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212 | annie vivanti |
Nancy, seduta melanconicamente in una vecchia poltrona verde, sospirò:
— Anne-Marie sta poco bene. Ho paura che le minacci la rosolìa. — E si chinò a baciare la fronte accaldata della sua bambina, che, in piedi accanto a lei, si divertiva a strappare, con languida mano febbricitante, l’imbottitura della poltrona. — Pare che la Settima Avenue ne sia piena.
— È un quartiere lurido, — disse Aldo, allacciandosi il gilet, e infilando una catena d’oro matto nella bottoniera; poi, con uno spillo da balia, ne fissò l’altro capo nel taschino del gilet. — Bisognerà cambiare alloggio.
— Quella gente che incontri dai Van Osten non ti domanda dove stai? — chiese Nancy.
— Sì. E ho avuto l’ispirazione di dire al 59 della stessa strada. Sai, dove ho l’ufficio! Spero che non andranno lì a domandare di me.
Nancy sospirò ancora. Aldo le diede un bacio affrettato; e ad Anne-Marie, che aveva le mani sudicie e la faccia lagrimosa, fece una piccola e prudente carezza. Poi uscì in fretta, e saltò su uno «street-car» che andava nella città alta. Entrò baldo e gaio in casa Van Osten.
Durante il pranzo non si fece alcuna allusione a cose politiche nè al lavoro. Vi era una dozzina di commensali, e a un dato momento Van Osten si rivolse ad Aldo.
— Che cosa fa di bello, lei, a New York, signor Della Rocca?
Aldo, colla coda dell’occhio, vide, in fondo alla tavola, scattar su come una viperetta disturbata la testa bionda della signora Van Osten. Ma, senza guardarla, aveva già capito. Questa era una manovra di Van Osten! Voleva mettere alla prova la prudenza del suo impiegato.
Aldo lo fissò ben dritto negli occhi.
— Faccio un lavoro letterario, — disse. E soggiunse