Quanto fora il tuo meglio, se giá mai
non avessi gustato il dolce cibo
che si tosto è poi vòlto in amara esca!
Dato è a me in sorte una piú acerba pena
di quella che si dice ne l’inferno
portar Tantalo ingordo: perché a lui
il veder sol quel ch’ama è duro scempio
e non ne poter tór; ma quel che ’l gusta
e poi gli è tolto e ’l vede son fatt’io.
Che ben cognosco che quella persona
debbe esser che si aspetta che la sposi:
ond’io resto a me scherno e al mondo gioco.
Ho tante volte di fuggir provato
l’eterna mia ruina e sol per questo
corso son giá da l’uno a l’altro sole.
Ma sempre con piú scorno mi rimena
il mio destino ove convien ch’io mora,
alfin, dopo piú morti. Fronesia È disperato.
Io vengo, peregrin, perché ti sento
piangere e sospirare e con lamenti
esprimer non so che di acerbo e reo;
tal che spesso, a sentirti, ancor da lunge
mi muovo tutta dal capo alle piante,
sol di pietá. Non aver dubbio o téma,
per esser, come sei, qui, forastieri
in terre altrui; che sarai governato
da me come tu fossi mio fratello.
E, se altra cosa è pur che si t’addoglia,
mi serebbe piacer (se ’l si può dire)
intender la cagion; perché potrebbe
forse a cosí gran mal, se non rimedio,
trovarsi almen per noi qualche conforto.
Non mei voglia celar. Filocrate Se alcuno è al mondo
che possa avere nel mio mal rimedio,