Il bel paese (1876)/Serata XI. - La fosforescenza del mare

Serata XI. - La fosforescenza del mare

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Serata XI. - La fosforescenza del mare
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SERATA XI


La fosforescenza del mare.

Il pesce-luna, 1. — A bordo colla calma, 2. — La fosforescenza del mare, 3. — Da Genova alla Spezia, 4. — Un cielo nel mare, 5. — La fosforescenza sul lido, 6. — Animali fosforescenti, 7. — Cause della loro fosforescenza, 8. — Le nottiluche, 9. — Le meduse, 10. — Quadro di Schleiden, 11. — Il pesce-luna di nuovo, 12.


1. Giovedì era una bellissima sera. Appena entrai nella sala, un drappello de’ miei nipoti, mi assalse improvvisamente, con un gridìo acuto, fragoroso, indescrivibile. Avevano fatto in quel giorno una visita al Museo civico, loro promessa da lungo tempo, ed erano così gonfi di meraviglie, che avevano bisogno di uno sfogo. Indovinate un po’ che cosa li aveva colpiti di più.... Il pesce-luna. Diamine! Al Museo vi sono ben altre meraviglie! Sopra tutto nella sala dei serpenti, dove ha stanza il pesce-luna, si trovano, per ragione di spazio, adunati nel mezzo, quasi in una bolgia dantesca, tanti animali così grossi, così formidabili, così fantastici, che il povero pesce, se porta il nome di un astro, deve trovarsi eclissato dagli splendori di quel mostruoso firma mento, assai più bestiale del vero, che gli antichi popolarono di orse, di leoni, di pesci, di arieti, di cani, di granchi, di aquile, di scorpioni1. In quella bolgia eccovi due coccodrilli corazzati dalla punta del muso a quella della coda, la bocca armata di terribili denti; e il gaviale dal muso acutissimo, che minaccia i fragili schifi sulle acque del Gange; eccovi il terribile boa, vivo [p. 188 modifica]vivo, in atto di sciogliersi dal tronco allacciato colle formidabili spire, odorando la preda. Eccovi, sola in un canto, la gigantesca tartaruga del Mediterraneo, coperta, quasi di bubboni d’avorio, dalle coronule2 suoi parasiti; e da un altro lato, ordinate in più file, le minori sorelle mirabilmente intarsiate. Vedreste, insofferente dei limiti dell’angusta vetrina, il Vestras gigante del Rio delle Amazzoni, il re delle trote e dei salmoni, a cui serve di reggia il re dei fiumi; e fargli riscontro dall’altro lato l’assassino dei mari, il terribile pesce-cane, la cui vita è tutta un viluppo di delitti di sangue. Tante cose vedreste, prima che il vostro sguardo si risolva di posarsi un istante su quel disco ovale, che gli uomini onorano col nome del nostro satellite. Perchè mai i miei nipotini furono tanto colpiti dagli splendori di quel disco d’argento? Forse perchè il pesce-luna s’incontra per l’ultimo in quella sala delle meraviglie, la quale si presenta come un gran quadro alla fine di un gran ballo fantastico a chi compie il giro del nostro Museo. È vero che la sala dei serpenti è la penultima; ma quella che vien dopo, destinata alle conchiglie, non è tale che possa colpire vivamente i dilettanti. Poi il pesce-luna, rappresentato da uno dei più begli esemplari che si possano vedere, torreggia là in quell’angolo, quasi galleggiante nell’aria, come un giorno galleggiava nell’acqua, inondato dalla vivissima luce del cielo, che gli piove dalla larga finestra, aperta precisamente di fianco a quell’astro del mare. Ma cercar le ragioni per cui i miei nipoti fossero usciti dal Museo tutti invasati del pesce-luna, è una cosa tanto inutile!... Per tutte le ragioni sta il fatto che realmente ne erano invasati, e ne parlavano con tanta vivacità, e tutti in coro, che per poco non ne fui invasato anch’io.

«Abbiam veduto il pesce-luna», gridava Carlino a piena gola.

«Ma non è un pesce», soggiungeva Riccardo nello stesso tono. «Un pesce senza coda, senza squamme, col becco d’uccello....».

«Tu ci hai visto assai», entrai io a dire. «Tu minacci di diventare un altro Cuvier, un altro Valencienne3. Che sia un pesce è certo. La coda, benchè l’abbia così corta, che sembra un pesce a cui siasi amputata la metà posteriore, la coda, dico, l’ha [p. 189 modifica]però come gli altri pesci. Quanto alle squamme hai detto bene che esse gli mancano! Ma quanti pesci ne sono spogli affatto! Non conosci la pelle di pesce, aspra come una lima, con cui il legnajolo suol raschiare il legno degli attrezzi più grossolani, per dargli il primo finimento? Ebbene, quella pelle appartiene difatti a un pesce, a uno squalo, cioè ad una piccola specie di pesce-cane, assai abbondante nel Mediterraneo. Tutti gli squali, come il nostro pesce-luna, hanno la pelle irta di tubercoli, di callosità, di punte, Il pesce-luna invece di averla squammosa. Quanto al becco, hai quasi ragione. La bocca del pesce luna all’esterno assomiglia veramente al becco di certi uccelli granivori, per esempio, a quello del nostro frosone; ma questo è il carattere di tutta intera una gran famiglia di pesci, che si chiamano dai naturalisti gimnodonti4, parola derivata dal greco, che vorrebbe dire a denti nudi. Il nostro pesce-luna infatti ha denti nudi, ossia non coperti dalle labbra. O piuttosto ha, invece dei denti, due lamine di una sostanza simile all’avorio, che muniscono le estremità delle mascelle, venendo così a formare una specie di becco».

«Dove vive questo bestione?» chiese Peppino.

«Quello che vedeste al Museo vive nel Mediterraneo; ma vi ha un pesce-luna anche nell’Oceano indiano. Io credo che ne esistano specie diverse nei diversi mari; ma mi pare che i naturalisti non abbiano ancor saputo sufficientemente distinguerle». [p. 190 modifica]

«Al Museo», osservò Riccardo, «ve n’ha uno piccino, e un altro grosso grosso. Saranno due specie diverse?».

«Non credo punto; sarebbe come dire che tu, piccino, ed io grande e grosso, apparteniamo a due specie diverse. Ti pare?... Vi hanno però degli individui che crescono assai più che l’esemplare del Museo. Se ne citano della lunghezza di un metro e mezzo, e del peso di 150 chilogrammi e più....».

«Si sa che cosa mangia il pesce-luna?» chiese Pierino.

«Un po’ di tutto. Si nutre di piccoli pesci, di molluschi, di vermi, di alghe marine».

«E lui è buono a mangiarsi?» aggiunse Pierino.

«I pescatori non si curano di andarlo a cercare. Se capita se lo pigliano, perchè alla fine è roba da mangiare. Ma la sua carne è grassa, vischiosa, di odore disaggradevole».

«Come nuota?» chiese Peppino; «perchè a vederlo così tondo come l’O di Giotto, quasi si direbbe non possa nuotare, che come una zucca dondolata dall’onda».

«No, no; non hai visto bene. La sua forma essendo quella di un disco, quasi di una lente col labbro tagliente all’ingiro, è atta più che altra mai a fendere le onde. Poi non hai notato quelle due lunghe pinne, l’una sul dorso, che si chiama dorsale l’altra sotto il ventre, che chiamasi anale, così lunghe, così puntute? Devono essere due remi eccellenti. Infine il pesce-luna, nuota al pari degli altri pesci, così ritto come il vedeste al Museo. Dev’essere pur bello, il vederlo solcare le onde, e nelle sue rapide svolte, presentare alternatamente le faccie del suo lucido disco, lampeggiante come uno scudo d’argento!».

«Allora dovevan chiamarlo pesce-sole», disse Riccardo.

«Ed io», gridò sghignazzando Carlino, «l’avrei detto pesce-padella».

Bada, Carlino, che vi fu già quel tale, che aveva scambiato la luna per un tegame. Diacine! Un po’ di poesia!... Pesce-sole... questo mi sonerebbe meglio, se non fosse....».

«Va bene, zio?» volle soggiungere Riccardo, ringalluzzito dalla mia approvazione. «La luna non si vede che di notte, e il pesce-luna non luccica che di giorno: di notte non si può vedere».

«E se il pesce-luna risplendesse anche di notte, e tanto meglio di notte, quanto il bujo è più fitto?».

«È impossibile!» esclamò Riccardo, quasi offeso ch’io volessi menomargli il vanto della sua pensata. [p. 191 modifica]

«Bada, Riccardo! Ci son delle cose che splendono anche di notte».

«Le stelle! già s’intende».

«E il mare», risposi io. «Di che vi parlai l’ultima sera?».

«Di quella tempesta di mare», risposero in coro i fanciulli.

«Ebbene voi mi porgete l’occasione stasera di parlarvi della calma».

2. «Eh! che ci può esser di bello nella calma, quando il mare è come addormentato?» prese a dire Giovannino. «Dev’essere una noja».

«Che dici? Se non ci fosse altro bene, sarebbe certo una gran bella cosa lo schivare quel brutto mal di mare. La poesia della tempesta la si gusta, più che altro, sui libri: ma il piacer della calma.... questo si che si gode davvero! Trovarsi sovra un bel legno, che fende il mare come una saetta, e va via dritto, tracciando un largo solco, i cui cigli spumeggianti ricadono dietro la poppa, e si dilatano, formando quasi uno stradone ondoso, biancheggiante, che si dilaga e svanisce lontano, lontano, confondendosi col piano del mare; vedere sull’estremo orizzonte quelle nubi variopinte; godere di quelle due immensità, che si fondono in una, il mare e il cielo, formanti quasi una sfera che non ha limiti.... Poi v’hanno piaceri più umili, se volete, ma pure gustosi; sedere a una mensa, imbandita sulle onde, in mezzo a gente gaja, che la solitudine del mare trasforma in una brigata di amici; vedere i bambini che svolazzano sul ponte come sul prato; udire da’ marinai il racconto delle loro avventure; trovarsi in una sala di conversazione, ove un capitano, dal viso marziale, cortese, istrutto, fa gli onori di casa in modo da disgradarne qualunque più gentile signora. Poi vi sono degli spettacoli, che non si godono se non a mare tranquillo. Vedeste i delfini, animali così pesanti; come guizzano veloci sfiorando l’onde, come spiccano salti e carole, come scherzano fra loro, inseguendosi a vicenda come grossi fanciulloni.... Ma ciò che rende sopratutto deliziosa la calma sono appunto, come vi diceva, gli splendori del mare, cioè lo stupendo fenomeno notturno della fosforescenza marina».

3. «La fosforescenza marina? Non mi accadde mai di sentirne parlare»; interruppe la Giuseppina; nè parve che gli altri ne fossero meglio informati.

«Vedete che anche la calma ha il suo bello. Ah! è un grande spettacolo la fosforescenza del mare! Essa soltanto ci può dare [p. 192 modifica]un’idea della vita che regna, dirò, al parossismo5, in seno a quegli abissi, che si direbbero l’impero del silenzio e della morte. Non sapete che ogni goccia d’acqua dell’Oceano è un piccolo mondo, ove si agitano migliaja e migliaja di esseri viventi?».

«Allora», ripigliò Giuseppina, «lasciamo da parte il pesce luna, e raccontaci della fosforescenza del mare».

«No, no»: gridò il Riccardo. «Voglio sapere come il pesce. luna risplenda di notte. È impossibile!».

«Sì, risplende. Anch’esso rappresenta appunto la sua parte sulla gran scena della fosforescenza marina. Vedrai che non mi dimentico del tuo pesce-luna. Lasciami però prima parlare in genere della fosforescenza. Il fenomeno, a quanto narrano i naviganti, riesce assai brillante sotto la zona torrida, tuttavia ha luogo, e si può gustare assai anche nei nostri mari. Io lo osservai nel golfo di Napoli, in quello di Levanto sulla riviera di Genova, e fin nel Mare del Nord, navigando da Ostenda6 a Londra; poichè dopo la tempesta che vi ho descritta, trovai sempre il mare così ben disposto in mio favore che, se non avessi avuto quel primo saggio del suo mal umore, sarei tentato di credere esagerato quanto si narra degl’implacabili furori di quell’elemento. Più brillante però d’ogni altra volta mi si affacciò lo spettacolo della fosforescenza, nel navigare da Genova alla Spezia.

4. » Nel settembre del 1865 dovetti recarmi al Congresso dei naturalisti, pel quale in quell’anno era fissata la geniale città della Spezia. M’ero imbarcato sull’Espresso, un piccolo battello a vapore, gentile, smilzo, svelto come un dardo. Il mare era tranquillissimo, movendosi soltanto in certe onde larghe, morbide, lisce, che gli davano l’aspetto di una gran vasca d’olio fluttuante. Il sole era prossimo al tramonto. Il battello filava dritto quasi rasente il lido. Oh come è bella quella riviera di Levante, che ci si spiegava davanti quasi una tela senza fine, dipinta a paesaggio! Genova, a somiglianza di maestosa regina, sembrava aver disteso lungo il lido l’interminabile strascico di un manto pomposo, formato da quella striscia non più finita di case, di ville, di paesi, che si specchiano in mare, e si projettano [p. 193 modifica]sul fondo di colline verdeggianti coperte di ulivi e di vigneti, interrotti a volta a volta da rupi ignude, pittoresche, che si avanzano in mare, quasi abbracciando quelle baje silenziose, quei golfi di smeraldo, ove le barche pescherecce trovano sempre un asilo sicuro contro il furore delle onde. Il sole cadente illuminava la scena co’ suoi raggi dorati, e ne traeva, col gioco delle ombre, tutti gli effetti di un paesaggio incantevole....

5. » Ma il sole finalmente si cela, tuffandosi nelle onde: e il colorito del paesaggio illanguidisce, sfuma e a poco a poco tutte le sfumature si fondono in una tinta uniforme di un bigio cinereo. Anche ogni fantasma di terra si dilegua: e terra e mare e cielo, tutto involge nello stesso manto la notte. Solo dal fondo nero, uniforme, spicca ancora la candida striscia, che lascia il bastimento dietro di sè. Presto però le tenebre devono cancellarla.... Ma che?... Guarda; quella striscia non si cancella.... la sua bianchezza non si smorza.... anzi pare che cresca col crescere dell’oscurità. Questa è strana davvero!... Che il mio occhio m’illuda?... No; io ci vedo perfettamente.... quelle spume, onde al battere delle ruote si copre la larga via segnata dal vascello, sembrano fiocchi di soffice bambagia, illuminati dalla luna; ma la luna non isplende nel cielo; la notte è serena, ma fitta.... Il candore delle spume ricresce; ove più ribollono, pigliano l’aspetto di vampe leggiere di zolfo, che lambiscono le onde, oscillano, scompajono.... di tratto in tratto vivaci scintille spiccano di mezzo all’onda agitata, sempre più spesseggiano, quasi falde di fuoco che venissero a spegnersi in mare. Talora dei guizzi più vivi imitano in seno alle onde il lampo che solca le nubi. Infine quella larga fascia ondosa che segna la via del vascello è divenuta tutta luminosa, e tu credi riportata sul fondo nero, uniforme del mare, quella Via Lattea, che noi vediamo, nelle notti più serene, così bianca, così aerea, così sfumata, interrompere il cupo azzurro del cielo. Come dal seno di quella nebulosa7 spiccano luccicanti le stelle, così dalla striscia ondosa si staccano faville che si direbbero accese, per loro trastullo, dai genietti del mare, folleggianti nella calma notturna. Ma la via lucente, le scintille ond’era gemmata, i lampi che la solcavano, tutto languiva a fronte di quel turbine [p. 194 modifica]luminoso che era desto immediatamente dalle ruote poderose del bastimento. Quelle due ruote sono trasformate in due fuochi d’artificio, in due girandole, che così belle non furon viste a Roma giammai8. Imaginatevi che quelle due ruote girassero entro un bagno di liquido argento, sollevando spume d’argento, e lanciando una procella di gocce e di getti d’argento. In mezzo a quel turbine argentino più vivaci e più fitte risaltavano le scintille e più spessi guizzavano i lampi. Di tratto in tratto da quel vortice di fuoco uscivano, come balestrati da una macchina infernale9, nembi di palle infocate, che, lanciate lontano, rotanti in seno alle onde, fluttuavano risplendenti e si dilatavano, quasi lune natanti10, e svanivano, sfumavano, come nubi che si sciolgono in nebbia leggerissima d’oro in faccia al sole cadente. E il bastimento si avanzava, quasi sorvolasse al mare sopra una nube di fuoco.

6. » Sempre fisso lo sguardo in quello spettacolo, e veramente rapito in estasi, mi trovai entro lo stretto che separando l’isola Palmaria dalla penisola di Portovenere, apre la via al golfo della Spezia. Le tenebre mi tolsero le incantevoli delizie di quel bacino, ma per compenso la fosforescenza marina si era fatta ancor più viva. Quando fummo a riva e scendemmo nella barchetta che doveva condurci a terra, potei finalmente cavarmi il gusto di osservare più davvicino quelle acque luminose, di toccarle.... Oh meraviglia! v’immergo il dito; e un anello di fuoco lo cinge sicchè istintivamente lo ritraggo, quasi avessi sentito una scottatura. Ma non era nulla: il dito gocciava acqua. Immergo la nano, scotendola fortemente; e la vedo agitarsi in un gorgo fiammante che si dilata, formando una larga cerchia di anelli concentrici, quasi di fuoco, che si allargano e si spengono, fondendosi col nero uniforme della superficie del golfo. Tutto scintillava. Ogni barchetta lasciava dietro di sè un solco di fuoco; i remi tuffandosi, sembravano rompere la pelliccola opaca che si di stende sopra una caldaja di piombo liquefatto, e uscivano dalle [p. 195 modifica]acque gocciando fuoco; le onde morbidissime, lambenti il lido, prendevano la forma di tremule vampe, come quegli spiriti alianti, che inseguono i passeggeri, secondo certe favole superstiziose che raccontano ai bambini le serve credule e ignoranti11».

7. «Ma le son cose vere coteste?» interruppe la Giannina: «le mi pajono storie delle fate».

«Se sono cose vere, domandi?... e non ti ho detto che le ho viste io stesso che le ho contemplate per molte ore deliziose di una notte.... anzi per molte notti, in luoghi diversi?».

Quì naturalmente scoppiò dal mio uditorio una tempesta di — perchè?... com’è?... che cosa c’è!... —

«Conoscete voi le lucciole?».

«E chi non le conosce?» rispose per tutti Giovannino. «Quante volte mi son divertito in campagna con quelle bestioline, che sembravano altrettanti lumicini vaganti per l’aria! Talvolta il piano della valle ne formicolava in modo sorprendente. Ne osservai anche parecchie immobili, nascoste fra le erbe o sotto la siepe, che parevano ciascuna un lumicino acceso nella nicchia di una Madonna. Ma quelle non avevano ali».

«Difatti, quelle erano femmine. Soltanto i maschi delle lucciole hanno il privilegio del volo, e spesso se ne vanno a zonzo, come noi uomini, lasciando a casa sole le povere donne, intese alle faccende domestiche.... Eccovi ad ogni modo una specie volgarissima di insetti, che gode, al pari delle stelle, il privilegio d’esser veduta di notte quando tutte le altre cose scompajono nelle tenebre. Ma sapete voi quanti animali, meno noti della lucciola, o meglio, affatto ignoti a noi, splendono al pari e più di quella? Il signor di Quatrefage, un bravo naturalista francese, che scrisse una bella Memoria sulla fosforescenza marina12, novera a un di presso un centinajo di animali fosforescenti, per lo più marini. Vi troverete indicati 34 specie di insetti; tre miriapodi, ossia cento-piedi13, come voi li chiamate; sette crostacei o granchi; nove anellidi, ossia vermi; sei [p. 196 modifica]molluschi o lumache, come li dite voi; due echinidi o ricci marini; dodici acalefi14, animali marini, che hanno forma di vaghi ombrelli di gelatina che si espandono in mare, screziati dei colori più vivi e cangianti; quattro polipi15, o coralli; otto infusorî, animaletti di una piccolezza estrema, non visibili per lo più che sotto il microscopio. Aggiungete a codesto numeroso esercito di luciferi16, certe alghe marine che appajono luminose di notte come fa spesso il legname tagliato alla foresta».

«Come?» saltò a dire Marietta: «non ho mai visto che le legna da fuoco mandassero lume».

«Voi dimorate troppo poco in campagna, perchè vi si porga facile occasione di osservare certi fenomeni; nè forse avete mai visto più di legna, di quanta ne cape la cassina del salotto d’inverno. Poi, quante volte, Marietta, hai tu girata la casa di notte senza lume? Io mi ricordo benissimo del piacere che ho provato una sera in montagna, quando vidi per la prima volta entro un oscuro stambugio, una piccola catasta di legna luminosa così che l’avresti creduta investita dal fuoco».

«Qual’è dunque la causa per cui gli animali e i vegetali sono fosforescenti?» soggiunse Marietta.

8. «È certo che la fosforescenza dei corpi organici dipende da cause diverse; ma, per isventura, si fecero pochi studi in proposito17. Sembra dimostrato che negli insetti sia una vera combustione18, lenta, di un tessuto speciale. Un tizzone ardente si spegne nel vuoto e nei gas non respirabili; cioè si estingue quando manchi l’aria, che è necessaria a produrre la combustione. Or bene, pigliate una lucciola, toglietele l’aria, e la lucciola si spegne, come si spegne il tizzone; ridonatele l’aria, e si riaccenderà. Se la immergete nell’ossigeno puro, in quello cioè dei componimenti dell’aria, a cui si deve il fenomeno della combustione, lo splendore si aumenta. Fu anche notato uno sviluppo di gas acido carbonico, di quel gas cioè così micidiale, perchè non respirabile, che si sviluppa dai carboni ardenti, e in genere [p. 197 modifica]dalla combustione. Quella sostanza che si abbrucia nella lucciola fosforescente, voi potreste separarla dall’animale, e la vedreste ardere egualmente. Schiacciate una lucciola, fra le dita, sfregatela sul muro, e le dita e il muro diverranno luminosi, come quando stropicciate colle dita, o sfregate sul muro uno zolfino in una stanza oscura».

«Ma non si sentono scottare le povere lucciole?» domandò la Camilla.

«Non pare, se le vedi gingillarsi a diporto per l’aria, quasi fossero a festa. Del resto quando si parla di lenta combustione, Berenice rosea
della famiglia delle Meduse.
si accenna ad un fenomeno, che può avvenire benissimo senza che ne derivi il senso del bruciore. Non sai tu che noi stessi siamo tutti in combustione nel nostro interno?».

«Cotesta è bella!» esclamò ridendo la Giuseppina. «E non ci vediamo uscire le fiamme dalla bocca!».

«Sì veramente: siamo tutti in combustione; e guai se nol fossimo! Quando cesseremo di bruciare allora saremo morti.

» Noi respiriamo l’aria, quindi l’ossigeno, che è l’agente della combustione. L’ossigeno va giù e gonfia i polmoni, e così viene a contatto col sangue delle vene che è nero nero, quasi come l’inchiostro perchè tutto carico di carbone. Ma ecco che quel sangue, nell’atto che passa alle arte rie, di oscuro si fa chiaro, di nero vermiglio, come è necessario per intrattenere la vita. Che cos’è questa metamorfosi?19 Gli è che il sangue nero è stato abbruciato.... proprio così.... Unendosi il carbone del sangue all’ossigeno dell’aria, si è formato il gas acido carbonico, e questo esce col fiato, e così il sangue se ne è libero. Perciò l’aria chiusa riesce [p. 198 modifica]viziata dalla nostra respirazione.... Studierete poi queste cose a suo tempo, e vedrete un po’ meglio come si possa bruciare senza scottarsi.

» Negli animali marini pare che molte volte la fosforescenza sia propria di un liquido, che trasuda dal loro corpo. Il fenomeno è verificato per le Meduse. Sono certi animali che si direbbero gelatine viventi; come per esempio, la Pelagia noctiluca20, la Berenice rosea, ecc. Vedendole venire a galla voi le credereste parasoli di albume d’uovo, screziati de’ più vivi colori, leggeri come le schiume, trasparenti come gemme. Lazzaro Spallanzani, il più bravo naturalista che vivesse al fine dello scorso secolo21, un di quegli uomini che ci vuol pazienza prima che ne torni un altro, prese alcuni di quegli strani animali, li tuffò nel latte, e il latte divenne luminoso, come l’acqua fosforescente del mare. I fenomeni che vi ho descritto e le esperienze di Quatrefage ci dimostrano come in molti, e forse nella maggior parte dei casi, la fosforescenza non dipenda nè da combustione, nè da secrezione22. La fosforescenza sarebbe il prodotto di un atto vitale; e sarebbe determinato dalla semplice contrazione dell’animale». «Cioè?» domandò Camilla, rompendo un certo silenzio del l’uditorio, che voleva dire — non intendiamo nulla. —

«Gli scienziati forse non ci si raccapezzerebbero meglio di voi. Dicendo che il tal fenomeno — è un atto vitale — dipende da un atto vitale — i naturalisti intendono di dire in genere che esso fenomeno non si produce necessariamente per mezzo di agenti, fisici o chimici, esterni, col concorso di certe condizioni, ma di pende dagl’istinti animali, i quali operano internamente, dati certi stimoli.... Ma via; sarà meglio ricorrere agli esempi. Che cosa è necessario perchè avvenga la combustione? Ci vuole il combustibile, a una data temperatura a contatto del comburente23, che è l’ossigeno. Nella fosforescenza della lucciola non c’entrano per nulla gl’istinti dell’animale. Quella tal sostanza, da cui la fosforescenza dipende, una volta che sia formata abbrucia [p. 199 modifica]anche separata dall’animale, purchè venga a contatto coll’aria. Perciò si dice benissimo che la fosforescenza della lucciola è un fenomeno di combustione. Si dirà invece che la digestione è un fenomeno vitale, perchè si opera col concorso degl’istinti dell’animale, sollecitati dalla presenza del cibo nello stomaco. Lo stomaco, separato dal corpo, non digerisce, no certo. Certi animali divengono luminosi soltanto quando sono solleticati, stimolati; e la fosforescenza cessa, quando cessi lo stimolo.... Non intendete ancora?... Vi porterò una similitudine che ve ne capaciterà. Anche noi presentiamo dei fenomeni esterni che hanno della somiglianza con quello della fosforescenza».

«To’ che diventiamo luminosi anche noi....», disse ridendo Giannina.

«Divenir luminosi, no; ma cambiar di colore.... Quante volte non ci avviene! La paura ci fa pallidi come la cera; la vergogna invece ci fa il viso rosso. L’impallidire e l’arrossire sono fenomeni vitali, prodotti dagli stimoli della paura o della vergogna. Fate conto che quegli animali di cui parlavamo, quando ricevono le impressioni che in noi sono prodotte dalla vergogna, in luogo di arrossire, divengano fosforescenti.... Già, dicendo che la fosforescenza è un atto vitale, capisco che non s’è detto nulla. Si vorrebbe sapere eziandio perchè il corpo di quegli animali, eccitato da certi stimoli, produca un fenomeno luminoso; si chiederebbe quali principî fisici, poi quali principi organici sono messi in gioco dagli istinti, ossia dal principio vitale, per produrre un fenomeno, che è ad un tempo organico e fisico. Si conoscono gli organi visivi, gli organi auditivi degli animali; si conosce l’apparato per cui l’anguilla elettrica regala una scossa diabolica al mal capitato che la tocchi; l’apparato della fosforescenza non si conosce ancora. Sappiamo però che per produrre della luce, non c’è bisogno di un corpo che abbruci; sappiamo che i corpi possono divenir luminosi anche solo per effetto di un movimento impresso alle molecole, ossia alle particelle di cui sono composti.... Tu, Giovannino; t’ho trovato l’altro di fuor di porta, che sceglievi tra i mucchi di ghiaja certi ciottoli bianchi, lisci, che hanno un po’ del trasparente.... del cristallino».

«Volevo», rispose l’interrogato, «mostrare all’Annetta i sassi che fanno fuoco».

«Ma come? fanno fuoco?...».

«Cioè», continuò Giovannino, «fanno chiaro di notte, e sempre quand’è bujo, perchè battendoli l’un contro l’altro, ad ogni colpo ne esce, quasi si direbbe, un lampo». [p. 200 modifica]

«Ebbene, è un fenomeno di fosforescenza, che si ottiene colla semplice percussione di un corpo, cioè coll’imprimergli un moto violento. Quei sassi bianchi, non sono che pezzi di quarzo, ossia di candida selce.... Capirete ora che non vi ha nulla di strano in ciò che un animale possa diventare fosforescente, per un semplice moto istintivo, eccitato da una causa qualsiasi. Ed è appunto così che molti animali marini divengono luminosi, ed è così che il mare, ove sia popolato da un gran numero di tali animali, diviene fosforescente. State infatti a sentire.

9. » Quel brav’uomo di Quatrefage si divertì le cento volte ad attingere acqua marina, dov’era più luminosa; che vi scoprì? Indovinate un po’!... Un gran numero di animaletti appena visibili, così piccini piccini che cinque messi per il lungo, l’uno dopo l’altro, misuravano appena un millimetro. Una goccia d’acqua poteva albergarne una brigata assai numerosa. E quegli spiritelli, veri folletti, gettavano vampe di fuoco.... è troppo?... Ebbene, scintille, le quali però, osservate col microscopio, si risolvevano in un gran numero di scintille piccolissime».

«E ce n’eran molte di quelle bestioline?» domandò Marietta.

«Imáginati.... ogni goccia d’acqua era un popolo, una nazione. Si trovò che l’acqua resa fosforescente dalle nottiluche, era per un settimo, per un terzo, e fin talvolta per una metà, composta di quegli animaletti».

«Dunque l’acqua del mare è tutta così popolata?» chiese Giovannino.

«No, no.... non ho detto questo. L’acqua del mare non sarebbe allora più acqua, ma un formicolìo, una melma animata, che non tarderebbe guari a cambiarsi in putridume. L’acqua fosforescente, così gremita d’animaletti, era attinta alla superficie, e soltanto alla superficie essa diviene fosforescente. Infine le osservazioni sulla fosforescenza marina, mostrano che le nottiluche e tutte probabilmente le falangi24 degli animali fosforescenti vengono a galla quando il mare è in calma; sicchè la sua superficie diviene come una gran piazza, come un gran ritrovo, ove si danno la posta tutte le generazioni disseminate in seno al mare, e forse disperse, durante la tempesta, nelle maggiori profondità». [p. 201 modifica]

«Sono adunque», volle conchiudere Camilla, «quelle nottiluche, che comunicano all’acqua quella tinta fosforescente».

«No.... almeno non sarebbe esatto l’esprimersi così. L’acqua non riceve nessuna tinta. Sono le stesse nottiluche, che divengono fosforescenti; ed essendone l’acqua tutta gremita e’ pare che l’acqua stessa sia fosforescente. Ciò è tanto vero, che l’acqua non è punto fosforescente se non quando la si agiti: perchè allora soltanto quegli animaletti si risentono, si contraggono, fanno insomma quegli atti, da cui viene determinata la loro fosforescenza. Quanto vi ho detto infatti sulla fosforescenza marina da me osservata tra Genova e la Spezia, vi mostra come essa si produca ove si agiti l’acqua, e come l’effetto sia tanto maggiore, quanto è più viva l’agitazione. La fosforescenza si limitava infatti alla grande striscia segnata dal passaggio del vascello, e si addensava singolarmente ove le ruote sommovevano l’acqua, formandone una massa di schiuma. Se avrete la fortuna di osservare una volta la fosforescenza del mare, nelle circostanze più favorevoli, potrete pigliarvi mille spassi. Gettate in mare una manata di sabbia, e sembrerà che il mare riceva una pioggia di fuoco. Lanciatevi un sasso, e vedrete un globo d’argento, che si risolve in anelli d’argento, che si allargano e si moltiplicano. Fendete l’onda con una verga, e una lamina d’argento galleggerà sul mare. Attingete di quell’acqua in un vaso, indi versatela lentamente, ed eccovi una bella cascata d’argento, che percotendo la superficie del mare, vi solleva un bollibolli di schiume similmente d’argento. Se immergete una mano nelle onde, esce luminosa, e goccia argento, le stille che vi cadono sugli abiti sono stille d’argento. Camminando sulle madide25 sabbie del lido, vi imprimete orme di fuoco. Gli insetti, che al vostro appressarsi fuggono a sciami a nascondersi nelle profondità del mare, sembrano stormi di scintille fuggenti. Infine, pigliate una mazza e divertitevi ad applicare di buone busse al mare, come già Serse, quando il mare gli giuocò il brutto tiro di rompergli il ponte26; e vi parrà di esser lassù con Dante nel [p. 202 modifica]sesto cielo, tra quella girandola di spiriti scintillanti che la di vina fantasia così ben dipinse in quei versi:

Poi, come nel percuoter de’ ciocchi arsi
     Surgono innumerabili faville
     Onde gli stolti sogliono augurarsi27,
Risurger parver quindi più di mille
     Luci............

(Parad., XVIII).

10. «Ma che cosa erano», domandò la Camilla, «quelle specie di lune, che tu vedevi balestrate dalle ruote del vascello?».

«Io credo indubbiamente che fossero meduse fosforescenti, cui le ruote travolgevano mano mano, e poi lanciavano in mezzo alle spume turbinose. La loro mole, ed il loro fluttuare ed espandersi, a guisa di soffici nubi, me ne assicurano. Così io credo che piccoli crostacei fosforescenti, o altri animaletti più cospicui delle nottiluche, ravvivassero quelle maggiori scintille, quei piccoli lampi che spiccavano di mezzo all’uniforme chiarore».

«Possibile», replicò la Camilla «che ci fossero tante meduse da mantenere per miglia e miglia di mare una specie di fuoco d’artificio, come tu dicevi, tanto vivace?».

«Oh! il mare è popolatissimo. Poi, non dissi, che, durante la calma, gli animali marini fosforescenti vengono a galla? Del resto, parlando appunto della moltitudine delle meduse, mi ricordo un fatto che ti persuaderà. Un capitano di bastimento, raccontava al Maury28, d’avere incontrato sulle coste della Florida29 un gran banco di piccole meduse, come di così numerosi non ne avea visto mai. Il mare ne era interamente coperto ed egli dovette navigare cinque o sei giorni in mezzo a loro. Quelle meduse navigavano certamente dagli Stati Uniti d’America all’Inghilterra, seguendo una celebre corrente calda, detta Corrente del Golfo (perchè esce dal Golfo del Messico), la quale attraversa tutto l’Atlantico, dall’America all’Europa. [p. 203 modifica]

«Ciò è tanto vero che quel capitano, al suo ritorno dall’Inghilterra, incontrò quelle Meduse nei paraggi delle Ebridi, isole come voi sapete, che si trovano presso le coste occidentali della Scozia. Erano certamente ancora le medesime, benchè non dichiarassero nome e cognome; poichè, come diceva quel capitano, la potenza di quel banco era cosa veramente unica e prodigiosa».

11. «Ma il pesce-luna?» sclamò finalmente il Riccardo, che aveva tenuto saldo fino a quel punto, ricordandosi però sempre della mia promessa.

«Il pesce-luna è uno appunto dei grossi animali fosforescenti. Quì nella libreria», dissi, volgendomi alla padrona di casa, «ci deve essere la Geografia fisica del mare del Maury30», e mi mossi io stesso a cercare quel libro. «Voi vedrete», continuai, sfogliando il libro, «figurare quel pesce in un magnifico quadro della vita marina, nelle regioni tropicali, mirabilmente dipinta da Schleiden31, Eccolo quà.... Dopo aver pennelleggiato con rara maestria quei fondi di mare, che son veri giardini di piante e di fiori viventi, così prosegue: — Quando il giorno si spegne, e i veli della notte si distendono sulle acque, quei giardini fatati rifulgono di novelli splendori. Milioni e milioni di scintille danzano nell’oscurità. Sono meduse e crostacei microscopici, erranti per le acque, come le lucciole per la campagna. Le Gorgonie32 che amano far mostra, durante il giorno, del cinabro pomposo, divengono allora verdastre, fosforescenti, luminose. Ogni antro ha la sua lucerna, ogni punto prominente il suo faro. Quei recessi che, nella pienezza del giorno, appannati e indecisivi non richiamavano lo sguardo di nessuno, ora sotto l’ombra notturna dardeggiano i loro fuochi varicolori in fasci abbaglianti. A coronare gli innumerevoli prestigi di quelle notti, così piene di [p. 204 modifica]incanti nelle profondità sconfinate dell’oceano Indiano, i popoli delle acque veggono navigar maestosa, nel loro firmamento se minato di stelle, una Febea marina33.

—» Questa luna di nuova stampa, come l’astro delle notti terrestri, ha il suo disco d’argento abbastanza largo e luminoso da compiere il suo ufficio sublime. Gli uomini non la conoscono che come un pesce del diametro di sei piedi34, e la chiamano col nome brillante e poetico di ortagorisco mola —».

12. «Adesso capisco», disse il Riccardo; «ma che strano nome!... ortagorisco mola hai detto?».

«Appunto: Orthagoriscus mola è il nome latino che danno i naturalisti al pesce-luna. Come vedi l’hanno voluto assomigliare ad una mola, cioè ad una macina da mulino. Che n’abbiano visti di badiali assai! Quanto al nome ortagorisco, che è quello del genere, esso è il nome proprio con cui gli antichi greci indicavano un pesce, il quale, secondo Plinio, grugniva a modo de’ porci quando lo si pigliava. Che l’ortagorisco degli antichi sia vera mente il nostro pesce-luna, e che egli grugnisca a mo’ di porco, le sono notizie di cui non mi faccio mallevadore».

«Il pesce-luna paragonato ad una macina da mulino....» riflettè Riccardo; «è un scipito paragone. Pesce-luna è il suo vero nome, poichè è rotondo, e splende di notte».

«Bada però che il pesce-luna non deve probabilmente il suo nome alla proprietà che lo rende luminoso di notte. Io credo che il popolo l’abbia così chiamato quando lo vide sui banchi del mercato, così rotondo, con quegli occhiacci. — Guarda che luna! — avrà esclamato un tale: e il suo nome sarà stato fissato irrevocabilmente. Bisogna concedere che la fantasia non fa mai difetto ai popolani».

«Allora», fu pronto a dire Riccardo, «ho ancora ragione io: avrebbero dovuto chiamarlo il pesce-sole».

«No, no. Il sovrano degli astri! l’occhio del mondo! Questo è poi troppo! Il ministro maggior della natura, come lo chiama Dante con sì poetica perifrasi!... Anche il popolo lo nomina sempre con gran rispetto; nè lo adopra mai in un paragone, se non quando ha dinanzi alla mente qualche cosa di nobile, di elevato, di eccellente. Cercheremo nel sole le imagini di Dio, [p. 205 modifica]degli angioli, degli eletti; ma sarà già un discendere quanto è possibile, se gli paragoneremo una bellezza terrena. Colla luna, che volete! Gli uomini se la pigliano con molta dimestichezza. I poeti sono quelli che fanno più a fidanza con lei, e vogliono affogarla nella gonfiezza dei loro sospiri. Fortuna che la ci è avvezza, ed ormai la non ci bada. Dopo i poeti vengono tosto i boscajoli, gli ortolani, le massaje, poichè la luna è sempre in gran faccenda colle legna cedue, colle ova, coi porri, coi cavoli, colle cipolle. Infine la luna ci vien sulla lingua ad ogni istante. Si vorrà dire che due sposi si amano così virtuosamente, da conservare fino alla più tarda età l’affetto dei primi giorni? No: convien dire invece che vivono ancora nella luna di miele. V’ha un fortunato mortale a cui tutte le cose corrono a seconda? Si dice che è nato a buona luna; a cattiva luna, se, poveretto! tutte gli volgono al peggio. V’ha uno scioccherello che argomenti fuor di proposito? — Eh! carino, che ci ha a fare la luna coi granchi?... - Ve n’ha un altro che pretende una cosa impossibile? — Eh! tu voi prender la luna coi denti.... — E quello che crede di saperla lunga, e oltrepassare il limite tracciato dalla povertà dei suoi mezzi? ——— Più in su sta monna luna.... — gli si dice. Un distratto che non sa mai quello che gli accada dattorno, si sen tirà dire spesso: —- Tu vieni dal mondo della luna. — Ma basta».

«Ancora, ancora!...» gridarono i nipotini, che ci pigliavano gusto.

«Ancora? Ce n’ha finchè volete. Si vuol dire, per esempio, che uno è un bel pacchiarotto come Riccardo? Si dirà che è una luna piena. Un fanciullo che abbia a volte a volte dei capriccetti, come Carlino, diranno che patisce la luna. Un cervello un po’ balzano, come quello di Peppino, per esempio, che di tanto in tanto dà in certe stranezze, si dirà che è pazzo a punti di luna. Un altro un po ’ saccente, per esempio, quel Pierino, che vuol far la critica talora fino alla mamma, la quale poi tira avanti a fare come è dovere suo, si dirà che abbaja alla luna. Quando Antonio mette il grugno, non si sa perchè, e stassene rincantucciato, lontano dagli altri, come una pecora rognosa, gli diremo che ha le lune a rovescio. E se Giovanni, vuol darvene a bere di grosse, ditegli che vuol farvi vedere la luna nel pozzo....».

E così mi levai, mentre i fanciulli si levarono anch’essi per partire, ridendo e gridando colla miglior luna del mondo.


Note

  1. Si allude al nome delle diverse costellazioni, ossia dei diversi gruppi di stelle, corrispondenti agli spazî, nei quali gli antichi divisero il firmamento quasi in altrettante provincie.
  2. Le coronule appartengono alla classe dei crostacei ossia dei granchi. Sono però sprovveduti di organi di locomozione, e aderiscono come le ostriche agli scogli, ed anche agli animali, su cui restano fissi.
  3. Achille Valencienne, nato a Parigi nel 1791, morto nel 1865, diede alla scienza una Storia naturale dei pesci (11 vol. in-8), un’altra dei molluschi, degli anellidi e dei zoofiti.
  4. Gimnodonti, dalle due parole greche, gymnot = nudi, e odontes = denti.
  5. È vocabolo greco, e significa eccitamento, irritazione, esasperazione. Lo usano specialmente i medici per indicare il massimo aggravamento d’una malattia; talvolta per indicare l’assalto della febbre, che dicono anche l’accesso. Fuori di medicina può con parsimonia adoperarsi, come qui, a significare il massimo eccitamento di qualsiasi azione o passione.
  6. Cercatela lungo la marina del Belgio.
  7. Le nebulose sono come macchie biancastre che si osservano col telescopio nel cielo. Alcune, dette solubili, per lo più di forma tonda, osservate attentamente si risolvono in una moltitudine di punti luminosi. Altre, che hanno forme irregolari, si dicono insolubili, perchè sembrano formate di materia continua. La Via Lattea, benchè abbia in apparenza la forma di un lungo nastro, appartiene alle nebulose solubili.
  8. Sono famosi i fuochi d’artifizio che s’accendono a Roma intorno al Castel Sant’Angelo per celebrare popolarmente le feste di Pasqua e di S. Pietro.
  9. Furono chiamate macchine infernali certi congegni composti di molte bocche da fuoco, a cui una sola persona potesse dar la miccia ad un tratto, e che lanciassero così molte palle in una volta. Ne furono costrutte contro Napoleone I, e contro Luigi Filippo; ma le intenzioni degli ingegnosi assassini andarono deluse.
  10. E voce latina, che risponde alla voce italiana — nuotanti — ma questa significa il — nuotare — proprio degli animali; quella si adopera in senso traslato, a indicare per lo più il galleggiare di corpi inorganici; oppure si usa dai naturalisti come vocabolo scientifico. I poeti dissero natanti gli occhi del moribondo.
  11. Ne’ luoghi dove esistono in certa copia sostanze animali putrescenti (come nei cimiteri), si sviluppa facilmente un gas, detto idrogeno fosforato, il quale s’infiamma spontaneamente al contatto coll’aria. Pare che da questo fenomeno traessero origine le paurose novelle, tanto impresse nella fantasia del volgo ignorante, di anime dei trapassati comparse in forma di fiamme vagolanti che rincorressero i fuggenti.
  12. Annales des sciences naturelles, III Ser., t. XIV, N. 50.
  13. Precisamente il nome greco significa — diecimila piedi; — come miriagramma = diecimila grammi, ecc.
  14. Acalefe in greco significa — ortica; — questi animali son detti acaleft od ortiche marine, perchè hanno la facoltà di dare atroci punture.
  15. Voce greca, significante — molti piedi.
  16. Voce latina —— portatori di luce. — In greco — fosfori.
  17. Questo poteva dirsi ancora nell’epoca in cui fu scritta questa serata; ora non più, mentre il professore Paolo Panceri, nostro milanese, ha pubblicato nelle Memorie dell’Accademia di Napoli quella serie stupenda di osservazioni e di esperienze sulla fosforescenza marina.
  18. Voce latina — abbruciamento. — Così — combustibile — dicesi ciò che può esser bruciato.
  19. Voce greca — trasformazione.
  20. Pelagia = conchiglia; — noctiluca = che luce di notte.
  21. Nacque a Scandiano (Emilia) nel 1729, morì nel 1799. Studiò legge, poi si diede alle scienze naturali, in cui fece parecchie di quelle scoperte che alle scienze fanno fare d’un tratto un bel pezzo di strada.
  22. Secrezione, da secernere latino è l’atto per cui gli animali e i vegetali emettono una sostanza qualunque elaborata nell’interno dell’organismo. Secrezione dicesi anche la sostanza che si emette. Sono altrettante secrezioni il sudore, il succo gastrico, il guscio delle conchiglie, il corallo, ecc.
  23. Se — combustibile — è ciò che può essere abbruciato, — comburente, — è ciò che abbrucia il combustibile.
  24. Falange, — voce greca, propriamente significava un corpo militare, che variava di numero secondo che chiamavasi — falange elementare, — o — piccola falange, — o grande falange. — Adesso equivale a numero grande di uomini, od anche di animali. Chiamansi pure — falangi — le ossa, di cui sono composte le dita.
  25. Umide.
  26. Serse, re de’ Persiani, verso l’anno 480 avanti Cristo apparecchiava un esercito innumerevole ed un’armata poderosissima per invadere la Grecia per terra e per mare. Affinchè l’armata non fosse costretta di voltare il monte Athos, dove i venti avevano qualche anno prima dispersa la flotta di Dario I, padre e antecessore di lui, Serse fece tagliare nell’Istmo della penisola di Acte un canale lungo 2400 metri, di cui si vedono ancor le tracce. Per tragittare poi l’esercito dall’Asia in Europa ordinò attraverso all’Ellesponto (oggi stretto di Gallipoli o dei Dardanelli) un ponte di navi, tenute, l’una accosto all’altra, da gomene e catene. Una tempesta ruppe le catene e le gomene e sbarattò le navi. Allora Serse fece uccidere tutti gli ingegneri che l’avevano mal servito; e dicono che anche facesse battere il mare colle verghe, perchè tollerasse più docilmente l’altro ponte, che ordinò ad altri ingegneri di costruire con materiale più saldo. Su questo secondo ponte egli passò con tutto l’esercito dalla Troade che è in Asia, nella Tracia che è in Europa. Lo ripassò poi quasi solo fuggendo a precipizio dopo la sconfitta di Salamina.
  27. Pare che fosse costume, al tempo di Dante, e sarà forse ancora, di trarre buono o cattivo augurio dalla copia delle scintille che levansi scoppiettando dal ceppo arso, quando lo si stuzzichi, puntando colle molle, come suole chi stassi oziando al camino.
  28. Maury, Géographie physique de la mer, pag. 50.
  29. Penisola dell’America settentrionale, che divide il Golfo del Messico dall’oceano Atlantico.
  30. Matteo Fontaine Maury, nacque il 14 gennajo 1806 in Spottsilvania nella Virginia, e morì il 1.º febbrajo 1873 in Lexington, piccola città della Virginia. Creatore di una nuova scienza colla sua opera intitolata Geografia fisica del mare, non è a dire quanto abbia allargato i limiti dello scibile umano. Io non dubito di proclamarlo il primo fisico del nostro secolo. Venuto dopo Galileo, Newton e Volta, si siedeva a pari con loro.
  31. Pronunciate Sc’laiden coll’sc come in scena.
  32. Le Gorgonie (Gorgonia) sono polipi, la cui specie più comune detta antipate, è conosciuta volgarmente sotto il nome di corallo nero. Si assomiglia infatti al corallo, avendo, come lui, uno scheletro duro, che si piglierebbe per una pianta. Ma nel corallo lo scheletro è come di sasso, e precisamente calcareo; nelle Gorgonie invece lo scheletro è corneo, cioè di quella tessitura molle ed elastica, che caratterizza i corni, le ugne, ecc. Il polipajo delle Gorgonie prende la forma quasi di una foglia di palma, le cui nervature si fondono tra loro, in guisa da formare una rete, dura, elasticissima, che direbbesi lavorata a maglie, di filo d’acciajo. L’animale gelatinoso, variopinto, investe totalmente lo scheletro.
  33. Febea era detta dagli antichi la luna, perchè sorella di Febo, ossia del sole; e Febea, potrebbero chiamarla ugualmente i moderni, perchè là luna dal sole riceve la sua luce.
  34. Sei piedi inglesi = metri 1,83.