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i divoratori 215

lo amava! Questa ricchissima donna era pronta a compromettersi per lui. Aldo, cosa doveva fare? Per un istante l’idea di fuggire con lei gli traversò la mente. Questa biondina non era certo bellissima; era però originale, e poi, e poi... era enormemente ricca!

E Aldo ragionava:

— Bisogna pensare a Nancy e alla bambina.

Ora per Nancy e la bambina sarebbe mille volte più vantaggioso se Aldo si decidesse a un passo simile, che non se restasse a sgobbare tutta la vita per venti dollari alla settimana. Questo era innegabile. In un anno, forse anche meno, Aldo potrebbe ritornare a loro in condizioni agiate e aggradevoli. Già, queste stravaganti americane erano sempre prodighe e generose...

Aldo fece a piedi quella sera il cammino dalla 66.ma alla 38.ma Strada per poter pensare a suo agio. I treni dell’«Elevated Railroad» gli correvano sopra al capo, ma egli colla fronte dava di cozzo nelle stelle.

E sognava vertiginose corse traverso l’Europa in automobile, e lunghe fermate nei migliori alberghi, senza mai pagar conti...

Arrivato a casa aveva trovato Frau Schmidl alzata, e Nancy in lagrime, e Anne-Marie colla rosolìa.

Era rimasto chiuso in casa cinque giorni colla piccina, seduto nella stanza buia e soffocante, a far scaldare latte e farina di Nestlé su una lampadetta a spirito, e a cantare delle arie d’opera a Anne-Marie che non voleva sentir altro.

— «Celeste Aida, forma divina», — cantava Aldo nel buio, tenendo nelle sue la manina sudata di sua figlia.

— Canta ancora, canta più forte, — diceva Anne-Marie, che sentiva i brividi della febbre e della musica scorrerle come acqua fresca per la schiena.

E Aldo cantava ancora, e cantava più forte.