Il cavaliere di buon gusto/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Gabinetto del conte Ottavio con libreria1.
Il Conte Ottavio, Brighella, poi il Cameriere.
Ottavio. Fate preparare nella camera verde.
Brighella. Illustrissimo sì.
Ottavio. IL cuoco vi ha egli dato la nota de’ piatti, che ha destinato per questa mattina?
Brighella. Illustrissimo no, nol me l’ha dada.
Ottavio. Sappiate, per vostra regola, che io costumo così. Voglio che il cuoco dia la nota de’ piatti2 coll’ordine e distribuzione loro al maestro di casa, il quale ricercato da me opportunamente, può rendermene conto, s’io voglio. In questa maniera non mi può succedere, che un giorno il cuoco per malinconia mi faccia restare in vergogna con un pranzo cattivo.
Brighella. E1 cogo farà, spero, quel che ghe ordenerò mi.3
Ottavio. Per questa mattina voglio vedere io la lista de’ piatti.
Brighella. Se la comanda, anderò a farmela dar.
Ottavio. Sì, andate, ma fate che venga il cuoco.
Brighella. La sarà servida. (Bisognerà veder, se sto sior cogo vorrà vegnir. L’è un sior francese, che la ghe fuma). (da sè, parte)
Ottavio. Chi è di là?
Cameriere4. Illustrissimo.
Ottavio. Il segretario. (il cameriere va alla porta, a ordinare che venga il segretario)
Cameriere. La signora marchesina Rosaura e la signora donna Eleonora ringraziano vossustrissima...
Ottavio. Le ho vedute. Non occorr’altro. Andate a casa della baronessa Clarice da parte mia e di mia cognata, e ditele che la preghiamo di favorire a pranzo questa mattina da noi.
Cameriere. Illustrissimo sì.
Ottavio. Ditele che se vi è suo fratello e suo cognato in città, o ha qualche forestiere in casa, venga con tutta la compagnia.
Cameriere. Sarà obbedita. (parte)
Ottavio. Vo’ far onore all’arrivo di mio nipote. Ma ancor non fa grazia questo signor nipote.
SCENA II5.
Il Segretario e detto; poi il Cameriere, che parte e viene più volte.
Segretario. Eccomi a’ suoi comandi.
Ottavio. Scrivete.
Segretario. Obbedisco. (siede e scrive)
Ottavio. Madama. (detta) Sempre care mi sono le vostre lettere, ma più d’ogni altra cara mi riuscì quella de’ 10 corrente, perchè dandomi voi in essa un comando, mi avete assicurato che fate qualche conto della mia servitù. Senz’altro voi sarete obbedita. Alle tenere espressioni vostre corrispondo col più sensibile aggradimento. Dieci anni sono, mi avrebbero fatto prender le poste per esser a portata d’udirle più da vicino; ma se verrete a Napoli, come mi lusingate di voler fare, i vostri begli occhi mi daranno il vigore della più fervida età, e stupirete voi stessa de’ prodigi della vostra bellezza. Conservatemi quella porzione di grazia, che avete sagrificata per me; mentre fra il numero de’ vostri adoratori io mi vanto di essere con perfetta sincerità.
Madama
Vostro leale amico e serv. obbligatiss. |
(si sottoscrive)
Piegate la lettera. A Madame-Madame la Comtesse Belvisi.
A Rome.
Cameriere7. Illustrissimo, vi è il medico che vorrebbe riverirla.
Ottavio. Dite al signor dottore, che resterà a pranzo con noi. Fatelo passare nell’altre stanze. (cameriere parte) Il medico lo vedo più volentieri quando son sano, che quando sono ammalato.
Segretario. Perchè, illustrissimo signore?
Ottavio. Perchè quando son sano, lo ricevo come un amico, e quando sono ammalato, lo considero come un nemico.
Segretario. Il signor dottore ha tutta la premura per la salute di V. S. illustrissima.
Ottavio. Non posso credere che mi desideri sano, poichè egli ricava più profitto dalle mie malattie che dalla mia salute. Avete fatte le tre lettere che vi ho ordinato?
Segretario. L’ho servita.
Ottavio. Lasciatemele vedere.
Segretario. Eccole.
Ottavio. (Legge piano.)
Segretario. (Il mio padrone è adorabile, ma sa troppo, e mi pone nello scrivere in una gran soggezione). (da sè)
Ottavio. Più laconico, più laconico. (leggendo)
Segretario. (Dir tutto in poco, non è così facile).
Ottavio. Questi superlativi sono caricature, (legge) Oibò, queste parole affettate non voglio che si usino. Scrivete in buon italiano, senza cercar lo stile cruschevole.8
Cameriere9. Illustrissimo, è il conte Lelio.
Ottavio. Ditegli che è arrivato mio nipote, che oggi resterà a pranzo con noi. Se si vuol trattenere, conducetelo nella galleria. (cameriere parte) Segretario, questi termini di tanta umiliazione lasciateli da parte. (leggendo)
Segretario. Sono i termini dei quali si serve ella10 parlando.
Ottavio. Parlando è un conto, scrivendo è un altro. Verba volant, scripta manent. Regolatevi. Questa lettera la rifaremo insieme.
Segretario. Perdoni, illustrissimo signore.
Ottavio. Sì, vi compatisco. Con un poco di tempo mi servirete mirabilmente.
Cameriere11. Illustrissimo, la baronessa Clarice.
Ottavio. Oh brava! Fate l’ambasciata alla Contessa mia cognata. Pregatela dispensarmi per ora, sarò a chiederle scusa, (cameriere vuol partire) Dite alla contessa Beatrice, che vi mando io: se non la riceve, avvisatemi. (cameriere parte) Caro segretario, a un gentiluomo di provincia date del padron colendissimo? (leggendo)
Segretario. Cogli altri cavalieri ho costumato così.
Ottavio. Alla francese, alla francese12. Monsieur.
Cameriere13. Il signor Pantalone de’ Bisognosi. (al Conte)
Ottavio. Vi son altri in anticamera?
Cameriere. Vi è il sarto e il tapezziere.
Ottavio. Mandateli dal maestro di casa. Il signor Pantalone fatelo passare per l’altro appartamento, e introducetelo per di qua.
Cameriere. Sarà obbedita.
Ottavio. La Contessa ha ricevuta la Baronessa?
Cameriere. L’ha ricevuta coi denti stretti. (parte)
Ottavio. Già non allarga i denti, se non quando dice male del prossimo. Segretario, rifate la prima lettera, e poi questa sera ci rivedremo.
Segretario. E a quest’altra, Monsieur?
Ottavio. Sì, poche cerimonie.
Segretario. E a questa dama?
Ottavio. Qualche vezzo, qualche parola brillante.
Segretario. Non so se vi riuscirò.
Ottavio. Avete mai fatto all’amore?
Segretario. Illustrissimo no.
Ottavio. Sarete sempre di poco spirito.
Segretario. Io dubito, se m’innamorassi, che diventerei peggio.
Ottavio. Altro è innamorarsi, altro è far all’amore.
Segretario. Perdoni, non rilevo questa differenza.
Ottavio. Nè io vi voglio fare il maestro.14
Segretario. (In verità, che da un tal padrone vi è da imparar qualche cosa). (da sè, parte)
Ottavio. Il mio segretario non è tagliato sul gusto del gran mondo; ma non importa, pel mio servizio è meglio così.
SCENA III15.
Pantalone per un’altra porta, e detto.
Pantalone. Servitor de vussustrissima.
Ottavio. Buon giorno, signor Pantalone.
Pantalone. I m’ha fatto vegnir per la porta da drio 16.
Ottavio. Vi dirò; siccome ho ricusato ricevere altre persone, voglio evitare di essere criticato, preferendo agli altri la vostra persona.
Pantalone. Son vegnù a avvisarla, che me xe capitaà un bon negozio.
Ottavio. Fatelo; non avete bisogno di dirlo a me.
Pantalone. Ma se tratta de una compra de diesemille ducati; ho piaser che la lo sappia.
Ottavio. Per dir vero, è un colpo grosso. Avete il contante?
Pantalone. Ghe n’ho anca de più.
Ottavio. Che cosa si tratta di comprare?
Pantalone. Diamanti e perle.
Ottavio. Chi è il venditore?
Pantalone. Un Persian.
Ottavio. Buono; porta roba del suo paese; sarà venditore di prima mano.
Pantalone. Certissimo; l’è de prima man.
Ottavio. La roba è stata veduta da altri?
Pantalone. L’è arrivà sta mattina, e mi son sta el primo a vederla.
Ottavio. I diamanti sono di grandezza estraordinaria?
Pantalone. Tutti mezzani.
Ottavio. Si esiteranno più facilmente. Le perle rotonde, bianche, uguali?
Pantalone. Perfettissime.
Ottavio. Vi par buon negozio?
Pantalone. Da vadagnar el doppio.
Ottavio. Andate subito a stabilire il contratto.
Pantalone. Penseremo po a esitarle.
Ottavio. Le perle si esiteranno per la Romagna. I diamanti si manderanno a Venezia; ma prima sceglietemi una quadriglia di tre o quattrocento scudi17.
Pantalone. Per far qualche regaietto?
Ottavio. La voglio donare a mio nipote.
Pantalone. Credeva a qualche morosa.
Ottavio. Oh, in materia di regalar donne, io non l’intendo. Parole quante ne vogliono; riverenze, inchini, barzellette, protezione, qualche pranzo, qualche festa di ballo, va bene; ma regali non me ne cavano dalle mani. Se prendono amore alla mia roba, perdono l’amore a me. Se mi amano per interesse, non mi amano per affetto. Se non mi amano per affetto, che cosa ho da fare del loro amore? Una donna che mi fa buona cera per un anello, la metto del pari con quella che mi farebbe lo stesso per quattro paoli.
Pantalone. Bravo, me piase el so modo de pensar. A mi, co giera zovene, le me ne ha magnà assae.
Ottavio. E adesso che siete vecchio, come vi contenete?
Pantalone. Adesso che son vecchio, son seguro che le me burla, e pur me piase d’esser burlà. Se me vardo in specchio, vedo che son arso e ingrespà, e pur quando una donna me dise che paro zovene, ghe credo, e la me dà gusto, e procuro recompensar con qualche regaietto la burla che la me dà. L’omo xe amante de se stesso, ghe piase sentirse adular, e facilmente se crede quello che se desidera. Me par che el mio spirito sia l’istesso de za trenta anni. No posso dir cussì delle forze. Ma siccome regolo i mii desideri a misura della mia età, cussì no me par de aver descapità, perchè no me vôi recordar le campagne della zoventù. No fazzo però che el devertimento me roba el tempo ai negozi. E che sia la verità, lasso in sto momento la più bella conversazion del mondo, per andar a con cluder el negozio col mercante persian; dopo18 tornerò da ela, e ghe vôi contar quanto ho navegà in tel mar de Cupido, quante borrasche ho passà, in quanti scoggi ho urtà, quante poche volte ho chiappà porto; e quante volte, credendo de navegar con un bon bastimento, ho fatto naufragio, e ho squasi perso el timon. (parte)
Ottavio. Che vecchietto lepido e grazioso! Con queste persone di spirito tratto assai volentieri. Ciò non ostante io penso diversamente da lui, poichè egli narra essere stato dalle donne burlato, ed io fo professione di burlarmi di loro 19.
SCENA IV20.
Il contino Florindo e detto.
Florindo. M’inchino al signor zio.
Ottavio. Benvenuto il mio caro nipote. Avete fatto buon viaggio?
Florindo. Buonissimo.
Ottavio. Mi hanno detto che siete di poche parole; è egli vero?21
Florindo. Parlo poco per timor di parlar male22.
Ottavio. Questa è una massima di collegio; è salvatico chi fa carestia di parole; e chi parla molto, vien preso per uomo di spirito.
Florindo. Signore, mi hanno insegnato a distinguere gli uomini di spirito da quelli di giudizio; ed ho appreso che gli uomini di spirito parlano molto, e parlano a caso, e gli uomini di giudizio parlano poco, e parlano bene.
Ottavio. La distinzione è verissima; le massime non possono essere migliori. Ma se voi volete passare per un uomo di giudizio, farete la conversazione da voi solo, mentre durerete fatica a ritrovare compagni. Per uno che abbia da esigere venerazione23, per uno che voglia far il mestiere della serietà, va benissimo l’ostentazione del poco e bene; ma per un giovane ricco, come siete voi, che ha da vivere nel gran mondo, è necessaria un poco di scioltezza di lingua24. Chi parla molto, col tempo impara a parlar bene. Chi poco parla, sempre dubita di parlar male.
Florindo. Signore, mi lascerò regolare dalla vostra prudenza.
Ottavio. Se foste un ignorante, vorrei che taceste eternamente; ma so che avete studiato, e che di voi i maestri25 si contentavano.
Florindo. Ho procurato di non perdere il tempo.
Ottavio. Avete studiata bene la filosofia?
Florindo. Ho fatto di quella l’intiero corso.
Ottavio. Ma avete studiata la filosofia degli uomini?
Florindo. Ho studiata quella che chiamasi peripatetica.
Ottavio. Filosofia da ragazzi. Quella degli uomini ve l’insegnerò io. Buon discernimento delle cose umane. Conoscer bene i caratteri delle persone. Argomentare sugli accidenti che accadono. Amare, e procurare di esser amato... Eh! m’intendo dell’amor di amicizia; non crediate ch’io vi voglia insinuare quello di che vi dovrei correggere. Benchè per altro, senza far torto alle massime rigorose che vi saranno state insinuate, posso parlarvi di un’altra specie d’amore. Contino mio, già saprete ch’io vi ho preparata una sposa26. Che? Diventate rosso? Oh che buon ragazzo! Ma perchè arrossire? In verità, mi vien voglia di filosofare sul vostro rossore. L’alterazione de’ colori del vostro viso proviene certamente da un estraordinario movimento del cuore, che al pronunciar delle mie parole si è scosso, e ha dato un moto più vigoroso al sangue, il quale è comparso in maggior copia sul viso. Se il cuore si è scosso alle mie parole, e le ha intese a tal segno, ha tutta la malizia che vi vuol per intenderle. Dunque, nipote mio, nell’atto medesimo che arrossite per simulata modestia, arguisco che siete ben provveduto dell’umana malizia.
Florindo. Signore zio, voi mi mortificate.
Ottavio. Poverino! È una gran mortificazione in vero balzar dal collegio al talamo nuziale. Quando vedrete la sposa, vi scorderete di tutta la scolastica filosofia. Per bacco! Vedrete che giovinotta di garbo! Ah! ridete eh? Signore innocentino, ridete eh? Gran madre natura! Ella insegna le più belle cose del mondo.
Florindo. Se mi vedete taciturno e confuso, è ancora perchè mia madre mi ha imbarazzato la mente in una quantità di fastidiosissime cose.
Ottavio. Che vi ha ella detto? Che la sposa l’ho ritrovata io, ch’ella non acconsente, ch’ella non la crede degna di voi? Vi ha detto questo?
Florindo. Questo e altro che importa di più.
Ottavio. Vi ha ella detto ch’io dilapido il vostro patrimonio? Ch’io spendo più di quel che permettono le nostre entrate? Ch’io rovino la casa?
Florindo. Signore...
Ottavio. Ditemelo liberamente. Vi ha detto ella così?
Florindo. Non posso negarlo.
Ottavio. Nipote, sapete fare i conti? Avete studiato niente di abaco27?
Florindo. Ne so quanto mi può bastare.
Ottavio. In due ore di tempo vi farò toccar con mano, che dopo la morte di mio fratello ho pagati seimila ducati di debiti, ed ho migliorato tutti i nostri effetti.
Florindo. Se così è, sono consolatissimo.
Ottavio. Lo toccherete con mano.
Florindo. Mia madre perchè dice questo?
Ottavio. Perchè è donna.
Florindo. Come, perchè è donna?
Ottavio. Se foste stato in un collegio di donne, e non di uomini, avreste appreso che le donne per lo più pensano sempre al male; giudicano a seconda di quel che pensano, e vogliono effettivamente che sia tutto quello che hanno pensato. Contino mio, lo proverete.
Florindo. Voi mi fate passare la volontà di ammogliarmi.
Ottavio. Oh, se tutti dicessero così, povero mondo!
Florindo. Voi però non vi siete ammogliato.
Ottavio. E non mi ammoglierò.
Florindo. E volete fare questo regalo a me?
Ottavio. L’avete a fare per conservar la famiglia.
Florindo. Perchè non potreste conservarla voi?
Ottavio. Orsù, andiamo subito a far una visita alla Marchesina vostra sposa, che sta qui vicina di casa. Se vi va a genio, prendetela; se no, a dirvela poi, non me n’importa. Circa alla casa, io penso a me, voi pensate a voi. Ognuno pensa per sè. V’è chi si dispera per non aver eredi, v’è chi dice: morto io, morto il mondo. Io sono uno di questi. Andiamo dalla Marchesina. (parte)
Florindo. Che stravaganza! Passar dalla serietà del collegio al brio del gran mondo! Che vario modo di pensare hanno gli uomini! Mio zio28 in un quarto d’ora mi ha fatto dieci diverse proposizioni, ognuna delle quali mi sarebbe costata in altro tempo un anno di applicazione. Orsù, andiamo a veder la sposa. Questo per ora è il più bello studio, a cui mi possa applicare. (parte)
SCENA V29.
Camera in casa di donna Eleonora.
Donna Eleonora e la Marchesina Rosaura.
Eleonora. Signora nipote, se farete così, non vi condurrò in nessun luogo.
Rosaura. Io non vi ho pregato di farlo.
Eleonora. Parlate cogli uomini con un poco troppo di libertà. Anossisco per causa vostra.
Rosaura. Voi mi avete più volte detto, che mi vorreste più disinvolta, che vi vergognate a condurmi nelle conversazioni a far la figura della marmotta. Mi avete insegnato dei concetti spiritosi e brillanti, ed ora per aver unicamente risposto con civiltà al conte Ottavio, mi riprendete?
Eleonora. Bisogna distinguere le occasioni.
Rosaura. Sì, è vero, bisogna distinguere le occasioni. La nipote non ha da parlare, quando la signora zia fa le grazie.
Eleonora. Voi siete un’impertinente.
Rosaura. Mia madre non me l’ha mai detto, e la signora zia potrebbe risparmiare di dirmelo.
Eleonora. Gran pazzia ho fatto a prendermi la briga di custodirvi.
Rosaura. Prego il cielo di liberarvi presto da questo fastidio.
Eleonora. Eh, già spasimate per volontà di maritarvi.
Rosaura. Non so da voi a me chi spasimi più.
Eleonora. S’io avessi voluto maritarmi, non sarei stata tre giorni vedova.
Rosaura. Ma se il conte Ottavio volesse...
Eleonora. Il conte Ottavio lo nominate molto spesso, vi è restato molto impresso nella memoria.
Rosaura. Ogni volta che vedo voi, mi ricordo del conte Ottavio.
Eleonora. Come sarebbe a dire?
Rosaura. Zitto, che viene il servitore.
Eleonora. (Insolente!) (da sè)
SCENA VI30.
Il Servitore e dette.
Servitore. Illustrissime. Il conte Ottavio vorrebbe riverirle.
Eleonora. | Il conte Ottavio? (tutte due in una volta) | |
Rosaura. |
Eleonora. Ih, ih, signora nipote, siete sulle furie.
Rosaura. Siete venuta molto rossa, signora zia.
Eleonora. Passi, è padrone.
Servitore. Vi è con esso lui il signor Contino suo nipote.
Eleonora. Suo nipote? È venuto?
Rosaura. È venuto il Contino? (freddamente)
Servitore. Che passino.
Eleonora. Sì, sì, passino. (Questa visita non è per me). (servitore parte)
Rosaura. (La visita del nipote guasta quella del zio). (da sè)
Eleonora. Mi rallegro con lei, signora sposa.
Rosaura. Ed io con lei.
Eleonora. Il signor Contino verrà ad offerirle la mano.
Rosaura. E il signor Conte verrà a lei a offerire il cuore.
Eleonora. Se ciò fosse, avreste invidia?
Rosaura. Quando avrò veduto il Contino, ve lo saprò dire.
SCENA VII31.
Il Conte Ottavio, Florindo. Servitore accomoda le sedie,
e poi va, e torna; e dette.
Ottavio. Servitore umilissimo di queste dame. Ecco qui il Contino mio nipote, il quale arrivato due ore sono in Napoli, non ha voluto preterire un momento ad esercitar seco loro gli atti del suo rispettoso dovere.
Eleonora. Il signor Contino è gentile, quanto manieroso ed obbligante è il Conte suo zio.
Florindo. Fortunati posso chiamare i primi momenti del mio arrivo a questa città, poichè ho il vantaggio di conoscere e di riverire due dame di tanto merito.
Eleonora. Signore, voi abbondate di gentilezza.
Rosaura. Le generose vostre espressioni tanto più mi confondono, quanto meno son certa di meritarle.
Eleonora. (Che vi pare? Vi dà nel genio?) (a Rosaura)
Rosaura. (Ha qualche cosa del zio, ma poco). (a Eleonora)
Eleonora. (Anche a lei piace più il zio del nipote). (da sè; siedono)
Ottavio. Che dite, signor nipotino, di queste due belle dame?
Florindo. Sono entrambe adorabili.
Eleonora. Ella mi burla. (con vezzo)
Rosaura. (Si vede che è ragazzo, non distingue l’una dall’altra). (da sè)
Ottavio. Questa è la signora donna Eleonora, vedova di un gran cavaliere, colonnello di S. M., il quale morì gloriosamente in battaglia.
Eleonora. Ah, pur troppo morì!
Ottavio. Povera vedovella, non piangete. S’è morto il colonnello, non sono morti tutti gli uomini; ve ne sarà anche per voi. State allegra, non piangete.
Eleonora. Voi mi fate ridere.
Ottavio. (Tutte le vedove che piangono il morto, si rallegrano quando pensano al vivo). (da sè)
Rosaura. (È innamorata morta del conte Ottavio). (da sè)
Ottavio. E questa è la signora marchesina Rosaura. Il Marchese suo padre morì, ch’ella era bambina; la povera sua genitrice morì l’anno passato, e la signora donna Eleonora sua zia le fa da madre.
Eleonora. Oh! signor Conte, le fa da madre? Ella mi fa troppo onore; non ho ancora l’età per saper fare da madre.
Rosaura. (Che ti venga la rabbia. Vuol far la bambina), (da sè)
Ottavio. Se non avete l’età, avete il giudizio; e poi siete stata maritata, sapete il viver del mondo.
Eleonora. Non so nemmeno di essere stata maritata. Il povero colonnello, appena mi ha sposata, ha dovuto marciare, e non l’ho più veduto.
Ottavio. (Costei vuol passar per fanciulla). (da sè) Ma voi, nipote mio, non parlate? Vi compatisco. Un giovane che ritorna dagli studi, si confonde in una conversazione di dame. E che sì, ch’io vi fo parlare? Questa è la signora Rosaura, la quale...
Rosaura. Via, signor Conte, non dite altro.
Ottavio. Oh bella! Vi vergognate anche voi? (a Rosaura)
Rosaura. Non mancherà tempo di discorrere con più comodo.
Eleonora. Il tempo è opportuno, e non si ha da perdere inutilmente. Signor Contino, già lo saprete essere mia nipote la vostra sposa?
Florindo. Un eccesso di giubbilo... m’impedisce che possa dire... quello che per ragione del cuore... vorrei esprimere... (stentatamente)
Rosaura. (Ragazzaccio senza garbo!) (da sè)
Ottavio. Povero collegiale, bisogna compatirlo. Vuol dire che il cuore gli suggerisce delle espressioni di giubbilo, ma la sorpresa fa sì che non può esprimer col labbro quello che concepisce coll’animo.
Rosaura. (Che brio, che sveltezza di dire!) (da sè)
Eleonora. Il signor Contino a poco a poco s’anderà facendo spiritoso e brillante. Sotto un zio di questa sorta non può che riuscire perfettamente.
Florindo. Signora, perdonate la mia confusione, la quale mi fa passare per zotico e male educato. Il mio spirito non suole sì facilmente abbandonarmi, e quando avrò accomodato l’animo mio a trattar colle belle dame, troverò forse i veri termini per corrispondere alle loro finezze.
Ottavio. Bravo nipote! Evviva.
Eleonora. Viva, viva; bravo, bravissimo.
Rosaura. (Parole gettate lì senza grazia). (da sè)
Eleonora. Che dite, Marchesina? Il vostro sposo non è spiritoso?
Rosaura. Spiritosissimo. (con ironia)
Ottavio. Con licenza di lor signore, mi sono scordato domandare una cosa importante a mio nipote. Contino, sentite una parola. (s’alza)
Florindo. Con permissione. (s’alza)
Eleonora. (Che dite? Non è galantino?) (a Rosaura)
Rosaura. (Signora zia, se aveste a scegliere per voi stessa, chi scegliereste, il zio o il nipote?)
Eleonora. (Per voi, che siete ragazza, è meglio il nipote, per me sarebbe più adattato lo zio).
Rosaura. (Da voi a me non vi è differenza. Non vi ricordate nemmeno di essere maritata)32.
Ottavio. (Ditemi il vero. Vi piace la Marchesina?) (a Florindo)
Florindo. (Mi piace). (ridente)
Ottavio. (La prendereste volentieri per moglie?)
Florindo. (Sì signore). (ridente)
Ottavio. (Ve la ridete?)
Florindo. (Questa non è cosa da farmi piangere).
Ottavio. (Ridi, ridi fin che puoi, che un giorno non riderai). (da sè)
Florindo. (Non so in che mondo mi sia, mi par di sognare).(da sè)
Ottavio. Eccoci a loro; perdonino per amor del cielo, (siedono) Ho chiesto a mio nipote una cosa che mi premeva.
Florindo. Quello che mi ha chiesto mio zio, preme più a me che a lui.
Eleonora. Si può sapere che cosa gli avete chiesto? (al Conte)
Ottavio. Domandatelo a lui.
Eleonora. Io non ho questa libertà col signor Contino.
Rosaura. Ella non ha libertà col nipote, ma collo zio.
Ottavio. Sì signora, voi discorretela col Contino, e noi la discorreremo qui fra di noi, giovani con giovani, e vecchi con vecchi.
Eleonora. Piano con questi vecchi.
Ottavio. Io son vecchio.
Eleonora. Non è vero: ma quando lo foste voi, non lo sono io.
Ottavio. Se siete giovine, non fate per me.
Eleonora. Per qual causa?
Ottavio. Perchè non mi piacciono le ragazzate.
Eleonora. Via, fino che diceste donna di mezza età, ma vecchia poi...
Ottavio. Cara adorabile mezza età, mi volete bene? (ad Eleonora)
Rosaura. Signor Conte, mi rallegro con lei.
Ottavio. Eh, badate ai fatti vostri, lasciateci stare.
Florindo. Oh che caro signor zio!
Ottavio. Testa di legno! Avete la sposa al fianco e non le dite quattro dolci parole? Sì! Che caro signor zio! Che caro signor nipote! Gioventù scipita! Vedete, cara donna Eleonora, che cosa è la gioventù dei giorni nostri? E per questo a me piace la mezza età. Cara la mia mezza età! (a donna Eleonora)
Servitore33. Illustrissimo signor Conte; la signora contessa Beatrice ha mandato l’ambasciata, dicendo che l’ora è tarda e che li aspetta a pranzo.
Ottavio. Sì, andiamo, signora donna Eleonora, facciamo una burla a mia cognata, venite anche voi.
Eleonora. Non vorrei che questa burla spiacesse alla contessa Beatrice.
Ottavio. O piaccia, o dispiaccia, si mangia nelle mie camere. Signora Marchesina, volete venire con noi?
Eleonora. Oh! a una fanciulla non è lecito!
Ottavio. Sì, dite bene. Una fanciulla a una tavola! Oh no certo! Io non voglio fanciulle, voglio donne di mezz’età. (verso donna Eleonora)
Rosaura. Sicchè, signora zia, ella anderà, ed io resterò sola.
Eleonora. Che volete ch’io vi faccia? Voi non potete venire.
Rosaura. Pazienza! resterò sola.
Eleonora. Non voglio ricusare le grazie del conte Ottavio.
Rosaura. Bene, andate, io resterò sola. (Bella convenienza), (da sè)
Florindo. Signor zio, potrei restar io a tener compagnia alla signora Rosaura? (ridendo)
Ottavio. Oh che giovine di garbo! Ci restereste34 volentieri?
Florindo. Se potessi.
Ottavio. Si sveglia35 mio nipote. Ci starete, ci starete. Andiamo, non facciamo aspettare i nostri commensali.
Eleonora. Marchesina, abbiate pazienza.
Ottavio. Nipote, servite la signora donna Eleonora.
Eleonora. Oh, mi perdoni. Non voglio dar gelosia alla Marchesina. Mi favorisca ella, signor Conte.
Ottavio. Sì, sì. Venite qui, la mia graziosissima mezza età. Mezza età voi, mezza età io, fra tutti due faremo un secolo. (parte con donna Eleonora e Florindo36)
Rosaura. Mia zia si è tirato a sè il conte Ottavio, e sopra di questo non vi è per me da discorrere. Sposerò dunque il contino Florindo? Sì, lo sposerò. Ma non è tanto spiritoso, non è tanto grazioso! Non importa: per marito è bello e buono. Col marito non vi è bisogno di fare la conversazione briosa. (parte)
SCENA VIII37.
Camera del conte Ottavio.
Il Conte Lelio, il Dottore38 e il Cameriere.
Cameriere. Favoriscano; si trattengano qui, che può tardar poco il padrone a ritornare. (parte)
Dottore. Le budella principiano a lamentarsi.
Lelio. Io non ceno la sera, onde sto benissimo d’appetito.
Dottore. Perchè non cena la sera? Il mangiar molto è malsano, ma il non mangiar niente niente, non è lodabile.
Lelio. Vi dirò: ogni giorno si va a pranzo da qualche amico. Un giorno da uno, un giorno dall’altro; si mangia tardi; la conversazione fa mangiar molto, la sera non si può cenare.
Dottore. Qui dal signor conte Ottavio ci viene frequentemente V. S.?
Lelio. Spessissimo; due o tre volte la settimana.
Dottore. M’immagino che manderà a invitarla, pregarla e supplicarla.
Lelio. Oibò, vengo quando voglio, mi metto a tavola senza dirlo. Dottore. Ma se le cagiona incomodo il pranzare fuori di casa, potrebbe tralasciar di venire.
Lelio. Vi dirò, il Conte è un uomo che ha vanità d’avere alla sua tavola delle persone di qualche riguardo, e perciò mi tormenta sempre ch’io venga da lui.
Dottore. (Che scroccone impertinente!) (da sè)
Lelio. Siete stato altre volte a pranzo dal conte Ottavio?
Dottore. Per grazia sua, ci sono stato qualche altra volta.
Lelio. Che dite? Non fa una tavola magnifica?
Dottore. Fa una tavola principesca.
Lelio. Sentite. Per dirla a voi, che siete un galantuomo, io non so come faccia; le sue entrate non rendono tanto. Io so tutti i fatti suoi.
Dottore. Se non potesse farla, non la farebbe.
Lelio. Eh, quante cose si fanno, e non si possono fare. Ce ne accorgeremo quanto prima.
Dottore. Questo, vossignoria mi perdoni, è un discorrere senza fondamento.
Lelio. Io parlo come l’intendo. Dal conte Ottavio non ho salario.
Dottore. V. S. però mangia alla di lui tavola.
Lelio. Se mangio alla sua tavola, pretendo di fargli una finezza.
Dottore. (Ma! Pur troppo è vero. Codesti gran signori si fanno mangiare la roba loro da gente ingrata, da gente che vilipende il proprio benefattore). (da sè)
SCENA IX39.
Pantalone, il Cameriere e detti.
Pantalone. Sì ben, caro, sì ben; aspetterò che el vegna, starò anca mi a disnar con elo. (al cameriere)
Cameriere. Si accomodi, che or ora viene. (parte)
Lelio. Signor Pantalone, la riverisco.
Pantalone. Servitor obbligato..
Dottore. Vi saluto, il mio caro amico40. (a Pantalone)
Pantalone. Oh! Dottor caro, sioria vostra.
Lelio. Anche voi, signor Pantalone, a pranzo col conte Ottavio?
Pantalone. Anca mi, a goder delle grazie de sto cavalier.
Lelio. Sì, il conte Ottavio è di buon cuore, riceve alla sua tavola ogni sorta di persone.
Pantalone. Come parlela, patron? Se el me riceve mi, son un galantomo, son un marcante onorato, e i omeni della mia sorte no i va alle tavole dei cavalieri a scroccar. A casa mia boggie la pignatta ogni zorno, sala? Ogni zorno se impizza fogo, e tratto anca mi alla mia tola galantomeni e amici. Se vago a disnar da qualche cavalier, lo fazzo perchè son ben visto, perchè me piase la conversazion, ma no distribuisse i zorni della settimana do da un, do da un altro, tre da un altro, per sparagnar la mesata, e impir la panza alle spalle dei gonzi. (con calore)
Lelio. Signor Dottore, che dite della libreria del conte Ottavio?
Dottore. Ha molti libri, e buoni.41
Lelio. Tutta roba cattiva. Sono stato io che gli ho fatto comprare qualche buon libro, per altro egli non se ne intende.
Dottore. (Il signor Pantalone lo ha fatto discorrere della libreria).42 (da sè)
Pantalone. (Se el gh’ha recchie sto sior, el m’averà inteso). (da sè)
SCENA X43.
La Contessa Beatrice, e la Baronessa Clarice, e detti44.
Beatrice. Signori, sarete annoiati. Vi compatisco. L’ora è tarda, non si pranza mai.
Lelio. Per me, signora, non vi prendete pena, la mia cioccolata mi tien sazio per tutta la giornata.
Dottore45. Dice bene il signor conte Lelio. La cioccolata del signor conte Ottavio è preziosa. Ne abbiamo bevuto una chicchera per ciascheduno.46
Beatrice. Questo signor conte Ottavio ha poca creanza.
Lelio. Veramente far aspettare due dame è poca civiltà.
Clarice. Con me il conte Ottavio non ha da prendersi soggezione.
Beatrice. In quanto a questo, molto meno con me, che son sua cognata.
Lelio. Il conte Ottavio ha un’aria troppo superiore.
Clarice. Vi ha fatto forse qualche mal termine?
Lelio. No; ma gli voglio bene, e mi dispiace sentirlo criticare.
Pantalone. Mi, la me perdona, lo sento anzi lodar, e amar, e respettar da tutti.
Lelio. Eh, cosa sapete voi, che siete un ignorante?
Pantalone. Responderia de trionfo47, se no fussimo dove che semo.
Dottore. Il signor conte Ottavio, per dirla, è l’idolo di Napoli.48
Lelio. Eh, andate a tastare il polso a’ morti.
Dottore. Padron mio, ella parla male di molto49.
SCENA XI50.
Il Conte Ottavio, dando di braccio a donna Eleonora, e detti; poi il Cameriere.
Ottavio. Per amor del cielo, compatite se vi ho fatto aspettare. L’appetito vi farà riuscire men cattivo il pranzo. Mangeremo con gusto, se ce ne sarà.
Clarice. È scusabile il signor Conte, se ha tardato a venire, mentre aveva da servire una dama.
Eleonora. Se avesse egli saputo che la signora Baronessa lo attendeva, sarebbe venuto più presto.
Ottavio. (Oh che scena oggi mi vo’ godere!) (da sè) Signore mie, i vostri complimenti interessano ancora me, ed io sono in obbligo di giustificarmi con tutte due. La signora donna Eleonora aveva de’ motivi da trattenermi. La signora Baronessa ha delle ragioni da rimproverarmi. Chi è al di sotto, mi scusi, e chi è al di sopra, ci stia.
Clarice. (Che razza di parlare ch’io non intendo!) (da sè)
Eleonora. (Chi sa dirmi, s’io sia al di sopra o al di sotto?) (da sè)
Beatrice. (Non mi aspettavo che conducesse seco donna Eleonora). (da sè)
Ottavio. Signor Lelio, vi ringrazio infinitamente che abbiate favorito questa mattina di venire a mangiare la zuppa con noi. Che novità abbiamo?
Lelio. Delle novità ne ho diverse, ma discorreremo a tavola.
Ottavio. Chi è di là? (viene il cameriere)51 Quando viene il Contino in tavola? (cameriere parte) Voglio poi far vedere a voi, che siete dilettante di cavalli, un cavallo di maneggio che ho comprato ieri, che vi piacerà moltissimo. (a Lelio)
Lelio. Di che razza è?
Ottavio. È cavallo di Spagna.
Lelio. Di che mantello?
Ottavio. Sauro e balzano.
Lelio. E polledro?
Ottavio. Non ha più di tre anni.
Lelio. L’avete provato?
Ottavio. ierî l’ho cavalcato più di tre ore. Galleggia d’una grazia mirabile. È rotondo di groppa, corto di vita, e di testa piccola; quando s’alza, innamora, quando s’incurva, è un piacere. Dolce di bocca, obbediente al cenno. Passeggia, danza, galoppa; muta tempo senza scomporsi; non ha vizi, non ha difetti, è una gioia.
Lelio. Quanto l’avete pagato?
Ottavio. Ottanta zecchini, ma non lo darei per cento doppie.
Lelio. Certamente non l’avete pagato caro.
Beatrice. (E i zecchini vanno, e il pupillo si assassina. Li rivedremo questi conti). (da sè)
Eleonora. Signor Conte, noi di cavalli non ce ne intendiamo; parlate di cose delle quali possiamo godere anche noi.
Ottavio. Volentieri. Signor Pantalone, avete delle belle stoffe di Francia?
Pantalone. Ghe n’ho de bellissime.
Ottavio. Mandatemene quattro o sei pezze. Voglio sceglierne un paio, e voglio che queste dame vedano s’io son di buon gusto.
Pantalone. La perdoni; vorla far un regalo alla novizia del sior Contin?
Ottavio. Oh! per queste lascio che ci pensi da sè. Anch’io, signor Pantalone, faccio i miei regaletti. Anch’io ho i miei amoretti. (guarda Clarice ed Eleonora)
Clarice. (Mi guarda, pare che intenda di me). (da sè)
Eleonora. (Questa stoffa dovrebbe esser mia). (da sè)
Ottavio. Signor Dottore, se voi aveste a disporre di un uomo, di che età lo consigliereste a prender moglie?
Dottore. Così... di mezza età52.
Ottavio. Bravo! di mezza età. E la donna di che anno dovrebbe essere?
Dottore. Anch’ella. Così... all’incirca...53
Ottavio. Di mezza età. Viva la mezza età.
Eleonora. Sì, nè troppo giovine, nè troppo attempata.
Clarice. Di ventisei anni o ventisette; è vero, signor Dottore?
Dottore. Per l’appunto54.
Eleonora. Quando una fanciulla arriva a quell’età, è segno che non ha trovato da maritarsi.
Clarice. Per altro, signor Dottore, ho sentito dire che una vedova sia sempre più vecchia, non è vero?
Dottore. Scusi: in questa sorta di decisioni non apro bocca55.
SCENA XII56.
Il Contino Florindo, il Cameriere e detti.
Florindo. Servitor di lor signori.
Ottavio. Oh bravo, nipote. Presto, in tavola. (al cameriere)
Beatrice. Dove siete stato sinora? (a Florindo)
Florindo. Nella mia camera.
Ottavio. Eh, che le madri prudenti non domandano queste cose. È stato dalla sposa. Animo, signori, favoriscano. Levate le spade, i cappelli; libertà, libertà. Via, signori, vadano. Maledette le cerimonie. Non ancora? Chi ha fame, vada, chi non ha fame, resti. Damine, andiamo. (dà braccio a Clarice ed a Eleonora, e partono)
Beatrice. Dove sei stato, disgraziato? (a Florindo)
Florindo. Nella mia camera.
Beatrice. Dopo pranzo ci parleremo. (parte)
Florindo. Mia madre non mi gode; vengo a star con mio zio. (parte)
Dottore. Dunque anderò io57. (facendo le cerimonie con Pantalone)
Lelio. Con sua buona grazia, tocca a me.
Dottore. Dice bene, perchè è più affamato degli altri58.
Lelio. Dottor ignorante. (parte)
Dottore. Che dite, Pantalone amatissimo, di questo parassito insolente?59
Pantalone. Mi digo che un cavalier de bon gusto nol l’averia da sopportar.
Dottore. Il Conte lo soffre, perchè credo se ne serva nelle sue occorrenze60.
Pantalone. Ghe battelo l’azzalin?
Dottore. Quando viene l’occasione, codesti scrocconi fanno di tutto un poco61. (parte)
Pantalone. Ma! questa xe la zente che gh’ha fortuna. Buffoni e batti canaffio62. (parte)
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Bett. e Pap.: Camera prima del Conte Ottavio.
- ↑ Bett.: dei piatti di quella mattina.
- ↑ Segue nelle edd. Bettin., Paper, ecc. «Ott. Io ho piacere che alla mia tavola vi siano dei buoni piatti, alla Francese, alla Piemontese, all’Inglese, e perciò tengo un capo cuoco Parigino [Paper.: di abilità]; ma il mio mangiare consiste in una buona zuppa, un’ala di cappone, due latticini, un pezzo di buona carne di manzo, qualche salsa innocente, senza aromati, mezza pernice o altro buon selvatico [Pap.: selvaggiume] arrosto, e lascio i pasticci, le farse, i colì [Pap.: i pasticci e altri manicaretti] per chi ha volontà di abbreviarsi la vita. Brigh. Vussustrissima l’è de bon gusto in tutto, e anca nel mangiar. Ott. Per questa mattina ecc.»
- ↑ Comincia nell’ed. Bettin. la sc. II.
- ↑ Sc. III nell’ed. Bettin.
- ↑ Per isbaglio, le principali edd. stampano Astofoli. Vedasi atto III, sc. 6.
- ↑ Comincia nell’ed. Bett. la sc. IV.
- ↑ Bett.: Scrivete un buon italiano, senza i riboboli della Crusca. Bett. e Pap. aggiungono: «Segr. (In oggi, questo è un vizio comune) da sè».
- ↑ Comincia nell’ed. Bettin. la sc. V.
- ↑ Bett.: si serve V. S. Illustrissima.
- ↑ Comincia nell’ed. Bett. la sc. VI.
- ↑ Bett.: Sciolto, sciolto, alla francese.
- ↑ Comincia nell’ed. Bett. la sc. VII.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Paper, ecc.: «Segr. Mi dispiace non poterla servir bene anche in ciò. Ott. No no, non importa. Io non mi servo de’ miei domestici per gli affari amorosi. Ciò non conviene ad un cavaliere onesto. So far da me quando voglio. Andate. Segr. (In verità ecc.)».
- ↑ Sc. VIII nell’ed. Bett.
- ↑ Di dietro. [nota originale]
- ↑ Bett. e Pap.: ma prima sceglietemi mezza dozzina di ballette [Pap.: ballotte] brillanti per un anello.
- ↑ Bett.: dopo del qual.
- ↑ Seguono qui tre scene nell’ed. Bett. riunite in una sola nell’ed. Paperini, soppresse nel!’ed. Pasquali. Vedasi Appendice.
- ↑ Sc. XII nell’ed. Bett., V nell’ed. Pap.
- ↑ Bett., Pap. ecc.: Mi pare che siate di poche parole; e pure a Roma, dove siete stato sinora, si parla molto.
- ↑ Bett.: di non parlar bene.
- ↑ Bett. e Pap. aggiungono: con il contegno.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: A chi parla molto, si passano anco gli spropositi. A chi parla poco, si pesano le parole. Chi parla ecc.
- ↑ Bett. e Pap.: i vostri maestri.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Paper, ecc.: Sposa? Che! Venite rosso? Oh che ecc.
- ↑ Bett. e Pap.: algebra.
- ↑ Bett.: La testa di mio zio.
- ↑ Sc. XIII nell’ed. Bett. e VI nell’ed. Pap.
- ↑ Sc. XIV nell'ed. Bett. e VII nell'ed. Pap.
- ↑ Sc. XV nell’ed. Bett. e VIII nell’ed. Pap.
- ↑ Bett., Pap. ecc. aggiungono: «Eleon. (Via, che siete una fraschetta)».
- ↑ Comincia nell’ed. Bett. la sc. XVI.
- ↑ Bett.: Oh che caro galantuomo! ci restereste ecc.
- ↑ Bett.: Ah, si sveglia.
- ↑ Bett. e Pap.; parte con D. Eleonora. Segue poi diversamente la scena nella ed. Bett.; e cessa invece nell’ed. Pap.. dove con la continuazione del Bett. si forma separatamente la sc. IX: come si vede nell’Appendice.
- ↑ Sc. XVII nell’ed. Bett., X nell’ed. Pap.
- ↑ Il Dottore parla il dialetto bolognese nell’ed. Bettinelli: come si vede nell’Appendice.
- ↑ Sc. XVIII nell’ed. Bett., XI nell’ed. Pap
- ↑ Bett.: Av salut, al mi car amigh Pantalon.
- ↑ Bett.: L’ha di gran bun liber.
- ↑ Bett.: (Pantalon l’ha fatt dscorrer dla librarì).
- ↑ Sc. XIX nell’ed. Bett., XII nell'ed Pap.
- ↑ Bett.: Beatrice e Clarice, tutti salutano, e detti.
- ↑ Bett.: Al dis ben al sgnor Leli. La cioccolata del sgnor Ottavi l’è preziosa, e n’avem bevù una chiccara per un.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Lel. Sì; è di quella che ho io regalata al Conte. Pant. Polentina, polentina. Lel. Cosa dite? Pant. Digo che a mi me piase la polentina, e a ela? Lel. Non vi rispondo. Beatr. Questo signor Conte, ecc.»
- ↑ Lo stesso che rispondere alle rime o per le rime. [nota originale]
- ↑ Bettin.: El sgnor cont Ottavi l’è l’idol de Napol.
- ↑ Bett.: Mo l’am perdona, la parla mal.
- ↑ Sc. XX nell’ed. Bett., XIII nell’ed. Pap.
- ↑ Comincia la sc. XXI nell’ed. Bett.
- ↑ Bett.: Acsì, dmezza età.
- ↑ Bett.: Anca li circamcirca.
- ↑ Bett.: La fazza cont.
- ↑ Bett.: In sta sorta de decision a ni vui intrar.
- ↑ Sc. XXII nell’ed. Bett., XIV nell’ed. Pap.
- ↑ Bett.: Donca andarà me...
- ↑ Bett.: La dis ben, perchè l’è più affamà di alter.
- ↑ Bett.: Cossa dsì, Pantalon, de ste scroch insulent?
- ↑ Bett.: El Cont lo sopporta, perchè el sin serv in tel so occorrenz.
- ↑ Bett.: Se porta l’uccasion, al fa un po de tutt.
- ↑ Vuol dir mezzani. [nota originale]