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IL CAVALIERE DI BUON GUSTO 165

Dottore. Ma se le cagiona incomodo il pranzare fuori di casa, potrebbe tralasciar di venire.

Lelio. Vi dirò, il Conte è un uomo che ha vanità d’avere alla sua tavola delle persone di qualche riguardo, e perciò mi tormenta sempre ch’io venga da lui.

Dottore. (Che scroccone impertinente!) (da sè)

Lelio. Siete stato altre volte a pranzo dal conte Ottavio?

Dottore. Per grazia sua, ci sono stato qualche altra volta.

Lelio. Che dite? Non fa una tavola magnifica?

Dottore. Fa una tavola principesca.

Lelio. Sentite. Per dirla a voi, che siete un galantuomo, io non so come faccia; le sue entrate non rendono tanto. Io so tutti i fatti suoi.

Dottore. Se non potesse farla, non la farebbe.

Lelio. Eh, quante cose si fanno, e non si possono fare. Ce ne accorgeremo quanto prima.

Dottore. Questo, vossignoria mi perdoni, è un discorrere senza fondamento.

Lelio. Io parlo come l’intendo. Dal conte Ottavio non ho salario.

Dottore. V. S. però mangia alla di lui tavola.

Lelio. Se mangio alla sua tavola, pretendo di fargli una finezza.

Dottore. (Ma! Pur troppo è vero. Codesti gran signori si fanno mangiare la roba loro da gente ingrata, da gente che vilipende il proprio benefattore). (da sè)

SCENA IX1.

Pantalone, il Cameriere e detti.

Pantalone. Sì ben, caro, sì ben; aspetterò che el vegna, starò anca mi a disnar con elo. (al cameriere)

Cameriere. Si accomodi, che or ora viene. (parte)

Lelio. Signor Pantalone, la riverisco.

Pantalone. Servitor obbligato..

  1. Sc. XVIII nell’ed. Bett., XI nell’ed. Pap