.
Lindora. (Ho inteso, viene a me).
Cleante.   Venite, amico;
Per me v’invita il genitor languente;
Venite a riveder la vostra sposa.

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Prìncipi e cavalieri vi saranno,

E tutti allor sapranno,
Che il principe Ferrante
È quel che a questi stati or reca onore.
Lindora. (Ed invola la pace a questo core).
Cleante. * Deh sospirar lasciatemi
  Qualche momento in pace!
  Capace di consiglio
  La mia ragion non è.
  Mi trovo in un istante
  Confuso, amico, amante,
  E non so dir perchè 3. (parte

SCENA IV.

Lindora e Floro.

Floro. Ebben, donna arrogante,

Hai sentito chi sono?
Lindora. Vi domando perdono.
Floro. Non meriti perdon, vuò castigarti.
Lindora. Signor, son donna alfine;
Compatir mi dovete.
Floro. Pellegrina, ho burlato;
Non son un cavalier sì mal creato.
Lindora. Signor principe mio,
Quando burlato ha lei, burlato ho anch’io.
Floro. Siete ancor persuasa
Ch’io sia il prence Ferrante, e non sia Floro?
Lindora. Io lo sento, io lo vedo.
Ma se in viso vi guardo, ancor nol credo.

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  Quegli occhietti sì furbetti,

  Dicon sì che Floro siete.
Floro.   Sarò Floro, se il volete,
  Ma per poco io lo sarò.
Lindora.   Sì, briccon, che quel tu sei.
Floro.   Più rispetto a’ pari miei.
Lindora.  Perdonate.
Floro.   Chi son io?
Lindora.   Il cor mio - mi dice Floro.
Floro.   Arrogante! - io son Ferrante.
Lindora.   Siate l’uno, o l’altro siate,
  Non negate a me pietà.
Floro.   Pellegrina, - vezzosina.
  Se volete, avrò pietà.
Lindora.   (Oh fatale somiglianza,
  Che dubbiosa ancor mi fa!)
Floro.   La franchezza e l’arroganza
  Sempre mai trionferà). (partono

SCENA V.

Camera.

Rosmira e Roberto.

Rosmira. Pur troppo, è vero, il genitor impone

Che al principe Ferrante io dia la mano.
Cleante, mio germano,
Che per Dorinda tua langue d’amore.
Antepone l’amor al proprio affetto,
Ed affretta le nozze a mio dispetto.
Roberto. Ah lo dissi, mio bene.
Che perderti dovea.
Rosmira.   No, non mi perdi,
Sarò tua finch’io viva.
Se il destino ti priva

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Per or della mia destra, il suo rigore

Usurparti giammai potrà il mio core.
Roberto. Dolce, amabil conforto,
Cara m’è la tua fede; alle mie pene
Darà qualche ristoro
La tua salda costanza.
Ma persa ogni speranza
Ormai di possederti,
Misero, ho da vederti
Al mio rivale in braccio!
Ahi, a un tale pensier sudo ed agghiaccio.
Rosmira. Principe, hai cor?
Roberto.   L’avrei, se tu rapito,
Cara, non me l’avessi.
Rosmira.   È questo il tempo
Di mostrar se tu m’ami, ed hai valore
Per sapermi acquistar.
Roberto.   Come?
Rosmira.   Il rivale,
Vanne, chiama al cimento, abbatti, uccidi.
Roberto. Con qual ragion?
Rosmira.   Con quella ch’or ti diede
Amor sovra il cor mio.
Roberto. T’obbedirò. Mia principessa, addio.
Rosmira. Dove, dove?
Roberto.   A pugnar.
Rosmira.   Fermati, oh Dio!
Per te timor io sento,
E già del cenno mio quasi mi pento.
Roberto. Non paventar; proteggeran le stelle
La causa del mio cor. Per altra via
Conseguirti non posso. E tu, Rosmira,
Mi suggeristi il mezzo
D’acquistarti, o morir. Del tuo consiglio
Deh non perder il merto

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Con timor importuno. Avrò in difesa

Dell’ardito rival contro il valore,
Il tuo cor, la tua fede, il nostro amore.
* Senza procelle ancora
  Si perde quel nocchiero,
  Che lento in sulla prora
  Passa dormendo il dì.
  Sognava il suo pensiero
  Di naufragar fra l’onde,
  Chi lo trovò alle sponde
  Allor che i lumi aprì 4.

SCENA VI.

Rosmira, poi Dorinda.

Rosmira. Misera! Ed io fui quella,

Che lo spinse al cimento? Ah principessa,
Corri, vola, raggiungi il tuo germano.
Con il ferro alla mano
Va in traccia di Ferrante, e la sua vita 5
Pone a rischio per noi.
In difesa di lui vanne, se puoi.
Dorinda. Non è alla destra mia
Insolita costanza usar il brando.
Con le fiere pugnai, minor periglio
Fia pugnar con Ferrante; e se Roberto
Per vincer non avrà poter che basti,
Invano al mio valor fia che contrasti.
Rosmira. Generosa donzella,
Ammiro il tuo coraggio;

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Seconderò coi voti

Di te, bell’idol mio, la giusta impresa:
E se da ver che intesa
Sia preghiera divota in ciel dai Numi,
Favoriran clementi
I vostri colpi e i miei sospiri ardenti.
Dorinda. Vado, e fra poco attendi
Per tuo ben, per mia gloria,
O la mia morte, o la comun vittoria.
  Ah non son io che parlo,
  È il mio fraterno amore,
  Che mi divide il core,
  Che delirar mi fa.
Il fier nemico veda
  In man recar la spada,
  E un fulmine la creda,
  E un fulmine sarà 6. (parte

SCENA VII.

Rosmira poi Floro.

Rosmira. Felice lei, che avvezza a trattar l’armi

Può far onta al destin col suo valore!
Ma ohimè! che veggo? Ecco l’odioso oggetto,
Ecco l’odiato amante,
Ecco il mio fier nemico, ecco Ferrante.
Principe, vuò parlarvi
Con il cor sulle labbra.
Floro. Non sarà poco invero
Una donna trovar di cor sincero.

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Rosmira. Il genitore impone,

Ch’io vi porga la destra,
Ma pria che divenir di voi consorte,
Volentieri sarei sposa di morte.
Floro. Grazie del buon amor che mi portate;
Ma dite in cortesia,
Perchè avete voi meco antipatia?
Rosmira. Voglio in questo appagarvi,
Sol per disingannarvi.
Per voi non sento affetto,
Perchè bramo ed adoro un altro oggetto.
Floro. Brava, così mi piace,
Dir il vero alla prima;
È la sincerità quel che si stima.
Rosmira. Dunque, se l’amor mio
Voi sperar non potete,
Signor, che risolvete?
Floro. Perchè d’esser sincera avete il vanto,
Io risolvo sposarvi tanto e tanto.
Rosmira. Benchè odioso mi siete7?
Floro.   E che m’importa?
Poche sono le mogli,
Ch’amano i lor mariti,
E fingono d’amarli.
Una virtù di più voi possedete;
Abborrite il marito, e non fingete.
Rosmira. Pago di me sareste
Senz’aver il mio cor?
Floro.   Del vostro core
Cosa farne dovrei?
Di donna il core è un’ideal mercede.
Mi basta posseder quel che si vede.
Rosmira. È un desio stravagante.
Floro. E un desio da Ferrante.

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Impazzir per la moglie non vogl’io;

Altri pensi a suo modo, io penso al mio.
Rosmira. Mi volete infelice?
Floro.   Anzi vi vuò contenta.
Rosmira. Amor, che mi tormenta,
Con voi quest’alma mia non legherà.
Floro. Così ognuno godrà la libertà.
Rosmira. Che matrimonio adunque
Volete che di noi dal mondo si oda?
Floro. Matrimonio che dicesi alla moda:
Pensar ognun per sè 8.
Rosmira. Perfido, rio costume!
Dal mio core abbonito,
Dal mio cor che di sè solo è invaghito.
  Se unita al caro bene
  Vivere non poss’io,
  Voglio da questo petto
  D’ogni straniero affetto
  L’immagine scacciar.
  Ognor fra le mie pene
  Io serberò costante
  L’amore a quel sembiante
  Che m’insegnò ad amar.(parte

SCENA VIII.

Floro, poi Lesbina.

Floro. Or sì son imbrogliato!

Se costei non mi vuole,
Niente servir mi puole il principato.
Qunt’era meglio ch’io restassi Floro!
Almeno avrei sposata
Una bella ragazza galantina;
Almeno con Lesbina

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In buona pace avrei

Passati dolcemente i giorni miei.
Ma Lindora? Lindora,
Se non avrà giudizio,
E scoprir mi vorrà per vagabondo,
Andrà a pellegrinar all’altro mondo.
Ma ecco, vien Lesbina;
Costei mi piace tanto,
Son tanto di quel viso innamorato,
Che or or mando in malora il principato.
Lesbina. Oh povera Lesbina,
Tradita, assassinata,
Or vedova non son, nè maritata!
Floro. Ehi ragazza, che avete,
Che addolorata siete?
Lesbina. Io piango amaramente
Due Flori, l’uno morto e l’altro vivo.
Il vivo non mi piace;
Il morto piacerebbe agli occhi miei,
Quando nel viso somigliasse a lei.
Floro. Ed io son tanto acceso
Del vostro bel sembiante,
Che Floro esser vorrei, e non Ferrante.
Lesbina.   Maladetta fortuna!
Floro. Oh se voleste,
Si potria la fortuna
Far far a nostro modo!
Lesbina.   E come?
Floro.   Oh cara!
Son di voi innamorato:
Se volete, vi dono il principato9.
Lesbina. A una vil cameriera?

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Floro.   Siete bella,

Vi vuò ben, mi piacete, e tanto basta:
Le donne sono tutte d’una pasta.
Lesbina. Ma qui vostra eccellenza
È venuto a sposar la principessa.
Floro. Codesta dottoressa
Mi sprezza e non mi vuole.
Facciam poche parole.
Bella, se mi volete, io vostro sono:
Il mio cor, la mia man, tutto vi dono.
Lesbina. Oh signore, davvero mi vergogno.
Floro. Vergognarvi? di che?
Lesbina.   Vostra eccellenza...
Floro. Orsù, lasciam andare
Titoli e cerimonie.
Se piacermi bramate,
Voglio che in confidenza mi trattiate.
Lesbina. Dirò dunque, che lei...
Floro.   Non voglio il lei.
Lesbina. Voi, signor...
Floro.   Confidente ancora 10 più.
Lesbina. Come v’ho da parlar?
Floro.   Datemi il tu.
Datemi della bestia e del somaro;
Più che mi strapazzate, e più l’ho caro.
Lesbina. (È un bell’umor davvero!
Lo voglio contentar). Ehi, bestia matta,
Che facciamo? Mi sposi, o non mi sposi?
Floro. Brava, ti sposerò.
Lesbina. Sposami, che se no,
Asino tu sarai, non cavaliere.
Floro. Oh cara! Oh che piacere,
Sentirsi strapazzar! Tirate avanti.

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Lesbina. Oh razza di birbanti,

Principe di favette11, e brutto grugno,
Se non mi sposi, io ti rifilo un pugno 12.
Floro. Ah, resista chi può. Questi bei vezzi
Fan proprio innamorar.
Lesbina. Sposami, o vatti a far...
Floro.   Son qui, ti sposo.
Lesbina. (Oh che bizzarro umor!)
Floro.   (Che stil grazioso!)
  La mano ti dono,
  Tu dammi il tuo cor;
  Ohimè, per amor
  Mi sento crepar.
  Non posso parlar.
  Mia cara, mia bella,
  Son vostro, son qua.
  Vezzosa, graziosa,
  Mia vita, pietà.
  Che gusto sentirsi
  Sì ben strapazzar,
  Somaro chiamar;
  È un gusto che ai stolti
  Piacere non dà;
  Eppure da molti
  Cercando si va. (parte

SCENA IX.

Lesbina sola.

Certamente è Ferrante

Un umor stravagante.
S’egli dice davvero e se mi sposa,
Perchè so strapazzarlo,
Sarà facile in questo il contentarlo.
Noi donne per natura

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Abbiam la lingua lunga:

Niente, niente che siamo stuzzicate,
Diamo delle solenni strapazzate.
  Quando ci salta
  La mosca al naso,
  Vogliamo dire,
  Vogliamo far.
  Grida il marito?
  E noi più forte.
  Alza il bastone?
  Ma non fa niente;
  Noi siamo l’ultime
  Sempre a parlar.
  Ma se il consorte
  Non sa gridare,
  Anche tacendo
  Ci fa arrabbiare;
  Abbiam piacere
  Ch’ei ci risponda,
  Sol per potere
  Più contrastar. (parte

SCENA X.

Strada.

Floro, poi Roberto.

Floro. Io sono fra l’ancudine e il martello;

Vorrei e non vorrei
Scoprirmi e non scoprirmi.
Penso, risolvo, e poi torno a pentirmi.
Roberto. Principe...
Floro.   Padron mio.
Roberto.   Voi di Rosmira
Aspirate alle nozze?

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Floro.   Per servirla.

Roberto. Rosmira è I’ idol mio.
Floro.   Buon pro vi faccia.
Roberto. O cederla dovete,
O estinto per mia man voi caderete.
Floro. Pian, pian, signor Gradasso,
Ch’io non son un ranocchio da infilzare.
(Non mi voglio far stare).
Roberto. Difendetevi pur, se core avete;
Impugnate la spada. (mette mano
Floro. Che cosa vi credete?
Che io sia qualche poltrone?
Ho core, ho trippa, ho fegato e polmone.
Eccomi in guardia, a voi. (tira mano
Roberto.   Rosmira amata,
Consacro questa vittima al tuo bello.
Floro. In due colpi di quarta io ti sbudello.
(si battono, e Roberto resta disarmato
Roberto. Sorte crudel.
Floro.   Io sono
Più bravo di Ruggier, più fier d’Orlando.

SCENA XI.

Dorinda da uomo, con spada alla mano, e detti.

Dorinda. A me volgi quel brando.

Floro. Cosa c’entrate voi?
Dorinda. La pugna terminar si dee tra noi.
Roberto. Germana, oh Dio!13
Dorinda. Vattene, e non temer della mia sorte.
Roberto. (So che il braccio di lei del mio è più forte). (parte
Dorinda. Codardo, ancora tardi?
Vieni, o ti passo il petto.

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Floro. Codardo a me? Cospetto,

Cospettin, cospettone!
Si vedrà chi è più bravo al paragone.
(si battono, e casca di mano la spada a Floro
Floro. Piano.
Dorinda.   Non v’è più tempo.
Vuò che tu estinto cada.
Floro. Vi domando la vita.

SCENA XII.

Lindora prende di terra la spada di Floro
e si pone contro Dorinda.

Lindora. A me la spada.

Floro.   Oh brava!
Dorinda.   Io non pavento
Teco ancora pugnar.
Lindora.   Vieni al cimento.
(si battono, e Lindora ferisce Dorinda in un braccio
Dorinda. Ohimè ch’io son ferita.
Donna, vincesti, e tu ringrazia il fato, (a Floro
Che una femmina alfìn di te più forte
Per or t’abbia sottratto a giusta morte. (parte

SCENA XIII.

Floro e Lindora

Floro. (Che cosa importa a me,

Purchè libero sia da questa noia,
Che m’avesse difeso ancora il boia?)
Lindora. Signor principe, io posso
Ben chiamarmi felice,
Per esser la di lei liberatrice.
Floro. Io vi son obbligato;
Venite al principato.
Colà vi premierò;

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Qualche cosa di buono io vi darò.

Datemi la mia spada.
Lindora.   Adagio un poco;
Pria che vi dia la spada,
Vuò che i conti facciamo tra di noi;
M’avete a confessar chi siete voi.
Floro. Oh bella! non son io
Il principe Ferrante?
Lindora.   Non è vero,
Voi siete un menzognero.
Floro.   E chi son io?
Lindora. Tu sei Floro, crudel, l’idolo mio.
Floro. Eh, che siete una pazza.
Datemi la mia spada.
Lindora.   Indietro, indietro;
O confessate a me che Floro siete,
O vi do una stoccata, e morirete.
Floro. Ma se Floro non son...
Lindora. Chi non è Floro,
Deve dunque morir.
Floro.   Pian, piano, io sono...
Lindora. Via, chi siete?
Floro.   Ferrante.
Lindora.   Ebben, Ferrante
Adesso morirà.
Floro.   No, che son Floro.
Lindora. Dunque tu m’ingannasti,
Menzognero, birbante.
Io ti voglio ammazzar Floro o Ferrante.
Floro. Adunque in ogni guisa ho da morire?
Lindora. Devi morire, o darmi
La mano, e qui sposarmi.
Floro. Piuttosto che morir, vi sposerò.
(Fingerò di sposarla, e me n’andrò).
Lindora. Presto, dammi la mano.

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Floro.   Ecco la mano.

Lindora. Traditor, inumano,
Così m’abbandonasti?
Floro. Ora sono tuo sposo, e ciò ti basti.

SCENA XIV.

Lesbina e detti.

Lesbina. Olà, che cosa fate?

Lindora. Voi qua! come ci entrate?
Lesbina. C’entro, perchè cotesto è sposo mio.
Lindora. In questo punto l’ho da sposar io.
Floro. (Ora sì che sto bene!)
Lesbina.   Andiam.
Lindora.   Venite.
Lesbina. Ah, se voi mi tradite,
Con questo ferro vi trapasso il core. (cava lo stile
Lindora. Se m’inganni, t’ammazzo, o traditore.
(lo minaccia con la spada
Floro. Alto, alto, che diavolo fate?
Son in mezzo a due donne arrabbiate.
Lesbina. Sua eccellenza mi deve sposare.
Lindora. Sua eccellenza sposar dovrà me.
Floro. E con meco, che son eccellenza,
Voi trattate con tanta insolenza?
Lesbina. Non vuol essere lei strapazzato?
Floro. Strapazzato, ma non ammazzato.
Lindora. Non vuol esser mio sposo diletto?
Floro. Fa passar la paura l’affetto.
Lindora. Qua la mano.
Lesbina.   La mano vogl’io.
Floro. Son Ferrante.
Lindora.   Sei Floro.
Lesbina.   Sei mio.

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Floro. Non è vero.
Lindora. a due 3Ti scanno, t’ammazzo.
Lesbina.
Floro. Tutte due, tutte due sposerò.

Lindora. Ma tu devi sposare me sola.
Lesbina. A me prima voi deste parola.
Floro. Aggiustatela dunque fra voi,
Che dell’una o dell’altra sarò.
Lindora. Sfacciateli, che dici, che vuoi?
Lesbina. Arditella, pretender che puoi?

Floro. a due Contro te vendicarmi saprò.
Lindora.
Floro. Brave, brave, godendo vi sto.

Lindora. Arrogante.
Lesbina.   Insolente.
Floro.   Che spasso!

Lesbina. a due Voglio teco lo sdegno sfogar.
Lindora.
Floro. State zitte, fermate in malora.

(a tre Dalla rabbia mi sento crepar.


Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Nelle stampe del Settecento: Volentieri.
  2. Fenzo: trovaremo.
  3. Quest’arietta così si legge nella sc. 11 del I atto dell’Artaserse (1730) di Pietro Metastasio: Deh respirar lasciatemi — Qualche momento in pace! I — Capace — Di risolvere — La mia ragion non è- — Mi trovo in un istante — Giudice, amico, amante, — E delinquente, e re ". Fu soppressa nell’ed. Zatta.
  4. Quest’arietta, soppressa nell’ed. Zatta, è di Pietro Metastasio, nell’atto II. scena 4, dell’Alessandro nell’Indie (1729). Ma il M. dice: Sognava il suo pensiero — Forse le amiche sponde; — Ma si trovò fra l’onde ecc. Il testo goldoniano non è chiaro.
  5. Così l’ed. Fenzo e le varie ristampe. Nell’ed. Zatta è stampato: Va in traccia di Ferrante; ei la tua vita ecc.
  6. Quest’arietta, ch’è pure nell’ed. Zatta, così si legge nell’atto III, sc. 12, dell’Ezio (1728) di Pietro Metastasio: "Ah, non son io che parlo, — È il barbaro dolore — Che mi divide il core, — Che delirar mi fa. - Non cura il Ciel tiranno — L’affanno — In cui mi vedo: — Un fulmine gli chiedo, — E un fulmine non ha ha".
  7. Così nel testo.
  8. Zatta: di sè.
  9. Segue nelle edd. Fenzo, Tevernin ecc. quest’arietta soppressa nell’ed. Zatta: Ma bel sì vezzosette — Mon coure ah regardé. — Da quelle pupillette — Meschin toutt’è broullè (sic). — Vou chiede, Lesbinette, — Les vostre charité (sic) — Quest’alma langhìssà”.
  10. Nel testo: ancor.
  11. Forma dialettale, volgare.
  12. Come sopra.
  13. Nell’ed. Zatta fu aggiunto: tu qui?