I tre tiranni/Atto V
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ATTO V
SCENA I
Filocrate, ritornato di Spagna, piú che mai nel suo amore acceso, per entrare in casa di Lucia e non esser cognosciuto, viene in abito di pelegrino dimandando limosina in lingua spagnuola; ed è a la fine da la madre accettato in una corte come pover’uomo: ove, con Demofilo socero di Calonide, entra ne le lodi de l’imperatore e di piú principi.
Filocrate ritornato pelegrino, Fronesia, Calonide, Demofilo vecchio.
Filocrate Ai de mi! O personas
de bien, aiudadme con limosna. O quien
hallasse alguna alma tan devota
la qual oviesse piedad d’este pobre
peregrin, maldispuesto, que a llegado
a estos dias del sepulcro! O muger
de bien, llamadme un pò a vuestra senora;
que io me muero de necessidad,
por que pasa de odio dias que io
camino con la fiebre.
Fronesia Oh che fastidio!
Ti s’è pur fatto giá duo volte o tre
limosina. Ma siete certe genti
che vi fermate a la prima in un luogo
e pensate ivi, senza andare attorno,
aver le spese. Bisogna, fratello,
andar cercando come fanno gli altri.
Non hai detto che chiami mia madonna?
Filocrate A si: llamadme a vuestra senora.
Fronesia Questo fia poco.
Filocrate O triste de quien es
pobre! porque ia en estos tiempos
no se halla quien bien aga. O dichoso
si una vez muriesse! A lo menos
holgaria por salir de tanta pena.
Calonide Che vuol quel peregrin?
Fronesia Parlerai seco.
Filocrate Solo me bastaria estare alla
en cubierto: porque, no solo estoi
munendo, mas aun aeste aire
me acaba la vida y haze que
me consume.
Calonide E che vuoi tu, pover’uomo?
Siam poveri ancor noi, come tu vedi,
e di quel poco di ben che si fa
ti si fa parte. Se non foste tanti,
ne verria piú per un.
Filocrate Solo, sefiora,
queria una mercedi que me dexasses
estar alla debaxo a quel portai,
porque soi cierto que, estando alli
una noche, acostado en quella paia,
resucitaré sin dubda; que estoi mas
que muerto del trabaio.
Calonide Entrar lá dentro?
Filocrate No deseo otra cosa.
Calonide Oh poverino!
Che cosa è questa vita! Il mio fratello,
questo non posso far; che dal messere
ho commission di non lasciare entrare
in casa alcuno, per questi sospetti
di peste che sono or per tutto il mondo.
Uno spedale è qui vicino.
Filocrate O Dios
del cielo! que bien sé io do he stado
y quam limpio soi de sospecha; porque
el mal no es otra cosa que fiebre
iuntamente con las passiones
y tan longas fatiguas.
Fronesia Potria dire
cosi, tre di, che non lo intenderei
se non per discrezione.
Calonide Io non saprei
giá parlar come lor; ma diria poche
cose che non l’intenda perché, inanzi
che Lucia fosse grande, n’ha Demofilo
sempre tenuto in casa di scolari
quasi tutti spagnuoli.
Filocrate Mi sefiora,
tiengo a vos sola de ablar dos palabras.
Calonide Tiratevi da canto. Volentieri.
Di’ ’l tuo bisogno.
Filocrate Io soi bien nascido
y en buena ciubdad y de mui noble
familla; y, por haver prometido
d’ir al Sepulchro, soi venido a este
fin y malaventura. Y, estando
a si, alende de otras passiones,
es otra mui maior; que tiengo a qui
cientos ducados, sin algunas ioias.
No sé come hazer porque no me mate
algun ladrone, estando a si a dormir
de fuera: por lo qual, cara sefiora,
solo por está noche, os suplico
que me dexeis entrar; que, a la manana,
io me ire. Y, porque he oido dezir
de vuestra mucha bondad, he osado
descobrir a vos todos mis secretos
confiando de vos.
Calonide Puoi ben fidarti.
Orsú! Entra in casa. Ed io vado a Demofilo
a pregarlo che voglia esser contento,
tanto che ti riabbi d’esto male,
che ti stia qui.
Fronesia In vero, m’ha ben cera
d’uomo da bene: me ne crepa il cuore.
Tristo a quel che si truova in tal disgrazie
sbandonato da tutti! Cosí suole
far la fortuna: nulla è, in questo mondo,
di fermo che ’l ben far. Par che simigli
una persona e non saprei dir chi.
Ecco ’l messer.
Demofilo Donde sei, peregrino?
Filocrate Soi spanol y naturai de Cordova,
muy buena patria, y tan bien de buena
familla. Aora soi en vuestras manos.
De gracia, havedmi compassion.
Demofilo Appunto.
Non ti pigliar fastidio, che potrai
star qui per fin che tu sia ben sanato;
e farò governarti da fratello.
Ma ben m’incresce non poter tenerti
come vorrei perché, in fin che non passa
bene il sospetto, non ci veggio modo
d’accettarti sii in casa.
Filocrate Soi contiento
con eso. Non quiero otra cosa.
Dios os pague el gualardon.
Demofilo Sapresti
darmi nuova d’un signor Fabio Negri
di Valenza?
Filocrate En verdad no le cognosco.
Demofilo Che si fa in quelle bande? che si dice
di nuovo?
Filocrate Quando io me parti da quellas
partes, se hazian grandes allegrias
y fiestas y triumphos; porque havian
nuevas de la tornada muy felice
de Su cesarea Maiestad (y esto
por toda Spagna). La qual es tan deseada
que cada ora les parece
mas de un ano. Y en special
la emperatriz que tan cortes a havido
el cielo ne las dotes de la anima
quanto de la fortuna. Y asimismo
se aderecavan iustas y torneos
para quando aia llegado con tanta
gloria y vencimiento.
Demofilo . Ai tempi nostri
non si ricorda che, da Adamo in qua,
v sia nato alcun dal ciel piú largamente
dotato e favorito e so vr’ogni altro
fatto felice; non cavando alcuni
passati imperatori o capitani.
Che se la nostra etá fosse si ornata
di scrittor degni come fu l’antica,
non si ricorderebbe piú, in esempio
dei piú famosi e illustri semidei,
Augusti, Arsacidi o Iustiniani:
w ^ che la fama maggior di Carlo quinto,
come fa ’l sol con le minori stelle,
offuscherebbe i loro accesi lumi.^,
Filocrate ’Ciertamente sus grandes vitorias
y empresas honrosas y magnanimos
hechos muy felices dexaran
tal fama de Su alta Maiestad
que, sin scrittores o poetas, haran
que su nombre siempre viva, sin
falta alguna, despues de mil mondos.^/
Y specialmente por está vitoria
que a avido en Ungaria contra el Turco;
la qual a seido nuestra redemption
y fortification y esaltation
y aumento de la nuestra santa
y catholica fé. Donde el vuestro
marques del Vasto, de Su Maiestad
capitan difio, con illustres obras
a ganado tal nombre que qualquiere
gentilhombre parece desear
non menos de seguir la gherra por
militar vascio al dominio de tan
generoso sefior; que el desea
la eterna gloria y accrecientamiento
de las vitorias a lo emperador
su rey sefior. Dichosa edad nuestra,
que de tan glorioso emperador
sta governada y tan bien regida!
Demofilo Felice è certo questa nostra etade
quanto altra mai ne fu, quanto ne ria
dopo i di nostri: poi che ’l ciel l’onora
d’un pontefice tal che l’alta sede
non manco adorna e imperla e ingemma e inostra,
con le rare eccellenze e con la fama
de l’opre chiare, ch’ella il suo bel nome
rischiari e ’l renda a le future genti
colmo di gloria e d’immortali onori.
Il cui chiaro valor, se tanto vivo
che giunga a la vecchiezza, spero ancora
veder rinovellar (come d’alloro m
esce ramo piú vivo) in due gran piante.
Ippolito fia l’un, giá adorno e carco
di fama tal che l’Indo e le Colonne
passa colma d’onor, dal tempo sciolta.
Il qual vedrem, cinto di perle e d’oro
e verdi fronde, anzi che cangi il pelo,
giungere in cima a l’onorato calle
per l’istesso sentieri onde ora sale;
e fare al gran valor forse secondi
i patri onori; e, come vivo sole,
dar lume a questo e quell’altro emispero
con si soave raggio che si eterni
la primavera: a che pensando, parmi
veder tornata giá l’etá de l’oro./
L’altro, Alessandro; che al valore antico
del grande antecessore, ne’ verdi anni,
succede si che par giá che sostiene
ogni speranza che ha ’l Tosco e il Latino.
Taccio or del gran legnaggio piú ministri
i quai, se avesse auto ai primi tempi
Roma, via piú d’onor l’ariano ornata
che né Fabrizio né Caton né Scipio:
il gran Salviati, un Tomaso, un Francesco;
un di prudenza, un di bontade esempio
e l’altro di giustizia, il Guicciardino;
il qual la terra nostra or teme ed ama.
Ei ben si può dar vanto d’esser nato
per governar provincie, imperii e regni:
di che, non sol s’allegra l’Arno e Ibero,
ma tutto quello che la santa Chiesa
onora ed ama; onde confuso trema,
sotto il nome Clemente di pastore,
non manco che giá fèsse il fiero artiglio
del Lion valoroso, ogni gran fiera
ed ogni lupo al bel gregge nimico^
Filocrate Está fama se a adquirido nuestro
’muy Santo Padre, en todo el mondo, con
muchas pias y buenas obras; la qual
durará tanto quanto del tiempo
el movimento. O quanto deve olgarse
todo el mondo! que con tanto amor,
aora ultimamente, y entera fé
an firmado ambos y fortificado
los fondamentos de la eterna paz;
que no solo seran siempre unidos
mas tomas una vida y una alma:
porque, al fin de todo, sii unidad
es asimismo de todo el mondo
y de nuestra santa fé.
Demofilo Gli è certo:
che sempre, uniti i capi de le cose,
stanno unite anche lor; tanto piú quelle
che da quelle son rette e governate
come è ’l mondo da lor. Portali cena;
che passa il tempo, cosi, ragionando,
che non si vede.
SCENA II
Pilastrino, ricercando qualche suo amico vecchio per mangiar seco, si imbatte in Girifalco e, per ire a cena seco, lo invita a cenar con lui; ed è dal vecchio scorto, onde il disegno vien fallato.
Pilastrino, Girifalco.
Pilastrino Che farai istasera,
Pilastrino? S’accosta ora di cena,
e tu in casa non hai né pan né fuoco.
Sono ora in piazza. Lasciami cercare
se trovassi qualcun di questi miei
gamici vecchi; e non avrò a comprare:
ch ’oramai m’incomincia a increscer troppo,
cosi mi truovo stretto di danari,
poi che Crisaulo mi fé’render quello
I ch’era mio di ragione! Or, come spendo
un quattrino, mi par che mi sia tratto
un dente de’ migliori che abbia in bocca,
che gli ho piú cari la metá che gli occhi.
Ma guardo pure e non ci veggio alcuno.
Quel non è Girifalco? Orsú ! Mi voglio
apparecchiare a una magra cena.
Girifalco da ben, Dio ti contenti.
Ti son pur servitor: ma sei un cert’uomo
che non mi degni; o che tu m’abbia in odio,
non so perché.
Girifalco T’ho in luogo di fratello.
Pilastrino Toccala qui. Vo’ che istasera facci:
una bontá: che venga a cenar meco,
se mi vuoi ben.
Girifalco Non posso.
Pilastrino Dissi bene
che non mi degneresti. Non ci è peggio
che essere, in questo mondo, pover’uomo;
ch ’ognun ti fugge. Avrem di buon pipioni
in colombaia; e buon vin ne le bótte;
e ’l pan, se non è poi bianco a tuo modo,
manda per esso a casa.
Girifalco S’io potessi,
non mi aresti a pregare.
Pilastrino E dove ceni?
Girifalco A casa.
Pilastrino Vedi che tu mi rifiuti.
Girifalco Dimmi altro, se vuoi nulla.
Pilastrino Oh! Va’, ch’io voglio,
’per non cenar da me, venir teco io
a casa tua.
Girifalco Perdonami. Non posso.
Pilastrino E perché questo? Oh! co! La cosa è guasta.
Oh! che spilorcio!
Girifalco Ho forestieri a casa.
Un’altra volta, poi.
Pilastrino Ed io che sono?
Arei pensato aver luogo nel letto
ove tu dormi. T’ho pure ancor fatto
qualche piacer.
Girifalco No, no. Sono oratori
de’ veniziani. Parti che sia onesto
che venga a star fra lor?
PILASTRINO. Sono oratore anch’io, per questo; ma non so concludere. Non avrò premio da la mia republica. Vatti con Dio. S’io non ti pelo, un tratto, quella barbaccia nido di piattoni, non sarò mai contento. Volpe vecchia! ché non penso, cercando tutto il mondo, si ritruovasse un che sopra il quattrino fosse più scozzonato. Se- potesse chi te n’ha già fatt’una farne un’altra, forse che perderesti il ciaccolare e lo schermo.
SCENA III
Essendo, di notte, Crisaulo andato da Lucia per l’ordine avanti preso, vien Fileno verso la casa; e trova Timaro il qual, devendo aspettare il padrone, era fuggito. E, mentre li dice villania, Crisaulo scende da le fe- nestre e manda subito a donare a la roffiana una gran collana che aveva al collo.
TIMARO, FILENO, CRISAULO.
TIMARO. Addio, Fileno. M’avrebbe dato troppo, s’ io aspettava. Tu non mi ci corrai. Son quasi stato per non tornar. Mi sta a metter paura. So che venni correndo un pezzo in giù prima ch’io mi fermassi.
F ILENO. Io la sapeva. Non restò già da me che nol dicessi, che cosi potea armare un paracuore.
E sei fuggito? Che avesti paura? dei morti? .
TIMARO. ' A la fé. si, cosi a la prima; ma non fuggiva. Poi vidi venire
non so chi camminando per la strada: onde mi entrò paura; e m’appiattai
e poi venni correndo in fin qua giú,
che non mi son fermato.
Fileno Se non fosse
per non far qui romor, ti caverei
quell’arme tutte e ti concerei in modo
che ti ricorderesti, manigoldo,
sempre di questa sera.
Timaro Orsú! Sta’ fermo;
lasciami star. Lo saperá il padron, vch!
Eccolo.
Fileno Corri lá! Tien quella scala.
Buon prò ti faccia.
Crisaulo Pian! Senza romore.
Timaro, va’, corri ora e trova Artemona.
Dalle questa collana; e sappia dirle
ch’io glie la mando perché da lei intenda
almen parte di mia sorte felice
a cui si truova esser stata presente.
Chi è piú contento al mondo?
Fileno È ben passata.
Saranno pur finiti tanti pianti.
Sempre ho sperato; ch’io sapeva bene
quanto possa in noi l’oro che le porte
che fosser di diamante rompe e spezza.
Pensa che ci può il cor d’una donzella!
Con questo ci ha insegnato vincer Giove
la castitá e l’onor, se fosse in carne.
Di’ : come andò?
Crisaulo Dch! non mi molestare,
che di dolcezza il cor mi si diparte.
Poi, un’altra volta.
SCENA IV
Filocrate, il qual, come povero, in abito di pelegrino, era fermatosi ne la corte di Lucia, con consentimento loro, in su certa paglia, vede Crisaulo andar da lei ed uscirne; e minaccia tutti e duo di ammazzarli, pure in lingua spagnuola, perché ancora non appare che si sia scoperto.
Filocrate solo.
Ai porque no me a dado
el cielo, pues que era ia de tanta
servidumbre salido, de alli léjos
morir alla donde el morir podia
venir con men dolor? Quisa sará
que, con la morte sua, mucho alla
contiento andare; si de un tan grande
ultrage yo saco venganza. Quiero ir
alla, corno el buelva está noche;
y hazer de maniera que su cruel
condition y tan mala natura
sea castigada; en exemplo de Totras
que siempre tales costumbres tienen.
Quiero que está man castighe a todos
dos y despues me ya mas contento
saque de tanto trabaio y pena.
SCENA V
Crisaulo, ritornando a casa, ringrazia il cielo de la felicitá che in quella notte li concesse e racconta a Fileno la istoria tutta succintamente; ed è da lui in modo persuasoli il partirsi de la cittá che si dispuone di partir la mattina a giorno, per non averla a sposare; come, stretto da amore, dubbitava di fare.
Crisaulo, Fileno.
Crisaulo Grazie immortai ti rendo, grande Iddio,
chiunque sei del cielo e de la terra
governator, di si gran benefizio
e largo dono; e a te, maggior pianeta,
ch’ogni cosa terrena col tuo lume
governi e reggi (che giá tante volte,
al dipartir, mi lasciasti si pieno
di pensier tristi, ed al ritorno, poi,
lontan da ogni riposo a tragger guai),
che, rivolgendo altrove il chiaro giorno,
lasciando dietro a te l’ombrosa notte,
a tanto mio contento desti luogo.
Luna, e tu parimente, che porgesti,
velando il chiaro viso di piú oscure
e fosche nubi, a tal felicitá
favor, non sará mai mia lingua stanca
in pregar chi che sia che lo può fare
ne le tue contentezze; e che ritornino
i dolci abbracciamenti de lo amato
Endimion quanto mai lieti e spessi.
Benigne stelle, cui chiamai sovente
in testimonio di mia vita acerba, ma
sempre in vano, onde crudeli ed empie
vi dissi, non è alcun mortai mio sforzo
che mi vaglia a formar degne parole
in rendervi le grazie ch’io vi debbo.
Cor lasso, che di lagrime e sospiri
vivesti un tempo, ond’eri giá ridotto
quasi a l’estremo, come puoi di tanta
dolcezza esser capace? Occhi, che primi
foste a soffrire e mandar dentro al core
il dolce amaro, che non fate segno
di cosí gran letizia? ch’or vi involge
in dolce pianto, come, in questa notte,
vi ha dato il ciel, discacciando a voi lunge
ogni tristezza, quanto vi fu prima,
ogni riposo. E tu, lingua mia frale,
che giá si spesso, ne l’alte sue lodi,
cantando, davi a le acerbe mie pene
alleggiamento ed a le fiamme lena,
or quanto mai ne l’onorato nome
spende tue forze; si che ’l vivo lume
veggiam dritto poggiar verso le stelle
onde discese.
Fileno Vorrei che finissi,
Crisaulo, oramai si lunga predica;
e mi partissi cosí gran piacere
quanto tu non capisci.
Crisaulo Sono allegro,
certo, in tal modo che, ne la soverchia
dolcezza, il cor mio lasso sente pena.
Non mi dir nulla.
Fileno Vo’ che tu lo dica;
che mi fai stare appeso per i piedi.
Non ti far piú pregare.
Crisaulo Io son forzato.
Eccotel brevemente.
Fileno Orsú! Incomincia.
Crisaulo Tu dèi saper si come ier, parlando
con Calonide, molto la pregai
mi concedesse ch’io parlassi a Lucia.
Ella, che vive come al tempo antico,
senza molte parole fu contenta
e si tirò da banda.
Fileno Questa è bella!
Accostare il tizzone al zolfanello
ed aspettar da canto che non brugi!
E le parlasti?
Crisaulo Ora ti dico il tutto.
Questo le dissi: — Cognoscer puoi certo,
Lucia, che siamo ornai condotti a tale
ch’esser non può ch’io non sia sempre tuo
e tu di me. Però vo’ che mi attendi,
che ti vo’ confidare un mio secreto.
Io son diviso giá da mio fratello
perché sopra di te non abbi alcuno
ne la mia casa ma ne sia signora.
E perché il nostro aver, per il passato,
maneggiav’io, mi truovo da appiattare
un cassettino ov’io missi da canto
1 molti ducati e gioie: ond’io ti prego
che mostri avere in te giudizio e ingegno,
che li salviamo; e fidarsi d’altrui
cognoscer dèi da te che non sta bene.
Io verrò qui istasera a le cinque ore.
Fa’ che mi attenda. — E le mostrai de l’orto
la fenestrella. E dissi: — Come dorme
tua madre, verrai qui, che gli avrò meco
e insegnerotti quel che vo’ che faccia. —
Semplicemente (come puoi pensare)
la mi rispuose che non sapea come
levarsi, che la madre non sentisse.
Rimase, al fin, di farlo. E la pregai
che facesse che alcun mai noi sapesse
e che a la madre ancor trovasse iscusa
perché non s’avedesse di tal cosa.
Non ti dico altro. La mi venne fatta.
E cosí fu la fin d’ogni mio affanno
e ’l principio d’un si felice stato
ch’io quasi par che a me istesso noi creda.
Che te ne pare?
Fileno Io, non sol mi stupisco,
ma, dentro, d’allegrezza mi confondo.
Bene è venuta a tempo: che comprata
l’hai con tanti disagi e tanti pianti
e tante amare notti e tanti giorni
che appena mi risolvo se ciò basti
a compensar tante fatiche e danni.
Hai ben da ringraziar tutti li iddíi
di tanto dono; ch’io cognosco certo,
se questo non riusciva, la sposavi.
Oh che bel fregio a si onorata casa!
Che direbbe ciascuno?
Crisaulo È vero e certo
ch’io la sposava o che sarebbe in breve
seguito la mia morte; che non basta
il nostro ingegno a schifar le fortune
e i casi avversi che sono imminenti.
Che possiam contra ’l ciel?
Fileno Bisogna, adunque,
uscir d’errore ed a l’antico male
porger rimedio, poi che v’è gagliardo.
Fuggiam, per qualche di, l’occasione,
che fa peccar talor l’anime elette,
ed andianne a diporto; ove vedrai
ogni virtute ed ogni sentimento
surgere in te come da morte a vita.
Lasciati governare.
Crisaulo Io sono stato,
un tempo, appunto com’un uom che è morto
e non esce di pena; e in stato tale
mi son trovato che ho portato invidia
a chi morio giá un tempo o mai non nacque.
E fui giá tal che or sol la rimembranza
mi toglie parte del piacer presente.
Or che posso gioir, lasciami alquanto
restare ove è ’l mio core e la mia vita,
se tu non vuoi ch’io mora.
Fileno Addio, Crisaulo.
Dissi ben io che ci saria che fare
che tu voglia ora uscir de la calcina,
ch’altrui non par sentir mai che l’offenda
per fin che non l’ha roso in fine a l’osso.
A te verrá come al villanel suole,
che, per cogliere il mele ai nidi d’api,
si ferma si che, prima che si parta,
guasto n’ha malamente gli occhi e ’l volto.
Voglio che ti governi in ogni modo
come t’ho detto, che quel poco amaro
in questo ha seco utilitá infinita.
Andianne, com’è giorno.
Crisaulo Sia a tuo modo.
Cosí farem, che anch’io cognosco certo
che fia ’l mio meglio. Ma non potrò starvi:
che ci morrò in duo di.
Fileno Si! T’è piú sano
che non è ’l cavar sangue agli impestati.
Ed è ben peste quella che ti ha preso!
Né certo ti devrebbe esser si grave:
perché non si terria impiastro perfetto,
se non cuocesse al mal; né medicina
fu dolce al gusto mai che fosse sana.
SCENA VI
Artemona si mostra con la collana al collo che ebbe dlf Crisaulo. E, dicendo alcune cose che sono introdotte come certa conclusione sopra de l’oro, è da Pilastrino trovata. Il quale le fa uno assalto per tórgliela con violenza; ma non li riesce, che è interrotto da la gente che al gridare di lei correva.
Artemona sola, Pilastrino.
Artemona Crisaulo mio da ben, questa è ben stata
una mancia piú degna che ’l mio merto
non richiedeva. Io so che l’è ducale.
Oh Dio! Potessi almen portarla sempre,
che non si disdicesse! che mi penso,
per la allegrezza che mi reca al cuore,
farebbe piú mia vita che non fia
lunga venti anni. Oh! mi par d’esser bella!
Che benedetto sia chi me l’ha data
e la sua casa e tutti i suoi parenti!
Or vorrei che passasse per la strada
qualche bel giovanetto; che son certa
che, cosí vecchia, gli anderei a gusto.
Oro sopran, quante son le macagne
e’ difetti che copri! quanti i visi,
che forse senza te parrian di fango,
che gli fai risplendenti e pien di grazia!
Specchiati in me, che in alcun tempo bella
giá mai non fui, ed or, che son pur vecchia,
risplendo giá com’un bacin forbito.
Di questo aspetto è ’l sol; questo le stelle
mostra si chiare; e questo è qui fra noi
padron di quanto il sol girando vede.
Questo dá tutti i ben, tutti i piaceri,
tutti i contenti; e, fuor di questo, è nulla
che a noi sia a grado. E di qui tutti i mali,
tutte le sceleraggini ed inganni,
i furti, le rapine e gli omicidii,
le iniquitá, gli stupri, i sacrilegi,
l’invidie e gli odii e quanto ha di piggiore
la nostra vita in sé pullula e nasce
Per questo al padre e la madre e’i parenti
vegnam nemici; ed occidiamo i figli;
e, per vii pregio, vendiam l’alma spesso.
Questo è stato tenuto iddio, gran tempo,
ed adorato, come è ancora il sole
e la luna e le stelle in certe parti.
E questo è tutto per la sua bellezza:
onde nasce si fatta gelosia
che gli uomini, talora, a poco a poco
rodendo, mena a vergognose morti.
Questo può tutto; e di qui ciò ch’è al mondo
è governato a’ suoi debiti fini.
Tanto mi piaccio di si bella cosa
ch’io dubito che alfin (come quell’altro)
di me, senza specchiarmi, mi innamori.
Che non penso, si grinza come sono,
che alcun mi rifiutasse.
Pilastrino Sei in amore, ah?
Eccomi. Piaci a me, vecchia crestosa.
Posa in un punto giú quella catena,
se non vuoi ch’io ti mandi il collo ai piedi.
A chi dico io?
Artemona Sta’ fermo. Oimè meschina!
Sai ben ch’io ti cognosco, Pilastrino.
Lasciami stare. Oimei!
Pilastrino Ed anco i miei
voglion qualcosa loro. Tu non odi?
Lasciala qui; ch’io ti caverò gli occhi,
s’io ci metto le mani.
Artemona Oimè! Ladrone!
Prima mi caverai la vita e ’l fiato
e gli occhi e ’l cuor che di man la catena,
se non mi scanni; e, se ’l fai, ti predico
che, inanzi un mese, tu sarai appiccato.
Lasciami, adunque.
Pilastrino Dico ch’io la voglio.
Dammi la corda, ch’io mi vo’ appiccare.
Posala giú, ch’io ti pesterò l’ossa.
E chiude quella bocca di ranocchia;
che, ad altro suon che di cembalo o pivi,
ti farò far la tosa e mazzacrocca.
Scanfarda, che sei uscita de l’inferno,
è vuoi le cose mie a forza, tu!
Ti tagliere le man.
Artemona Misericordia!
Fuor, vicini Tutti fuor! ch’io son giá morta;
che un ladro m’ha assalito in su la strada.
Mi taglia il collo.
Pilastrino Se tu te ne vanti...
Cosí si fa, poltrona! Aspetta, aspetta!
ch’io te la caverò d’in mezzo al cuore
e se l’avessi chiusa nei cervello.
Roffianaccia! scorziera!
Artemona È giá fuggito.
So ben chi è. Non son tre giorni a notte.
SCENA VII
Filocrate, vedendo in casa di Lucia farsi apparecchi per le nozze che aspettavano di far con Crisaulo, si lamenta solo: il che è come uno epilogare sopra de la fortuna. Ed, al fine, discopre a Fronesia chi egli è; e come, la sera avanti, era ito da Lucia con animo di vendicarsi di averci veduto andar Crisaulo; e, trovatola in aspettare (per essersi giá, la mattina, per consiglio di Fileno, partito Crisaulo de la cittá), aveva ottenuto il suo desiderio. Ed égli da Fronesia discoperto come quella che egli pensò esser Lucia fu essa: onde, veduto pur esser cosí volontá de’ cieli, se la sposa.
Filocrate solo, Fronesia.
Filocrate Di quanto amaro, Amor, temprasti il mele!
di quanto assenzio che, per farmi al mondo
unico esempio d’ogni sventurato,
gustar mi festi! Ahi! Qual veleno e tòsco
nel core i dolci frutti recato hanno!
Di quanto fel, di quanto acerbo ed acro
opprimen l’alma! Oimè, lasso! Che vale
Ìuman consiglio? poi che ne’ miei danni
s’arma il ciel tutto e, con la rea fortuna,
in me congiura perché il debil filo
d’una vita meschina, in mezzo agli anni,
tronchin le Parche. Ma condotta ornai
la veggio a tal che, senza alcun ritegno,
corre lá dove è spinta dal destino.
Che cosa è, in questa vita, aver le stelle
contrarie e ’l cielo! che, se pur ci viene
nulla di quel che ne faria felici,
subito in mortai tòsco lo converte
quest’empia che dichiam Sorte o Fortuna.
Quanto fora il tuo meglio, se giá mai
non avessi gustato il dolce cibo
che si tosto è poi vòlto in amara esca!
Dato è a me in sorte una piú acerba pena
di quella che si dice ne l’inferno
portar Tantalo ingordo: perché a lui
il veder sol quel ch’ama è duro scempio
e non ne poter tór; ma quel che ’l gusta
e poi gli è tolto e ’l vede son fatt’io.
Che ben cognosco che quella persona
debbe esser che si aspetta che la sposi:
ond’io resto a me scherno e al mondo gioco.
Ho tante volte di fuggir provato
l’eterna mia ruina e sol per questo
corso son giá da l’uno a l’altro sole.
Ma sempre con piú scorno mi rimena
il mio destino ove convien ch’io mora,
alfin, dopo piú morti.
Fronesia È disperato.
Io vengo, peregrin, perché ti sento
piangere e sospirare e con lamenti
esprimer non so che di acerbo e reo;
tal che spesso, a sentirti, ancor da lunge
mi muovo tutta dal capo alle piante,
sol di pietá. Non aver dubbio o téma,
per esser, come sei, qui, forastieri
in terre altrui; che sarai governato
da me come tu fossi mio fratello.
E, se altra cosa è pur che si t’addoglia,
mi serebbe piacer (se ’l si può dire)
intender la cagion; perché potrebbe
forse a cosí gran mal, se non rimedio,
trovarsi almen per noi qualche conforto.
Non mei voglia celar.
Filocrate Se alcuno è al mondo
che possa avere nel mio mal rimedio,
penso che l’abbi tu; benché sia poco,
e di parole. E poi, del resto, il male
è giunto a tal ch’ornai piú cosa umana
non li può dar conforto.
Fronesia Dillo, adunque;
ch’io ti prometto quel che in questa vita
onestamente per me si può fare
in ogni cosa.
Filocrate Accetta questo, prima;
e dammi realmente la tua fede
di quello che ti voglio dimandare
dirmi la veritá.
Fronesia Son ben villana
a pigliar si gran dono! Pur, l’accetto,
offerendomi a te parata sempre.
T’impegno la mia fede. E si ti giuro
di non mancar, sopra l’anima mia,
se gli è cosa ch’io sappia; e dirti il vero,
come farei al frate.
Filocrate Io t’ho parlato
or ne la lingua nostra per vedere
se mi ricognoscevi; ma son certo
che ti son tanto fuor di fantasia
che non te ne ricordi. Io son Filocrate,
Fronesia cara.
Fronesia Che sento oggi dire?
Filocrate sei tu? Si! È desso, a fede.
Lasciamiti abbracciar, che di dolcezza
e di compassion m’hai mosso il core.
Piango e non so di che. Quasi noi credo.
Non t’arei in mill’anni afiígurato;
che pari un altro.
Filocrate Aimè! Son bene un altro:
cangiato di presenza negli affanni;
ma quello sventurato di mai sempre.
Io piango di dolcezza e di dolore:
che mi veggio condotto, al fin, lá dove
mi fia la morte men dogliosa e grave;
da poi che piace al ciel.
Fronesia Lascia andar questo.
E raccontami presto ogni tua pena
e quel che vuoi da me; ch’io qui t’attendo
con disio d’aiutarti.
Filocrate Ah sfortunato!
Onde mai incominciar mi fia concesso?
Donna sleale, al tuo trionfo altero,
che fia di crudeltá mista con fraude,
voglio che aggiunga queste spoglie frali,
vinte da te, da te distrutte e sparte,
in esempio d’altrui.
Fronesia Dch! Affrena alquanto
questi lamenti e le lagrime e ’l duolo.
Dimmi quel e’ ho da fare.
Filocrate A queste notti,
chi era quello che si destro entrava
ne le camere vostre? Ove è l’onore?
ove è la castitá? dove è l’offizio
che conveniva a saputa servente?
Devevil comportar?
Fronesia Guarda, Filocrate,
che non ti inganni; perché veramente
io non intendo quel che voglia dire.
Son molte volte, quando altrui è infermo,
che par veder le cose piú che espresse
e non è altro che ’l cervel che varia.
E come andò?
Filocrate Per chi bene e chi male.
Per te de vette ir mal, per Lucia bene.
Confessalo oramai.
Fronesia Sappilo Iddio;
che tu potresti dir cosí vent’anni,
ch’io non ti intenderei. Se guardi bene,
certo vedrai che sará stato un sogno
o ver fantasma. Io non saprei che dirti
sopra di questo.
Filocrate Non lo negar piú;
ch’ornai incomincio a perder la pazienza.
Pensa se san negar, quando a me istesso
nega quello che sa che ho giá veduto!
Non so se ero intronato o se ’l cervello
mi vacillava o se cosí mi penso
o se qualcun mei fé’veder d’incanto,
la sera inanzi a ier, che una persona
per una scala entrò ne la fenestra
che guarda l’orto ove era Lucia.
Fronesia Lucia?
Filocrate Si, Lucia. E v’eri tu.
Fronesia Io?
Filocrate Si. Piú forte.
Iersera ci venni io in persona
come mi vedi: ond’ella ancor si rise
perché, fuor de l’usanza di quell’altro,
venni di corte e prima fui partito
che tu te ne accorgessi; che eri dentro.
E l’animo mio fu sol di vendetta.
Ma la sorte non volse perché, quando
la vidi sola ivi aspettar quell’altro,
dimenticato ogni onta, l’abbracciai
(cosi morto foss’io, inanzi quel punto!);
ed allor vidi che mi tolse in cambio:
ch’ella forte mi strinse e mi pregava
che passassi di lá. Paionti sogni?
o pur che con effetto io fossi desso?
Or vuoi negarlo?
Fronesia Non posso, volendo.
Meschina a me! Ti dimando perdono.
Non era giá promessa da attenere
appalesare una si fatta infamia
e scoprir tale error.
Filocrate Basta: io sapeva
come faresti. Or dimmi la persona
a cui concesso ha il cielo, in mio dispregio,
il guiderdon di tante mie fatiche
non mai concesso a me.
Fronesia Quello è Crisaulo
(come debbi saper, gran cavalieri)
il qual l’ha tolta; e, fra due giorni al piú,
la de’ sposare.
Filocrate E questo è senza fallo?
Fronesia Altro non resta se non che dimane
li metta de le nozze in man l’anello.
L’altre cose sai tu come sono ite.
Ma ti voglio pur dir che tu ti menti
d’averla aúta in braccio...
Filocrate E pure ancora
non ti si può far vero?
Fronesia ...perché quella,,-con
chi scherzasti parla ora qui teco.
Vedi che t’ingannasti?
Filocrate E come fu?
Sarresti mai tu quella? Anima mia,
dimmel liberamente; che, se è vero,
poscia che ci ha condotti il cielo a questo,
ti prometto sposarti.
Fronesia Hai pur giá detto
ch’io ti tirava per menarti dentro
ove Lucia aspettava il suo Crisaulo.
Onde ne rimaniam tutti beffati,
ma dolcemente; e tutti e tre in tal modo
l’un con l’altro ci siam rimescolati
che appena ritroviamo i propri nomi,
-ilo fui giá Lucia; e tu fosti Crisaulo,
secondo ch’io pensava; e da me, a sorte,
in me credendo d’averla ingannata,
fu da inganno difesa la padrona.
E tu facesti com’un uom che sogna
cosa che li sia a grado, che poi, desto,
trova tutto il contrario. Ma Crisaulo
(se non è ritenuto da qualcuno
de’ suoi perché noi faccia) ora, in fra poco,
forse che dará fine a la comedia
con far da vero.
Filocrate Basta: ora io son chiaro.
Vedi, al fin, come volge la fortuna!
Poi che noi siamo a questo e che vediamo
che in questo modo l’ha guidata il cielo,
segua quello che debbe: che ’l destino
non si può mai fuggir. Se ti contenti,
ti vo' sposare, in questo modo appunto:
che ci diamo or la fede, se di Lucia
si fan le nozze; perché vo’, se a sorte
non fosse fatta, come giá promessa
mi fu, poterla, se mi parrá, tórre.
Dimmi se ti contenti.
Fronesia Si, ben mio,
poi che ti piace; e ci siam cognosciuti,
come a Dio piacque che governa il tutto;
ed è stato fra noi, giá tanto tempo,
amore e fede. Or durerá in eterno
il dolce nodo che non fia mai sciolto
fino a l’ultimo giorno.
Filocrate Orsú, Fronesia,
giá tanto amata! Tu sei la mia sposa.
Serberai questo anello; e poi le nozze
farem, quando ci paia tempo e luogo.
Sei chiamata di sopra.
SCENA VIII
Crisaulo, non avendo potuto patir fuori che duo giorni, apparisce in su la scena andando a sposar Lucia; ed ha seco Girifalco il quale si dichiara, nel parlar loro, avere da sposar Calonide: il che si mostra essere stato per mezzo di Crisaulo. Vanno adunque insieme ragionando; e con loro è Pilastrino il quale, giunti a casa, dá licenzia con dir che, di poi cena, si faranno gli sposalizi.
Crisaulo, Girifalco, Pilastrino, Calonide, Fronesia.
Crisaulo Io l’ho detto
dal primo giorno, che l’andar di fuori
era appunto al mio male erba trastulla;
ma nondimen, per esser poi iscusato,
non ho voluto mancar d’ogni sforzo.
Ma non è in poter nostro.
Girifalco Eh! Questo è poco,
v Crisaulo, che sei tal che potrai sempre
vivere in questo mondo con onore,
se ben ti biasmi il popolo e la plebe:
perché questo è lor proprio né alcun vive
dai lor morsi securo; e spesso i morti
gli sentono anche lor dentro a la terra.
E questo è, per il piú, che è gente vota
di robba e di pensieri; e altro non hanno
u’ esercitar la lor maligna mente
che ne’ fatti d’altrui. Ma un ben nato
non sará tinto di cotesta macchia
né assai né poco.
Pilastrino È ver. Sol si conviene
a simil gentarelle il biasimare:
vizio che trovò il diavol de l’inferno.
Lascia pur dir chi vuol, ch’è piú d’un mese
ch’io veggio, appunto come or veggio te,
una gran fame. Oh! Pensa, a queste nozze,
s’io m’affaticherò che vadin bene
i boccon giú! che, se de vessi ancora
durar tre giorni in quella cosa dolce,
me ne voglio saziar; né mai partirmi
per fin che ’l ventre non mi dice: — Tura. —
Andiam pur lá.
Crisaulo Ma non è ancor gran cosa:
che, quando ben riguardo a le parole
che fúr tra noi, non veggio, senza carco
e senza dar gran macchia a l’onor mio,
poter ritrarmi da si fatta impresa.
È ver che tempo fu ch’io non pensai
d’averlo a fare: onde, piú del dovere,
son stato di parole liberale
per venire a la fin del mio disegno.
Or veggio meglio che noi posso fare
e mancare a’ miei detti: ond’io, in ciò, voglio
che la necessitá l’errore iscusi.
Ma non ti veggio, Girifalco, lieto
com’io vorrei.
Girifalco Io son pur troppo allegro:
tanto che non mi par d’esser capace
di tanta gioia; onde l’alma, in se istessa
talor rivolta, si stupisce e quasi
non crede ch’in vecchiezza tanto bene
le venga quanto è questo di tal donna
e si da bene.
Pilastrino E che! Sei fatto sposo,
padre degli anni, ove tutti i difetti
e’ ha la vecchiezza in sé son giá scoperti?
È vero o mi berteggi?
Crisaulo Tu noi credi,
ch, Pilastrino? Gli è pur troppo vero.
Credilo a me, che sono stato il mezzo.
Calonide è la sposa; e sallo Iddio,
s’io ci ho durato punto di fatica!
Pur si contenta; e ne vedrai gli effetti,
come siam giunti. E ben ci fia che ridere:
che parrá certo, appresso a lui, la sposa
piú che donzella.
Pilastrino Io vado a sotterarmi
per disperato sotto a la mia botte.
Ma ci voglio un pitaffio ch’io m’ho fatto
per mia memoria.
Crisaulo Dillo.
Pilastrino Falli onore.
«Qui giace un ch’ebbe nome Pilastrino.
Vivo, tanto m’amò che disperato
morio mancando in me lo spirto e el vino».
Crisaulo Ha odor d’antico.
Pilastrino No. Ci manca questo:
«Visse di baie e mori disperato,
vedendo andare a nozze un che col tempo
contendea d’anni».
Crisaulo Ah! ca!
Pilastrino Gli è pure il vero.
Non vedi che non ha pur le gengie?
Povera Orgilla, so che l’avrá buona
come lo sa! che questo è appunto un tórgli
la sua prò venda de la mangiatoia.
Or non manca se non ch’io mi rassetti
per poter ben mandar per le mascelle
i denti a scrocco e far d’altro che d’esca
farina macinata a duo palmenti.
Oh! Scherza e salta e pigliati sollazzo
or, Pilastrin, che di troppa dolcezza
par che ti senta andar tutto in condime.
Oh! Ve’ che starò, un tratto, un giorno allegro!
che è giá quindici di che sono stato
come le donne quando han le lor cose,
fortuna ladra!
Crisaulo E che debbo dire io?
ch’in duo sol giorni era giá fatto tale
ch’ora mi pare uscir di sepultura
e tornar vivo. E sarei morto, certo,
se non me ne campava la speranza
di tornare ove fosse e fare in modo
ch’ambo siam prima d’está salma scossi
che lontani o divisi; in fin che ’l cielo,
che ci ha congiunti, ne divida e sparta.
Dica pur quanto vuol ciascun; che, al fine,
è pazzo quel che ne’ propri interessi,
per viver sol sotto costumi e usanze,
se ne governa come piace altrui.
Usciremo or d’affanno.
Pilastrino Tocca forte,
che non posson sentir.
Calonide Va’. Guarda a l’uscio,
Fronesia E tu vatti governa, Lucia,
con i panni ordinari; che Crisaulo
oggi verrá come ancor venne ieri.
Forse non piace a Dio. Qualcun de’ suoi
l’avrá tenuto.
Fronesia Apri, apri; è lui; è Crisaulo
con molta gente. Oh che felice giorno!
Lucia, torna di qua.
Calonide Di’ ’l vero? È desso?
Èvvi il mio Girifalco? Andiamgli incontra.
Suonisi ogni strumento e facciam festa.
Abbraccia il tuo Crisaulo. O Girifalco,
non v’aspettava piú. Ringrazio Iddio
ch’in si poco ha condotto ad un bel fine
si onesta impresa.
Girifalco Ed io ringrazio prima
il cielo e poi voi duo che a la mia vita
dato avete soccorso; che non era
possibil che durasse piú dieci anni.
Or son felice, al mondo.
Calonide Entriamo in casa.
Fronesia, or puoi chiamare il tuo Filocrate,
che è giunto il fin de’ desidèri nostri.
Saran tre nozze insieme in una festa.
E, perché è tardi e passerebbe l’ora,
è meglio cenar, prima. A le quattro ore
potrá tornar ciascuno.
SCENA IX
Pilastrino dá licenzia.
Avete inteso,
brigate? Non si balla, inanzi cena;
che ci ha fatto restar tanto per via
questo gottoso ch’è passato l’ora
di far le cerimonie de li sposi:
onde siete pregati da madonna
prima andarvene al letto e poi cenare.
E, se vorrete pur tornar dimane
e lasciarci istasera queste donne,
vi fia concesso piú che volentieri.
Noi li darem da cena e da dormire
e li farem si buona compagnia
che loro istesse vi confesseranno
che non vorriano esser tornate a casa:
che balleremo, al suon de le lettiere,
tutta la notte. Or pigliate il partito,
che la cena vcgliam far qui tra noi.
Ma sento giá un odor, che par d’arrosto,
entrarmi nel cervello. Addio. Vi lascio.
Vado in cucina. Fate ch’io non abbia
a cacciarvi con altro che parole.