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i divoratori 213


Van Osten non disse che: — Ah? davvero? — e poi si volse a parlare con altri.

Ma Aldo sentì che era contento. Ora, davvero, il congressista sapeva di avere al suo impiego un uomo di discrezione e intelligenza a tutta prova.

Terminato il pranzo, quando gli uomini raggiunsero nel gran salone le signore, Aldo vide gli occhi della signora Van Osten che lo chiamavano. Egli andò a sedersi al suo fianco e le parlò delle opere di Boito. A grande sua sorpresa ella si mise a ridere, chinando il capo come se arrossisse.

— Perchè diamine fa così? — pensò Aldo, e si guardò intorno.

Vide in fondo alla sala il marito che la guardava.

Accanto a lui una donna magra e modernizzante li osservava anche lei. Aldo la udì che diceva a Van Osten:

— Che bellissimo giovane! Pare quel... quel dio greco, sapete bene... di quel famoso artista... come si chiama?... in quella tal Galleria... non ricordo dove.

— Già, — disse Van Osten. E continuò a guardare sua moglie.

D’improvviso questa sporse la mano e la mise riversa, col palmo in su, in quella di Aldo. Egli sentiva tremare sulla sua quella manina fredda e leggiera. Le parole di lei erano stupefacenti quanto il suo gesto.

— Ebbene, — disse, — poi che insistete tanto, leggetemi nella mano la ventura!

Aldo non aveva affatto insistito. E non sapeva leggere la ventura. Però si accinse del suo meglio a fare il chiromante. Seguì colla punta dell’indice le piccole linee serpeggianti nel palmo roseo, ed ella rabbrividiva e rideva col mento in fuori e il biondo capo riverso.

Van Osten mosse lentamente attraverso la sala, e venne a loro, poderoso e deliberato, colle mani in tasca.