Il finto principe/Atto II
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ATTO SECONDO
SCENA PRIMA.
Strada.
Floro e Crocco.
Venisti sul più bello a disturbarmi.
Crocco. Oh questa sì, ch’è bella!
Questi non sono i patti
Seguiti fra di noi.
Voi vorreste, padron, tutto per voi.
Floro. Ma, se ho da dir il vero,
Più della principessa
Piacemi assai la cameriera, e quasi
Ora sono pentito
Il titolo aver finto, ed il vestito.
Crocco. Ancor a tempo siete,
Se cambiar lo volete;
Anzi, se non cambiate,
Quanto prima verran le bastonate.
Floro. Perchè?
Crocco. Perchè in Sorrento
Già v’è chi vi conosce.
Floro. E chi v’è mai?
Crocco. Una donna da voi abbandonata,
Che vi segue, e che vuol esser sposata.
Floro. Come ha nome?
Crocco. Lindora.
Floro. Oh maledetta!
E quando l’hai veduta?
Crocco. Stamattina,
Col cappello e il bordon da pellegrina.
Per fuggir l’insolenza di costei,
Mentir il nome e li natali miei.
Crocco. Eccola, che sen vien.
Floro. Lasciami solo.
Crocco. Volentiernota me ne vo,
Chè in sta sorte d’imbrogli io non ci sto.
Una femmina quando è arrabbiata,
Pare un cane che morde, che abbaia;
Anzi pare una gatta irritata,
Che con l’ugne vuol tutti graffiar.
Alla larga da questa bestiaccia
Fuggo, fuggo, che ho troppa paura.
Sembra bella la donna alla faccia.
Ma sovente fa l’uomo tremar. (parte
SCENA II.
Floro, poi Lindora.
Ora vi vuol franchezza e faccia tosta.
Lindora. Ab! che miro. Sei tu?
Floro. Men confidenza.
Che cos’è questo tu?
Lindora. Morto non sei?
Floro. Quando morto foss’io, non parlerei.
Lindora. Traditor, scellerato,
Alfin t’ho ritrovato.
Floro. E che pretendi
Dal principe Ferrante?
Lindora. Ab bugiardo, ab birbante!
Per ingannar Lindora,
E forse per gabbar altre persone,
Esser di camerier fingi il padrone?
1
Che questa faccia mia
Di cameriere sia?
Perchè clemente io sono,
Vanne, vil femminuccia, io ti perdono.
Lindora. Credi non ti conosca?
Lo so che Floro sei.
Floro. Floro? Or m’avvedo,
Pellegrina gentil, del vostro inganno.
Voi non avete torto.
Floro mi somigliava, e Floro è morto.
Lindora. No, no, non me la ficchi.
So che somigli al principe Ferrante,
Ma un certo non so che,
Briccon, conosco in te,
Che nel principe certo non si trova;
Io che ti praticai, lo so per prova.
Floro. Eh vanne, che sei stolta:
Un principe mio pari non ti ascolta.
Lindora. Signor principe caro, ecco la carta
Sottoscritta da lei d’esser mio sposo.
Se non mi vorrà far giusta ragione,
Con il suo principato andrà prigione.
Floro. Olà, femmina audace,
Così parli con me?
Lindora. Così parlo con te.
E se finger tu segui con malizia,
Or vado ad accusarti alla Giustizia.
SCENA III.
Cleante e detti.
A voi chiedo perdono,
Se un estremo cordoglio
Aggravandosi il male
Del genitor, ch’è pur suocero vostro,
È l’estrema cagion del dolor nostro.
Floro. Bene, vi compatisco;
Spiacemi che stia male
Il principe mio suocero.
Che ha la principessa mia consorte?
Cleante. Oppressa è dal dolor barbaro e fiero.
Lindora. (Costui è dunque il principe da vero?)
Floro. Noi la consoleremo.
Il modo troveremo2
Di rallegrarla un poco.
Lieta sarà quando vedrà lo sposo,
Si bello, sì compito e sì grazioso.
Lindora. (Questa val un tesoro;
Tutto Floro rassembra, e non è Floro).
Floro. Ma in Sorrento non sanno
Certe genti volgari ancor chi sono.
Ditemi, non son io
Il principe Ferrante?
Cleante. È ver.
Floro. Non venni
A prendere in isposa
Rosmira principessa,
Vostra germana?
Cleante. È ver.
Floro. Dunque il mio nome
Il mio grado, il mio affetto,
Sappia chi non lo crede, a suo dispetto.
Lindora. (Ho inteso, viene a me).
Cleante. Venite, amico;
Per me v’invita il genitor languente;
Venite a riveder la vostra sposa.
E tutti allor sapranno,
Che il principe Ferrante
È quel che a questi stati or reca onore.
Lindora. (Ed invola la pace a questo core).
Cleante. * Deh sospirar lasciatemi
Qualche momento in pace!
Capace di consiglio
La mia ragion non è.
Mi trovo in un istante
Confuso, amico, amante,
E non so dir perchè 3. (parte
SCENA IV.
Lindora e Floro.
Hai sentito chi sono?
Lindora. Vi domando perdono.
Floro. Non meriti perdon, vuò castigarti.
Lindora. Signor, son donna alfine;
Compatir mi dovete.
Floro. Pellegrina, ho burlato;
Non son un cavalier sì mal creato.
Lindora. Signor principe mio,
Quando burlato ha lei, burlato ho anch’io.
Floro. Siete ancor persuasa
Ch’io sia il prence Ferrante, e non sia Floro?
Lindora. Io lo sento, io lo vedo.
Ma se in viso vi guardo, ancor nol credo.
Dicon sì che Floro siete.
Floro. Sarò Floro, se il volete,
Ma per poco io lo sarò.
Lindora. Sì, briccon, che quel tu sei.
Floro. Più rispetto a’ pari miei.
Lindora. Perdonate.
Floro. Chi son io?
Lindora. Il cor mio - mi dice Floro.
Floro. Arrogante! - io son Ferrante.
Lindora. Siate l’uno, o l’altro siate,
Non negate a me pietà.
Floro. Pellegrina, - vezzosina.
Se volete, avrò pietà.
Lindora. (Oh fatale somiglianza,
Che dubbiosa ancor mi fa!)
Floro. La franchezza e l’arroganza
Sempre mai trionferà). (partono
SCENA V.
Camera.
Rosmira e Roberto.
Che al principe Ferrante io dia la mano.
Cleante, mio germano,
Che per Dorinda tua langue d’amore.
Antepone l’amor al proprio affetto,
Ed affretta le nozze a mio dispetto.
Roberto. Ah lo dissi, mio bene.
Che perderti dovea.
Rosmira. No, non mi perdi,
Sarò tua finch’io viva.
Se il destino ti priva
Usurparti giammai potrà il mio core.
Roberto. Dolce, amabil conforto,
Cara m’è la tua fede; alle mie pene
Darà qualche ristoro
La tua salda costanza.
Ma persa ogni speranza
Ormai di possederti,
Misero, ho da vederti
Al mio rivale in braccio!
Ahi, a un tale pensier sudo ed agghiaccio.
Rosmira. Principe, hai cor?
Roberto. L’avrei, se tu rapito,
Cara, non me l’avessi.
Rosmira. È questo il tempo
Di mostrar se tu m’ami, ed hai valore
Per sapermi acquistar.
Roberto. Come?
Rosmira. Il rivale,
Vanne, chiama al cimento, abbatti, uccidi.
Roberto. Con qual ragion?
Rosmira. Con quella ch’or ti diede
Amor sovra il cor mio.
Roberto. T’obbedirò. Mia principessa, addio.
Rosmira. Dove, dove?
Roberto. A pugnar.
Rosmira. Fermati, oh Dio!
Per te timor io sento,
E già del cenno mio quasi mi pento.
Roberto. Non paventar; proteggeran le stelle
La causa del mio cor. Per altra via
Conseguirti non posso. E tu, Rosmira,
Mi suggeristi il mezzo
D’acquistarti, o morir. Del tuo consiglio
Deh non perder il merto
Dell’ardito rival contro il valore,
Il tuo cor, la tua fede, il nostro amore.
* Senza procelle ancora
Si perde quel nocchiero,
Che lento in sulla prora
Passa dormendo il dì.
Sognava il suo pensiero
Di naufragar fra l’onde,
Chi lo trovò alle sponde
Allor che i lumi aprì 4.
SCENA VI.
Rosmira, poi Dorinda.
Che lo spinse al cimento? Ah principessa,
Corri, vola, raggiungi il tuo germano.
Con il ferro alla mano
Va in traccia di Ferrante, e la sua vita 5
Pone a rischio per noi.
In difesa di lui vanne, se puoi.
Dorinda. Non è alla destra mia
Insolita costanza usar il brando.
Con le fiere pugnai, minor periglio
Fia pugnar con Ferrante; e se Roberto
Per vincer non avrà poter che basti,
Invano al mio valor fia che contrasti.
Rosmira. Generosa donzella,
Ammiro il tuo coraggio;
Di te, bell’idol mio, la giusta impresa:
E se da ver che intesa
Sia preghiera divota in ciel dai Numi,
Favoriran clementi
I vostri colpi e i miei sospiri ardenti.
Dorinda. Vado, e fra poco attendi
Per tuo ben, per mia gloria,
O la mia morte, o la comun vittoria.
Ah non son io che parlo,
È il mio fraterno amore,
Che mi divide il core,
Che delirar mi fa.
Il fier nemico veda
In man recar la spada,
E un fulmine la creda,
E un fulmine sarà 6. (parte
SCENA VII.
Rosmira poi Floro.
Può far onta al destin col suo valore!
Ma ohimè! che veggo? Ecco l’odioso oggetto,
Ecco l’odiato amante,
Ecco il mio fier nemico, ecco Ferrante.
Principe, vuò parlarvi
Con il cor sulle labbra.
Floro. Non sarà poco invero
Una donna trovar di cor sincero.
Ch’io vi porga la destra,
Ma pria che divenir di voi consorte,
Volentieri sarei sposa di morte.
Floro. Grazie del buon amor che mi portate;
Ma dite in cortesia,
Perchè avete voi meco antipatia?
Rosmira. Voglio in questo appagarvi,
Sol per disingannarvi.
Per voi non sento affetto,
Perchè bramo ed adoro un altro oggetto.
Floro. Brava, così mi piace,
Dir il vero alla prima;
È la sincerità quel che si stima.
Rosmira. Dunque, se l’amor mio
Voi sperar non potete,
Signor, che risolvete?
Floro. Perchè d’esser sincera avete il vanto,
Io risolvo sposarvi tanto e tanto.
Rosmira. Benchè odioso mi siete7?
Floro. E che m’importa?
Poche sono le mogli,
Ch’amano i lor mariti,
E fingono d’amarli.
Una virtù di più voi possedete;
Abborrite il marito, e non fingete.
Rosmira. Pago di me sareste
Senz’aver il mio cor?
Floro. Del vostro core
Cosa farne dovrei?
Di donna il core è un’ideal mercede.
Mi basta posseder quel che si vede.
Rosmira. È un desio stravagante.
Floro. E un desio da Ferrante.
Altri pensi a suo modo, io penso al mio.
Rosmira. Mi volete infelice?
Floro. Anzi vi vuò contenta.
Rosmira. Amor, che mi tormenta,
Con voi quest’alma mia non legherà.
Floro. Così ognuno godrà la libertà.
Rosmira. Che matrimonio adunque
Volete che di noi dal mondo si oda?
Floro. Matrimonio che dicesi alla moda:
Pensar ognun per sè 8.
Rosmira. Perfido, rio costume!
Dal mio core abbonito,
Dal mio cor che di sè solo è invaghito.
Se unita al caro bene
Vivere non poss’io,
Voglio da questo petto
D’ogni straniero affetto
L’immagine scacciar.
Ognor fra le mie pene
Io serberò costante
L’amore a quel sembiante
Che m’insegnò ad amar.(parte
SCENA VIII.
Floro, poi Lesbina.
Se costei non mi vuole,
Niente servir mi puole il principato.
Qunt’era meglio ch’io restassi Floro!
Almeno avrei sposata
Una bella ragazza galantina;
Almeno con Lesbina
Passati dolcemente i giorni miei.
Ma Lindora? Lindora,
Se non avrà giudizio,
E scoprir mi vorrà per vagabondo,
Andrà a pellegrinar all’altro mondo.
Ma ecco, vien Lesbina;
Costei mi piace tanto,
Son tanto di quel viso innamorato,
Che or or mando in malora il principato.
Lesbina. Oh povera Lesbina,
Tradita, assassinata,
Or vedova non son, nè maritata!
Floro. Ehi ragazza, che avete,
Che addolorata siete?
Lesbina. Io piango amaramente
Due Flori, l’uno morto e l’altro vivo.
Il vivo non mi piace;
Il morto piacerebbe agli occhi miei,
Quando nel viso somigliasse a lei.
Floro. Ed io son tanto acceso
Del vostro bel sembiante,
Che Floro esser vorrei, e non Ferrante.
Lesbina. Maladetta fortuna!
Floro. Oh se voleste,
Si potria la fortuna
Far far a nostro modo!
Lesbina. E come?
Floro. Oh cara!
Son di voi innamorato:
Se volete, vi dono il principato9.
Lesbina. A una vil cameriera?
Vi vuò ben, mi piacete, e tanto basta:
Le donne sono tutte d’una pasta.
Lesbina. Ma qui vostra eccellenza
È venuto a sposar la principessa.
Floro. Codesta dottoressa
Mi sprezza e non mi vuole.
Facciam poche parole.
Bella, se mi volete, io vostro sono:
Il mio cor, la mia man, tutto vi dono.
Lesbina. Oh signore, davvero mi vergogno.
Floro. Vergognarvi? di che?
Lesbina. Vostra eccellenza...
Floro. Orsù, lasciam andare
Titoli e cerimonie.
Se piacermi bramate,
Voglio che in confidenza mi trattiate.
Lesbina. Dirò dunque, che lei...
Floro. Non voglio il lei.
Lesbina. Voi, signor...
Floro. Confidente ancora 10 più.
Lesbina. Come v’ho da parlar?
Floro. Datemi il tu.
Datemi della bestia e del somaro;
Più che mi strapazzate, e più l’ho caro.
Lesbina. (È un bell’umor davvero!
Lo voglio contentar). Ehi, bestia matta,
Che facciamo? Mi sposi, o non mi sposi?
Floro. Brava, ti sposerò.
Lesbina. Sposami, che se no,
Asino tu sarai, non cavaliere.
Floro. Oh cara! Oh che piacere,
Sentirsi strapazzar! Tirate avanti.
Principe di favette11, e brutto grugno,
Se non mi sposi, io ti rifilo un pugno 12.
Floro. Ah, resista chi può. Questi bei vezzi
Fan proprio innamorar.
Lesbina. Sposami, o vatti a far...
Floro. Son qui, ti sposo.
Lesbina. (Oh che bizzarro umor!)
Floro. (Che stil grazioso!)
La mano ti dono,
Tu dammi il tuo cor;
Ohimè, per amor
Mi sento crepar.
Non posso parlar.
Mia cara, mia bella,
Son vostro, son qua.
Vezzosa, graziosa,
Mia vita, pietà.
Che gusto sentirsi
Sì ben strapazzar,
Somaro chiamar;
È un gusto che ai stolti
Piacere non dà;
Eppure da molti
Cercando si va. (parte
SCENA IX.
Lesbina sola.
Un umor stravagante.
S’egli dice davvero e se mi sposa,
Perchè so strapazzarlo,
Sarà facile in questo il contentarlo.
Noi donne per natura
Niente, niente che siamo stuzzicate,
Diamo delle solenni strapazzate.
Quando ci salta
La mosca al naso,
Vogliamo dire,
Vogliamo far.
Grida il marito?
E noi più forte.
Alza il bastone?
Ma non fa niente;
Noi siamo l’ultime
Sempre a parlar.
Ma se il consorte
Non sa gridare,
Anche tacendo
Ci fa arrabbiare;
Abbiam piacere
Ch’ei ci risponda,
Sol per potere
Più contrastar. (parte
SCENA X.
Strada.
Floro, poi Roberto.
Vorrei e non vorrei
Scoprirmi e non scoprirmi.
Penso, risolvo, e poi torno a pentirmi.
Roberto. Principe...
Floro. Padron mio.
Roberto. Voi di Rosmira
Aspirate alle nozze?
Roberto. Rosmira è I’ idol mio.
Floro. Buon pro vi faccia.
Roberto. O cederla dovete,
O estinto per mia man voi caderete.
Floro. Pian, pian, signor Gradasso,
Ch’io non son un ranocchio da infilzare.
(Non mi voglio far stare).
Roberto. Difendetevi pur, se core avete;
Impugnate la spada. (mette mano
Floro. Che cosa vi credete?
Che io sia qualche poltrone?
Ho core, ho trippa, ho fegato e polmone.
Eccomi in guardia, a voi. (tira mano
Roberto. Rosmira amata,
Consacro questa vittima al tuo bello.
Floro. In due colpi di quarta io ti sbudello.
(si battono, e Roberto resta disarmato
Roberto. Sorte crudel.
Floro. Io sono
Più bravo di Ruggier, più fier d’Orlando.
SCENA XI.
Dorinda da uomo, con spada alla mano, e detti.
Floro. Cosa c’entrate voi?
Dorinda. La pugna terminar si dee tra noi.
Roberto. Germana, oh Dio!13
Dorinda. Vattene, e non temer della mia sorte.
Roberto. (So che il braccio di lei del mio è più forte). (parte
Dorinda. Codardo, ancora tardi?
Vieni, o ti passo il petto.
Cospettin, cospettone!
Si vedrà chi è più bravo al paragone.
(si battono, e casca di mano la spada a Floro
Floro. Piano.
Dorinda. Non v’è più tempo.
Vuò che tu estinto cada.
Floro. Vi domando la vita.
SCENA XII.
Lindora prende di terra la spada di Floro
e si pone contro Dorinda.
Floro. Oh brava!
Dorinda. Io non pavento
Teco ancora pugnar.
Lindora. Vieni al cimento.
(si battono, e Lindora ferisce Dorinda in un braccio
Dorinda. Ohimè ch’io son ferita.
Donna, vincesti, e tu ringrazia il fato, (a Floro
Che una femmina alfìn di te più forte
Per or t’abbia sottratto a giusta morte. (parte
SCENA XIII.
Floro e Lindora
Purchè libero sia da questa noia,
Che m’avesse difeso ancora il boia?)
Lindora. Signor principe, io posso
Ben chiamarmi felice,
Per esser la di lei liberatrice.
Floro. Io vi son obbligato;
Venite al principato.
Colà vi premierò;
Datemi la mia spada.
Lindora. Adagio un poco;
Pria che vi dia la spada,
Vuò che i conti facciamo tra di noi;
M’avete a confessar chi siete voi.
Floro. Oh bella! non son io
Il principe Ferrante?
Lindora. Non è vero,
Voi siete un menzognero.
Floro. E chi son io?
Lindora. Tu sei Floro, crudel, l’idolo mio.
Floro. Eh, che siete una pazza.
Datemi la mia spada.
Lindora. Indietro, indietro;
O confessate a me che Floro siete,
O vi do una stoccata, e morirete.
Floro. Ma se Floro non son...
Lindora. Chi non è Floro,
Deve dunque morir.
Floro. Pian, piano, io sono...
Lindora. Via, chi siete?
Floro. Ferrante.
Lindora. Ebben, Ferrante
Adesso morirà.
Floro. No, che son Floro.
Lindora. Dunque tu m’ingannasti,
Menzognero, birbante.
Io ti voglio ammazzar Floro o Ferrante.
Floro. Adunque in ogni guisa ho da morire?
Lindora. Devi morire, o darmi
La mano, e qui sposarmi.
Floro. Piuttosto che morir, vi sposerò.
(Fingerò di sposarla, e me n’andrò).
Lindora. Presto, dammi la mano.
Lindora. Traditor, inumano,
Così m’abbandonasti?
Floro. Ora sono tuo sposo, e ciò ti basti.
SCENA XIV.
Lesbina e detti.
Lindora. Voi qua! come ci entrate?
Lesbina. C’entro, perchè cotesto è sposo mio.
Lindora. In questo punto l’ho da sposar io.
Floro. (Ora sì che sto bene!)
Lesbina. Andiam.
Lindora. Venite.
Lesbina. Ah, se voi mi tradite,
Con questo ferro vi trapasso il core. (cava lo stile
Lindora. Se m’inganni, t’ammazzo, o traditore.
(lo minaccia con la spada
Floro. Alto, alto, che diavolo fate?
Son in mezzo a due donne arrabbiate.
Lesbina. Sua eccellenza mi deve sposare.
Lindora. Sua eccellenza sposar dovrà me.
Floro. E con meco, che son eccellenza,
Voi trattate con tanta insolenza?
Lesbina. Non vuol essere lei strapazzato?
Floro. Strapazzato, ma non ammazzato.
Lindora. Non vuol esser mio sposo diletto?
Floro. Fa passar la paura l’affetto.
Lindora. Qua la mano.
Lesbina. La mano vogl’io.
Floro. Son Ferrante.
Lindora. Sei Floro.
Lesbina. Sei mio.
Lindora. | a due | 3Ti scanno, t’ammazzo. | |
Lesbina. |
Lindora. Ma tu devi sposare me sola.
Lesbina. A me prima voi deste parola.
Floro. Aggiustatela dunque fra voi,
Che dell’una o dell’altra sarò.
Lindora. Sfacciateli, che dici, che vuoi?
Lesbina. Arditella, pretender che puoi?
Floro. | a due | Contro te vendicarmi saprò. | |
Lindora. |
Lindora. Arrogante.
Lesbina. Insolente.
Floro. Che spasso!
Lesbina. | a due | Voglio teco lo sdegno sfogar. | |
Lindora. |
(a tre Dalla rabbia mi sento crepar.
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Nelle stampe del Settecento: Volentieri.
- ↑ Fenzo: trovaremo.
- ↑ Quest’arietta così si legge nella sc. 11 del I atto dell’Artaserse (1730) di Pietro Metastasio: Deh respirar lasciatemi — Qualche momento in pace! I — Capace — Di risolvere — La mia ragion non è- — Mi trovo in un istante — Giudice, amico, amante, — E delinquente, e re ". Fu soppressa nell’ed. Zatta.
- ↑ Quest’arietta, soppressa nell’ed. Zatta, è di Pietro Metastasio, nell’atto II. scena 4, dell’Alessandro nell’Indie (1729). Ma il M. dice: Sognava il suo pensiero — Forse le amiche sponde; — Ma si trovò fra l’onde ecc. Il testo goldoniano non è chiaro.
- ↑ Così l’ed. Fenzo e le varie ristampe. Nell’ed. Zatta è stampato: Va in traccia di Ferrante; ei la tua vita ecc.
- ↑ Quest’arietta, ch’è pure nell’ed. Zatta, così si legge nell’atto III, sc. 12, dell’Ezio (1728) di Pietro Metastasio: "Ah, non son io che parlo, — È il barbaro dolore — Che mi divide il core, — Che delirar mi fa. - Non cura il Ciel tiranno — L’affanno — In cui mi vedo: — Un fulmine gli chiedo, — E un fulmine non ha ha".
- ↑ Così nel testo.
- ↑ Zatta: di sè.
- ↑ Segue nelle edd. Fenzo, Tevernin ecc. quest’arietta soppressa nell’ed. Zatta: Ma bel sì vezzosette — Mon coure ah regardé. — Da quelle pupillette — Meschin toutt’è broullè (sic). — Vou chiede, Lesbinette, — Les vostre charité (sic) — Quest’alma langhìssà”.
- ↑ Nel testo: ancor.
- ↑ Forma dialettale, volgare.
- ↑ Come sopra.
- ↑ Nell’ed. Zatta fu aggiunto: tu qui?