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i divoratori | 219 |
— Giovine volatiletto occidentale, — disse Aldo fra sè.
Ma ecco entrare il domestico col caffè sopra un grande vassoio d’argento, e dietro di lui un altro domestico colla panna e lo zucchero sopra un altro grande vassoio d’argento.
E l’opulenza, e l’atmosfera di placida potente ricchezza vinse l’anima di Aldo. I suoi sensi soddisfatti nuotavano nel benessere, ed egli si disse che per quanto magra, per quanto secca, per quanto striminzita ella fosse, egli poteva rendere al volatiletto occidentale il suo amore.
Quando i servitori si furono ritirati Aldo sentì che doveva parlare. Bisognava pure che dicesse qualche cosa. Fortunatamente si ricordò che in altre occasioni — trovandosi solo di fronte a una donna ancor poco conosciuta — egli si era servito di una frase, semplice in sè, ma di un effetto istantaneo e sicuro. Si chinò un poco in avanti, e disse a bassa voce:
— Come vi chiamate?
La signora Van Osten levò su di lui due occhi vitrei e agghiaccianti. Non rispose.
— Non conosco ancora il vostro nome, — ripetè Aldo, sprofondando lo sguardo nelle verdi chiarità delle iridi di lei.
Ella prese un sorso di caffè. Poi disse lentamente e nettamente, scandendo le sillabe:
— Signora — Van — Osten.
— No! non quel nome, — disse lui; — il vostro piccolo nome... il vostro nome vero...
Vi fu un lieve rumore nell’anticamera e la porta di casa si chiuse. Nell’udirlo, la signora Van Osten parve invasa da una subitanea fiamma d’eccitazione. I gelidi occhi scintillarono, ed ella rispose ad Aldo rapidamente e con veemenza: