Il fanciullo nascosto/Quello che è stato è stato

Quello che è stato è stato

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Dramma La potenza malefica

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Quello che è stato è stato.

Sebbene avesse fermamente promesso a sè stessa di non commuoversi, appena entrata nella casa che non era più della nonna e quindi neppure più sua, ma dove la nonna viveva ancora, o per dir meglio moriva, la grande e forte Caterina si sbiancò nel viso che una volontaria durezza rendeva più puro e più fermo ma, come quello dei bambini imbronciati, anche un po’ comico.

L’atrio era deserto, attraversato dalla corrente dell’aria fresca di febbraio e dalla musica di un organino che suonava un ballabile in una casa di faccia.

In fondo ella rivide la porta socchiusa sull’orto pietroso sopra la valle e le sembrò che il vento lieve, entrando di laggiù, le venisse incontro a salutarla in assenza dei nuo[p. 192 modifica]vi padroni; allora per scrupolo si affacciò alla cucina deserta, pensò che certo i suoi cugini in secondo grado, ai quali era stata venduta la casa, erano su nella camera della nonna malata, e con pochi salti, agile non ostante l’intontimento del lungo viaggio, fu su per la ripida scaletta di pietra tutta ad una rampa illuminata da un finestrino tondo in alto: la ripida scaletta che conosceva bene i suoi piedini nudi e le sue manine di bimba, come i graniti del monte lassù davanti al finestrino conoscono le zampette delle cerbiatte.

Arrivata sul pianerottolo freddo e luminoso, eccoti di nuovo, sempre a dispetto della promessa di non commuoversi, un’ombra bianca sul viso e anche un po’ di battito di cuore, — certo a causa della ripida scaletta.

Mentre deponeva la piccola valigia per terra si rivide arrampicata alla parete, coi piedini scalzi penduli in qua e la testa scarmigliata pendula in là fuori del finestrino sopra la valle rocciosa, dentro la quale il monte pareva avesse versato tutte le sue pietre per restarsene libero e verde come un solo cespuglio, sul cielo roseo; ma sollevandosi si accorse [p. 193 modifica]che adesso la sua testa sorpassava il finestrino e che bisognava chinarsi per rivedere il monte alla propria altezza.

Eppure doveva crescere ancora: aveva diciannove anni e ancora doveva, oltre che crescere, studiare per prendere la patente della Scuola di Magistero; passò dunque senza commuoversi: se era già più alta dei suoi professori perchè non poteva essere più alta delle sue montagne? Del resto la sua statura le dava noia, la costringeva a spendere il doppio per i vestiti, a pensare che non avrebbe mai potuto sposare un uomo basso, fosse pure un grand’uomo; a chinarsi per ascoltare i segreti delle sue compagne piccole: e così dovette addirittura inginocchiarsi per essere con la testa al pari della testa della nonna coricata su un letto basso profondo.

Nel riconoscerla, la vecchia nonna malata aveva spalancato gli occhi grandi neri cerchiati di luce come gli occhi della rondine: il viso rosso di febbre parve gonfiarsi di sangue, per un senso quasi di terrore; poi tornò bianco, vuoto, tremulo fra le treccioline dei capelli grigi.

— Nonna, nonna, nonna mia! Mi sem[p. 194 modifica]brate la nonna di cappuccetto rosso che ha paura del lupo!

Infatti la nonna continuava a guardarla, grigia e spaurita come un uccello malato, sprofondata nel suo gran letto che aveva odore di piume vecchie, di nido guasto.

— Sono io, nonna. Sono la vostra Caterina: mi avete voluto, eccomi qui. Ma perchè vi siete ammalata, poi? Non dovevate ammalarvi.

Le aveva preso la testa calda fra le mani e pareva le rimproverasse davvero di essersi ammalata, lei sempre così tenace e sana; e la nonna non rispondeva, ma la guardava e le palpava la mano per convincersi ch’era proprio lì la sua grande Caterina, la sua Caterina così grande che con la sua figura riempiva tutto il mondo.

— Sei venuta! — disse finalmente, sottovoce. — Che viaggio, eh? Freddo?

E la sua mano palpava adesso il cappotto rosso di Caterina; ne rivoltò un poco la falda orlata di pelo di volpe, vide ch’era foderato di lana e parve contenta. Poi i suoi occhi risalirono al collo nudo di Caterina, il collo bianco fermo come una colonna [p. 195 modifica] di marmo, ai capelli folti sulle orecchie nascoste, al berretto di velluto ornato d’una rosellina di cuoio giallo, e sospirò di sollievo: era lì, dunque, Caterina, grande e viva, e riempiva il vuoto spaventoso fra la vita e la morte.

— Sognavo proprio ch’eri arrivata, Nina; ma c’erano dei mascheroni, giù, che ti portavano al ballo. Dunque, adesso possiamo andare: è che volevo consegnarti una cosa....

— Il tesoro, nonna? Il testamento?

Ma la vecchietta s’era fatta triste; le riprese la mano e se la portò al seno; e su quel piccolo petto incavato si sentiva infatti qualche cosa di duro, una busta con dentro delle carte.

— Levati il cappello, Nina, e mettiti a sedere: devo dirti una cosa....

— Lasciatemi così, nonna, si sta bene così. Dite.... dite....

Si tolse il berretto e abbassò ancor più la testa; e sul guanciale i suoi capelli neri si confusero con quelli grigi della nonna, come intorno a loro, nella bassa camera silenziosa, nella casa ove parevano tornate padrone loro due sole, si confondevano le om[p. 196 modifica]bre e le luci del crepuscolo, il dolore del passato e la speranza dell’avvenire.

— Sì, — diceva sottovoce la nonna, — ci sono anche i denari della casa: ti basteranno, perchè tu sei brava: ho pagato tutto, Nina; ma adesso devo dirti un’altra cosa. Certe cose le sai e le ricordi, certe altre no: Nina, tu non ricordi che avevi due anni quando morì tuo padre; e tua madre aveva la tua età di adesso: sì, diciannove anni compiuti. Tuo padre non era cattivo; solo, gridava, quando aveva bevuto, e la povera Maria Marta si spaventava, perchè era piccola e debole. E quando lui se ne andò, ci sembrò di essere più piccole e deboli; come due rondini sperdute. Aveva fatto molti debiti, tuo padre, e si dovette pagarli. Così, veniva su a farci visita Battista Oppos, che era stato suo amico, e ci faceva un po’ di compagnia. Allora era povero, Battista Oppos, il suo negozio era piccolo; poi il suo negozio si ingrandì ed egli cominciò ad arricchire.... perchè era un uomo di coraggio, Battista Oppos, e tutti dicono che è anche un uomo di coscienza, e tutti gli facevano credito: ma quando cominciò ad arricchirsi non [p. 197 modifica] venne più da noi; sposò quella che ha, ricca pure lei.... Tua madre invece era povera, Nina mia, e anche debole di salute, eppoi c’eri tu; non fa piacere a un negoziante che deve ingrandire i suoi affari sposare una vedova con famiglia. Pazienza se è ricca; ma tua madre era povera. Così egli ne sposò un’altra e tua madre si ammalò del dolore: ma non si lamentava, lei; era abituata a soffrire fin dai tempi di suo marito, di tuo padre.... Tuo padre era ubbriacone, è vero, ma anche onesto; quello che faceva faceva e quando gridava apriva la porta e la finestra perchè tutti lo sentissero. Battista Oppos è altra cosa; è uomo che vuole la sua fama; per questo quando tua madre si ammalò molto, egli venne su ancora a farci visita, di notte però, perchè sua moglie era gelosa. E si metteva davanti al letto della povera Maria Marta e le prendeva la mano. Una notte che venni su in camera per metterti a letto, lo sentii che sospirava e diceva a tua madre: «il mondo va così, non possiamo mai fare quello che vogliamo». Poi stette zitto, poi sospirò di nuovo e riprese: «bisognerebbe che tu, Marta, mi restituissi quelle lettere che ti [p. 198 modifica] scrivevo un tempo. Cosa vuoi farne adesso? Quello che è stato è stato».

— Capisci, Nina, — continuò la nonna dopo un momento di silenzio mentre la fanciulla, col viso sul guanciale pareva si fosse addormentata. — Egli veniva perchè voleva le lettere che le aveva scritto un tempo. Le lettere le avevo io: Marta me le aveva consegnate perchè le restituissi a lui quando lei fosse morta. E così gli disse: «le lettere le ha mia madre; bisogna chiederle a lei». E mi chiamò e anche lei ripetè: «dategli le sue lettere; quello che è stato è stato». Capisci, Nina: a lei bastava che egli venisse, qualche volta, e le stringesse la mano. Ma a me non Bastava, Nina; non bastava, Nina mia; e così lo accompagnai giù e gli dissi: «io non le ho lette, perchè non so leggere, ma finchè lei è viva, non te le restituisco, ed io sono donna da tenere la parola». Lo fissavo, così dicendo, ma egli non è uomo da arrossire. Sulle prime mi prendeva con le buone. «Datemi le lettere — diceva a bassa voce — quello che è stato è stato: provvederò alla malattia di Marta, pagherò i vostri debiti, farò studiare da maestra la bambina». Le [p. 199 modifica] sue promesse, Nina, mi facevano male; mi sembravano i canti degli ubbriachi nella strada; ma sopportavo tutto purchè egli venisse qualche volta a stringere la mano alla povera Maria Marta. Visto che non otteneva le lettere, egli non tornò più: tua madre morì chiamandolo, ma lui quel giorno era a tenere a battesimo il figlio del Sindaco, intendi, del Sindaco, con sua moglie vestita di seta, e buttava i denari ai poveri e ai ragazzi, nella strada, come si usa, e tutti gli baciavano la mano e sua moglie piangeva per la gioia di avere un marito così generoso e così amato dalla popolazione. Così almeno mi hanno raccontato. Tornò, poi, Nina. S’intende che tornò per domandarmi ancora le lettere: «ecco una cambiale — mi disse —; potrete pagare i vostri debiti e il medico, e mandare Caterina a studiare: quello che è stato è stato, datemi le lettere secondo la vostra promessa». Io lo guardavo e tacevo; eravamo giù nell’atrio. Egli era serio, perchè è un uomo serio e non grida mai. Chiuse la porta e mi disse sospirando: «può darsi che io abbia fatto male: avevo molti torti verso la povera Marta, ma non sempre l’uomo può fare quel[p. 200 modifica]lo che vuole; datemi le lettere». Allora io parlai chiaro: «tu puoi uccidermi, Battista Oppos, come hai ucciso la povera Marta, ma le lettere non le avrai; serviranno a mostrare ai tuoi figli, ai tuoi amici, ai tuoi compari, che uomo onesto eri tu». Allora egli mi prese per la gola, mi buttò per terra; ma in quel momento si sentì la tua voce dietro la porta dell’orto ed egli scappò. Dopo ho procurato sempre di non star mai sola: avevo paura, e anche la scorsa estate, prima che tu venissi per le vacanze, qualcuno tentò di buttare la porta, una notte: era certamente lui o qualcuno mandato da lui. Per questo ho venduto la casa, per non star sola: per questo, poco fa mi sono spaventata nel sentire i tuoi passi forti.... Ma eri tu, Nina: ecco le lettere; prendile.

Caterina sollevò il viso un po’ rosso e intontito; le pareva di aver dormito molto tempo, ancora in viaggio, sognando brutte cose. Prese la busta calda, che aveva odore di carne, di malattia, diventata carne stessa, male stesso della vecchia nonna, e la mise nella tasca del suo cappotto; poi si alzò e accese il lume. La nonna era tranquilla, e dalla pro[p. 201 modifica]fondità del suo letto la guardava coi suoi occhi di rondine tutti aperti e neri; pareva si fosse liberata di un peso e stesse lì, nel suo vecchio nido, aspettando l’alba per emigrare....

*

Più tardi Caterina stava accanto al camino acceso, nella cucina solitaria. I parenti, un cugino grasso e una cugina grassa, anziani e celibi tutti e due, tutti e due religiosi e scrupolosi, erano rientrati dalla predica dell’ultimo giorno di carnevale, preceduti di qualche minuto dalla serva allegra e idiota, — ma non tanto, — che profittando della loro assenza era invece andata a ballare in una casa vicina.

— Ho veduto passare una cosa lunga vestita di rosso; mi sembrava una maschera, — aveva detto la serva a Caterina, baciandola forte. — Tu non dirai ai padroni che non c’ero; e poi stanotte mi darai questo cappotto rosso per andare al ballo.

Caterina era generosa: non disse nulla ai parenti, ma il suo cappotto rosso non lo ave[p. 202 modifica]va dato, no, alla serva: lo indossava ancora, a quell’ora tarda di notte, seduta accanto al fuoco. Ogni tanto si chinava a guardare sull’anta del camino una scala di linee, e dei numeri, delle date, dei graffiti, già disegnati da lei. Sullo scorcio della sua guancia di quindici anni una data era più profondamente incisa delle altre. Che era accaduto in quel giorno? Ella non lo ricorda; non vuole ricordarlo neppure; anzi non vuole neppure più chinarsi per guardare quelle sciocchezze infantili; tutto il passato nostro non è che infanzia, davanti al presente; ella non vuole più chinarsi, per non tornare bambina, e si solleva dunque, dritta sulla schiena, appoggiata forte al seggiolino ch’è stato della nonna: e pensa che bisogna anche concludere la faccenda delle lettere. Non vuole certo tenersele in tasca tutta la vita, lei, come la nonna: le pesano già tanto, la tirano a destra, come un peso grande, la tirano a sinistra, a misura che le cambia da una saccoccia all’altra.

Del resto, neppure per un attimo aveva esitato nella decisione di restituirle a Battista Oppos: la madre aveva promesso di restituirle, e la nonna non contava nulla in [p. 203 modifica] tutta quella storia; la nonna non poteva capire che un uomo non ha più nessun obbligo verso la donna ch’egli non ama più: la donna può anche morirne, che importa? anzi è bello che essa muoia d’amore; non c’è destino più bello per una donna.

Però.... giusto perchè tutto nella vita ha un valore relativo, ella pensa che può anche leggere le lettere, prima di restituirle; e poi tutto serve di studio, di nutrimento alla nostra esperienza e alla nostra forza. D’altronde bisognava anche cambiare la busta: quella era un po’ marcia, imbevuta del sudore e delle lagrime della nonna, e se la sentiva appiccicare alle dita, dentro la saccoccia, come la pelle morta d’un corpo bruciacchiato. Trasse dunque il pacchetto e strappò la busta, piano piano, a brandelli, come la pelle morta di un corpo bruciacchiato: e le lettere ne vennero fuori, — e parvero davvero scorticate, sanguinanti, scritte com’erano con inchiostro rosso su carta azzurrognola. Non erano molte: sette di cui una sola lunga; le altre sempre più brevi.

Caterina cominciò dall’ultima; poi lesse la prima: il segreto era il solito segreto d’amo[p. 204 modifica]re, eterno, monotono. Vi si parlava però di un grande ostacolo: Caterina sollevò il viso, si morsicò il labbro inferiore e parve ascoltare un rumore lontano; poi scosse i fogli come per farne cadere qualche cosa nascosta, e cercò le date. Ne trovò una sola, in fondo alla lettera più lunga: ed era di venti anni prima.

Allora rimise le lettere nella saccoccia sinistra, poi le cambiò in quella destra; e vi tenne dentro la mano che tremava.

Così stette un bel poco, dritta con la schiena sul seggiolino ch’era stato della nonna. Il sangue le batteva dentro, nel corpo vigoroso, come ribollisse al calore del fuoco, poi a poco a poco il sangue riprese il suo corso tranquillo; al collo che s’era fatto gonfio e rosso ritornò il candore e la fermezza del marmo; la mano entro la saccoccia cessò di tremare, riafferrò i fogli, li strinse forte, infine li trasse e li buttò sul fuoco.