Il Pentateuco con introduzione critica ed ermeneutica/Introduzione critica ed ermeneutica
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Prefazione | ► |
scrltta nell'anno 1829
AD USO DEGLI ALUNNI DELL'ISTITUTO CONVITTO RABBINICO
DI PADOVA
Allo stadio regolare di ciascheduno dei santi Libri, che da noi colla massima attenzione dovrà percorrersi, vi promisi, benamati studiosi giovani, di premettere delle preliminari nozioni storiche e critiche; ed eccomi oggi, colla divina assistenza, a dare ai nostri esegetici studj ben auspicato cominciamento, dal sacro volume della legge di Dio pigliando le mosse. Ragionerovvi quindi in primo luogo dell'autenticità e dell'integrità del Pentateuco, ma ragionerovvene in guisa, da non defraudare la Teologia dogmatica di quanto alla sua giurisdizione essenzialmente appartiene. Io qui dunque prescinderò da tutte quelle controversie, che i fedeli e sani credenti dagli increduli separano, contentandomi di ventilare soltanto, a trionfo della verità, alcune per noi meno ortodosse opinioni da varii moderni Dottori di Teologia, e dotti ebraizzanti avanzate e sostenute. Fu in ogni tempo universale lsraelitica credenza, che il Pentateuco, in ogni sua parte, riconosca per autore ed unico estensore l'Arciprofeta Mosè; il solo ultimo capo del Deuteronomio, quello cioè che la morte ci descrive del sacro scrittore fu dai Dottori stessi del Talmude messo in quistione, se a Mosè stesso, o non piuttosto a Giosuè ascrivere si dovesse:
בתרא דף ט"ו: תניא וימת שם משה עבד ה', אפשר משה מת וכתב וימת, אלא עד כאן כתב משה מכאן ואילך כתב יהושע: דברי ר' יהודה ואמרי לה ר' נחמיה
Contro a questa universale costantissima credenza di tutta l'antichità lsraelitica e Cristiana, e diciam pure della pagana eziandio, insorse un secolo e mezzo fa il Padre Riccardo Simon, avanzando nella sua Storia critica dell'antico testamento, che Mosè non è propriamente l'autore, che di quella parte del Pentateuco, che le leggi comprende e le divine ordinazioni; che però tutta la parte di esso Libro che la storia concerne era stata estesa da certi, com’ ei li chiama Scribi, ossieno pubblici scrittori, o Profeti che chiamar si vogliano, che altro in sostanza non erano, secondo la sua ipotesi, che uomini dalle pubbliche autarità incaricati ad esercire l'ufficio di Storiografi.
L'insussistenza di tale gratuita supposizione si manifesta evidentemente, mediante la sola considerazione che la parte precettiva o legale, e la parte Storica del Pentateuco, non sono in esso libro in verun modo disgiunte, staccate, o minimamente separate e distinte, come non potevano non esserlo, se da differenti autori state fossero estese: mentre ben all'opposto, ad ogni pagina quasi del sacro codice troviamo i divini comandamenti nel corso stesso delle diverse narrazioni inseparabilmente in nestati e naturalmente annicchiati. La legge, a cagione d'esempio, civile delle successioni, registrata nel libro dei Numeri, cap. 27 è contenuta in 11 versetti, dei quali i primi 5 che non sono che la rimostranza delle figlie di צלפחד appartengono alla Storia, i soli ultimi 6 costituiscono la legge; ma la legge, la quale da queste espressioni incomincia: כן בנות צלפחד דברות si riferisce in un modo così patente alla Storia, che ad ogni senso comune bisognerebbe rinunziare, per credere che Mosè abbia potuto la parte legale senza la parte storica nel Sacro libro registrare. Così le leggi criminali relative alla pena dell'omicida, e dell'uccisore degli altrui animali, sono scritte nel Levitico al cap. 24, in mezzo alla storia del bestemmiatore: la legge incomincia הוצא את המקלל evidentemente rapportandosi alla storia che la precede. È inutile che ulteriormente io mi diffonda in diniostrarvi, come nel Sacro Codice le leggi e le narrazioni non formino che uno indivisibile tutto, il quale tutt’altro aspetto dovrebbe necessariamente a noi presentare, qualora in esso da principio stata fosse la parte legale separatamente scritta dalla narrativa. Tre sole osservazioni aggiungerò, ed è la prima, che una chiara prova ci somministra il libro di Giosuè, che il così nominato libro della legge di Dio ספר תורת אלהים sino da quei tempi a quelli di Mosè tanto prossimi, non si ristringeva già alla sola esposizione delle Divine leggi, ma molto ancora di Storico in sè abbracciava. Difatti, quando Giosuè, vicino a trapassare a miglior vita, in seguito alla paterna ammonizione che al suo popolo fece, ne ottenne quella solenne dichiarazione di volersi rimanere inviolabilmente al culto del vero Dio esclusivamente attaccati, vediamo che quel degno allievo e successore di Mosè scrisse siffatto avvenimento nel libro della legge di Dio: ויכתב יהושע את הדברים האלה בספר תורת אלהים; nè certamente ad aggiungere tal narrazione in calce al Libro di Mosè avrebbe egli mai potuto pensare, se quel libro, ristretto ai soli divini comandamenti, non avesse già in sè contenuto, come effettivamente contiene e sempre contenne, molte e molte narrazioni, relative ai più importanti soggetti della Storia nazionale.
È la seconda, che i nostri più antichi maggiori, nella ben giusta venerazione, in cui han sempre avuto L'Arciprofeta Mosè, tollerato non avrebbero giammai, che unite venissero in un corpo solo, in un colle divine leggi per organo suo emanate, delle narrazioni, che da altri che da lui state fossero scritte. Che se Giosuè si credette permesso d'inserire nel Sacro Codice la suaccennata sua ammonizione e l'ottenuta dichiarazione del popolo, ciò fu bensì da lui in calce al Sacro volume aggiunto, non però nel bel mezzo di esso inserito, e lo stesso dicasi della Storia della morte di Mosè secondo i surriferiti Talmudici Dottori che da esso Giosuè aggiunta la vogliono. Conciossiachè ben altra cosa è dopo la chiusa di un libro aggiungere la narrazione della morte dell'autore di esso, narrazione, che per sua natura dar non può luogo ad abbaglio od illusione alcuna; ed altra cosa è nel corso d'un opera, e, per cosi dire, tra le linee di essa, innestare intiere storie.
Ed è la terza mia osservazione, che l'ipotesi degli scribi da pubblica autorità incaricati dell'ufficio di Storiografi, è destituta onninamente di qualsiasi più leggiero appoggio in tutto il sacro volume del Pentateuco. Sconfitto Amalec, Dio dice a Mosè כתוב זאת זיכרון בספר scrivi questo avvenimento nel Libro a perpetua memoria; non gli dice, che ad altri ne affidi la registrazione. E quel fido ministro Giosuè, della supremazia del Divino suo maestro geloso cotanto, che all'occasione di Eldad e Medad profetizzanti, esclamava אדני משה כלאם, come avrebb'egli tollerato, che senza solenne autorizzione da parte di esso maestro altri osato avesse scrivere non solamente la storia di lui e delle gesta sue, ma quelle ancora della Creazione e del Diluvio, le quali indispensabilmente suppongono in chi le estese una celeste inspirazione? E come non ripeteva egli contro siffatti Storiografi אדני משה כלאם? E poterono questi esatti storici tanti fatti dettagliatamente tramandarci, e la Storia obliare di quel pubblico solenne atto, che del carattere gl'investiva di autorevoli, canonici ed inspirati Scribi della nazione?
Troppo veramente io m'arresto a confutare un'ipotesi siffattamente mancante della menoma apparenza di appoggio. Pure non tacerò, che l'autore di essa allega in suo favore il costante uso del sacro codice di parlare della persona di Mosè come d'una terza persona. Non sa e non può l'autore occultare a sè medesimo, quanta infirmata ne resti siffatta sua prova dall'esempio di Giulio Cesare e di Giuseppe Flavio, i quali nelle storie che scrissero pure in terza persona parlarono di sè. Ma un'osservazione ben diversa io trovo nell'argomento nostro da farsi, per la quale l'ipotesi del dotto Critico viene a ridursi in aperta contraddizione ed assurdità. Non è nella parto storica soltanto, che il sacro Testo faccia uso della terza persona in parlando dell'Arciprofeta: lo è egualmente nella parte precettiva, nella quale nulla di più frequente di questa formula וידבר ה׳ אל משה לאמר Dio parlò a Mosè. Se dunque nella parte legale questo modo di parlare nulla prova contro la comune, anzi universale credenza, che fa Mosè l'inspirato Estensore del Pentateuco, nulla egualmente provar puote nella parte storica.
Male poi si vorrebbe dal nostro Critico, dall'apparente disordine che trovar crede in alcune narrazioni del Pentateuco, inferire la verità della sua ipotesi; anche questa, egualmente che l'antecedente, essendo di quelle ragioni che provar volendo troppo, nulla provano. Imperocchè se reale disordine regna nelle narrazioni del Sacro Codice, non furono dunque quelle da autorevoli inspirati, e conseguentemente sensati Scribi estese. Rimane adunque, che apparente soltanto sia quel disordine, e da Dio stesso voluto; e quindi esser poterono quelle narrazioni, e lo furono difatto, scritte dall'arciprofeta Mosè, unitamente alla parte legale e precettiva.
E male egualmente si allegano dal medesimo autore alcuni pochi versetti del Pentateuco, su' quali qualche antico nazionale commentatore ha voluto gettare sospetto d'interpolazione, ed intorno ai quali più avanti ragioneremo; male dico, da lui si allegano; mentre chi, in un libro, qualunque siesi, sostiene alcune poche linee interpolate, sostiene con ciò stesso l'autenticità dell'insieme dell'opera, nè parziale interpolazione può trovar luogo in un volume, il quale esteso si voglia da vari ed indeterminati scrittori, come dal Critico nostro si vorrebbe, assai poco sensatamente, del sacro divino Codice sostenere.
Se rivoltante è a voi sembrata, benamati giovani, l'ipotesi da me sin qui combattuta, ributtante più assai non potrà non riuscirvi l'opinione in sommo grado eterodossa, che pur si osa attualmente avanzare da alcuni dei più dotti orientalisti fra i Teologi protestanti della Germania. Ma è pur d'uopo che io vi premunisca contro l'impressione, che su di voi far potrebbe un giorno la lettura di opere dettate d'altronde con vasta dottrina ed apparentemente profondo ingegno; ed è mio dovere di farvi parto di tutte quelle armi che le mie meditazioni poterono suggerirmi in difesa della buona causa.
Affermano dunque varii dei moderni linguisti essere fenomeno senza esempio, che una lingua si conservi per lo spazio di ben mille anni in uno stato così uniforme, com'è quello, in cui vediam comparire la lingua ebraica dai primi agli ultimi scrittori del sacro Canone, da Mosè a Neemia, personaggi appunto di mille anni l'un dall'altro distanti; e dalla pretesa impossibilità di così durevole uniformità di linguaggio audacemente inferiscono, che il Pentateuco non potè essere scritto, che vari secoli dopo l’età di Mosè, per esempio ai tempi Davidici, o più tardi ancora.
Specioso è il raziocinio e seducente, essendo il fenomeno di cui si tratta veramente straordinario, e fra le lingue a noi conosciute senza esempio. Qualora però si voglia alle cause delle cose risalire, osserveremo che la cagion precipua delle alterazioni che sogliono i secoli alle lingue apportare, non è già il giro stesso dei secoli, ma bensì l’influenza dei popoli stranieri, nemici sieno, o puranche amici.
Alterano i nemici popoli il linguaggio della da loro invasa nazione, come alterarono i popoli del Nord la lingua latina, dando così origine ai moderni idiomi europei; ed alterano le nazioni amiche scambievolmente i linguaggi loro, col vicendevole traffico che continuamente si fanno de’ loro lumi, delle loro costumanze, delle loro maniere, e conseguentemente anche dei loro modi di dire, e degli stessi loro vocaboli, nella guisa che a’ di nostri veggiamo l’italiana, la francese, l’inglese e l’alemanna favella, in un mutuo continuo cambio di termini e di modi, che l’una presta all’altra, e l’una dall’altra riceve, a motivo appunto del pacifico commercio, in cui le rispettive nazioni vivono l’una con l’altra. Ora per poco che considerare si voglia lo stato politico della nostra nazione, durante il suo soggiorno nella Palestina, si scorgerà che per tutto quell’intervallo ella non ebbe nessuna o quasi nessuna relazione nè di nemica invasione nè di pacifico commercio con nazione alcuna, che altra lingua parlasse che l’ebraica. Le nemiche invasioni e le fatte conquiste non riguardavano che le varie popolazioni della Cananea e suoi contorni; popolazioni tutte che la stessa ebraica lingua parlavano, la quale appunto שפת כנען vediamo da Isaia appellata. Nè altra lingua che l’ebraica avevano i Fenici, i popoli cioè di Tiro e di Sidone, dei quali i monumenti tutti che ci rimangono, colla cognizione della lingua santa spontaneamente s'interpretano. Le transazioni pacifiche e commerciali erano rare coi popoli finitimi, e rarissime coi lontani. Quindi nulla esser poteva l'influenza delle nazioni straniere, a cagionare modificazioni ed alterazioni nell'ebraica favella. E diffatti noi veggiamo, che tosto che una nazione alquanto lontana, e parlante una lingua diversa, tosto che, dico, la nazione babilonese invase la Giudea, l'ebraico idioma non tardò a decadere della sua purità, e ad adottare quantità di Caldaismi, dai quali non si è poscia mai più liberata. Fino allora, il popolo di Dio, per la propria teocratica costituzione tenendosi possibilmente separato dalle genti idolatre, nè mai avendo sofferta invasione di orde remote, che d'una diversa lingua facessero uso, sorprendente cosa non è, se potè per sì lunga stagione conservare invariabilmente il proprio idioma. Vinca il vero dunque, e si ritenga per inconcussa verità, che il sacro volume del Pentateuco appartiene tutto intero, come tutta l'antichità ha sempre creduto, all'arciprofeta Mosè.
Rimane che io vi tenga parola, studiosi giovani, sull'integrità del medesimo sacro libro; e sarà questa la parte più lunga, più istruttiva e più dilettevole dei presenti Prolegomeni. L'assurda accusa, contro la nostra nazione anticamente intentata da alcuni cristiani, per esempio da Giustino martire ed Ireneo, indi in tempi meno remoti da alcuni nazionali passati al cristianesimo, per esempio Nicolao de Lyra e Paolo Burgense, l'assurda accusa, dico, che le sante scritture sieno state da noi maliziosamente, e in odio de' cristiani, mutilate e sfigurate, è oramai riconosciuta da tutti i moderni critici, per quella ch'ella è, vale a dire destituta da ogni ombra di ragione, ed anzi alla sana ragione ripugnante assolutamente e contraria, nè giova altrimenti che ci arrestiamo ad impugnarla. Piacemi soltanto rilevare una solenne menzogna sostenuta dal Padre Giovanni Morino, nelle sue esercitazioni bibliche, al capo 6 della prima esercitazione, dove con lungo corredo d'intempestiva erudizione rabbinica vorrebbe far credere che tanta era presso i nostri correligionari l'autorità degli antichi sinedri, e delle babilonesi accademie, che sino all'anno mille dell'era volgare durarono, che quando da quei dottori voluto si fosse, si sarebbe potuto da loro, senza ostacolo, portare qualunque alterazione nel sacro Testo, e farla dall'universalità della nazione sommessamente e ciecamente adottare.
Per conoscere quanto sia falsa tale asserzione, basta vedere nel Codice misnico, Trattato הוריות, i limiti, entro i quali, gli stessi dottori della Misnà e del Talmud circoscrivono l'autorità del Sinedrio di Gerusalemme. Stabilirono essi, che verificandosi lo strano caso, che un Sinedrio comandata avesse la totale abolizione di un precetto qualunque della divina Legge, quel Sinedrio non era già obbligato al Toro espiatorio dalla Legge ordinato pel caso d'involontario errore dell'intera nazione פר העלם דבר של צבור; ma che ogni singolo individuo, che dietro la decisione del sovrano Tribunale peccato avesse, tenuto era a particolar sacrifizio, in espiazione della colpa da esso commessa nell'obbedire piuttosto all'umana che alla celeste autorità : conchiudendo, che allora soltanto era il Sinedrio al sagrifizio obbligato, quando da esso errato si fosse in soggetto dai Sadducei disputato; mentre se si trattasse di Legge siffattamente nel sacro Codice a chiare note espressa, da venire dagli stessi scismatici riconosciuta, nulla era l'autorità dello stesso supremo senato, e nulla la sua responsabilità אין בית דין חייבין עד שיורו בדבר שאין הצדוקים מודים בו, מאי טעמא, דזיל קרי בי רב הוא
Peccò, dicono i Talmudisti, peccò l'individuo consultante; leggere doveva il sacro Testo, e non dimandare l' umana decisione in materia dalla divina parola a sufficienza decisa.
Se dunque nulla era l'autorità dello stesso supremo Sinedrio contro al testo formale del sacro Codice, è falso ed assurdo, che il medesimo Sinedrio avuta avesse l'autorità di portare la menoma alterazione nelle espressioni del Testo stesso. Ma di ciò anche troppo.
Più meriterà di trattenerci l'opinione di vari moderni non nazionali teologi, i quali abusando dell'epiteto di סופר di cui trovano insignito Esdra, a lui attribuiscono una ristaurazione, una emendazione, una riforma pel sacro Testo, opinione non meno dell'antecedente insussistente e vana, siccome quella, che ad un uomo solo accordor vorrebbe quell'autorità, che il supremo senato della nazione non ebbe giammai. In quanto all'epiteto di סופר, sembra esso essere originariamente il participio attivo del verbo סָפַר numerare, significando propriamente computista, contabile, ragioniere. Così abbiamo nel libro dei Re: ויהי כראותם כי רב הכסף בארון ויעל סופר המלך והכהן הגדול ויצורו וימנו את הכסף הנמצא בית ה׳: così הסופר שר הצבא המצביא את עם הארץ era quegli che il registro teneva delle truppe. Il nome סֵפֶר scrittura, libro, sembra pure da questa stessa significazione di contabilità e registro aver tratta la sua origine, uno dei più naturali bisogni della scrittura essendo quello della registrazione dei conti. Ancora ai tempi nostri dicesi tener la scrittura, tener i libri, nel senso di tenere i conti e i registri pecuniari. Da questo senso primitivo passato essendo il nome סֵפֶר a denotare qualunque sorta di scrittura, e qualunque opera letteraria e scientifica, passò pure l'aggettivo סופר ad esprimere un letterato, un uomo che si occupa dei libri. Cosi nei Paralipomeni (I 27 32) ויהונתן דוד דָוִד יועץ איש מבין וסופר הוא Gionata era consigliere, perchè uomo era intelligente, e nelle lettere istrutto. È in questo senso che Esdra appellasi סופר, non nel significato di scriba, ma in quello di uomo di lettere, e nella nazionale letteratura perito. È pure in questo senso che i nostri più antichi Dottori, queglino da cui riconosciamo le più utili e più venerate istituzioni, chiamansi סופרים e quindi la trita locuzione דברי תורה ודברי סופרים; ed è così che i Greci chiamavano grammatico ogni uomo colto e nelle lettere instrutto, che da noi con equivalente figurata espressione letterato si appella.
L'aggiunto poi מהיר che all'epiteto סופר in lode di Esdra troviamo aggiunto, non vale già celere e veloce, come l'etimologia della voce sembrerebbe indicare, ma significa solamente abìle ed esperto, come appunto significa nel Testo dei Proverbi חזית איש מהיר במלאכתו che non esprime già frettoloso e precipitoso, ma capace e perito. Similmente in Isaia שופט ודורש ומהיר צדק significa un giudice esperto nell'amministrare la giustizia, non mai celere e frettoloso.
E difatti, se prendiamo in disamina i fatti che relativamente alla vita di Esdra e da lui stesso e dai suo coadiutore Neemia ci vengono narrati, noi troveremo bensì, ch'egli fosse della legge di Dio esperto conoscitore, e che a farla ai suoi nazionali e conoscere ed osservare zelantemente si occupasse; mai però non vediamo ch'egli di Scriba o copista esercitasse le funzioni.
Fu, è vero, opinione già di alcuni Commentatori e Critici celebri della nostra nazione, p. e. d'un Kimchi e d'un Efodi, che i libri sacri avessero in occasione dell'emigrazione babilonica alcun detrimento sofferto, al quale Esdra unito ai venerabili colleghi suoi messo avesse riparo, i varj Codici collazionando, e nel margine dei Libri le varie lezioni registrando; ben lungi però dal portare menoma alterazione nel Testo di essi. Tale ipotesi, benchè nulla sappia di eterodossia, fu già dal dottissimo Abravanel nella Prefazione al libro di Geremia impugnata, alle ragioni del quale una fortissima aggiunge Elia Levita nella famosa terza Prefazione del suo מסורת המסורת ed è, che se le lezioni marginali (dette קרי וכתיב) erano state da Esdra e suoi colleghi introdotte nei luoghi di dubbiezze, d'onde avvenne egli mai che di tali marginali lezioni abbiano luogo nei libri da Esdra stesso scritti, e da suoi collaboratori, p. e. nei libri di Neemia, d'Ester, dei Paralipomeni ecc.? Mentre assurdo sarebbe l'immaginare ch'essi, che gli autori erano di tali volumi, dubbii si trovassero ed incerti sopra qualche lezione di quei medesimi libri.
Ma una considerazione più ancora importante io trovo qui da aggiungere, la quale m'induce a totalmente negare siflatto detrimento che si vorrebbe dai sacri libri sofferto nell'emigrazione babilonese. lo trovo nei libri scritti posteriormente alla testè accennata catastrofe fatta menzione di quantità di volumi, da noi nei successivi secoli perduti: trovo, a cagion d'esempio, citate nei Paralipomeni le profezie di נתן, di אחיה, di שמעיה, di עדו, di יהוא בן חנני e le Cronache particolari dei Re di Giuda e d'Israele. Se dunque la babilonese invasione non ha contribuito alla perdita di tanti volumi di meno importanza, i quali si sono poscia, appunto per la poco loro entità, da noi perduti; come mai si vorrebbe che quell'invasione, per quanto sia stata violenta, distrutti avesse o mutilati gli esemplari della legge di Dio, esemplari ch'esser dovevano per loro natura infinitamente più moltiplicati, e più gelosamente assai da chiunque li possedeva, custoditi‘? Epperò, benamati giovani, temer non dobbiamo di stabilire qual fermo principio, che i sacri libri non hanno per niente sofferto nella soluzione del Regno dei padri nostri; che Esdra non ha nè emendato, nè in verun modo modificato il Sacro Codice; che egli non era Scriba, e che il sacro Testo, che noi abbiamo tra le mani, non deve punto, come da alcuni critici gratuitamente vorrebbesi, Esdrino appellarsi, ma bensì Mosaico, e Divino.
Credo inutile di far menzione di quelle 18 parole, le quali dal מדרש תנחומא e dalla מסרה chiamate vengono תקון סופרים imperocchè nulla può nuocere alla integrità del sacro Testo una emendazione, che seppure ha avuto luogo, ci viene da quegli stessi che la fecero, fatta osservare. E dico, seppure ha avuto luogo, perchè è sentenza del celebre Albo, che tale תקון סופרים non non voglia intendersi per una reale correzione degli Scribi, ma voglia con tale espressione indicarsi, avere il Sacro Scrittore in tutti gli accennati luoghi temperati per varj motivi i termini in guisa che altro suonan le parole, ed altro era il senso dall'autore contemplato. Abenesdra poi dimostra in varj luoghi dei suoi Commentarj, che l'analogia del contesto non permette in verun modo, che quelle 18 parole si scrivessero o s'intendessero altrimenti di quel che presentemente suonano nell'odierno Testo.
Non conviene però che sotto silenzio io copra la famosa obbiezione che dietro il Padre Morino da molti Critici si è creduto e si crede fare all'integrità del Testo ebraico, dalle numerose discrepanze che in esso si trovano, collazionandolo col Testo Samaritano. Conciossiachè recato due secoli fa in Europa un esemplare del Pentateuco che nel loro particolar carattere conservano i pochi avanzi del popolo Samaritano, e questo pubblicato colle stampe e trovato in molti e molti luoghi scostantesi dalla comune lezione del sacro Testo; l'amore delle novità, che fa sempre preferire al vecchio il nuovo, ed all'ordinario lo straordinario, fece sì, che da molti critici si sostenesse esser quello il genuino Mosaico originale, e che i Padri nostri nella guisa che le antiche figure dell'Alfabeto, che si pretende quelle stesse essere dai Samaritani tutt'ora usate, nelle nuove lettere assiriache o caldaiche cambiarono, avesser pure in molti luoghi le parole stesse e le sentenze alterate e depravate.
Fu d'uopo che due secoli scorressero sopra tale opinione, affinchè perdendo le attrattive della novità la vecchia verità potesse novellamente farsi ascoltare. Gesenio, quel principe dei viventi Orientalisti1, tuttochè in altri più ancora rilevanti capi infetto vada dei moderni traviamenti, ha l'onore d'aver posta nel più chiaro giorno la vera natura delle varianti lezioni del testo samaritano, dimostrandole tutte effetto di una licenziosa e sovente poco giudiziosa critica, colla quale quei settari s'intesero di emendare il sacro Testo, rendendolo o più chiaro, o più coerente, o più regolare, o finalmente più conforme alla lingua e alla credenza di essi scismatici.
Divide egli pertanto queste variazioni in otto classi, cui piacemi riferirvi, con alcuni dei molti rispettivi esempi da lui addotti: importa per erudizione, che di tali dissonanze non siate all'oscuro, e più ancora importa per religione, che di esse vi formiate delle sane idee.
Comprende adunque la prima classe molte e molte pretese emendazioni, tendenti a togliere le grammaticali anomalie, rendendo il testo apparentemente più regolare. Così il Samaritano legge אנחנו dove da noi leggiamo il meno comune נחנו; così האלה dove da noi si legge l'accorciato היא ;האל dove ותתיצב ;הוא per l'irregolare שכן ;ותתצב pel paragogico חית ;שכני per אימה ;חיתו per שהו ;אימתה invece di מתני קמיו ;שיו in luogo di מתנים קמיו;מנוחה כי טובה in cambio di ובשלש עשרה שנה מדרו ;מנוחה כי טוב per ושלש;קול רמי אחיך צועק per תאומים ;צועקים per חתום בשרו ;תומים per הרי ;החתים בשרו per הררי; ed altre molte di tal fatta pseudo-grammaticali emendazioni, nelle quali la mano critica da sè si accusa, a petto della venerabile originalità del testo nostro. Abbraccia la seconda classe molte sorta di glose, interpretazioni e additamenti dai critici samaritani introdotti nel sacro Testo, nel pensiero di accrescergli perspicuità. Così הוליד invece di ילד relativo a maschio; זכר ונקבה per איש ואשתו relativo ad animali bruti; האתה זה in luogo di אתה זה, dove la הא interrogativa è sottintesa; וכל אשר יש לו per הגר אשר יגור ;וכל יש לו per וימצא מלאך אלהים את בלעם ;הגר הגר per עשו ;ויקר אלהים אל בלעם per כנום ;שעיר per והמצבה ;כמום per ותרד כרה ;והמצפה invece di ותער; ימים או חרש per ימים או עשור; זקן ושבע ימים per זקן ושבע; ופתח יוסף את כל אשר בהם בר per את כל אשר בהם; להראות לפניו גשנה per להורות; ויראהו ה׳ עץ per ויורהו; פחות כמים per פחו; ובדם ענבים כסותו per סותה; כי תקראו מלחמה per כי תקראנה; ויחלש יהושע את עמלק ואת עמו ויכם לפי חרב con l'aggiunta di ויכם; מות יומת per נקום ינקם; אחד אל אחר per איש אל אחיו; אחת אל אחת per אשה אל אחותה dove si parla di cose inanimate; למה החייתם כל נקבה coll'aggiunta di למה non accorgendosi che l'interrogazione era nella הא, ed altre molte di simil natura.
Contiene la terza classe molte leggiere mutazioni od aggiunte tendenti a togliere qualche per lo più apparente od immaginaria difficoltà ed oscurità del sacro Testo. Così il Samaritano legge בלעדֵי לא יענה שלום פרעה invece di בלעׇדׇי אלהים יענה perchè non avendo supposto che si avesse a leggere בלעדׇי e leggendo בלעדֵי credette necessaria la negazione. Così למה תִתירְאוּ per ואת העם העביר אותו לעבדים ;תתּראו in luogo di עביר אותו לעריםעע; ומחוקק מבין רגליו per רגליו; וישחטו להם שחוטה per וישטחו להם שטוח; ארץ בני עמון per ארץ בני עמו; mutazione però, la quale fonda un senso falso in geografia; כאהלים נטה ה׳ per כאהלים נטע ה׳; וקרקר כל בני שת per וקרקר; שהתו לאלו בני מום per שחת לולא בניו מומם; יאמצהו בארץ מדבר per ימצאהו; ויהי מאתו מספר per ויהי מתיו; מי יקינבו per [testo ebraico] ed altre consimili inette, od almen superflue pretese emendazioni.
Si forma la quarta classe di alcune mutazioni o brevi additamenti, presi dai luoghi paralleli, e tendenti a rendere il sacro Testo più uniforme, o più completo. Così dove il suocero di Moisè è talvolta nominato [testo ebraico], e talvolta [testo ebraico], il Samaritano legge costantemente [testo ebraico], così pure [testo ebraico] invece di [testo ebraico]. Così il Samaritano ripete [testo ebraico] là dove il sacro Testo dice variando [testo ebraico]; così [testo ebraico] per [testo ebraico]; così [testo ebraico] con addizione presa dal versetto seguente, e qui assolutamente superflua, Così il Samaritano aggiunge la somma totale della vita dei Patriarchi postdiluviani, ad imitazione del sacro Testo nella vita degli antidiluviani. In pari guisa, ogni dove il sacro Testo fa menzione di alcuni dei popoli Cananei, il Samaritano non manca di noverarli scrupolosamente tutti e sette.
Appartengono alla quinta classe le interpolazioni più considerevoli, prese però sempre dai luoghi paralleli, in guisa che, ogni dove il sacro Testo accenna qualche cosa, siccome da Mosè detta o fatta anteriormente, il Samaritano offre la cosa stessa antecedentemente espressa cogli stessi termini; e viceversa, ove qualche cosa si dice da Dio a Mosè comandata, quella con altrettante parole dal Samaritano è ripetuta, ove è detto che quella fa da Mosè eseguita. Così nell’Esodo capo 8 dopo le parole [testo ebraico] aggiunge il Samaritano [testo ebraico]. Così avanti al testo [testo ebraico] il Samaritano aggiunge [testo ebraico]. Così dopo il testo [testo ebraico] dl Samaritano ripete dal Deuteronomio il seguente verso [testo ebraico] xvn una ‘m: nwn 555m wnwn‘; 1km ‘n qtennn. Cosi nel libro dei Numeri avanti al testo 15 H71!) ‘ne’: nwn 5B ‘n 1:71 ITWJR aggiunge dal Deuteronomio: Bue-w‘ -::.S rnzm ‘mm ‘pnk ‘n 1m nari 11:5 1m: 1315s In 1m: flmsn ‘n 1:7 ma: wn 5:: 15 ‘rmzre ‘n53 ‘n ‘m wwrc un n53: men m: T355 7:5 han‘) 1x55 ome M5115 mm nmn '73 mpn znnn 5m DWWI H81 U3 nèv: 1m: 11'171 DR ‘lîl 1mm 71'122‘! ‘fîN-‘I DR
u-nm: ‘sul: 121.1 mm grafia ma: mm
E molte altre interpolazioni di questo gusto, in parte superflue, ed in parte ancora fuori di proposito.
Assegna il nostro autore la sesta classe a quei luoghi del sacro Codice, ove il senso delle parole quantunque piano sia e perspicuo, il critico Samaritano credendo vederci qualche cosa d'incongruente, non teme di alterare e modificare a suo talento. Così nella vita dei Patriarchi avanti e dopo il diluvio cangiò i numeri in guisa, che la longevità andasse gradatamente decrescendo, ne mai il figlio avesse Più lungamente a vivere che il genitore; perlocliè riduce l’ età di ‘N da 962 a Sfl, quella di nfiwinn da 969 a 720; quella di 1p‘.- da 777 a 653; e quella finalmente di ‘m! da 464 a 405i. Sognù poi il medesimqcritico Samaritano, che nessuno degli antidilu- viani tardar potesse a metter prole dopo il 150m anno di vita, ne veruno dei postdiluviani avesse a procreare figliuoli prima del 50)“ Cosi ei fa che 11‘ generato abbia sui G2, invece ebe- sui ifihrfiwlflb sui (i7 invece che sui 187-, 11:5 sui 53 invece che sui 182; 1WD»: viceversa sui 135 invece che sui 35; rbw sui 430 invece che sui 30; e cosi nei susseguenti a piacer suo altera i numeri.
Appartiene a questa classe la famosa interpolazione del- l’ Esodo YÎNZH il’): V783 11W‘ 11218 DX1118! 587W‘ ‘l: JWlDl emu e 1' altra della Genesi mmî-r: mm m‘: 141x153 5:‘) nw 1mm, e quella pure nvm 5: nor: 15mm invece di 5:
- העדרים per timore, che suppor si potesse da taluno, ch'eran le pecore stesse delle gregge che rotolassero la pietra.
La settima è la più numerosa classe delle alterazioni recate alla purità dell'idioma ebraico, seguendo il genio del dialetto samaritano. Così per זכור ימות עולם legge il Samaritano יומת forma caldaica; יחיראך invece di יחירך, onde si leggesse alla caldaica יחידך; così ליך e אתיך per אתך לך del femminino, uniformandosi al ליך e יתיך di qualche dialetto caldeo. Cosi לאלהינא per לאלהינו, dal caldaico לאלהוא. Qui appartengono vari mostruosissimi cangiamenti delle lettere gutturali, l'una per l'altra poste a capriccio, atteso che dai Samaritani non distinte nella pronunzia, appunto secondo che gli aveva osservati sei secoli fa ר׳ בנימין בעל המסעות, il quale ne dice ואין להם שלש אותיות האלה ה, ח, ע il che intendere si deve della pronunzia, mentre nell'alfabeto loro non ne mancano già. Così ורם ענב תשתה עמר per המר; קום נא שבע per שבה; e simili molte. Così pure molte permutazioni delle lettere quiescenti, per esempio אורִי per אוֺרֶה; רָלָא per רָלָה; יִלוי per ילוח; ארעי per אֶרְעֶה sul gusto tutto dell'ortografia caldaica.
Abbraccia finalmente l'ottava ed ultima classe quei luoghi che sono stati dal critico Samaritano modificati ed alterati, onde conformarli al genio della Teologia, dell'Ermenutica, e del culto particolare alla gente sua, ed a togliere quanto potesse alla plebe ignorante recare qualche scandalo.
Appartengono qui primieramente quattro luoghi, dove il nome אלהים trovasi costrutto col plurale, e sono: ויהי כאשר התעו אותי אלהים מבים אבי; אלהי אברהם ואלהי נחור ישפטו בינינו כי שם נגלו אליו האלהים; אשר ירשיעון אלהים, nei quali tutti il Samaritano per una audace timidità ed irreligiosa scrupololosità, ridusse tutti i plurali al singolare, dicendo: כאשר התעח אותי; ישפוט בינינו; כי שם נגלה אליו; אשר ירשיענו אלהים. Così invece di המלאך הגואל אותי מכל ֶרע legge il Samaritano המלך.
Uno zelo vizioso per eccesso fece temere in questi luoghi leso il sacro dogma dell'unità di Dio. Un similmente malinteso zelo fece al Samaritano censore della parola di Dio alterare alcuni luoghi subodoranti antropomorfismo, ovvero antropopatismo; per esempio ה׳ גבור מלחמה per ה׳ איש מלחמה ; יחר אף ה׳ per יעשן אף ה׳.
Un simile zelo per l'ortore dei padri nella nazione fece al Samaritano cangiare ארור אפם in אריר אפם. E viceversa un odio contro le due tribù di Giuda e Beniamino gli fece mutare לבנימין אמר ידיד ה׳ in יד יד ה׳, sebbene locuzione priva di senso. Per un falso rispetto alla dignità della santa legge egli cangia במבושיו in בבשרו; ישגלנה in ישכב עמח; לכלב תשליכון אותו in השלך תשליכון. È poi in grazia del particolar culto dei Samaritani, che nel loro testo fatta fu da essi la famosa mutazione di והיה בעברכם את הירדן תקימו את האבנים האלה אשר אנכי מצוה אתכם היום בהר עיבל in בהר גריזים onde dare un'ombra di santità a quel monte, sul quale eretto avevano il loro scismatico tempio. Come pure la famosa interpolazione inserta in calce al Decalogo, che così suona:Questa forse lunga e tediosa analisi delle varianti del testo samaritano, istituita da uno de' maggiori fra moderni orientalisti, basta, io credo, a fare a ogni sensato critico riconoscere quel testo, siccome adulterato, corrotto e falsato; e riconoscere insieme quanto vadano errati Morino, Houbigant, Kennicott ed altri, che le lezioni samaritane preferite vorrebbero per lo più alle comuni ebraiche, come pure lo stesso, sebbene più moderato, De Rossi, il quale nei Prolegomeni da lui premessi alle sue varianti lezioni ammette il testo samaritano fra i legittimi fonti di cui far uso per l'emendazione del sacro Testo (Pars II. Canon b), e che nella prima parte di essi (§ 26) risguarda l'ebraico Codice ed il samaritano, siccome due diversi esemplari d'un medesimo originale, dei quali l'uno chiama antico, israelitico, antibabilonico, antiesdrino, inemendato, il quale è il samaritano; l'altro appella giudaico, palestino, esdrino, riformato, il quale è il nostro. Conciossiachè abbastanza si è da noi nella superiore analisi chiaramente potuto osservare, riformato e preteso emendato essere realmente il samaritano, nel quale tante apparenti irregolarità, oscurità, ambiguità e simili sono effettivamente tolte; e sincero e genuino ed intatto essere il Testo ebraico, nel quale tutte quelle anomalie e pretese scorrettezze esistono tuttavia. Il medesimo De Rossi nei canoni critici che formano la seconda parte degl'indicati Prolegomeni stabilisce (§ 38 e 39): Quaelibet lingua et actas suas habet anomalias et enallages ; nec omnes, nec semper grammatice scripserunt sacri auctores. Unde non temere rejicieda lectio anomala. Imo anomala lectio plerumque verior. Facillimum namque est anomalis analoga a scribis substitui, analogis anomala difficillimum. Da questi due saggi e giudiziosi canoni, si può e si deve con tutta certezza inferire, che vere ed originali sono le lezioni del Codice ebreo, anomale molte volte ed apparentemente scorrette; e che spurie ed adulterine son quelle del testo samaritano, che di tali irregolarità apparisce esente.
Ma avendovi, studiosi giovani, sì a lungo trattenuti in ragionarvi del Pentateuco samaritano, e specificarvi le classi, nelle quali le sue varianti lezioni vengono da Gesenio sagacemente distribuite; non vi dispiaccia ch'io ancora per alcuni istanti vi intertenga, aggiungendo ai ritrovati del testè lodato autore qualche mia considerazione.
Parmi adunque, che questo critico e sommo linguista, avvicinatosi assai dappresso alla verità nell'indagini sue, siesi pure arrestato un passo da quella discosto, e che scoperta avendo la varia indole delle varie lezioni del samaritano testo, non abbia poi saputo scorgere quello scopo generale, quello spirito motore, quel principio unico, quel punto centrico, quella ragione comune, che tutte quelle alterazioni collega ed unisce.
A me pare, s'io non m'inganno, di vedere, che queste alterazioni tutte sieno state ai Samaritani inspirate da un solo universale motivo, e questo si è quello di toglier di mezzo la tradizione. L'odio che implacabile nutrivano e nutrono contro i Giudei, i quali a loro dispetto erano i soli depositari della orale tradizione, non permettendo agli scismatici di abbassarsi a riconoscerla e riceverla da esso loro, ha loro suggerito lo spediente audace ed empio di disfarsene affatto; come effettivamente alcuna tradizione non è da essi riconosciuta. Quindi per toglier luogo ad ogni tradizionale spiegazione ed illustrazione di cui tanti o tanti passi del sacro Codice oscuri, ambigui ed in vari modi irregolari, mostran bisogno, si sono studiati di alterare tutti quei passi, e ridurli tali, che più in essi apparir non dovesse nè oscurità nè anomalia, nè quindi bisogno alcuno di schiarimento e spiegazione, togliendosi così, o piuttosto credendo di togliersi, ogni dipendenza dagli odiati Giudei.
Questo mi sembra il vero spirito di tutte o quasi tutte le samaritane lezioni, alterazioni e additamenti; se alcune non ne dipendono, sono involontari errori di amanuense, ovvero sono quelle poche ultime adulterazioni fatte per favorire il samaritico scisma. Questa considerazione, nell'atto che rende xxu plausibil ragione delle mostruose discrepanze del testo sama- ritanc, ci somministra una evidente prova dell'antichità della orale tradizione, che i Caraiti vorrebbero far credere non aver esistito prima di mm ]'.1 119M). E di ciò basti.
Altra lunga e grave lotta venne da vari critici fatta alla integrità dei testi ebraici, appoggiati alle considerevolissime discrepanze di essi, collazionati colla celebre versione dei set- tanta. E difatti, supposto, come da molti antichi scrittori ci vien narrato, che quella versione stata sia fatta a’ tempi di Tolomeo Filadelfo ed a sua inchiesta da ben settanta Dottori israeliti, scelti dallo stesso pontefice massimo, facile è l’ arguire che dessa volgarizzazìone esser dovesse, quanto più si potesse sperare, esatta e fedele, ed al suo originale corrispondente.
Il vedersi poi questa medesima versione enormemente dis- sonante dal Testo ebraico fece si, che molti si determinassero a credere questo depravato in molte guise e corrotto. E tanto più volentieri si insistette da vari Cristiani su questo argo- mento, quanto che molti e molti testi trcvansi nei libri dei nuovo testamento citati conformemente alla traduzione septua- gentavirale, e ben diversamente di quello che essi sucnino nel testo ebraico. È questa la grandkurnia di cui usavano gli antichi Cristiani accusatori dell’ infedeltà e della malizia degli Ebrei, che si voleva adulterati avessero i libri loro, ed è di questa che principalmente si valse Luigi Cappello nella famosa sua critica sacra contro l’ integrità del sacro Testo, seguito in ciò da molti e molti critici.
É noto che i Talmudisti al primo di nìm fanno menzione di I3 alterazioni da quei traduttori praticate nella loro ver- sione; ma di quelle i3, h sole se ne osservano nella greca versione, ma in compenso delle altre 9 molte migliaia di più enormi se ne possono contare.
A rendere ragione di tali dissonanze, senza pregiudizio xxm . dell'integrità del sacro Testo, ecco l’ ipotesi immaginata dal famoso 8WD W al capo 9 del suo D‘)? 1182:.
Pensa egli che da Esdra in poi si fosse avuto «lai nostri maggiori il Pentaleuco tradotto ad uso del popolo in lingua caldca. suppone poscia che questo testo caldaico siasi per in- curia del volgo, cui era destinato, gradalamente depravalo e corrotto. Ed immagina finalmente che i 70 abbiano preferito di modellare la loro versione piuttosto sul testo caldeo, già comune presso il popolo, che sullbriginale ebraico, da pochi già in allora letto ed inteso.
lo trovo quest’ ipotesi insostenibile, perchè le caldaiche parafrasi assai tardi vennero messe in iscritto, essendo con- siderate siccome parte della tradizione orale 67:12) mm e difatti dal Talmude consta, che il così detto Iblîlnt: pro— nunziava nei tempii d’0razi0ne la sua parafrasi della lezione scritturale sempre a memoria, giammai da uno scritto. Cosi il famoso natmn al primo di n51» rendo ragione perché nel Talmud si vegga si spesso il cieco ‘p? 21 ragionare di caldaiclie parafrasi, con dire, che appunto per essere esso privo della luce, e quindi della lettura, a la legge scritta non potendosi per legge recitare a memoria, esso la reci- ‘tava nella caldea VCEÌODG, la quale era cosa orale:
mm: 3mm 5:: mm cwm: www pur-i rpr n15 gnzwm mi 1:25! ma '73! amar) W121 117.155 ‘m:- rrn n51 han: ‘n rum JID ‘Jvnw 1:1 mnw canna n-pinen khîp m1
È oltre a ciò assai poco credibile, che g!’ illuminati e ze- lanti dottori, che molti erano nella nazione durante il secondo tempio, avessero potuto negligere il Codice che correva per le mani dei loro greguri, a segno che questo avesse potuto di tanto scostarsi dal sacro originale, quanto veggiamo che se Nallomana la versione greca.
il medesimo nflw ‘1 non manca, per chi pago non fosse xiuv di questa sua ipotesi, di presentarci una ben diversa maniera dì sciogliere il nodo; ed è, che quella, che noi possediamo non sia veramente la versione septungintavirale, ma che quella o perita sia nell'incendio della biblioteca alessandrino nelle romane guerre avvenuto, e indi da inesperto persone ne sia stata sostituita una nuova, cifè quella che abbiamo; ovvero che, senza che la versione dei 70 stata sia preda delle fiamme, sia però stata ndulterntn mnlignamente e sfigurato dai Greci alessandrini, che malevoli sempre mai furono verso gl’ lsraeliti, e conosciuti d’ altronde per gente menzognera e dolosa.
Non ci fermeremo a bilanciare quaie di queste due ipotesi sia la più probabile, nè n chi debba la greca versione, nello stato in cui l’ abbiamo, attribuirsi: ci contenteremo bensì di osservare, che sono tante Ie impronte che essa porta d‘ ine- sattezza e d’ ignoranza in chi ne fu l'autore, ciressn non può meritarsi alcuna fede, nè esigere la menoma considerazione a petto ai sacri originali.
Dsserveremo a cagion d’ esempio, che nella Genesi d0v’è detto rniwm’: 1mm DI? n'> 051m la versione greca porta che la città chiamavasì anteriormente Ulamluz. Egualmente nei Giudici, (love si dice nanne-b non t!!!) v5 asini il Greco {a il nome della città Ulamais; prendendo in entrambi i luoghi la congiunzione C1778 siccome porzione del nome proprio. Per efietto di consimiie crossa ignoranza troviamo che nei Treni dove la divisione dei versetti non è soggetta a dubbiezze, essendo determinata dalle lettere iniziali, che formano una
epecie d’ acrostico alfabetico, la greca versione legge in un
verso: meno: nsàm mm no‘: ‘h: n): e cosi mm m5 inn jnkxn a5 come pure annui» ‘mio 11m nSvn Se nvmv bip 1151p, lasciando così tutti questi versetti privi della rispet- tiva iniziale. xxv
Cosi in luogo di 1:11:51 111.15 11:10:15 si legge nel greco 1131351 1117i’? 1912.15 in aperta risibile contraddizione col sua- seguente 111213: mnewh anni‘; 15m. Cosi invece di 111 ‘m 51'131 il greco legge 5111.1 111 19 locuzione priva di senso. Invece di ‘mn c1111 5: 1m» il greco 1gg c1111 S: 1l1w1 vino. Cosi m: 11mm H5 11mm invece di 15 11h81, rendendo cosi il versetto e il seguente all'atto vani, superflui e senza con- nessione. Cosi invece di 1: ‘JW @5981 1E: 1nnp5 ‘b ‘m1 dice q 11g: Giga 1a: ‘nnp’: ‘n ‘m1. Così 11mm w ‘#6101 invece di ‘D17 ‘w: in aperta contraddizione col susseguente 11"21: n65»: 51m nunvn. Cosi 1r1wp1n‘i<: 19'711 invece di ami-n in contraddizione manifesta col seguente api!‘ 11218 1115. Cosi i191 31 N1131 11: ‘J invece di D)’: 31, ciocche non presenta alcun senso, e simili senza numero. Ciò però che più mette in chiaro l’ ignoranza del greco interprete in fatto di lingua ebraica, E: la tendenza che avea ad interpretare le voci bibliche secondo il senso clfesse hanno piuttosto nella lingua calden, che nelPebraica stessa. Così egli traduce D105! R11: ‘iii ‘J D} come se dicesse 311x153 11; la quale espressione è pretm cal- daica. Cosi nrflufl '139; traduce nel senso del caldaico ‘La: allato, accanto. Cosi traduce 111337: nmnn n111x< nelle tue azioni, leggendo T1111), ed interpretando questa voce nel suo senso caldeo e non ebraico. Così 111101111 interpreta con delle rose ali‘ intorno, cangiondo 111 in 111 rosa, voce caldea. Cosi 21111113111: 111711 interpreta nel senso del caldeo 1:11 storpiato, zopgiidnnte.
E ciò basti a farvi conoscere, studiosi giovani, quanto poco aver possa di autorità una versione deturpato da tante mo- slruosità, e quanto indegna essa si sia dell’ onorevole appel- lazione di traduzione dei 70. E diinttiipiù sanie più moderni critici a questo nome dei 70 sogliono sostituire quello di in-
Aerprete alessandrino. xxvr
Liberato il sacro ebraico Testo del Pentateuco dagli attac- chi che da tanti critici fatti gli vennero colle armi del testo samaritano e della versione alessandrina, rimane la sua inte-
grità salda ed inconoussa. Consta difatti, che il sacro Codice"
era a’ tempi di s. Girolamo, vale a dire lli secoli sono, identico col nostro di oggidii Parimenti le versioni più ancora antiche, quelle in lingua greca di Aquila, Simmaco e Teodoziane, coincidono quasi perfettamente colla lezione odierna, e se talvolta ne divergono, ciò non proviene per lo più che dalla maniera, colla quale i vari traduttori hanno creduto di dover leggere il sacro Testo, privo u quei tempi dei punti vocali. Lo stesso dicasi della versione caldaìca di Onkelos. Di questi il prima e l'ultimo hanno abbracciato il giudaismo. ll primo, che sotto il nome di viene con lode mentovato dai nostri, in vari luoghi citati dal sullodato infili? "t capo i5 ebbe una foggia di tradurre alquanto servile, e più del giusto attaccata alla lettera del suo testo; gli altri, e particolarmente Pultìmo, il llOSlTO Onkelos, si contentauo sovente di espri- mere Pinsieme delle idee, poco curandosi della corrispondenza esatta dei termini. É quindi assai facile il cadere in abbagli, quando si voglia dalle loro parafrasi arguire la Lezione del testo che avevano innanzi. Così s’ inganna il sopra citato Cappello, quando dal vedere che Onkelos traduce ‘fin: TE?‘ ‘E518 ma»: ma‘ “p5 vuol itilerire che da lui si leggesse
per tra‘; conciossìachè sarebbe poi egli imbarazzato a
spieèarci cosa leggesse il parairaste in luogo del seguente 5m cui traduce han‘; perloochè è forza riconoscere in questo, come in moltissimi altri luoghi, un effetto della libera maniera del traduttore, anziché una varia lezione nel suo testo. Non va meno errato il De Rossi, asserendo che Oukelos leggeva m: ‘l'at ‘n: anni 81W in luogo di w; mentre dicendo egli
1'714 ‘in: ‘in? n‘ cmait ‘p?! mostra abbastanza d’ aver lettor xxvu
T8, sennonchè a lui tornò meglio d’invertere alquanto l'or— dine dei vocaboli. La parola mi‘! nella caldaica parafrasi sem- hra intruso, e nelle più accurate edizioni non leggasi.
Se le antiche versioni collazionate col sacro originale ebraico non danno dei risultati che valgano ad infirmare l’ integrità di esso sacro Testo, molto meno può contro di essa valere la collezione dei codici manoscritti. con immense e fatiche e diependi venne mezzo secolo fa dall‘ inglese Benia- mino Hennìcott intrapresa ed eseguita sifintta collazione, re- gistrando nella Bibbia da lui pubblicata, tutte le più minute varianti, e tutti i più manifesti errori dìimanuense, da lui o da’ suoi collaboratori osservati in circa 600 manoscritti codici interi o mancanti del Pentateuco. Estesa poscia il De Rossi cotale collazione sino a quasi i200 codici, oltre a quasi 300 edizioni. Fregiando del titolo di varianti lezioni gli errori i più solenni trovati nei più scorretti manoscritti, si è po- tuto farle accendere a molte migliaia; ma esse sono per la maggior parte così destitute di ogni apparenza, almeno per quanto spetta al Pentateuco, che il medesimo De Rossi nel suo Compendio di critica sacra, dove intende di mettere in chiaro l’ utilità dell'immenso suo lavoro, e le emendazioni che fare si dovrebbero nel sacro Testo, una sola ne suggerisce, ed è di leggere nel Levitioo 26, 39 GTTN nimfi: invece di D328, lezione però stata già rimarcato e rigettata dal nostro Nomi nelle sue note critiche conosciute sotto il nome di ‘w mm. Nè altrimenti poteva la cosa accadere, se considerare si voglia lo zelo religioso, anzi scrupoloso avuto mai sempre dai nostri maggiori per la conservazione del sagrosanto de- posito, che nostra unica ricchezza è, nostra norma, nostro conforme nostra speranza. Le stesse marginali lezioni provano secondo alcuni la scrupolosità, colla quale i nostri antichi critici e dottori, ben lontani dalla samaritana licenza, temexxvm vano di toccare il sacro Testo, anche la dove appariva errore tramanuense; in guisa che lasciando il Testo come trovavasi, si aumentavano di notare in margine la lezione che credevano più corretta.
Del resto è da osservare che tali marginali lezioni sono proporzionatamente al volume in molto minor quantità nel Pentateuco che negli altri libri canonici. Ed è pure degno di considerazione che fra l cosi detti ‘un'ala rnw m“? ‘Disfl
mnmB ossiano discrepanze tra i codici di terra santa e quelli
degl’ lsraeliti babilonesi, una non ve n’ ha relativa al Penta- teuco. Quelle poi che passano tra ‘uva p e fine: j: vertono unicamente sulla puntazione, mai sulle lettere stesse, o sulle parole.
stabilita, cred’ io, a suificienza 1’ integrità del sacro Testo del Pentateuuo, l’ ordine vuole, studiosi giovani, che da noi si passi alPErmeneutica, ossia a stabilire le basi, i principii e le norme, che condurre ci debbono alla retta intelligenza del divino volume.
Fondamento primario della sacra Ermenuetica è fuor dwgni dubbio la tradizione. l libri santi sono scritti in una lingua già da molti e molti secoli morta, nè più da alcun popolo conosciuto parlata. Quindi tutta la cognizione che in oggi aver se ne possa, riposa sopra le nozioni che oralmente di padre in figlio ce ne hanno gli antichi nostri tramandate. senza di queste i sacri libri non sarebbero per noi leggibili che non per altra via che quella della tradizione da noi si conoscono gli elementi dell’ alfabeto.
É questo Yargomento di cui si valse il grande 55h, onde mettere alla ragione quelPidoladra, il quale abbracciar voleva il giudaismo, meno la legge orale. Cominciò egli il primo giorno a mostrargli l’ alfabeto, ali’ indomani cangiò tenore, assegnando ali’ una lettera quel valore che assegnata aveva xxix
nel giorno antecedente all’ altra. Il nuovo alunno domandati- dogli conio di tal contraddizione, ei gli rispose: Vedi che per leggere la legge scritta ti è forza riposarti sulla mio fede? Puoi dunque fare la stessa cosa relativamente alla legge orale. nana s5 ‘nona una 5'i<rhS1-2s-m5'i-: m m5 ‘IDR un; bitti‘ m5 a‘: nato) 691ml: ‘o: no 511': mano 8p "v1 ">1: in’: 51: "l'1 "6
Vero è che il lasso dei secoli ha renduta imperfetta di molto la nostra tradizional cognizione della lingua nostra, e vero è che ciò viene dai nostri più classici scrittori confes- sato, ed anche dagli stessi Talmudisti, da ciò però non segue altrimenti, come il Padre Morino vorrebbe, che da noi non si abbia più alcuna sicura nozione di essa lingua, mentre all’ opposto la sincerità dei nostri antichi nel dichiarare la loro incertezza sulfesatto valore di alcuni termini, deve farne arguire la certezza in tutti gli altri.
E difatti ragion vuole, che tutti quei vocaboli almeno che relativi sono ai divini precetti, dalla nostra nazione praticati in ogni tempo senza interruzione, debbano considerarsi co- nosciuti e intesi da noi con piena certezza. Così l’ essersi i padri nostri in ogni tempo astenuti da certi tali alimenti, vestiari, e simili, e Paver essi costantemente praticate certe tali cerimonie religiose, (leve persuadere ogni imparziale pen— satore, che in tal senso appunto e non in altro stati sieno intesi dai nostri più vetustì antenati ivocaholi che a quei precetti si riferiscono; e che noi quindi possediamo almeno una sufficiente cognizione pratica della lingua nostra. Né cer- tamente mostrerebbe una sana mente, chi negar ci volesse la sicura cognizione di quello che significhi il nome YDH e il nome ram, il nome ‘in! e il nome DTWD, vocaboli relativi a pratiche da noi costantemente da tempo immemorabile osservate, quantunque negar ci possa la distinta nozione del valore dei nomi nnBI-wi m: c105 ovvero 111mm ‘E'il’! mm. xxx
Nell’ ammettere la Tradizione qual fondamento primario della sacra Ermeneutica, non vuolsi però intendere che da noi si debba nel!’ interpretazione delle divine pagine seguire religiosamente ed esclusivamente quel senso nel quale tro- veremo averle prese i venerati dottori della rum e del Tal- mud, che ciò potrebbe non poche volte lungi guidarci dalla pretta verità.
Questo è troppo notorio relativamente ai passi della Scrit= tura che di storici avvenimenti trattano, e fu già in non pochi luoghi dai nostri più classici commentatori 1'393‘: mm e F11 avvertito.
Ma questo non e meno vero relativamente a quei passi stessi che vertono sopra precetti, obbligazioni e proibizioni, od anche di credenza e di dogma. E questo articolo, studiosi giovani, sebbene propriamente alla dogmatica appartener do- vesse, pure indispensabile mi si rende il qui dilucidarlo, prima che i0 passi seco voi alla regolare esposizione dei Libri santi.
lncomincierò dai passi relativi alla credenza, per passare dappoi a quelli che le leggi e i riti concernono.
l Dogmi tutti dalfuniversalità nella nostra nazione in ogni tempo professati ci sono e ci debbono essere indubitatamente e senza restrizione alcuna sacri ed iniallibili, non è però cosi delPapplicazione che da’ nostri dottori vediamo farsi dei vari testi della Scrittura in comprovazione dei vari Dogmi.
Molte e molte a cagion d'esempio Profezie d'Istria ven- gono nel Talmud interpretate relativamente ai tempi del Messia, le quali nulladimeno dai nostri più ortodossi commen- tatori ad altri tempi vengono applicate. Anzi l'Albo ‘1 1mm T2: ‘D fa menzione di certo ‘RDDÒNJ lrfl "i il quale in un apposito opuscolo da esso intitolato fifimfl 11128 pretendeva di provare che quel Profeta non aveva in alcuno dei suoi vaticini contemplato il Messia, nè esso Albo dà per ciò alcuna xxx: taccia a quello scrittore, ma alquanto si diffonde in mostrare l’ ortodossia di sifiatte interpretazioni.
Cosi i Tnlmudisti in p5rl r» vari e vari testi adducono in favore dei dogma della risurrezione dei morti, iqnali in sensi del tutto diversi si prendono dai migliori commemtatori.
E ciò basti per quei passi chela credenza riguardano. Pas- siamo a quelli che concernono la pratica, le leggi, i precetti.
lnduhitata cosa ella si ‘e, e giustissima, e indispensabile, che accadendo tra giudici disparità dbpinioni, si debba nella decisione seguire la maggiorità dei suffragi. Ora i Dottori, e llfisnici e Talmudici fan mostra di derivare siflhtta legge dalla espressione del sacro Codice muro 0th w. Tuttavia tutv t’ altro è il genuino valore di quelle parole e vari sani Com- mentatori I’ attestano, e la stessa posizione degli accenti di- stintivi {o comprova.
Rimane adunque che da noi si ricorra ad un principio già presso i Teologi nostri ricevuto concordemente, ed è che i no- stri antichi dottori solevano di frequente quelle leggi e quelle norme che per infallibile tradizione apparate avevano dai loro antecessori, appoggiare a qualche testo della scrittura, non nell’ intenzione che tale ne fosse il preciso senso, ma a solo oggetto di lissarne la ricordanza nella memoria dei loro alunni, ovvero onde fare che accordata gli venisse quell’ importanza che in se stesse meritavano, e che il popolo negata avrebbe se derivare non le vedeva dalle stesse espressioni del sacro Codice. É in questo senso che i Talmudisti stessi conchîudono frequenti volte N1351): NWJDDN 85k.
É parte della orale tradizione la posizione delle vocali e degli accenti distintivi, la quale negli antichi tempi a memoria insegnavasi ai giovanotti nel corso quinquennale, che loro si faceva fare di sacra lettura nJwnS ‘mm 13 thpb5 mm non 1:.
Vedi Talmud r5 q-i urna.XXXII |
Nella stessa guisa però che il lasso dei secoli, le emigrazioni e le persecuzioni han fatto insorgere nelle altre parti dell'orale tradizione, varie dubbiezze e controversie, così si produssero anche nella collocazione dei biblici accenti delle incertezze e disparità di pareri. Vediamo nel Talmud [testo ebraico] ‘È l'11 rump: ‘W013 “DR #5 WDR 8D‘: ‘Nfîb i8 BO‘! ‘N713 hhhnl F301" ‘1 ‘N:
1:: Km a1 «m: ‘ca 4m ‘p: s‘: ‘n: ‘piDE: ,m1Jn’7 m'è xrm
5a 'n 12:3» FpiDD un5n5 mp ‘m5 v5 ‘pop «nanna ma mi: qwn 2x7: T514 n: ‘ma H11 non. Cosi in u‘: r)‘: n11 nwiav:
‘z 18 ma 1'411‘. ram i: a-np nns ‘lRTl ‘l'18 ìwuw‘ i’: ‘mae-
Tfli‘! Emu. Così in ‘i V31 rum abbiamo: ‘Sri mm TI ‘r: DWT.‘ N5117 15m 5mm u: m: ma rbw": ram: ma tap — Man ma ‘vin ‘I'm ladri 1B ma ‘n’? cmhv cina: inni-i ‘DVD ‘PDD’? ‘IDE ima ‘un — mm spin ‘N25. Come pure in 2'351 son: cflpiwn nmzr ‘ma m5 PN man: mehpn ‘man Epi 1m: ‘m, ai quali 5 testi d’ incerta interpretazione un sesto se n‘ aggiunge in ‘D NUDE H31 XVII/Eh} ed è ]D 183 IP17‘ ‘D17
EDDWJ i"l'llI/i'l. Tali dubbiezze e controversie vennero tolte dopo il tempo dei Talmudisti, dai Puntatori ossieno ‘npzn '59:, 0 ‘npzn ‘apnxs, i quali e colla scorta della tradizione, e colla guida d'una illuminata e sagacissima intelligenza, hanno nello stesso tempo inventati i segni tutti e vocali e prosodiaci, ed hanno questi stessi segni applicati a tutto quanto il testo dei libri santi; lavoro grandioso e degno di ammirazione.
Quindi è che la posizione delle vocali e degli accenti si merita da noi l'interpretazione dei sacri testi la massima deferenza. E difatti vediamo che i più grandi nostri commenta- tori allegano sovente l'autorità dei Puntatori, e taluni ci hanno espressa raccomandazione di non iscostarcene. Così Abenesdra al principio del suo wwpn 11105 ‘mio cosi si esprime: ‘fitflm
nzen x5 caravan ‘a 9;: una» ivi-ne 5:1 piuma ‘59: i'm 15nrzr xxxiu T58 vnwn R57 i5. ll medesimo autore verso la fine del ‘suo mm m: scrive: noia-i mm ma un ‘a tini rpnann rum T8 impuri 5:: 15m nari "a ama: mm m1»: m‘: s5 pveun "o 553.1) MHTI capa: mi ‘a pvan a‘? Ed egualmente al principio del suo commento sopn Isaia, scrive: rrnvcn '|T1 51121115 Rin 5m 1917.11 grande "un allega multe volte l’ autorità dei punti vocali e degli accenti, ed al principio dìîzcchiele dice: îip: 5m flpî w: ‘DWYW 85h58 1117725 D11‘ 'h“n N5 arma. L’ autorità dei Puntatori, tutwcbè veracemente venerabile e degna della più grande deferenza, non è però infallibile, nè è nella sacra Ermeneutica assolu- tamente irrefragabile. ll celebre p"n a chiare note 10 attesta al capo i2 di 3mm: ‘npzn ‘omo "Hm r:*:5wn EPIIITYEM‘! ‘mm 5: 11:. Questo principio viene mirabilmente avvalorato dalla pra- tica di tulli quanti i più accreditati nostri Commentatori antichi e moderni, tra i quali non v’ ba pur uno che date non abbia delle interpretazioni non coincidenti colla posizione delle v0- cali, o almeno degli accenti. Eccone alcuni esempi. W‘ ‘J 2h: (EÙÌBD ‘ED hsflfifi vrmn 5X12‘ i3) 03183-1!) T18 51"78 ÙSDH D)‘ C931 EHW TPìDD 771W!’ rin-mi 5: nm (‘S n" n'ai) 1103x5110 135i: mici: nN npu “un (‘i WDW‘) HìBD ‘P1 PJWW 217D: E115: 355cm rima‘ ‘man ‘rwvn c169: inin nwn "1 m: 5mm‘ mi FP1‘ 5c: winwì ani-m: ne: ‘men 5:1 crw‘: 171i" ‘I'll ’u'| AÉYWNLTD 173W) 17D ÈWRD m: riti-i 52a ram; rms: i5: Assai-n cm m1o ‘mm IÌTN‘! 375m‘. (EZRÙJ mm" I:i< icrnmfi 517 vani) 11:10‘) nnfixn nnin mi: wzs ‘mix ‘D78 , un: jnzw: mp hm DhlN m: s5 i7 mio mm: men m: 412mm ronza E!!! I": mm znn ‘ainw: ‘D ‘R pÈH nrm ara‘! In m1 ns ]:n "n innzi Amari anni: 51:: «w inn 5: 7312191 ‘PD Ti" ‘HDN Bîfi ‘b 19K‘ 011511‘ 11'131‘ IP31 xxxw
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Uesempio di tutti questi accreditati Commentatori e ‘l'eo- logi dimostra n sulficienza non essere irrefrngabile l‘ autorità delle interpunzioni, e prova nello stesso tempo la verità del- Forigine che abbiam loro attribuita, contro l’ opinione di chi le vorrebbe opera di Esdra, od anche scritte dagli stessi Profeti.
La caldaica versione di Onkelos può anch'essa considerarsi qual parte dell'antica tradizione orale, giusta la talmudica osservazione: "n ‘tir/h: ‘î ‘m mi: 1m c159»: man 9m man ‘J 1T! n53!) ma‘, e difatti i più celebri nostri Commentatori ne fanno onorevol menzione, e presso tutti i critici è la sua autorità di grande peso nella definizione di molti vocaboli oscuri del sacro Testo, sennonchè è da notare, che avendo, come abbiamo già per l'innanzi rimarcato, Onkelos tenuta una maniera alquanto libera di tradurre, la sua parafrasi non può molte volte servirci di guida nella determinazione del preciso senso letterale del sacro Codice.
E qui non vi dispiaccia, studiosi giovani, ch'o, entrando in qualche dettaglio, vi spieghi l'indole di questa celeberrima parafrasi, la natura delle modificazioni che il pio Parafraste si è permesse, e lo spirito che in esse tutte universalmente regna.
Osservo già il grande הרמ״בם nel suo מורה essere stata sollecita cura del nostro Parafraste di evitare nella sua versione ogni apparenza di antropomorfismo נשמות. Ciò, quantunque verissimo, non basta a render ragione di tutti quei luoghi che molti sono, dove Onkelos si scosta dal sacro originale.
Istituita da me una matura analisi della caldea parafrasi, mi sembra potersi stabilire per principio universale della condotta del nostro traduttore, quello di togliere ogni espressione che recar potesse qualche scandalo al popolo, al quale la parafrasi era destinata, ovvero anche agl'idolatri, che udirla potevano nei tempii d'orazione, dove quella veniva pubblicamente recitata.
Derivano spontaneamente da tale principio tutte quante le numerose discrepanze della caldea versione dall'ebraico testo; le quali discrepanze io divido primieramente in quattro classi, e sono con termini ebraici: I. שינוי הלשון עם שמירת הענין; II. שינוי הלשון עם שינוי הענין; III. תוספת הלשון עם שמירת הענין; IV. תוספת הלשון עם שנוי הענין. Suddivido poi tali classi in vari generi, i quali ammontano a trentadue. Eccovi un breve prospetto dei generi spettanti alla prima classe.
ארמית, כי שמעת לקול אשתך, ארי קבילת • שבעה שבעה איש
ואשתו, דכר ונוקבא • התהלך לפני, פלח קדמי • הנוגע באיש
ב׳ שינויי הלשון לכבוד מעלה להרחיק כל מחשבת רביִי אלהות, אלהיםהזה, דינזק.
אחרים טעות עממיא.
אשר יחוסן אל הבורא יובל כבורו והדרתו בלב ההמון,
וירח ה׳ את ריה הניהוח וקביל ה׳ ברעוא את קורבניה, וירד ה׳
ד׳ שנוי הלשון לכבוד מעלה, לתקן לשון אחרים דרך כבוד, למה גנבתלראות את העיר ואזיל ה׳ לאתפרעא.
את אהי ית רחלתי, ויקוב בן האשה הישראלית את השם ויקלל
וארגיז, השופט כל הארץ לא יעשה משפט ריין כל ארעא ברם
ה, שנוי הלשון בעבור כבור האומה ואבותיה, תגנוב רחל את התרפיםיעביד דינא.
ונסיבת, ויענו בני יעקב את שכם ואת חמור אביו במרמה בחוכמה,
ו׳ שנוי הלשון לכבוד התורה לבאר הסתום שלא יהיו דבריה תמוהיםכי ברה העם ארי אויל עמא.
לשומעיהם, כי פי המדבר אליכם בלישנכון, על אשר עשו את
העגל דאשתעבדו לעגלא, מים קרושים מי כיור, את הברכה
ז׳ שנוי הלשון לכבוד התורה לבאר כל לשון משל וכל דרך שלית מברכיא.
מליצה, אשר אם יוכל איש למנות כמה דלא אפשר לגבר למימני,
כי אם אשר יצא ממעיך אלהין בר רתוליד, ויפתח את רחמה
ויהב לה עדני, כי במקלי ארי יהירא, לראש ולא לזנב לתיקף ולא
ח׳ שנוי הלשון לכבוד התורה לתקן הלשון דרך כבוד הוא היה גבורלחלש.
ציר גיבר תקיף, וירד העיט על הפנרים על פלניא, מים לרחצה
ט׳ שנוי הלשון בעבור תורה שבע״פ ופירושי החכמים, וספרתם לכםמים לקידוש, אשת חיקך אתת קיימך
ממחרת השבת מבחר יומא טבא.
Siffatte nozioni sullo spirito del nostro celeberrimo Parafraste ci serviranno nel corso di sacra Esegesi a riconoscere gli abbagli di vari commentatori, i quali o hanno voluto male a proposito censurare Onkelos, o egualmente male a proposito vollero far violenza al genuino senso del sacro Testo, onde accomodarlo alla caldea parafrasi.
Secondo fondamento della sacra Ermeneutica sono le regole della lingua, ossia della grammatica. Ma qui, studiosi xxxvn
giovani, in due parti ci convien dividere la grammatica ebraico. Verte la prima parte precipuamente sulle regole della puntazione, sul vario valore dei vari punti vocali, sulle loro scambievolì permutazioni, sul ivfl e sul mm, e sugli accenti distinguenti e non distingueoti, e riposa per conseguenza principalmente sull‘ autorità dei puntatori; e tale è per lo più la grammatica comunemente insegnata nelle nostre scuole, e trattata nelle loro opere della maggior parte dei nostri gram- matici, e che cliinmasi pflpflfl nozn e di questa non trovasi traccia nei tempi talmudici, siccome quelli che all’ invenzione delle interpunzioni erano anteriori. Verte poi la seconda sulle proprietà della lingua ebraica in sè stessa riguardato, {alla astrazione da tutto il sistema delle interpnnzioni; tratta dei vari valori delle lettere servili, e dei vari reggimenti dei verbi; indaga l'uso dei vari tempi nelle varie loro forme, e la specifica energia delle varie forme dei verbi, ossieno UN); insegna le regole- della sintassi semplice, e della figurata; esamina i tropi, e tutte le maniere rettoriche e poetiche; distin- gue i sinonimi, ed inquirisce il preciso valore d’ogni vocabolo.
Questa parte è quella ch’è meno trattata nelle comuni grammatiche, molto però, ma non quanto basta, nei commenti sui libri sacri o nei lessici, e cliiamasi 31111521 man. Questa non fu negletta dai Dottori del Talmude, il quale ne tratta neila stessa prima pagina Tu‘ ‘si: fimo Nîp R55 214 spie- gato da ‘non: rinm m; m‘: ma w pub ‘n21 m? "su": >1: l'Fbi 1m Vedi Vbph 1731: pag. 170.
E necessaria la cognizione della prima parte, ossia della plîpîn nnîfl siccome di grande sussidio nell‘ Esegesi sacra, aprendoci essa il pensiero dei puntatorLe molte volte insieme l'antica tradizione. M21 è la seconda, ossia la pmBn D037‘! lon- daniento essenziale, sul quale riposar deve principalmente la suora Ermeneutica. xxxvm
Fra quelli che di questa grammatica superiore hanno sparsamente trattato, si distinguono mm team J'S)?» N112‘! coi successori dei due ultimi, i moderni autori della mm man e del non: oltre ai più antichi, di cui le opere ci an- darono perdute, per esempio n51‘ “ì 4mm non: ‘"1 flfim 11"31 ne» 1:14 ed altri mentovnti da Abenesdra al principio del suo come.
Merita poi particolare menzione Plîfodeo, il quale nel suo inedito e rarissimo ‘una: numi: la trattò metodicamente e con maggior profondità di quanti lo precedettero. Scriveva egli nel i400. Del Saadia poi abbiamo la versione arabica del Pentateuco, stampata prima a Costantinopoli in lettere ebrai- che, indi in lettere arabe nelle Bibbie Poliglotte. I critici tutti ne l'anno onorevol conto, ed essa fu per qualche tempo adottata dagli stessi Samaritani, prima che Aba Said gli avesse forniti di quella che attualmente adoperano, fatta da lui sopra il testo samaritano.
Metteremo per terzo fondamento della sacra Ermeneutica, quello che d'ogni umana operazione è fondamento comune, e questo è il retto uso della ragione; e qui, studiosi giovani, vi verrò notando i più frequenti trnviamenti, chein fatto di Esegesi sacra al retto uso della ragione si oppongono.
Pecca in primo luogo contro il retto uso della ragione, chi si arresta al senso superficiale delle parole, e questo è l’ er- rore dei Caraiti; imperocchè prescindendo pure dalla tradi- zione, accade molte volte in ogni libro, e più nei libri santi, che il primo apparente significato delle parole non sia il genuino senso dell’ intera proposizione; nè cessa un senso di essere il vero e letterale, perché risulti da qualche profonda riflessione, od anche da qualche lungo ragionamento; e cer- tamente sommo torto farebbe al divino Codice, chi pretendesse che non occorresse per ben intenderlo, che di conoscere il separato valore dei termini. Vediamo difatti il Salmista, nel secolo aureo della lingua, vale a dire in un tempo in cui il valore dei termini essere non poteva ambiguo ed incerto, implorare ripetutamente Dio, che gli concedesse l’ intelligenza della sua legge, e dire fra mille altre consimili snpplichevoli espressioni 1mm» nube: muto w 5:.
Così, a cagione d'esempio, l'intercalazione del terzo decimo mese di cui il sacro testo non fa la menoma menzione; è non di meno nel preciso senso della legge, la quale fissando alla Pasqua un'epoca solare, cioè il amen 12m, ed una lunare, ch'è il plenilunio (mentre il nome di riferirsi non può che alla luna, che a rinnuovamento di lnsi va soggetta, nè il sole avendo propriamente mesi, ma per sola civile conven- zione), c‘ impone implicitamente di combinare nel nostro anno il periodo lunare col solare o terrestre.
Così quantunque nel dire l‘? nnn W ec. la legge sembri comandare il rigore del Talione, tuttavia quando in altro luogo prescrive mi‘! W515 1D: inpn N51 dà abbastanza a divedere- che in luoghi fuori d’ omicidio era ammissibile la multa pe- cuniaria, ossia il riscatto; sebbene per mettere freno alla vio- lenza degli uomini opulenti abbia voluto stabilire la pena corporale, lasciando cosi alla prudenza dei tribunali ovvero del tribunale supremo, la decisione nei casi particolari.
Possiamo quindi stabilire, che il senso genuino e vero della Scrittura non è sempre quello clte apparisce il più letterale; e che al contrario il senso letterale è talvolta falso e Spurio. Cosi nell’ esempio superiormente allegato un: 5:1‘ I:N ‘ME- mm ‘m1 D: Yîfl-‘l 1D)! l'18 1113135 il senso letterale delle parole è condizionale: se un uomo potrà numernre la polvere della terra, anche la tua posterità sarà numerata. Pure ugnun vede che tal senso è falso, e che la proposizione non vuol già‘- prendersi condizionale, ma negativa. Qui dunque ed in moltissimi consimili luoghi apparisce un doppio senso, ossia un senso letterale, o più veramente superficiale ed apparente; l'altro formale e reale. È però manifesta cosa che questi non sono realmente due diversi sensi, ma uno solo e identico, al quale non si può da noi giungere, senza prima penetrare l'altro che lo vela e ricopre.
Pecca poi per soverchia raffinatezza, chi nel sacro Codice si propone di trovare quelle cose che Iddio non si è proposto d'insegnarci in esso. La legge è destinata ad illuminarci circa i nostri doveri, non già circa gli arcani della natura. Cosi andavano errati quei molti nostri filosofanti, che dei sacri testi facevano arbitrarie applicazioni alle nozioni filosofiche che a lor tempo regnavano, i quali, a cagion d'esempio, trovavano nei primi versetti della Genesi i quattro elementi di Aristotele, oltre la materia e la forma, cui intendevano per תהו e בהו. Nel pio pensiero di prestar servigio alla religione mostrandola coincidente colla regnante filosofia le avrebbero renduto un reale nocumento, se alla verità si potesse nocumento recare. lmperciocchè scopertasi in altri secoli la vanità della scolastica filosofia, i libri santi che a quelle dottrine erano stati con tutto ingegno applicati, partecipar potevano del discredito, in cui quelle son cadute. È per ciò che la massima circospezione deve usarsi nel far alludere le sacre pagine a nozioni filosofiche e scientifiche, le quali talvolta esser possono erronee, ed intorno alle quali ufficio non è della religione il dare schiarimenti.
Pecca per orgoglio, chi si sforza di ritorcere il senso di quei testi, che gli presentano idee che ben non quadrano alla sua mente, tuttochè non sieno in se stesse ripugnanti ed assurde. Pecca cosi chi dà allegorici sensi alla storia del peccato d'Adamo, sebbene non abbia in se nulla che sia metafisicamente impossibile; e pecca per orgoglio, perchè audacemente si erige in giudice della divina volontà, quasi che l'Ente supremo volere non potesse quelle cose che alla nostra ragione non piacerebbero. E cosa si direbbe di quel fisico, il quale negasse alla magnete la sua virtù, o all'anguilla del Surinam le sue sorprendenti proprietà per la ragione che siffatti fenomeni riescono per l'umano intendimento inesplicabili?
Basta adunque che una cosa sia a chiare note nel sacro testo espressa, e che non implichi in sè stessa contraddizione, perchè si debba da noi sommessamente ricevere, senza pretendere che paga ne resti pienamente la nostra ragione, inferiore di tanto alla ragione divina: כי כגבוה שמים מארץ כן גבהו דרכי מדרכיכם ומחשבותי ממחשבותיכם. È quindi d'uopo distinguere due diverse specie d'indagini nello studio della Scrittura: l'una è di scoprirne il senso formale, l'altra di rendere plausibile ragione delle cose significate. Preceder deve per ogni titolo la prima, la quale sola è nostro indispensabile dovere; la seconda esser deve sempre subordinata alla prima, e da quella ricevere norma e direzione. La prima non può mancare di sortire il suo intento, imperciocchè la legge ci fu data per essere da noi intesa ed osservata: כי קרוב אליך הדבר מאד בפיך ובלבבך לעשותו. La seconda mancar può di conseguir il suo scopo, conciossiachè nelle cose divine il come ed il perchè non è molte volte necessario che da noi si sappia, ed è anche talvolta impossibile che da noi si comprenda. Si arresterebbe alla prima linea del sacro Codice, chi pretendesse d'ogni cosa in esso narrata rendere a sè stesso ragione, e si arresterebbe immobile, senza mai alla seconda linea passare; mentre la creazione è, e sempre sarà inespicabile alla umana ragione, la quale è pur costretta a ricevere questo dogma, sotto pena di doverne ricevere uno assai più inconcepibile, ed anzi assurdo, ch'è quello dell'eterna fortuita esistenza di tutte le organizzate cose. XLII Ì
Lo stesso deve dirsi relativamente all'ordine dal sacro scrittore nelle sue narrazioni tenuto, e lo stesso pur dicasi delle frequenti sue ripetizioni. ll rendere ragione è cosa lode- vole, qualora si faccia senza pregiudizio del genuino senso dei testi; non è però indispensabile, ne sempre all’ umana intelligenza è dato di tarlo. Sarà sempre miglior partito la- sciare intatti questi fenomeni che renderne delle poco soddi- sfacenti, o incerte ragioni.
E pecca finalmente nella sacra Ermeneutica contro il retto uso della ragione, chi prende a interpretare le espressioni del sacro testo, staccate e divulse dal loro contesto; ciocche è veramente abusare delle divine parole, mentre è manifesto che una proposizione tronca e mutilato può dare un senso tutto contrario a quello che darebbe nella sua integrità; ne havvi errore 0 assurdità che in tal guisa non possa appog- giarsi alla sacra Scrittura.
E qui, studiosi giovani, convien nuovamente distinguere. Conciossiachè se va errato chi separatamente interpreta le varie parti d’ una medesima proposizione, ovvero le varie proposizioni l’ una all’ altra subordinate e connesse; non va meno errato chi suhordinar vorrebbe una proposizione ad un’ altra, la quale tutwchè a lei vicina, è però da quella staccata intieramenle e disparate di senso e di natura.
Difatti nella parte precettiva del sacro Codice molte leggi veggonsi i’ una l‘ altra succedere, le quali per loro natura aver non possono l’ una con l’ altra la menoma correlazione. Nè altrimenti poteva la cosa accadere in un libro che ogni sorta di legge in se abbraccia. É quindi chiara cosa, che due leggi di vario soggetto. e di natura del tutto diversa, per quanto immediatamente si succedano, non possono risguar- darsi come proposizioni l’ una all’ altra subordinato, ma come sentenze aflhtto distinte e indipendenti. Il rendere ragione della loro vicinanza è, come fu da noi superiormente osservato, cosa per noi non doverosa, nè talvolta è a portata della umana intelligenza, quindi il più sovente superfluo il trattenersi a indagarla, e talvolta dannoso pur anche, mentre tale ricerca può suggerire delle obblique e false interpretazioni dell'una delle due leggi, che si vogliono con violenza ridurre analoghe.
Ogni volta adunque, che da talmudici dottori si vedrà stabilita una qualunque legge, desunta apparentemente da siffatta vicinanza di più sacri testi, ossia סמוכין, dovrà quella legge attribuirsi ad infallibile tradizione orale, e ritenersi la prova che ce ne danno per pura אסמכתא. In fatti tal sorta di esposizioni non si vede nello stesso Talmud dai Dottori tutti adottata, mentre abbiamo in יבמות דף ד׳ che ר׳ יהודה לא דריש סמוכין אלא במשנה תורה.
Non è cosi nella parte storica; mentre le parti tutte d'una narrazione devono vicendevolmente recarsi schiarimento, e debbono tutte considerarsi l'una all'altra subordinate. Nè ciò è tutto, che anzi dove accade che uno stesso fatto venga ripetutamente in vari luoghi narrato, può l'uno ricever dall'altro lume e chiarezza, giusta il talmudico adagio דברי תורה עניים במקום אחד ועשירים במקום אחר.
Avviene la stessa cosa frequentemente anche nella parte legislativa, che cioè una divina ordinazione venga in vari luoghi enunciata, dei quali l'uno venga dall'altro dilucidato.
A ciò si aggiunga, che entrambe le parti componenti il divino Codice, la storica cioè e la precettiva, possono talvolta ricevere schiarimento dagli altri libri santi, i quali sebbene non abbiano autorità legislativa, in quanto che nessun Profeta fu dopo Mosè autorizzato a promulgare nuove leggi, e nemmeno a dare nuove interpretazioni alle già emanate, pure non cessano di presentarci la più antica e le più sicura tradizione vigente a' tempi vetusti, in cui vennero estesi, perlocchè appunto sono dai Dottori talmudici chiamati דברי קבלה, e sotto tale aspetto hanno, e aver debbono per noi la più grande autorità nell'interpretazione del testo del Pentateuco, sempre che con esso non si trovino in opposizione, ma tendano soltanto a maggiormente dilucidarne il senso.
Note
- ↑ Notisi che l'Autore scriveva nell'anno 1829. — Gli Editori.