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i divoratori 207

scrittura da commesso viaggiatore, e il copiare gli piaceva. Uscì alla una, a prendere un rapido «lunch». Alle quattro udì per le scale un serico stormire di vesti, che riconobbe appartenere al volatile occidentale.

Era difatti Mrs Doyle che veniva a domandare come procedeva il lavoro.

Procedeva benissimo.

Alle sei Aldo tornò a casa.

Per tre giorni copiò, sottolineò, ritagliò e ingommò. Nel pomeriggio del quarto giorno non gli restava più niente da copiare, nè da sottolineare, nè da ritagliare, nè da ingommare. Fumò delle sigarette e guardò dalla finestra.

Poi prese dalla libreria un romanzo di Gyp — non c’erano che romanzi francesi su quegli scaffali — e lesse per un’ora. Finalmente si decise a uscire ed andare al numero 8, la casa Van Osten, a domandare istruzioni.

Non aveva ancora visto il congressista, suo principale, e Aldo — come tutti quelli che sono sicuri della loro persona e del loro sarto — amava le nuove conoscenze.

Suonò al numero 8.

Il servitore che gli aprì, lo guardò in faccia e dubitò.

— «Foreigner,» — disse fra sè. Poi gli guardò il taglio degli abiti. — «All right.» — E lo aiutò a togliersi il soprabito. Poi gli porse un piccolo vassoio d’argento sul quale Aldo depose il biglietto da visita.

Il domestico lesse, poi aprì una porta e pronunciò forte:

— «Count Aldo Della Rocca.»

Un sommesso rumorìo di voci e di tazze cessò, e in quel momentaneo silenzio Aldo s’avanzò nel salotto.

Sulla porta fece un profondo inchino — inchino di segretario — perchè non voleva offendere la sua patronessa. Quando alzò il capo, vide da lontano il verde sfavillìo