I divoratori/Libro secondo/VII
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VII.
Mrs Doyle era difatti una gran signora. Suo marito era stato uno dei titani fra i «boss» politici degli Stati Uniti. Sua sorella aveva sposato un baronetto inglese. Sua figlia, Marjorie, «Marge», come la chiamava sua madre, si era sposata, diciottenne appena, al congressista Herbert Van Osten.
Il volatile occidentale traboccava di ciò ch’ella chiamava «eleganti» idee.
— Voi altri due, — disse alla fine del velenoso pranzo, — potreste far una sensazione qui! Potreste diventare «the rage»! la gran moda a New York. Ci vuol poco a diventare la gran moda a New York. È una città fatta così! — E volgendosi ad Aldo: — Voi siete un conte, non è vero? — Gli sorrise confidenzialmente. — Della Rocca, nome elegante! Ha proprio tutto il suono di conte.
— Sì, sì, altro che conte! — disse Aldo con un intimo sorriso, ricordando il nome del nonno «Esposito», e il «della rocca», aggiunto perchè s’era trovato il piccolo fagotto abbandonato su una rocca vicino a Posillipo.
— Dunque, vediamo, — disse Mrs Doyle aggrottando le ciglia. — Per voi ci vorrebbe una specie di «atelier». Già gli «ateliers» sono la gran moda a New York.
— Non vedo cosa farebbe mio marito in un atelier, — disse Nancy.
Ma Aldo le pestò il piede per farla tacere.
— Non puoi lasciarla dire? — le sussurrò in italiano.
— Dunque, — continuò Mrs Doyle, — voi avreste l’atelier. Va bene. È un’elegante idea quella dell’atelier. Ma vostra moglie...
— Mia moglie è una grande poetessa, — disse Aldo.
— Ah sì? — disse Mrs Doyle inarcando le sopracciglia color seppia, e pizzicandosi pensosamente il grosso mento. — Allora, vediamo... Se è una poetessa, deve mostrarsi un po’ strana... un po’ diversa... deve vestire, sapete bene, in sciarpe rosse e simili cose... deve coltivare una linea originale, pittoresca. E poi potrebbe leggere i suoi poemi nei salons di New York. Già la poesia è la gran moda a New York. Tanto più, — soggiunse con incoraggiante benevolenza a Nancy, — tanto più se i poemi sono in italiano. Nessuno capirà niente. Lasciate fare! lasciate fare! Vi «rivelerò» io. Darò un grandioso ricevimento. Sui biglietti d’invito farò stampare nell’angolo sinistro: «poetessa italiana». Elegante idea!
Ma Nancy era refrattaria. Disse che non avrebbe portato delle sciarpe rosse, nè recitato i suoi poemi. E poi, cosa avrebbe fatto Aldo in un atelier?
Questa reiterata domanda parve ad Aldo urtante e puerile.
Mrs Doyle ragionò:
— Cara mia, delle figure come la sua non se ne incontrano tutti i giorni per Broadway. Io non so come sia nei paesi vostri, ma qui, vi accerto che basterà la sua bellezza a farlo diventare la gran moda a New York.
Aldo approvò col capo, guardando Nancy come per dirle: «Vedi?»
— Ma a cosa serve essere la gran moda se non abbiamo da vivere? — disse Nancy. — Cosa dobbiamo mangiare?
Parlando così essa si sentiva molto brutale, e inestetica, e pedestre.
— Oh, cara mia! — esclamò Mrs Doyle, — una volta che siete la gran moda in un posto come New York!...
E i suoi rotondi occhi celesti si levarono in estatica eloquenza verso il soffitto di Frau Schmidl, dove camminavano languide e lente le mosche.
Ma Nancy la assicurò che ciò non era possibile. Mrs Doyle non potrebbe invece trovare del lavoro per Aldo?
— Che lavoro? — chiese Mrs Doyle, lasciando vagare lo sguardo azzurrino sulla bianca fronte stretta di Aldo, sul flutto lucido della nera chioma, sugli occhi violenti e intensi, e sull’arco scarlatto delle sue vivide labbra. — Che lavoro sa fare?
— Oh, le solite cose, — disse Nancy, un poco incerta. — I lavori che fanno tutti gli uomini. È stato all’università; ha studiato legge. Ha una laurea... però non ha mai esercitato. Ma certo potrebbe far qualunque cosa. È molto intelligente.
— Già, — disse con aria un po’ sognante Mrs Doyle.
Mrs Doyle pensava. Pensava, intensamente e seriamente, a una cosa che le aveva detto sua figlia quella mattina stessa. Improvvisamente si alzò e li salutò.
Permise ad Aldo di aiutarla a mettere il lungo mantello turchese, e di cercarle i guanti, e di andarle a prendere una vettura. Rimasta sola con Nancy ella fece il gesto di aprire la sua borsetta di maglia d’oro; poi, vedendo l’espressione degli occhi di Nancy, desistette. E, invece, la baciò.
Quando fu in carrozza, si sporse dal finestrino e agitò in segno di saluto ad Aldo la grassa mano inguantata di bianco.
— Addio, Apollo!...
Aldo, a capo scoperto, ritto e deferente sul marciapiede, le fece un profondo inchino. La carrozza partì, portando verso le strade dai numeri alti Mrs Doyle, colle sue riflessioni e le sue idee eleganti. Quando la vettura svoltò nella 66.ma Strada, la signora mormorava tra sè e sè:
— Quell’Apollo è ciò che ci vuole per Bertie. È precisamente ciò che ci vuole per mettere a posto Bertie. Elegante idea! Come sarà contenta la mia povera Marge!.. Il conte Della Rocca! Ma è quel che Dio fece per mettere a posto Bertie!...
Bertie non era a posto, se la propria casa, a mezzanotte, può dirsi il posto di un marito.
C’era sua moglie — Marge, la figlia di Mrs Doyle — sola e piccola e severa in mezzo allo sfarzo dell’immenso salone. Leggeva; ma chiuse il libro e strinse le labbra udendo aprire la porta di casa. Dei passi, smorzati dal tappeto, salivano le scale; ma non erano gli insubordinati passi del suo marito, Bertie. Marjorie riconobbe l’indulgente fruscìo delle vesti materne, che lentamente salivano e s’avvicinavano. La moglie di Bertie si alzò e mosse incontro a Mrs Doyle.
— Mammà! a quest’ora? Che cosa è stato?
— Niente, Marge, niente! Bertie è in casa?
— No, — e le sottili labbra rosee si fecero più strette. — Non è che la mezzanotte. Perchè dovrebbe essere in casa?
— Marge, dammi ben retta, — disse Mrs Doyle, sedendosi, vasta e risoluta in una poltrona, di fronte a sua figlia. — Io ho un’elegante idea. Ho trovato quel che Dio fece per Bertie. Quel che Dio fece, tesoro mio!
Batteva il tocco quando Mrs Doyle si alzò per partire. Il volto di ambedue le signore era irradiato da sorrisi.
— Dovrai andar cauta, mia cara, — disse la madre. — Non essere sbadata, nè inverosimile, nè troppo generosa. La moglie è una creatura ostinata e suscettibile, una specie di idealista; sai bene, di quelle che col pensiero mettono le maiuscole a tutte le parole: l’Arte! il Dovere! la Dignità! e così via. Bisognerà badare di non urtarla... Quanto a lui, mi pare che il più semplice sarà di fargli fare ciò che vogliamo senza lasciargli sapere quello che fa.
— Precisamente, — disse sua figlia. — Mammà, tu sei un portento.
E si abbracciarono ridendo, femminilmente perfide.
L’ignaro Bertie entrò un po’ più tardi, preparato ad affrontare le solite sarcastiche recriminazioni, le consuete tenebrose minaccie.
Fu sorpreso di trovare sua moglie a letto, addormentata — mite come una colomba, blanda come un agnello — colle increspate chiome affondate pacatamente nei guanciali, mentre un sorriso fine (era d’indulgenza o di tradimento?) le errava sulla dolce bocca semi-aperta.
Il giorno seguente Mrs Doyle fece una visita ad Aldo e a Nancy. Anne-Marie fu presentata, rapidamente e distrattamente accarezzata, e rimandata in cucina.
— Ho un posto di segretario per voi, — disse Mrs Doyle ad Aldo. — Potete cominciar subito. Venti dollari la settimana. Non vogliono dare di più.
Aldo se ne compiacque benevolmente; Nancy parve inquieta.
— Il suo inglese è assai imperfetto, — disse.
— Oh, questo importa poco, — disse Mrs Doyle. — Si tratta sopra tutto di copiare... Saprà pur copiare...?
— Eh, diamine! altro che, — disse Aldo, facendo gli occhi torvi a Nancy.
Nancy chiese tutti i particolari, e Mrs Doyle glieli diede, incrociando in grembo le grasse mani placide.
Era un posto di fiducia. Egli doveva essere il segretario di sua figlia... cioè — si corresse Mrs Doyle, incontrando lo sguardo chiaro e fermo di Nancy — del marito di sua figlia, il signor Van Osten. E il lavoro era principalmente di carattere politico. Egli dovrebbe... copiare dei... degli «speech», e... eccetera. Egli avrebbe il suo studio, non nella casa dei Van Osten, no... ma nella stessa strada... dirimpetto, poche porte più in giù. Egli non doveva parlare con nessuno del suo lavoro, perchè... perchè appunto, era di carattere così... privato.
— Il signor Van Osten è un uomo singolare, — concluse Mrs Doyle. — Ve ne accorgerete a suo tempo. E così, quando volete cominciare?
— Adesso, — disse Aldo.
Mrs Doyle rise.
— Vediamo un po’. Lunedì prossimo, direi. Nel frattempo, — e Mrs Doyle tossì, — visto che i Van Osten ci tengono tanto alle apparenze (che volete? è gente fatta così!), sarebbe forse bene che passaste da Brooks... che vi... vi... vestirà da capo a piedi; sapete, qui tutti si vestono a un modo. Passerò io da Brooks, — soggiunse affrettatamente, — a parlargli di voi, e dirgli come vi deve vestire.
Nancy arrossì e protestò.
— Mio Dio, — esclamò l’americana impazientita. — Non mi seccate così! Mi ripagherete.
Allora Nancy arrossì e tacque.
E Aldo andò da Brooks e si fece vestire da capo a piedi.
Si fece anche fare dei biglietti di visita con: «Count Aldo Della Rocca». Ma non vi aggiunse il suo indirizzo perchè era nel quartiere dei negri.
Il lunedì seguente, alle undici e mezzo della mattina, si presentò in casa Van Osten al numero 8 della 66.ma Strada. Mrs Doyle gli aveva in modo speciale raccomandato di non arrivare prima di quell’ora. Essa lo aspettava nel salone, e lo presentò a sua figlia. Il signor Van Osten non c’era. Il «conte», disse Mrs Doyle, farebbe il suo lavoro per i primi giorni da solo, poichè il signor Van Osten era molto occupato a Washington.
Allora le due signore, che avevano già il cappello in testa, uscirono con lui e lo accompagnarono al numero 59 della stessa strada. Era quasi dirimpetto al palazzo Van Osten.
Aprirono con una chiave di casa, che poi diedero a lui, e lo precedettero di sopra all’ultimo piano, dov’era la stanza che doveva essere il suo studio. Era una vasta stanza chiara, quasi vuota.
Davanti alla finestra era un grande scrittoio. Alcune sedie, un tavolo, e una libreria semivuota, costituivano quasi tutto il mobiglio.
Sullo scrittoio erano ammonticchiati molte carte, giornali e manoscritti. E sopra un’altra tavola v’era una macchina da scrivere.
— Oh! — disse Aldo sconcertato, non so scrivere a macchina.
— Non importa! — dissero ad una voce le due signore.
— L’abbiamo messa lì per il caso che sapeste servirvene, — disse Mrs Doyle. E poi gli mostrò il lavoro che doveva fare. — Ecco; tutto questo va copiato, — disse, mostrandogli i nitidi fogli manoscritti. — E poi, farete degli estratti da questi giornali.
— Benissimo, — disse Aldo, e guardò i giornali. Erano della settimana precedente.
— Dovrete segnare e tagliar fuori tutto ciò che si riferisce al... al Congo, — disse Mrs Doyle.
Sua figlia volse rapidamente le spalle e guardò fuori dalla finestra. Aldo non vedeva di lei che il gran nodo del cappello, e la nuca bionda e le esili spalle. Gli parve una creatura nervosa.
— ... Dunque, — continuò Mrs Doyle, — tutto quello che riguarda il Congo, lo segnerete in inchiostro rosso.
— E non devo tagliarlo fuori, allora? — chiese Aldo.
— Sì, sì, tagliarlo fuori. E poi sottolineerete di rosso il nome del signor Van Osten tutte le volte che lo vedrete.
— Benissimo, — disse Aldo.
— E poi, tutto ciò che dice Van Osten stesso, gli «speech», capite, li copierete in questo grande libro.
— Non sarebbe meglio, forse, — azzardò Aldo, — se ritagliassi gli speech, e li incollassi nel libro?
— No, no, no! — disse Mrs Doyle. — Egli li vuole copiati. Vero, Marjorie?
Sua figlia si volse e disse.
— Sì, sì, li vuole copiati. — E rise.
Aveva gli occhi verdi e frizzanti, e un sorriso strano. I capelli chiari, molto crespi, le scendevano fin giù sul piccolo naso dritto, e aveva un vezzo grazioso di gettare all’indietro il capo per guardare di sotto ai riccioli, che le era particolare. Era vestita come una bambola francese molto costosa.
— Oh, sì, — ripetè, colla testa gettata all’indietro, e la voce alta e infantile, — li vuole tutti copiati! — E ancora il sorriso vacillante e tenue le fluttuò, fine come una fiammella, pel viso. Poi volse le spalle e tornò a guardare dalla finestra.
Le signore se n’andarono, e Aldo sedette alla scrivania e principiò il suo lavoro. Egli aveva una bellissima scrittura da commesso viaggiatore, e il copiare gli piaceva. Uscì alla una, a prendere un rapido «lunch». Alle quattro udì per le scale un serico stormire di vesti, che riconobbe appartenere al volatile occidentale.
Era difatti Mrs Doyle che veniva a domandare come procedeva il lavoro.
Procedeva benissimo.
Alle sei Aldo tornò a casa.
Per tre giorni copiò, sottolineò, ritagliò e ingommò. Nel pomeriggio del quarto giorno non gli restava più niente da copiare, nè da sottolineare, nè da ritagliare, nè da ingommare. Fumò delle sigarette e guardò dalla finestra.
Poi prese dalla libreria un romanzo di Gyp — non c’erano che romanzi francesi su quegli scaffali — e lesse per un’ora. Finalmente si decise a uscire ed andare al numero 8, la casa Van Osten, a domandare istruzioni.
Non aveva ancora visto il congressista, suo principale, e Aldo — come tutti quelli che sono sicuri della loro persona e del loro sarto — amava le nuove conoscenze.
Suonò al numero 8.
Il servitore che gli aprì, lo guardò in faccia e dubitò.
— «Foreigner,» — disse fra sè. Poi gli guardò il taglio degli abiti. — «All right.» — E lo aiutò a togliersi il soprabito. Poi gli porse un piccolo vassoio d’argento sul quale Aldo depose il biglietto da visita.
Il domestico lesse, poi aprì una porta e pronunciò forte:
— «Count Aldo Della Rocca.»
Un sommesso rumorìo di voci e di tazze cessò, e in quel momentaneo silenzio Aldo s’avanzò nel salotto.
Sulla porta fece un profondo inchino — inchino di segretario — perchè non voleva offendere la sua patronessa. Quando alzò il capo, vide da lontano il verde sfavillìo degli occhi, e l’ondeggiante sorriso della signora Van Osten, che dal sofà gli faceva segno di avvicinarsi. Il rapido occhio di Aldo vide che era nervosa.
— Oh, conte Della Rocca, buon giorno! — disse, e stese verso di lui la piccola mano affettata, — arriva proprio a tempo per una tazza di thè!
Aldo s’avanzò, passando davanti a quattro o cinque signore e a un vecchio, che sedevano intorno a lei, e si chinò a baciarle la mano. Ah, non doveva essere il segretario? Benissimo. Non era il segretario. Era il conte.
— Ma forse — continuò la giovane signora — a lei non piace il thè? Nel suo bel paese a quest’ora si prende il vermouth, o l’assenzio, non è vero?
Così dicendo gli porgeva una tazza di thè, col capo un po’ indietro e i ricciolini negli occhi.
— Oh, signora! — disse Aldo. — Ma ciò che ricevo qui, da una così bella mano, è nettare!
Tutte le americane sorrisero, approvando.
— Ahi! lusinghe latine, caro conte, — disse la sua ospite; e lo presentò ai suoi amici.
Una o due volte egli notò ch’essa lo guardava, un po’ incerta, un po’ ansiosa, come temendo ciò ch’egli potesse fare o dire. Ma Aldo, memore del carattere privato e politico delle sue mansioni, si guardò bene dal farne parola.
Le signore partirono a una a una, poi partì anche il vecchio signore.
Rimasta sola, la signora Van Osten volse ad Aldo un piccolo viso freddo e duro:
— Perchè siete venuto qui? — disse.
Aldo sentì subito di essere ridiventato il segretario, e si scusò umilmente:
— Non avevo più lavoro, — disse. — Non sapevo cosa fare.
— Ah, vedo. Lo dirò a mia madre... cioè, a mio marito.
In questo punto entrò Mrs Doyle. Sua figlia la trasse presso alla finestra e le parlò a bassa voce. Mrs Doyle rise e disse:
— Tanto meglio! Proprio non sapevo come si sarebbe cominciato.
E volse verso Aldo uno sguardo di approvazione.
Egli, rigido e segretariale, le si inchinò.
— Avete fatto bene a seguire... l’imbeccata, cioè il cenno... insomma... le mute indicazioni della signora Van Osten, e a conformarvi ad esse. Fate sempre così. Ciò è importante. Ed ora, riguardo al signor Van Osten, ricordatevi di non parlargli mai del vostro lavoro. Mai! Egli non vuole. A meno che ve ne parlasse lui, voi non farete mai neppure la più lontana allusione a ciò che fate. È inteso?
— È inteso, — disse Aldo, docile ma stupito.
— Soltanto così, — disse solennemente il volatile occidentale, — riescirete a convincerlo della vostra assoluta discrezione.
— Capisco, — disse Aldo, solenne anche lui.
La piccola signora Van Osten parve commossa: si coprì gli occhi col fazzoletto... Rideva?...
— Ed ora, — disse Mrs Doyle con uno sguardo alla pendola, — restate ad aspettarlo.
Aldo restò. E tentò di tener viva la conversazione con qualche flaccida e innocua generalizzazione. Ma nessuno gli rispose. Mrs Doyle guardava nervosamente l’ora. E sua figlia sbadigliava.
Una forte scampanellata li scosse. Si udirono immediatamente i passi affrettati del domestico, che andava ad aprire la porta al suo padrone.
Aldo si levò in piedi. Allora sentì sulla sua manica un tocco fermo e leggiero: era la piccola mano ingemmata della signora Van Osten, che lo spingeva giù a sedere. Egli obbedì istintivamente. La giovine signora sedette lesta vicinissima a lui, e, china in avanti appoggiando il mento sulla piccola mano, gli sorrise.
— ... Sono convinta che ella è anche musicista, — disse, sorridendogli negli occhi mentre la porta si apriva davanti al signor Van Osten.
Egli entrò, alto, sbarbato e arrogante, e bello di una calma bellezza maschia.
— Come va? — disse a sua moglie. — Salute, mamma, — disse a sua suocera.
Poi guardò Aldo. Questi si alzò, lentamente, molto impacciato, non sapendo cosa fare.
— Bertie, — disse sua moglie alzando gli occhi sul viso di suo marito (e il suo sguardo era in pari tempo lo sguardo di un sorcio e quello di un gatto), — questo è il conte Della Rocca di cui ti ho parlato.
Van Osten gli tese la mano poderosa.
— Tanto piacere, — disse.
Subito Mrs Doyle gli si mise accanto e gli parlò.
Allora la signora Van Osten tornò a chinarsi verso Aldo.
— Dunque, ella fa della musica? Non lo neghi. Io lo so, lo sento nel cuore!
E alzando il piccolo mento fece scintillare sotto le bionde ciglia gli occhi lunghi e penetranti, come due lame di luce.
A Aldo venne in mente una frase del dottor Fioretti, un amico di Nino. Gli pareva di udirne la voce incalzante — Fioretti parlava sempre come se ogni parola fosse tre volte sottolineata —: «La donna americana, amico mio, credi a me, è isterica a freddo, è pazza per partito preso.»
Aldo si trovò seduto al pianoforte, e, accanto a lui, lanciata in avanti come una panteretta, la piccola Van Osten, cogli occhi verdi scagliati nei suoi, tendeva tutto il corpo sottile verso la musica. E improvvisamente (proprio mentre suo marito dava in una sonora risata per una frase di Mrs Doyle), ella si levò e disse:
— Addio. Andate via. Tornate qui sabato. Adesso andate via. Subito!
Egli si alzò, stupefatto, e prese commiato.
Descrisse a Nancy la straordinaria visita. Ma Nancy ne fu così costernata e attonita, che Aldo omise dal suo racconto l’invito per sabato.
All’indomani egli trovò sul suo scrittoio un nuovo pacco di discorsi scritti e di giornali vecchi; e riprese coscienziosamente il suo lavoro.
Il sabato mattina trovò, posato in cima alle sue carte, una busta color lilla, contenente venti dollari.
Sulla busta stava scritto: «Venite oggi alle sei.»
Alle sei vi andò, e trovò la signora Van Osten sola. Leggeva. E continuò a leggere, senza badare a lui, finchè udì arrivare suo marito. Allora sembrò improvvisamente svegliarsi, e fu tutta sorrisi e movimenti sinuosi e gesti aggraziati. Quando Aldo le parlava, abbassava le ciglia bionde, e giocherellava, ansante e timidetta, colla lunga sciarpa rosea che le avvolgeva le spalle.
Aldo partì sentendosi sbalordito e sconvolto.
Quindici giorni dopo, i Van Osten lo invitarono a pranzo.
In casa Schmidl l’agitazione fu grande.
— Vedi? — spiegò Aldo a Nancy, mentre s’accomodava una immacolata cravatta alla sommità dell’impeccabile sparato, — ormai Van Osten sente che può fidarsi completamente di me. Stasera certo mi parlerà del nostro lavoro.
Nancy, seduta melanconicamente in una vecchia poltrona verde, sospirò:
— Anne-Marie sta poco bene. Ho paura che le minacci la rosolìa. — E si chinò a baciare la fronte accaldata della sua bambina, che, in piedi accanto a lei, si divertiva a strappare, con languida mano febbricitante, l’imbottitura della poltrona. — Pare che la Settima Avenue ne sia piena.
— È un quartiere lurido, — disse Aldo, allacciandosi il gilet, e infilando una catena d’oro matto nella bottoniera; poi, con uno spillo da balia, ne fissò l’altro capo nel taschino del gilet. — Bisognerà cambiare alloggio.
— Quella gente che incontri dai Van Osten non ti domanda dove stai? — chiese Nancy.
— Sì. E ho avuto l’ispirazione di dire al 59 della stessa strada. Sai, dove ho l’ufficio! Spero che non andranno lì a domandare di me.
Nancy sospirò ancora. Aldo le diede un bacio affrettato; e ad Anne-Marie, che aveva le mani sudicie e la faccia lagrimosa, fece una piccola e prudente carezza. Poi uscì in fretta, e saltò su uno «street-car» che andava nella città alta. Entrò baldo e gaio in casa Van Osten.
Durante il pranzo non si fece alcuna allusione a cose politiche nè al lavoro. Vi era una dozzina di commensali, e a un dato momento Van Osten si rivolse ad Aldo.
— Che cosa fa di bello, lei, a New York, signor Della Rocca?
Aldo, colla coda dell’occhio, vide, in fondo alla tavola, scattar su come una viperetta disturbata la testa bionda della signora Van Osten. Ma, senza guardarla, aveva già capito. Questa era una manovra di Van Osten! Voleva mettere alla prova la prudenza del suo impiegato.
Aldo lo fissò ben dritto negli occhi.
— Faccio un lavoro letterario, — disse. E soggiunse — molto interessante.
Van Osten non disse che: — Ah? davvero? — e poi si volse a parlare con altri.
Ma Aldo sentì che era contento. Ora, davvero, il congressista sapeva di avere al suo impiego un uomo di discrezione e intelligenza a tutta prova.
Terminato il pranzo, quando gli uomini raggiunsero nel gran salone le signore, Aldo vide gli occhi della signora Van Osten che lo chiamavano. Egli andò a sedersi al suo fianco e le parlò delle opere di Boito. A grande sua sorpresa ella si mise a ridere, chinando il capo come se arrossisse.
— Perchè diamine fa così? — pensò Aldo, e si guardò intorno.
Vide in fondo alla sala il marito che la guardava.
Accanto a lui una donna magra e modernizzante li osservava anche lei. Aldo la udì che diceva a Van Osten:
— Che bellissimo giovane! Pare quel... quel dio greco, sapete bene... di quel famoso artista... come si chiama?... in quella tal Galleria... non ricordo dove.
— Già, — disse Van Osten. E continuò a guardare sua moglie.
D’improvviso questa sporse la mano e la mise riversa, col palmo in su, in quella di Aldo. Egli sentiva tremare sulla sua quella manina fredda e leggiera. Le parole di lei erano stupefacenti quanto il suo gesto.
— Ebbene, — disse, — poi che insistete tanto, leggetemi nella mano la ventura!
Aldo non aveva affatto insistito. E non sapeva leggere la ventura. Però si accinse del suo meglio a fare il chiromante. Seguì colla punta dell’indice le piccole linee serpeggianti nel palmo roseo, ed ella rabbrividiva e rideva col mento in fuori e il biondo capo riverso.
Van Osten mosse lentamente attraverso la sala, e venne a loro, poderoso e deliberato, colle mani in tasca.
Aldo sentiva di fare una figura da cretino con quella piccola mano fredda sulla sua. Tuttavia continuò:
— Questa è la linea dell’intelletto...
Van Osten pose, come casualmente, una mano sulla spalla di sua moglie, e ve la tenne. Ella lo guardava di sotto in su; e ancora nei suoi occhi riapparve l’espressione di gatto e anche di sorcio.
— Ecco ciò che leggo in questa mano... — continuò Aldo.
Van Osten con lenta mossa sporse una ampia scarpa di vernice:
— E in questo piede, — disse, — che cosa leggete?... Calci? —
Sua moglie diede in una squillante e perlata risatina, e ritirò la sua mano da quella di Aldo.
Anche Aldo rise.
L’unico che parve non trovar molto divertente lo scherzo fu Van Osten stesso.
Qualche giorno più tardi Aldo, nel suo studio, dopo aver copiato quattro colonne di un giornale, si gettò indietro nella sua seggiola e trasse un profondo sospiro. Era irritato e stanco.
Nel calamaio c’era poco inchiostro, e doveva intingere la penna a ogni seconda parola. Si sentiva esasperato e nervoso. La piccola Van Osten gli dava sui nervi. Che cosa significava il suo contegno? Che cosa voleva? Era innamorata di lui... questo era naturale. Nulla di sorprendente in ciò. Ma sorprendente invero era il suo contegno quando erano soli. Non gli parlava affatto e lo guardava con verdi occhi, remoti e agghiacciati, come s’egli fosse un muro o una finestra. Poi s’alzava, e lo lasciava solo.
Dopo quel pranzo in casa Van Osten egli era tornato a casa sua agitato e inquieto. Questa donna, certamente, lo amava! Questa ricchissima donna era pronta a compromettersi per lui. Aldo, cosa doveva fare? Per un istante l’idea di fuggire con lei gli traversò la mente. Questa biondina non era certo bellissima; era però originale, e poi, e poi... era enormemente ricca!
E Aldo ragionava:
— Bisogna pensare a Nancy e alla bambina.
Ora per Nancy e la bambina sarebbe mille volte più vantaggioso se Aldo si decidesse a un passo simile, che non se restasse a sgobbare tutta la vita per venti dollari alla settimana. Questo era innegabile. In un anno, forse anche meno, Aldo potrebbe ritornare a loro in condizioni agiate e aggradevoli. Già, queste stravaganti americane erano sempre prodighe e generose...
Aldo fece a piedi quella sera il cammino dalla 66.ma alla 38.ma Strada per poter pensare a suo agio. I treni dell’«Elevated Railroad» gli correvano sopra al capo, ma egli colla fronte dava di cozzo nelle stelle.
E sognava vertiginose corse traverso l’Europa in automobile, e lunghe fermate nei migliori alberghi, senza mai pagar conti...
Arrivato a casa aveva trovato Frau Schmidl alzata, e Nancy in lagrime, e Anne-Marie colla rosolìa.
Era rimasto chiuso in casa cinque giorni colla piccina, seduto nella stanza buia e soffocante, a far scaldare latte e farina di Nestlé su una lampadetta a spirito, e a cantare delle arie d’opera a Anne-Marie che non voleva sentir altro.
— «Celeste Aida, forma divina», — cantava Aldo nel buio, tenendo nelle sue la manina sudata di sua figlia.
— Canta ancora, canta più forte, — diceva Anne-Marie, che sentiva i brividi della febbre e della musica scorrerle come acqua fresca per la schiena.
E Aldo cantava ancora, e cantava più forte.
Al sesto giorno la piccola era convalescente e Aldo tornò al suo studio nella 66.ma Strada.
Nessuno era stato a domandar di lui, ed il suo lavoro giaceva sullo scrittoio come l’aveva lasciato.
Allora era andato al numero 8, alla casa Van Osten e, aspettando in anticamera, aveva udito la voce acuta e infantile della signora Van Osten che diceva:
— No; io non sono in casa.
Ritraversò la strada, convinto che essa, dietro le cortine, lo guardava e rideva di lui.
Tutte queste cose egli rammentava oggi, intingendo rabbiosamente la penna nel calamaio mezzo vuoto. Poggiò il calamaio in isbieco contro a un libro. Il calamaio cadde e si rovesciò, e fu più vuoto di prima. Aldo pensò di suonare il campanello per domandare dell’inchiostro alla serva; ma poi ricordò che questa, dopo la prima settimana di amabili premure e di sorridente zelo, era diventata assai acida e breve. Aldo quindi rifuggiva dal chiamarla, ed era contento quando non la incontrava per le scale.
Si guardò intorno in cerca d’una bottiglia d’inchiostro. Aprì cassetti e tiratoi. Poi aprì un armadio nel muro. In alto, sopra uno scaffale, ricacciato indietro presso alla parete, vide un pacco di carte che gli parve di riconoscere. Montando su una seggiola tirò giù il pacco e lo guardò. Era il suo lavoro della settimana scorsa: cento ottantadue fogli di nitida scrittura! Cosa facevano lassù?
Stette lungamente a contemplarli, riflettendo. Poi li rimise in cima all’armadio. Era deciso a fare un esperimento. Suonò il campanello e ordinò alla inamabile serva di portare dell’inchiostro.
Avutolo, sedette e continuò la pagina del suo lavoro cominciato. Scrisse:
«Il dibattimento si chiuse colla solita maggioranza per il Governo. La donna è mobile qual piuma al vento. Sono curioso di sapere se qualcuno legge le cretinerie che scrivo qui. Ho idea che nessuno le guardi. Venite all’agile barchetta mia, Santa Lucia, Santa Lucia.»
Finì la pagina e la mise sullo scrittoio colle altre. Poi fumò delle sigarette e lesse «Autour du mariage» finchè fu ora di uscire a far colazione.
Durante la sua assenza per il «lunch», un biglietto lilla era stato lasciato sulla scrivania per lui: «Venite stasera alle otto precise.»
I suoi fogli terminati erano stati portati via, come di consueto; e un nuovo pacco di giornali lasciato al loro posto, perchè egli li copiasse.
Subito Aldo riaprì l’armadio nel muro e guardò su. Sì, il pacco di carte era più grande. Aldo trasse a sè i fogli e li guardò. In cima agli altri era il foglio scritto per l’ultimo, col miscuglio di parole insensate e di canzoni italiane in mezzo alle notizie politiche!
Allora Aldo prese dal pacco una ventina di fogli scritti e li mise sullo scrittoio davanti a sè.
Evidentemente era inutile copiarne dei nuovi. Tanto nessuno li leggeva.
Appoggiato allo schienale della sua seggiola, Aldo accese una sigaretta e riflettè profondamente.
Da quasi un mese egli veniva qui, e copiava, per sette ore al giorno, delle colonne di vecchi giornali. Era pagato per questo, venti dollari alla settimana. Perchè?
Mrs Doyle era forse un angelo caritatevole, che desiderava aiutare lui e la sua famiglia senza esserne ringraziata? No, era convinto che non era questo.
Il suo sguardo cadde sul biglietto lilla. «Venite stasera.»
Come un lampo gli balenò la certezza che egli era pagato per le ore che passava al numero 8, e non per quelle che passava al numero 59.
Dunque, ciò significava che la signora Van Osten era innamorata di lui. Lo pagava per tenerlo vicino a sè, dove, quando volesse, lo poteva chiamare. Il lavoro non era che un pretesto per tenerlo lì, a due passi da lei, nella stessa strada; fors’anche — chi sa? — per tenerlo lontano da altri...
— Povera donna! — sospirò Aldo. — Quanto deve soffrire! — Quindi aggiunse pensieroso: — Però, venti dollari alla settimana sono pochi.
Le otto erano passate da dieci minuti allorchè Aldo quella sera s’avviò rapido per la 66.ma Strada, verso il palazzo Van Osten. A pochi passi dalla casa s’imbattè nel signor Van Osten che usciva.
Aldo lo salutò rispettosamente; ma Van Osten si fermò ad accendere un sigaro e parve non accorgersi del suo saluto.
Aldo trovò la giovane signora nel salone, sola; era vestita di nero, colle spalle nude, e coperta di brillanti. Pareva agitata e incollerita.
— Siete in ritardo, — esclamò, vedendo Aldo.
— Perdonate! — scongiurò lui.
E si precipitò per baciarle la mano. Ma la signora Van Osten la ritrasse irosamente.
— Avete incontrato mio marito?
— Sì, — disse Aldo.
— Vi ha visto?
— Sì.
— Ne siete certo? Ne siete certo?
Il giovanile petto un po’ scarno, ansava.
— Sì, certissimo, — disse Aldo.
— Vi ha veduto? Vi ha veduto venir qui, e non è tornato indietro?
Le sottili labbra si fecero più strette. Aldo, guardandola, la trovò quasi brutta. Pareva una piccola edizione disseccata e striminzita della signora Doyle.
— Giovine volatiletto occidentale, — disse Aldo fra sè.
Ma ecco entrare il domestico col caffè sopra un grande vassoio d’argento, e dietro di lui un altro domestico colla panna e lo zucchero sopra un altro grande vassoio d’argento.
E l’opulenza, e l’atmosfera di placida potente ricchezza vinse l’anima di Aldo. I suoi sensi soddisfatti nuotavano nel benessere, ed egli si disse che per quanto magra, per quanto secca, per quanto striminzita ella fosse, egli poteva rendere al volatiletto occidentale il suo amore.
Quando i servitori si furono ritirati Aldo sentì che doveva parlare. Bisognava pure che dicesse qualche cosa. Fortunatamente si ricordò che in altre occasioni — trovandosi solo di fronte a una donna ancor poco conosciuta — egli si era servito di una frase, semplice in sè, ma di un effetto istantaneo e sicuro. Si chinò un poco in avanti, e disse a bassa voce:
— Come vi chiamate?
La signora Van Osten levò su di lui due occhi vitrei e agghiaccianti. Non rispose.
— Non conosco ancora il vostro nome, — ripetè Aldo, sprofondando lo sguardo nelle verdi chiarità delle iridi di lei.
Ella prese un sorso di caffè. Poi disse lentamente e nettamente, scandendo le sillabe:
— Signora — Van — Osten.
— No! non quel nome, — disse lui; — il vostro piccolo nome... il vostro nome vero...
Vi fu un lieve rumore nell’anticamera e la porta di casa si chiuse. Nell’udirlo, la signora Van Osten parve invasa da una subitanea fiamma d’eccitazione. I gelidi occhi scintillarono, ed ella rispose ad Aldo rapidamente e con veemenza:
— Marjorie! — disse; — mi chiamo Marjorie!
Aldo si chinò in avanti sopra la sua tazza di caffè.
— Marjorie! — ripetè a bassa voce.
Sì: l’effetto anche stavolta fu sicuro ed istantaneo, anzi, più istantaneo di quanto Aldo se l’aspettasse.
— Ditelo ancora, ditelo ancora! — sussurrò rapidamente la signora Van Osten. — Mi piace sentirvelo dire. Ditelo ancora, fate presto!
— Marjorie! — esclamò Aldo, chinandosi ancor più verso di lei, nel momento stesso in cui la porta si apriva e il marito entrava.
Subito ella si volse, rovesciando all’indietro il viso con atto folle ed estasiato.
— Oh, Bertie! Sei tornato? — disse, e rise.
Aldo la guardò stupito. Nella sua voce e nel suo riso egli aveva udito una nota che riconosceva. L’aveva udita in altre voci di donna, quella nota tenera e selvaggia, di tortorella e di tigre!
Quella nota tremula e tubante gli vibrò nel cervello col clangore d’una fanfara! Era l’amore!
E amore sfolgorava nelle verdi iridi chiare rivolte al viso torvo e corrucciato del marito.
Allora Aldo comprese perchè egli si trovasse lì. Comprese in che modo e a che cosa egli aveva servito alla piccola Van Osten. E guardando la fronte corrugata e le poderose spalle del signor Van Osten, più che mai egli si disse che venti dollari erano pochi...
Aldo non rimase più che qualche istante, durante i quali assunse un atteggiamento di tristezza amara e silenziosa. Era precisamente l’atteggiamento che la signora Van Osten desiderava, ed ella gli fece, quando potè, un piccolo cenno di approvazione.
Accommiatandosi Aldo decise di mostrarle che egli aveva capito la situazione. Con un gesto come a discacciare i tristi pensieri, disse:
— Mi farebbero l’onore di venire ad udire il «Tannhäuser» domani sera, nel mio palco all’Opera House?
Un lampo guizzò dai maliziosi occhi della signora Van Osten, un abbagliante sorriso lampeggiò e svanì.
Suo marito le pose una pesante mano sulla piccola spalla nuda.
— Siamo impegnati, — disse. — Grazie.
E quel ringraziamento era concludente e definitivo.
La signora Van Osten sporse ad Aldo una manina fredda, tenendo poggiato al braccio di suo marito il piccolo viso arguto ed estasiato.
Aldo s’inchinò e partì.
L’indomani era sabato. Sul suo scrittoio giaceva la busta lilla di tutti i sabati. Aldo l’aprì. Conteneva un biglietto da 500 dollari.
Il lunedì seguente Aldo, arrivando nello studio, trovò la giovane signora Van Osten che lo aspettava.
— Adesso, per un mese o due, non avrò più bisogno di voi, — disse ella, pensosa. — Ma temo — e sospirò — che l’effetto benefico che avete prodotto su mio marito non durerà in eterno.
— Nulla dura in eterno, — sentenziò Aldo, sedendosi per abitudine davanti allo scrittoio.
— Ebbene, — disse la signora, — appena egli ricomincia — e qui un nuovo sospiro — vi manderò a chiamare. Per il momento è meglio che non veniate in casa. Però, aggiratevi... così, a distanza. E mandatemi dei fiori. Ordinateli da Shotwell, in Broadway, e ditegli che mi mandi il conto. Potreste anche passare sotto al balcone. Ma non esagerate! Capite bene che se una volta mio marito vi mette alla porta, tutto è finito... tutto diventa impossibile.
— Già, — disse Aldo.
— Ah, — sospirò la signora Van Osten. — Perchè sono necessarie queste cose? Perchè... perchè sono così iniqui gli uomini?
Dopo una breve pausa Aldo chiese piano rispettosamente, con voce di circostanza:
— Mi sarebbe lecito di chiedere chi è la... la persona... per la quale... il signor Van Osten...
— Che domanda impertinente! — disse la giovine donna. — Ma tanto vale che ve lo dica. Tutti lo sanno. È Madeline Archer, quella delle danze erotiche: quel rettile, quella strega, che balla al Hammerstein vestita di calze nere, di giarrettiere rosa, e d’una collana di perle! Ha reso infelici tutte le mogli di New York.
Aldo scosse il capo con aria di compatimento e di rammarico.
Frattanto i suoi pensieri erano agili e chiari.
— Se... — azzardò egli, quando la vide alzarsi per partire, — se ci fosse qualche sua amica, qualcuna delle mogli di cui parlava or ora... che desiderasse... che volesse... insomma, a cui io potessi essere di qualche utilità...
— Oh, questa è bella! oh, questa è divina! — esclamò la piccola Van Osten, dando in una folle risata e congiungendo le mani. — Ma voi siete delizioso! siete indescrivibile! siete inaudito!
E rise, e rise tutta scossa dall’ilarità.
Rise anche Aldo, contento di essere così comico.
— Quanto prima aprirete un ufficio: «Asilo di soccorso per le mogli tradite... Il Perfetto Suscitatore di gelosie nei mariti negligenti o infedeli... Successo garantito. Prezzi moderati. Diploma. Referenze».
— Buona idea! — disse Aldo, ridendo. E in cuor suo trovava infatti che l’idea era ottima.
Essa cessò di ridere, improvvisa e un po’ pallida.
— Dite un po’, non sarete poi mica un ricattatore, eh?
— No, — disse Aldo, guardandola bene in faccia coi suoi begli occhi di velluto luminoso.
— Oh, vi credo, vi credo! — disse ella, stendendogli con impulso quasi affettuoso ambe le mani. — Del resto Mammà, che conosce gli uomini, m’ha detto: «Non aver paura. Quello lì è di buona pasta! È proprio quel che Dio fece!»
Aldo rise, non sapendo se essere offeso o lusingato.
— Ed ora, — diss’ella solennemente, — per lo spavento salutare che avete messo addosso a Bertie, e per il bene che avete fatto a me, vi permetto di baciarmi.
Alzò la piccola bocca, rosea e stretta — e Aldo, ridendo un poco, la baciò.
— Sono contenta d’aver baciato un conte, — disse fra sè la piccola Van Osten, scendendo lesta e leggiera le scale.