Gli sposi promessi/Tomo III/Capitolo V
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Cap. V.
Ho visto più volte un caro fanciullo, (vispo1 a dir vero più del bisogno, ma che a tutti i segnali promette2 d’essere un galantuomo): l’ho visto affacendato sulla sera, a cacciare3 al coperto un suo gregge di porcellini d’India, che egli aveva lasciato spaziare il giorno in un giardinetto.4 Il fanticino avrebbe voluto farli andar tutti di brigata5 al covile, ma era fatica6 perduta: uno si sbandava a destra,7 e mentre il picciolo pastore correva per raggiungerlo, un’altro,8 due, tre, uscivano dalla frotta a sinistra:9 dopo qualche impazienza
egli si persuadeva10 che non sarebbe riuscito a quel modo; spingeva dentro prima i più vicini, e poi tornava a pigliar gli altri ad uno, a due, a tre, come gli veniva fatto. Così pure11 abbiamo dovuto far noi coi nostri personaggi:12 per seguire Lucia nelle sue dubiose vicende, ci è stato forza13 perder di vista Fermo; e ora che Lucia è14 uscita dal pericolo, e posta in sicuro, e gli altri tutti15 qual più qual meno allogati, noi torneremo indietro sulle tracce del suo promesso sposo.16 L’abbiamo lasciato17 che s’avviava da Monza a Milano,18 munito d'una lettera del Padre Cristoforo ad un Padre Bonaventura, il mattino del giorno undici di novembre. Al dolore di avere abbandonata19 la casa, al rancore d'averla abbandonata per la violenza d’un ribaldo, al tribolo di trovarsi tapino sur una strada senza sapere dove si poserebbe il capo, ai patimenti, ai disagi, alle stizze, agli sconcerti della notte20 passata, s’era aggiunto ora un dolore, che21 esacerbava tutti gli altri: il distacco da Lucia, e un pensiero che diceva: — chi sa quando ci rivedremo! — Andava dunque il povero Fermo tutto sconsolato,22 pensando a tutti i suoi guai; e in capo a tutti questi pensieri si trovava sempre a quel Don Rodrigo, che era la prima cagione dei
guai; e Fermo allora lo malediceva con tutti i tiranni, con
tutti i dottori, con tutti quelli, che avrebbero dovuto proteggere il povero, e lo lasciavano opprimere. I curati non li
malediceva, ma ritirava da loro la sua benedizione. Si ricordava poi di Domineddio e del Padre Cristoforo: questo gli accadeva ad ogni volta che si abbatteva in una qualche23 immagine dipinta sur una di quelle cappellette,24 che erano allora frequentissime su le strade: allora Fermo tornava in sé, e si sforzava di perdonare; di modo che, in quel viaggio, egli ebbe ammazzato in cuore Don Rodrigo e risuscitatolo almeno venti volte.25
A misura che Fermo si allontanava dalle colline e si avvicinava alla città, l’aspetto del cielo e del paese gli diveniva più tristo e saturnino:26 di tempo in tempo la via27 profonda fra due ripe,28 solcata da rotaje che erano diventate rigagnoli, e tutta fango negli altri spazi, era presso che impraticabile: a quei passi29 un sentiero, erto a guisa di scaglioni su la ripa,30 segnava che altri passeggeri31 si erano fatta una via nei campi,32 costeggiando quella che avrebbe
dovuto essere la via.33
Fermo, salito il primo di questi sentieri, da quel luogo
più elevato, guardando dinanzi a sé, vide la guglia del
Duomo, e ristette attonito:34 conobbe tosto quello che doveva essere, e ristette ancora a rimirare, dimentico per un momento di tutti i suoi travagli e assorto35 in quella contemplazione; poiché, come tutti i contadini di Lombardia, egli aveva36 fino dalla infanzia inteso parlare di quel Duomo,
come della maraviglia del mondo: e in allora i viaggi erano
così rari, e le comunicazioni così infrequenti, che Fermo
dubitava assai37 se in vita sua avrebbe veduta mai quella
maraviglia. Ma, dopo qualche momento d’estasi, guardandosi intorno, e seguendo la catena dei monti,38 vide sorgere fra gli altri le punte del suo Resegone, e si sentì tutto rimescolare il sangue: si mosse macchinalmente per correre da quella parte, e, tosto ravveduto, gli volse le spalle; e continuò tristamente il suo cammino. Ad ognuno, in cui si abbatteva, domandava egli se quella era la via che conduceva a Milano, non tanto per esser certo della via,39 quanto per40 assaggiare quegli abitatori sconosciuti, per sentire il loro linguaggio,41 giacché gli pareva di trovarsi in un paese strano, e, per dirla nel suo linguaggio,42 pareva perduto. Gli era risposto che andava bene, ed egli continuava. Finalmente cominciò a vedere campanili, cupole, torri,43 tetti; e si accorse
d'esser vicino. Allora s’accostò ad un viandante che veniva da Milano,44 e, detto umilmente: «in grazia, Vossignoria,»45
gli fece una domanda più precisa,46 e alla quale egli,47 con ìe sue idee contadinesche, stimava che ogni milanese dovesse saper rispondere: «Dove si va,» disse Fermo, «per andare dal Padre Bonaventura?» L’uomo, a cui Fermo s’era voltato48 e ch’egli aveva pigliato per un cittadino, era un agiato abitante del contorno; il quale, andato quel mattino alla città per sue faccende, ne tornava senza aver fatto nulla, e non vedeva l’ora di trovarsi a casa sua.49
«Caro giovane,» rispose questi con una dolcezza studiata, e dissimulando la noja che gli dava l’essere fermato: «caro giovane, bisognerebbe che mi spiegaste più chiaramente chi è questo Padre Bonaventura, che voi cercate.»
«Non lo conosce?» replicò Fermo: «è il Padre Bonaventura cappuccino.»
«Ve n’ha tanti!» disse l’interrogato: «sapreste dirmi di che convento egli sia?» Fermo allora si trasse di seno la lettera del Padre Cristoforo, e la mostrò a quel signore, il quale,50 letto sulla soprascritta:51 nel convento della Concezione in Porta Orientale, disse a Fermo: «Bravo giovane, siete fortunato: il convento è qui vicino: pigliate questo viottolo a mancina: è una scorciatoja:52 vi troverete tosto all’angolo53 di una fabbrica lunga e bassa; camminate lungo il rigagnolo, e vi troverete alla porta orientale. Entrate; pigliate ancora la mancina, dopo forse cento passi, vedrete una piazzetta con dei bei faggi: ivi è il convento di quei buoni padri. Dio vi accompagni.» Ciò detto, fece egli un grazioso saluto con la mano, e continuò il suo cammino, lasciando Fermo stupefatto del garbo con cui i cittadini parlavano ai foresti; perché54 i modi,55 il vólto,56 il tuono di quel signore non erano di una semplice cortesia ospitale: v’era un non so che di riverente e di cortigianesco: si sarebbe detto che quel signore parlava ad un uomo d’alto affare, e che voleva farglisi credere amico sviscerato. Ma Fermo non sapeva che quello era un giorno d’eccezione, in cui le cappe s’inchinavano ai farsetti.
Entrò egli nel viottolo che glì era stato additato, e dopo un breve cammino si trovò57 all’angolo del Lazzeretto,58 e dinanzi alla porta orientale.
Non bisogna però che a questo nome il lettore si lasci correre per la fantasia le immagini, che ora gli sono associate;59 ma che cerchi di60 raffigurare con la mente gli oggetti, quali erano al tempo di Fermo. Al di fuori della porta, invece dell'ampia e diritta via fiancheggiata di pioppi che si vede al presente, una stretta e tortuosa strada,61 la quale da principio seguiva la linea del lazzaretto, e62 poi correva sghemba63 fra due siepi. Una portaccia sostenuta da due pilastri, coperta da una tettoia per riparare le imposte, e fiancheggiata da una casipola pei gabellieri. A destra e a sinistra di chi entrava, due salite ai bastioni, non come ora inclinate regolarmente,64 fra due cordoni paralleli65 ed orlate66 d’alberi; ma67 tortuose, non battute, con una superficie ineguale di rottami e di cocci68 gettati a caso.69
Il corso, ampio e irregolare come al presente,70 aveva nel mezzo da71 un fossatello,72 che, fra due rive prosaicamente erbose senza essere campestri, menava un'acqua73 lenta, bruna e carica d’immondizie;74 di modo che il corso era partito in due strade strette e75 torte, coperte or di fanghiglia or di polvere, secondo l’ora del tempo e la stagione.76 A pochi passi dalla porta,77 dove è ancora la contrada di Borghetto (chi non la conosce è un tartaro), questo fossatello passava sotto una volta, e, lasciando libero il mezzo, riusciva lungo78 alcune
casupole a destra di chi entrava; e quindi, passando79 in un’altra tomba, attraversava sotterraneamente la salita del bastione, e si gettava nel fosso che lambe il muro della città.80 Al primo entrare,81 si affacciavano a destra82 le casipole di cui abbiamo parlato, e ch’erano abitazioni di lavandai, addossate all’abbazia di San Dionigi, la quale occupava una parte di quello che ora è giardino publico:83 verso il mezzo del giardino attuale v’era allora una strada,84 che divideva il terreno dell’abbazia dal85 terreno d’un monastero, di cui il chiostro rimane tuttavia in piedi, con una facciata la quale vorrebbe dire: — sono un palazzo, — con tre altri lati che par che dicano: — siamo un casolare dirupato, ed un complesso che non sa bene quello che si voglia dire. — Questa via era posta quasi dirimpetto a quella86 di Borghetto, tuttavia esistente; nel mezzo del quadrivio87 era una colonna con una croce, e si chiamava la croce di San Dionigi.88 Delle fabbriche poi, che allora costeggiavano il corso, ben poche rimangono ancora,89 e sono le più povere e disadatte; i palazzi e le case ornate, che ora si veggono,90 son tutte91 nate molto tempo dopo.92 Quando Fermo entrò, vide la casa dei doganieri deserta, e deserta quella prima parte del corso;93 e, se non avesse inteso un romore lontano che accennava un grande movimento, avrebbe creduto d’entrare in una città abbandonata.
Guardandosi94 indietro, come accade a chi95 trova solitudine dinanzi a sé, mentre aspettava di96 trovar folla,97 vide
troppe98 di gente che veniva, andando innanzi lungo le case dei lavandai; senza saper che cosa pensare di quello che gli appariva, vide egli lunghe strisce bianche,99 che avrebbe creduto esser neve, se100 fosse stata egualmente diffusa; ma erano strisce, le quali terminavano101 a quella e a questa porta di quelle casipole. Abbassandosi a guardare più attentamente, e toccando, si accertò che ell’era farina, e disse tra sé: — Grande abbondanza dev’essere in Milano, se in quest’anno vi si sciupa la102 grazia di Dio a questo modo ! — Procedendo cosi come trasecolato, e passando presso la croce, per attraversare il corso e103 incamminarsi dal lato destro, dov’era il convento, gli parve di vedere104 al piè della colonna e sugli scaglioni del piedestallo,105 certe cose sparse qua e là, che non erano ciottoli, e106 se fossero state sul banco d’un fornaio, egli non avrebbe dubitato un momento di chiamarle pani;107 ma108 non ardiva creder così tosto ai suoi occhi, perché109 per esser pani eran troppo fuor di luogo. Guardò più da vicino, si abbassò, ne ricolse uno: era un pane tondo, bellissimo, e d’una pasta, di cui Fermo non ne aveva ancor mangiato molte volte.110
- È pane davvero! — sclamò egli ad alta voce, tanto ne fu
maravigliato.
— Cosi lo seminano in questo paese? e non111 si fermano a raccorlo quando cade? che112 venga da sé come i funghi? -
Fermo aveva camminato dieci miglia, e113 sentiva appetito; e già al primo entrare si era proposto di fermarsi alla prima bottega di fornajo, che avrebbe incontrata: ché non
sapeva che in quel giorno,114 a quell’ora, in Milano, v’era pane da per tutto quasi, fuorché da’ fornaj. Trovandone ora cosi a proposito, stette egli un momento a pensare, se gli fosse lecito profittare di quella ventura; e disse tosto:115 - L’hanno gettato alla balia dei cani che passano: è meglio che ne profitti un cristiano:116 alla fin fine, se117 viene il padrone. glielo pagherò. - Fatto questo proponimento, raccolse un pane, se lo pose in una tasca, ne raccolse un secondo, e lo pose nell’altra; e, raccolto il terzo, cominciò a mangiare. Frattanto vide gente che veniva dall’interno della città e adocchiò curiosamente118 i più vicini, avido di scoprire
qualche cosa, che gli119 rendesse chiaro120 quel poco che aveva veduto fino allora. Erano un uomo e una donna, che si traevano dietro un ragazzetto: tutti e tre curvati sotto una carica, e in un aspetto strano. Avevano121 l’abito e il vólto infarinato, il vólto per sopra più stravolto; camminavano come affaticati e dogliosi, come se fossero stati pesti, e parevano122 venire da qualche trambusto. L’uomo portava a fatica su le spalle un sacco di farina, che, bucato qua e là, ne lasciava sfuggire123 degli sprazzi ad ogni intoppo124 del portatore. Il ragazzotto teneva fermo sul capo125 con ambe le mani un cesto126 colmo di pani:127 il ragazzotto, non potendo fare il passo lungo a paro dei suoi genitori, rimaneva128 indietro di tempo in tempo; e,129 quando egli affrettava il passo per raggiungerli,130 e giungeva baizelloni, qualche panecadeva. Ma la figura, la più strana e la più sconcia, era quella della donna. Mostrava essa tutte le gambe fino al ginocchio, e131 queste gambe si vedevano uscire132 da un gran corpo che procedeva barcollando:133 da lontano sarebbe
sembrato una pancia immensa;134 ma Fermo135 vide che la donna teneva con le due mani il lembo della gonna rivolta in su, e piena di farina; la quale pure traboccava ad ogni passo, e136 lasciava il segno137 di quel viaggio faticoso.138 Mentre Fermo guatava139 quello spettacolo singolare,140 sopraggiunsero alcuni che venivano da fuori, e, accostatisi a quei caricati, chiesero dove si andava a pigliare il pane. «Innanzi, innanzi,» rispose la donna. Quando quegli furono passati,141 Fermo intese che la donna mormorava: «Questi foresi birboni, verranno a portarci via tutto.» «Un po’ per uno,»142 disse l’uomo: «abbondanza, abbondanza.»
« Se tu lasci ancor cadere uno di quei pani, brutto dappoco... » disse la madre, digrignando i denti e raggrinzando il naso, verso il ragazzo, che143 in un salterello ne aveva seminato un paio.
«Come ho da fare?» rispose il ragazzo. «Eh! buon per te che ho le mani impedite,» ripigliò la donna, e, così dicendo,144 dimenò i pugni, come se desse una buona spellicciatura145 al poveretto: e con quel movimento fece volare 146 uno spruzzo di farina,147 da fare più che i due pani lasciati
cadere dal ragazzo. «Via, via,» disse l’uomo: «qualcheduno gli raccoglierà: abbiamo stentato tanto tempo, ora che viene un po’ d’abbondanza, godiamola in santa pace. La conversazione148 non si sarà probabilmente terminata a quelle parole; ma gl’interlocutori s’allontanavano da Fermo, ed egli non potè intenderne altro.
Da quel poco però ch’egli aveva inteso, e veduto, e che vedeva tuttavia, potè egli comprendere che il popolo era sollevato, e che quello era un giorno di conquista eroica, vale a dire che ognuno pigliava secondo le sue forze, dando busse in149 vece di danari.
Nel nostro sistema d’imparzialità, e di fedeltà storica, noi150 dobbiamo confessare che il primo sentimento di Fermo151 fu un sentimento di compiacenza.152
Egli aveva tanto patito nello stato153 ordinario della società; l’aveva veduto così favorevole e comodo per la iniquità, e provato così inerte e senza ajuto per la ragione debole, che si sentiva naturalmente inclinato154 ad ogni cosa che lo rivolgesse, e lo cangiasse. Il cangiamento al far dei conti, poteva155 essere un male peggiore, ma156 intanto non era più quel male157 di prima; ma intanto i pari di Don Rodrigo, si trovavano una volta nelle angosce, che avevano date agli altri, e i pari di Fermo facevano valere le loro ragioni.158
Per altra parte159 Fermo, come tutti quelli che avevano sofferto della carestia, ne accagionava principalmente la scelleratezza di alcuni, e la negligenza crudele, o la connivenza di alcuni altri; e160 gli pareva giusto che la forza venisse in ajuto della parte oppressa dalla scelleratezza e dalla connivenza. Gli passava bene per la mente che161 quella162 cuccagna non sarebbe stata che pei birboni più vigorosi e più svergognati, che i veri languenti per fame163 non si sarebbero gettati in quel tumulto: e così la parte la più debole e la più degna di soccorso avrebbe164 continuato a patire, e165 in quel giorno principalmente sarebbe stata forzatamente priva anche dei soccorsi della carità volonterosa, ma impotente; vedeva bene col suo buon senso166 che quell’orrendo sciupio non avrebbe certo diminuita la scarsezza, e che quella farina calpesta167 per le vie non sarebbe più168 andata in nutrimento di nessuno; ma queste169 riflessioni fugaci, e quasi inavvertite non bastavano a soffocare quel gaudio del garbuglio e dell’anarchia, che si alzava nel cuore buono,170 ma irritato, e nella mente non perversa, ma pregiudicata di Fermo. Nulladimeno egli propose di starsene fuori, e si rallegrò di essere raccomandato ad un cappuccino; il quale gli darebbe171 ricovero, e buoni pareri.
Passato dinanzi alla croce, si portò egli sulla sinistra del corso, camminando lentamente verso il convento: ad ogni passo vedeva egli arrivare nuova gente alla rinfusa:172 altri trionfante e carico delle spoglie,173 altri174 che quatto quatto175 si ritirava dal tumulto.176 Dove sorge ora
quel bel palazzo con una ampia loggia,177 v’era allora, e v’era ancora non son molti anni, una piazzetta, e in fondo ad essa la chiesa dei cappuccini, e la porta del convento:178 noi facciamo i nostri complimenti a quei lettori, i quali non hanno veduto niente di tutto questo: ciò vuol dire che son179 molto giovani; ed, essendo al mondo da poco tempo, avranno fatto anche poche minchionerie.
Quel compito signore, a cui Fermo180 aveva domandato del Padre Bonaventura, gli aveva dato così chiaro indirizzo che era impossibile andare in fallo: del resto tutte le chiese e i conventi dei cappuccini avevano come una fisonomia speciale, e chi ne aveva veduto uno ne avrebbe riconosciuto un altro a prima vista. Fermo s’avvicinò alla porta,181 cavò la lettera di seno, e tirò il campanello. S’aperse lo sportello, e il portinajo alla grata domandò chi era.
«Uno di fuori che ha una lettera pel padre Bonaventura,»
rispose Fermo. « Non è in convento, » disse il portinajo. «Mi lasci entrare, e starò ad aspettarlo,» replicò Fermo.
«Fate una cosa,» disse il frate: «andate ad aspettare in Chiesa, o dove volete, ché per ora non si entra;» e, detto questo, chiuse lo sportello.
Fermo rimase interdetto:182 egli si era proposto quel convento, come un punto di riposo e un ricovero dai pericoli183 di una città, nella quale egli non conosceva nessuno, non aveva che fare, e che era in tumulto. Sulla prima egli volle seguire il consiglio del portinajo, e ricoverarsi in chiesa;184 ma lo spettacolo di quella moltitudine sciolta da ogni legge, di quella attività clamorosa, di quella fratellanza di tanti, che non185 aveva fra loro altra relazione che la complicità di quel momento, lo attirava:186 la curiosità vinse, e Fermo disse fra sé: — andiamo a vedere. — Mentre egli si avvia tra la folla al centro della città e del trambusto, noi parleremo brevemente, se sarà possibile, delle cose, che furono l’origine e il pretesto di esso.
187Era quello il secondo anno di scarso raccolto: nel primo era stata piuttosto scarsità che carestia: le provvigioni rimaste degli anni188 grassi antecedenti avevano supplito189 tanto o
quanto al difetto di quello, e la popolazione190 era giunta al nuovo raccolto, non satolla,191 e non affamata; ma certo affatto sprovveduta. Ora, il nuovo raccolto, nel quale erano riposte tutte le speranze, fu scarso, come abbiam detto, e lo fu d’assai più del primo, in parte per maggiore192 contrarietà delle stagioni, e in parte per colpa orrenda degli uomini. Si guerreggiava allora in Italia, e193 non lontano dal Milanese,194 il quale si trovò soggetto ad alloggiamenti di truppe e a gravezze straordinarie.195 Queste furono tanto intollerabili, e le estorsioni, le rubberie,196 il guasto della soldatesca197 portati a tal segno, che molte198 possessioni199 rimasero abbandonate, molte200 campagne incolte, e molti contadini andarono201
accattando quel vitto, che avrebbero procacciato a sé e ad
altri col lavoro delle loro braccia. 202 E, dove pure s’era coltivato, le seminagioni erano state scarse, perché l’agricoltore,203 tentato dall’urgente bisogno, aveva sottratta204 e consumata una parte e la migliore del grano, che doveva esser destinato a quelle. Ottenuto appena il raccolto, la guerra stessa che era stata la principale cagione a renderlo205 scarso, fu la prima a divorarne una gran parte. Le depredazioni parziali, le provvigioni per l’esercito, e lo sprecamento infinito206 delle une e dell’altre fecero207 tosto un tale squarcio in quel misero raccolto, che la fame fu preveduta, quasi208 sentita sotto la messe stessa. I territori che circondano il Milanese, in parte afflitti dalla guerra, e tutti dalla sterilità209 comune di
quell’anno, non lasciavano speranza di cavarne ajuto di viveri. Sorse quindi quel sentimento di ansia e di terrore nei più, di gioja avara e crudele in alcuni, che nasce da210 una cognizione211 confusa ma viva della sproporzione tra il bisogno di nutrimento, e i mezzi di soddisfarlo, tra il grano e la fame: e questo sentimento produsse il suo effetto naturale, inevitabile:212 la ricerca premurosa, e l'offerta stentata del grano; quindi il rincaramento.
Questa sproporzione213 è uno di quei mali che spaventano la terra, perché pesano ad un tempo sur una moltitudine:214 quando un tal male esiste, i migliori mezzi per alleggerirlo, (giacché toglierlo non è in potere dell’uomo) sono tutte quelle cose che possono diffonderlo più equabilmente, farne sopportare al maggior numero, a tutti i viventi, se fosse possibile, una picciola porzione, affinché215 nessuno ne abbia una porzione superiore alle forze dell’uomo; fare che quel male
sia un incomodo per tutti, piuttosto che l’angoscia mortale
per216 molti, e la morte per alcuni.217. Quindi il primo, il più certo, e il più semplice mezzo di218 alleggiamento comune è l’astinenza volontaria dei doviziosi, che si privino di una parte di nutrimento, per lasciarne di più alla massa del consumo universale. Poi tutto quello che può aumentare219 nelle mani degl’indigenti i mezzi di acquistarsi il vitto, in proporzione220 dell'aumento delle difficoltà, cioè del rincaramento.221 Aumento quindi delle mercedi, e222 nuovi guadagni offerti per
mezzo di nuovi lavori223 ai molti, a cui cessano in quelle circostanze224 i lavori e i guadagni usati. Questo mezzo però sarebbe
uno scarso rimedio, sarebbe anzi un accrescimento del male, se non fosse accompagnato225 dalla cura attenta, assidua di somministrare226 il vitto anche a quei molti, che per debolezza, o per infermità, non lo possono ottenere col lavoro: si avrebbero227 allora dei lavoratori ben nutriti, e degli impotenti morti di fame:228 e la229 beneficenza sarebbe crudele per molti.230 A questi ultimi non si può provvedere altrimenti che con l’elemosina, tanto sapientemente comandata dalla religione: quella elemosina, di cui molti scrittori hanno enumerati e censurati amaramente gli abusi. Né a torto; poiché231 è utile scoprire e censurare gli abusi dovunque s’intrudano:232 è però cosa233 trista e dannosa che in234 soggetto di tanta importanza non si sieno quasi considerati che gli abusi;235 e sarebbe da desiderare che alcuno pigliasse la bella e forse nuova impresa di236 ragionare del buon uso della elemosina, di mostrare
com'ella sia uno dei mezzi più potenti,237 più semplici, e certo più irreprensibili238 a tutti quei fini, che si propone una saggia e ragionata economia pubblica.
239 Questi, che abbiamo accennati, sono certamente i principali e più sicuri rimedj alla penuria delle sussistenze; e quando si fossero posti in opera,240 il meglio da farsi, sarebbe sopportare quella parte inevitabile di patimento con tranquillità, e con rassegnazione, giacché tutte le ire, tutte le declamazioni, tutti i falsi ragionamenti non ponno far nascere una spiga di frumento, né accelerare di cinque minuti il nuovo raccolto, che deve mettere a disposizione degli uomini una nuova massa di sussistenza.
Ma oltre i mezzi per render tollerabile quel male, ve n'ha pur troppo, e moltissimi, per esacerbarlo, per accrescerlo, per rendere più trista e complicata una situazione che lo è già tanto per sé; e questi mezzi sono stati per l’ordinario241 più adoperati dei primi, e si possono ridurre a due capi principali: le idee del popolo,242 e i provvedimenti dei magistrati. Nella243 epoca di cui parliamo,244 le idee e i provvedimenti concorsero potentemente a produrre quel tristo effetto in un grado singolare.
245 Nei tempi di carestia,246 la carestia è il soggetto di tutti i discorsi:247 fatto ben naturale,248 ma degno di molta osservazione, e di commento. Tutti ragionano delle cause del male,249 tutti propongono i veri rimedj, tutti dissertano di principj generali, di commercio, di monopolio, di accapparramento, di importazione, di esportazione, di circolazione. Ma la maggior parte250 non si è occupata mai251 in vita sua di questa materia: 252 i primi pensieri sono253 giudizj, e254 l'applicazione dei principi precede alla ricerca di essi.255 Guaj allora a quegli che hanno pensato256 a questi principj nel tempo in cui nessuno vi pensava; guaj a quegli che257 danno più degli altri un senso preciso a quelle parole che tutti proferiscono; guaj a quegli che hanno esaminati con una vista generale i fatti che sono l’argomento della discussione comune! Essi soli non sono ammessi a parlare: essi debbono258 vedere pazientemente discorrere i sofismi precipitati, e baldanzosi della ignoranza,259 perché chi può fermare il sofisma?260 la ragione in bocca loro è paradosso, e quando non si avesse altro da261 opporle, basterebbe quella accusa, che le si fa, di essere stata sui libri. La parola,262 che suona alto, che signoreggia in quelle263 dolorose circostanze, è quella della
irriflessione;264 ma, cessata la265 carestia, cessano tutti i discorsi: nessuno ne vuol più parlare né sentire a parlare: i libri, se quell’epoca ne ha prodotti che trattino266 di quella materia, sono per lo più un soggetto di contraddizione per un momento, e rimangono dopo quasi dimenticati: la società è in quel caso simile ad un povero scapestrato, il quale, trovandosi all’estremo, non ha parlato d’altro che di novissimi e di penitenza: convalescente, accoglie ancora il prete per urbanità; guarito,267 allontana da sé tutti i pensieri di quel momento del terrore.
Cessi il cielo che alcuno rinfacci ostilmente l’ignoranza ad un popolo, che non ha mai avuto maestri né ozio, l’irritazione fanatica ad un popolo, che non trova pane col suo lavoro. Ma quegli che meritano rimproveri acerbi e severi: quegli, che per268 bene loro e d’altrui269 vorrebbero essere sborbottati come ragazzacci caparbj, tanto che270 si correggessero, sono coloro, i quali potrebbero271 meditare a loro agio sui fatti simili, esaminare le conseguenze, i giudizj, i sistemi272 che ne hanno cavati gli scrittori,273 pesare le osservazioni e le opinioni, e procacciarsi cosi una opinione ragionata: e non lo fanno mai;274 ma al momento275 del serra serra escono in campo
a sentenziare furiosamente,276 cominciano a pensare con la voce e studiano dalla cattedra, coprono, vilipendono,277 calunniano le voci che278 nascono da un antico pensiero, ripetono, in un linguaggio meno incolto e più strano,279 i giudizj storti,280 le idee appassionate del popolo, e diffondono281 ed accrescono la stortura e la passione, si oppongono ferocemente a tutti quei282 raziocinj, che potrebbero illuminare l’opinione dell’universale sulla natura e sulla misura del male, ricondurre gli spiriti ad una riflessione più tranquilla, e stornare quelle
risoluzioni che283 lo peggiorano:284 e, infervorati in queste imprese, non285 si spaventano col pensiero della loro ingnoranza; anzi286 ne cavano argomento di gloria, e di fiducia; e287 a tutte le obiezioni,288 (o alla metà delle obiezioni, perché di rado lasciano terminare una frase ad un galantuomo)289 rispondono con quell’inverecondo sproposito: noi non vogliamo teorie non riflettendo nemmeno che quelle, che essi sputano tutto il dì, son pur teorie,290 diverse291 da quelle dei loro avversarj in ciò soltanto: che non sono fondate292 sulla cognizione, o almeno sulla ricerca dei fatti.
Le storture del popolo, e di questi che abbiamo detto intorno alla carestia, sono molteplici per sé, e293 infinite nelle loro applicazioni e nei loro rivolgimenti:294 molte si possono vedere295 enumerate in alcuni libri, che le hanno esaminate e ribattute con più sagacità e pazienza che profitto;296 ma si possono forse ridurre a due capi principali. Il primo è297
l’opinione che il male non esista, che298 il difetto di sussistenze sia soltanto299 una apparenza nata da combinazioni perfide degli uomini. Questa opinione viene sempre espressa e ripetuta con una formola concisa, come tutte quelle che racchiudono un errore o un equivoco: — il grano c’è. — Proposizione ambigua, che può300 intendere una verità fatua e inconcludente, o una affermazione temeraria e fanatica. Poiché se con quelle301 inconsiderate parole si vuol dire che esiste una302 indeterminata quantità di303 biade, si dice il vero, ma che cosa s’insegna? che cosa si vuol concludere? quella non è, né può essere la questione. Ognun sa che i grani si raccolgono una volta l’anno, o a certe distanze, e che si consumano alla giornata: tra l’un raccolto e l’altro304 ci debbe
dunque esser grano più o meno: se non ce ne fosse assolutamente, non si parlerebbe più di stentare, ma di morire, e tutti, e in pochi giorni. Se poi dicendo: — il grano c’é, — s’intende (come s’intende) che ne esista una quantità eguale al consumo ordinario, proporzionata al bisogno,305 o al desiderio della popolazione; come mai una tal cosa si afferma
senza306 conoscere, senza poter conoscere, senza cercar di conoscere307 il fatto su cui si forma il giudizio: la quantità del grano esistente? Eppure308 un fatto, che con le più minute309 indagini, coi calcoli più scrupolosi, con l’esame il più freddo non si conosce mai con precisione,310 è continuamente affermato con sicurezza, senza311 indagini, senza calcoli, senza esame: un fatto, che312 appena si può conoscere313 approssimativamente314 per gli indizj del prezzo, della ricerca, della distribuzione, del consumo, si afferma315 assolutamente contra316 la testimonianza di tutti questi indizj.
317L’altra stortura, conseguente da questa, e pur madornale, è nel supporre che il318 male sia319 il caro prezzo del grano; mentre questo non è che un effetto del male320 vero:321 la sproporzione tra il grano e il bisogno; è un effetto, e un
doloroso, deplorabile, funesto, acerbo322 (accumulate quanti epiteti vorrete; non saranno mai troppi); ma il sostantivo è: rimedio. Il caro prezzo è un rimedio, considerato parzialmente per un territorio, perché vi attrae il grano dai paesi dove è meno scarso, e quindi323 a minor costo: è un rimedio considerato generalmente, perché, forzando pur troppo324 migliaja d’uomini a diffalcare una parte del consumo ordinario,325 è cagione che si risparmj, si distribuisca per tutto l’anno fino al raccolto326 la scarsa e mancante327 vittovaglia. Se una328 forza qualunque potesse329 illudere, addormentare330 fino alla fine tutti i terrori, tutte le cupidigie,331 di modo che in un anno scarso generalmente, il prezzo332 rimanesse basso come negli anni abbondanti,333 ne avverrebbe certamente che334 il consumo,335 fin che grano vi fosse, sarebbe eguale a quello degli anni abbondanti:336 si viverebbe lietamente a discrezione per qualche tempo: e l’ultimo337 effetto di questo338 terribile beneficio sarebbe di339 fare sparire tutta la provvigione340 qualche mese prima del raccolto.
Il linguaggio di coloro, che341 hanno ben fitte in testa342 queste due storture, è accetto al popolo che patisce; e la cosa è troppo naturale:343 non riconoscendo il male nella344 natura delle cose, attribuendolo tutto alla perversità345 umana, essi mostrano nello stesso tempo una compassione, che pare più sincera per chi soffre, un grande orrore per chi fa soffrire e fanno sempre intravedere la possibilità d’un rimedio pronto ed assoluto.
Ma quegli, i quali veggono chiaramente la realtà del
male, non hanno cose gradite da dire a chi lo sopporta;346 poiché,347 chi dopo d’aver suggeriti348 alcuni rimedj per minorare il male, confessa che molto è senza rimedio, e raccomanda la rassegnazione, può difficilmente far credere che compatisce349 chi nega all’addolorato che la causa350 prima,351 unica del suo dolore, sia nella volontà352 scellerata di alcuni:353 converrà che abbia ben fama di onesto e di umano, perché l’addolorato si contenti di crederlo cieco e insensato, e non lo chiami atroce fautore, complice di quelli che creano il dolore. Sono354 i chiaroveggenti, in quel caso, come un medico, che giunga al letto d'un infermo circondato da una famiglia amante e ignorante, dove si trovi un ciarlatano; il quale assevera che il male è tutto nella cecità o nella impostura dei medici, e ch’egli tiene un’ampollina, dov’è la salute.355 Se il medico, il quale vede che la malattia è incurabile,356 vi lascia uscire dalla chiostra dei denti questo suo parere, la famiglia lo riguarderà come357 un pazzo crudele, che desidera di veder morire le persone.
Queste false idee che, a malgrado di tanti scritti ragionati
e dell’aumento di tante cognizioni,358 vivono359 tuttavia latenti e come addormentate nella mente360 di moltissimi, pronte a ricomparire quando una penuria (che Dio tenga lontana) dia loro occasione di mostrarsi, erano361 ben più universali,362
più pertinacemente tenute, più furibondamente applicate nei tempi della nostra storia; nei quali363 l’ignoranza era tanto più generale, e la scienza,364 che era pure di pochi, consisteva in un peripateticismo,365 inteso come si poteva, e applicato come si voleva a tutte le quistioni possibili di ogni genere: in tempi, in cui non esisteva ancora l’economia politica, voglio dire la scritta e ridotta in trattati, perché l’economia politica di fatto366 esiste nella società necessariamente più o meno spropositata.
Gli sventurati abitanti della campagna avevano veduta367 la scarsità del raccolto, avevano368 vedute e sofferte le atroci dissipazioni della soldatesca, e gli sventurati abitanti della città le avevano pure intese raccontare;369 ma, quando la carestia cominciò a farsi sentire, né gli uni né gli altri volevano370 accagionare371 di un tanto male una causa passata e irrevocabile. Come se non avessero veduto nulla, o tutto dimenticato, essi attribuivano il caro prezzo soltanto alla crudele ingordigia di quegli che possedevano il grano.372 E una circostanza speciale avrebbe dovuto pure avvertirli di esaminare più freddamente, se l’esame freddo fosse possibile in quei casi. L’anno antecedente era pure stato scarso; e si era per tutto quell’anno gridato contra gli accapparratori,373
come contra la sola cagione della carezza: si era detto che
il grano abbondava, ma era tenuto chiuso374 stivato, murato nei granaj degli avari. Ora l’anno era passato, si era fatto il nuovo raccolto: sarebbe stata cosa molto naturale375 ricercare se quel grano era stato finalmente venduto, o no. Nel primo caso avrebbero dovuto gli uomini376 conchiudere che s’erano dunque ingannati nell’affermare che377 il grano378 abbondava: poiché379 s’era venduto a caro prezzo fino al raccolto, appena aveva bastato. Che se il grano dell’anno antecedente non era venduto,380 esisteva dunque: i capitali degli avari, i granaj erano occupati; come dunque potevano essi fare ancora nuove incette?381 Ma la popolazione,382 sfogando sempre il suo dolore383 con imprecazioni, non pensava che384 le ultime
contraddicevano alle prime.385 Si diceva anche che molti accapparravano386 i grani per ispedirli in altri paesi; e in questi
altri paesi si gridava387 che i grani erano spediti a Milano. Tutti quelli che ne possedevano, erano oggetto di minaccia e di abbominazione; i possessori che non lo vendevano,
erano tiranni;388 quegli che lo comperavano per rivenderlo,389 mostri addirittura; i fornaj che ne facevano provvista, scellerati, che volevano ritirarlo dal commercio e imporgli il prezzo,390 che sarebbe piaciuto alla loro avidità.391 Che ognuno provvedesse la quantità, che poteva essergli necessaria fino al raccolto, era cosa impossibile. Quindi se la popolazione
avesse voluto o potuto rendersi un conto esatto delle sue idee e dei suoi desiderj, avrebbe trovato ch’ella voleva che il grano non fosse in nessun luogo. Il prezzo straordinario al momento stesso del raccolto, crebbe nell’autunno, crebbe straordinariamente al cominciare dell’inverno, e col prezzo
crebbe[ro] il fremito e il clamore del popolo; il quale accusava
già apertamente i magistrati di negligenza,392 anzi di connivenza con coloro che lo affamavano.
Non è però da dire che i magistrati non facessero dalla parte loro393 molti spropositi; ma questi erano in numero e in grossezza ancora ben lontani dai desiderj e dalle richieste del popolo. Il maneggio delle cose394 forza a riflettere anche quelli che sono più nemici della riflessione; e chi395 deve operare o comandare direttamente,396 scorge talvolta anche a mal suo grado, anche chiudendo gli occhi, l’impossibilità397 o l’assurdità d’un provvedimento, che è domandato con furore dai molti che lo stimano giusto, e lo credono agevole.398 Oltre di che399 l’effetto immediato di quegli spropositi era di esacerbare la condizione universale: si sentiva crescere il male; e l’aumento si attribuiva non già400 alla efficacia funesta degli spropositi fatti,401 ma al non farne402 abbastanza.403 Era stato tassato il prezzo massimo del riso, a lire quaranta imperiali il moggio, per la città di Milano:404 la conseguenza fu che quegli
che405 possedevano riso, e potevano venderlo a molto maggior prezzo per tutto altrove, non ne spedirono più un grano alla città; e questa si trovò senza riso. Altro editto che tassa il riso allo stesso prezzo massimo per tutto lo Stato: altra conseguenza che i possessori ricusino di406 vendere, ad un prezzo comandato, quella merce, a cui la rarità ne ha assegnato un maggiore.407
Ordine di vendere il genere a chiunque ne offra il prezzo
tassato: industria dei408 possessori a nasconderlo per poter rispondere: non ne ho. Pene severe, indeterminate, arbitrarie a chi lo nasconde: nuova industria, nuovi aguzzamenti d’ingegno, nuovi trovati per evitare le pene senza esser danneggiato. Comparvero allora, come dovevano comparire,409 di quegli uomini, i quali conoscono a perfezione l’arte di eludere gli editti: arte tanto più facile quanto più gli editti sono assurdi. Costoro,410 osservato lo stato delle cose, fatte le loro ragioni, trovarono che, comperando il riso ad un prezzo molto maggiore dell’assegnato arbitrariamente, si poteva fare ancor molto guadagno:411 offersero quel prezzo ai possessori,412 i quali non413 rispondevano di non aver riso da vendere a chi lo pagava più di quello che comandava
la legge. Questi nuovi compratori, trovavano poi il modo di414 rivendere il riso a maggior prezzo agli Stati vicini, dove non v'era tassa415 o di conservarlo nascosto416 in onta degli editti:417 il modo consiste, come ognun sa, nello studiare418 non tanto la volontà unica, donde è uscita la legge, quanto le volontà molteplici, varie, più vicine che debbono eseguirla, e nel419 trovare i mezzi di eludere queste volontà, o di comperarne la420 complicità.
Quello che si è detto del riso, accadeva di tutti gli altri
grani:421 come il possederli, il farne commercio, era un rischio dell’avere e della persona, un soggetto di terrore,422 un peso di sospetto pubblico, quasi un marchio d’infamia; cosi avvenne che questo commercio non fosse quasi più ricercato che dagli uomini423 i più esperti ad eludere il rischio,424 i più agguerriti contra l’odio e contra l’infamia; i quali425 sapevano
come tutte queste cose,426 affrontate e sofferte con una certa sapienza particolare, possono fruttare danari.
427La scarsità del frumento e i mezzi posti in opera per renderlo più comune,428 lo avevano fatto salire429 ad un prezzo esorbitante.430 Si vendeva cinquanta lire il moggio, se crediamo al Ripamonti allora vivente: settanta anzi ottanta, se vogliamo stare al detto di Alessandro Tadino, medico riputatissimo di quei tempi, che scrisse anch’egli431 (a dir vero con le gomita) una storia della peste e della carestia che432 l’aveva preceduta. Ma, supponendo anche433 esagerata l’asserzione di quest’ultimo, il prezzo attestato dal Ripamonti era tale da porre in angustia una gran parte della
popolazione.
434 I mali, nei loro cominciamenti, producono435 nell’uomo,
generalmente parlando, una irritazione più forte del dolore. 436 Sclama437 egli da prima che i mali sono intollerabili, che sono giunti all’estremo; e tanto fa, tanto s’ingegna, tanto s’arrabatta, che coi suoi sforzi crea egli questo estremo, che naturalmente non sarebbe arrivato: s’accorge allora che si può soffrire molto di più di quello ch’egli aveva creduto dapprima;438 ogni nuovo colpo gli rivela una nuova facoltà di patire e di accomodarsi, ch’egli non sospettava in se stesso; e salta per lo più dalla rabbia all’abbattimento, senza439 aver toccata la rassegnazione.
Per sua sventura il popolo milanese trovò in quella occasione l’uomo secondo i suoi desiderj: l’uomo, che partecipava delle sue idee e che, assecondandole, gli procurò una gioja corta e fallace,440 a cui doveva succedere un nuovo dolore senza disinganno, un nuovo furore, l’ebbrezza del
delitto, lo spavento delle pene, e quindi la tranquillità stupida della disperazione impotente.441
Il Governatore di Milano, Gonzalo Fernandez di Cordova, si trovava allora a campo442 sotto Casale per una guerra, atroce nella condotta, orrenda nelle conseguenze, e nata da certi pettegolezzi, dei quali parleremo più443 tardi e più laconicamente che sarà possibile. Nella sua assenza, governava lo Stato il gran cancelliere Antonio Ferrer. Questi, stordito dai richiami continui e crescenti del popolo, stordito dal vedere che tutti i provvedimenti già dati444 invece di togliere il male lo avevano accresciuto,445 non sapendo più che fare, e446 persuaso che qualche cosa bisognava pur fare, s’appigliò al partito di quelli, che non veggono447 nelle cose reali448 un elemento ragionevole di determinazione: fece un’ipotesi.449 Suppose che il450 frumento si vendesse trentatré lire il moggio, né più né meno. Ammessa l’ipotesi, tutte le cose si addrizzavano, e correvano a verso. Il prezzo del pane si trovava proporzionato alle facoltà della massima parte, cessavano quindi i patimenti, le minacce, le angustie: era un altro vivere. Animato e rallegrato dallo spettacolo che451 la sua fantasia aveva creato, Antonio Ferrer, fece un altro passo:452 pensò che quel lieto vivere si sarebbe ricondotto, se si453 fosse potuto454 far discendere il pane al prezzo455 corrispondente a quel prezzo ipotetico del frumento.456 Procedendo col pensiero, trovò che
un suo ordine poteva produrre questo effetto; e conchiuse457 che bisognava dar l’ordine. Il poveruomo non458 badò che cosa fosse conchiudere dal supposto al fatto, operare come se le cose fossero in uno stato diverso459 da quello in cui
erano; non460 pose mente a distinguere che461 quel462 tale prezzo moderato463 era un bene in quanto464 fosse stato conseguenza naturale della proporzione tra la ricerca, e la quantità esistente, ma non un bene per sé, e in ogni modo. Non pensò a niente di tutto questo: fece come una donna di mezza età, che, per ringiovanire, alterasse la cifra della sua fede di battesimo. L’ordine fu465 dato, promulgato, ed eseguito.466
Ordini meno iniqui e meno insani467 avevano trovato nelle volontà, nella natura stessa delle cose, ostacoli invincibili, ed erano rimasti senza esecuzione; ma alla esecuzione di questo vegliava il popolo, il quale,468 come era ben naturale, l'aveva accolto con un grido di esultazione; e, vedendo finalmente esaudito e469 convertito in legge il suo desiderio, non sofferiva che fosse da burla. Il popolo470 accorse tosto ai forni a domandare il pane a quel prezzo471 legale, e lo domandò con quell’aria di risolutezza e ai minaccia, che danno la forza e la legge472 insieme unite.
473 Se era naturale che il popolo esultasse, non lo era meno che strillassero i fornaj:474 un politico avrebbe potuto dire che quello era il caso di fare soffrire475 un picciol numero,
per sollevare e tranquillare una gran moltitudine; ma il male era che questo picciol numero era appunto quello che doveva, e che poteva solo476 dare477 in fatto quello che la legge comandava e prometteva in parole: e a produrre l’ effetto non bastava che i fornaj avessero ricevuto un ordine preciso, non bastava che avessero molta paura, che fossero disposti a sopportare l’ultima rovina delle sostanze per
salvare la persona: era necessario che potessero. Ora la cosa comandata era non solo dolorosa per essi, ma diveniva di giorno in giorno più difficile; ma doveva arrivare un momento, in cui sarebbe stata impossibile. Il popolo stesso affrettava questo momento: quantunque gridasse478 risolutamente e tenesse confusamente che quel prezzo stabilito era equo, ragionevole,479 sentiva però anche confusamente che esso era come in guerra con tutto il resto delle cose;480 che era l’effetto d’una volontà481 e non della natura; e482 prevedeva pure confusamente che la cosa non avrebbe potuto andar così sempre, né a lungo. Approfittava quindi del momento di baldoria; assediava continuamente i forni,483 come484 dice il Ripamonti, si affaccendava a carpire quel pane, che gli era dato quasi da una485 ventura momentanea, e486 la sua487 pressa indiscreta gareggiava con la fretta e488 col travaglio dei fornaj.489 Così quella cieca moltitudine consumava improvvidamente in poco tempo, e sparnazzava in parte,490 la scarsa e preziosa provvigione,491 la quale però doveva492 servirgli per tutto l’anno. I fornaj, costretti493 ad affacchinare e a scalmanarsi per494 discapitare, ponevano in opera tutte le arti per far perder tempo ai chieditori di pane495 senza irritarli all’estremo: adulteravano il pane con tutte quelle sostanze,496 che, senza troppo497
lasciarsi distinguere, ne accrescessero il peso; e intanto non
rifinivano di domandare che la legge fosse abrogata. Ma
Antonio Ferrer stava immoto a tutti i richiami, come Enea agli scongiuri di Didone.498
Generalmente parlando è impresa delle più ardue quella di smuovere un uomo da una sua ipotesi: con meno fatica499 gli si farà rinnegare l’evidenza dei fatti, perché finalmente l’evidenza l’ha trovata; ma l’ipotesi l’ha fatta egli; e l’ha fatta non per ozio né per ispasso, ma per un gran bisogno che ne aveva, per uscire da un impaccio. Oltre questa cagione generale, si può supporre senza temerità che quell’uomo, benché500 dagli effetti avesse dovuto conoscere quanto il suo ordine era stato pazzo,501 non voleva rivocarlo egli,502 e perdere così tutto il favore del popolo, anzi cangiarlo in furore; giacché certamente il popolo l’avrebbe creduto subornato e corrotto, se avesse tolto ciò che egli aveva stabilito come giusto. Prevedeva egli dunque che la cosa non sarebbe durata, ma lasciava ad altri la briga di503 dichiararla cessata legalmente. Come però spesse volte bisogna rispondere qualche cosa ai richiami che non si vogliono504 soddisfare, Antonio Ferrer rispondeva ai fornaj,505 a tutti quelli che per uficio erano costretti parlargli dello stato angustioso delle cose, rispondeva che i fornaj avevano guadagnato assai assai in passato, e che era giusto che tollerassero allora quella picciola perdita. I fornaj replicavano che non avevano506 fatti questi guadagni, e che non potevano più reggere alla perdita presente; Antonio Ferrer, ripigliava che avrebbero guadagnato nell’avvenire, che sarebbero venuti anni migliori, che insomma il tempo avrebbe rimediato a tutto.
Note
- ↑ sovente
- ↑ di divenire
- ↑ Variante spingere
- ↑ Avrebbe voluto
- ↑ Variante in una volta
- ↑ Variante studio
- ↑ e se
- ↑ Sic.
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo.» Cancellato cosicché egli [doveva abbandonare] era costretto abbandonare l’impresa
- ↑ ogni volta che [il eglio] la più spiccia era cacciarli a poco a poco
- ↑ ci è forza adoperare coi nostri personaggi
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo.»
- ↑ lasciar andar Fermo al suo camm
- ↑ ricoverata fuori di
- ↑ allogati
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto a capo.»
- ↑ il giorno 11 di novembre
- ↑ [nel mattino | per tempo | nel primo mattino | il mattino] sull’incominciare del giorno 11 di novembre
- ↑ la casa e
- ↑ Amargine, in penna: «- sconcerti della notte? - È la teoria dell'associazione delle idee! »
- ↑ tutti
- ↑ [; e il suo pensiero tornava] tornando sempre con la mente alla prima cagione di [tutti] essi
- ↑ cappella
- ↑ delle quali allora le strade erano
- ↑ A margine, in penna: « - Si richiamino gli antecendenti - dice un capo d’ufficio quando non sa cosa decidere. Mi pare che il passo di contra, letto isolatamente, sia un po’ troppo ascetico.» Cancellato [Di tempo in tempo] misura che
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo».
- ↑ profondata
- ↑ era quasi fango
- ↑ [un sentiero | un | un] delle orme impresse
- ↑ avvisava
- ↑ avevan
- ↑ Fermo allora saliva (lacuna) costeggia
- ↑ Fermo allora [saliva salito la prima volta] e da quella altura guardandosi intorno, e seguendo con l’occhio la catena dei monti [vedeva] vide le punte del suo Resegone: si sentiva allora più che mai rimescolare tutto il sangue
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «.punto fermo».
- ↑ nella maraviglia
- ↑ inteso parlare fino dalla
- ↑ di vedere quella maraviglia prima di morire
- ↑ che | vi vide
- ↑ che
- ↑ [assagg] sentire che lingu
- ↑ (1 [perché gli pareva di | egli era come | gli pareva] per vedere come rispondevano
- ↑ gli pareva d’esser perduto
- ↑ case
- ↑ e che aveva l’aria di cittadino, e gli domandò
- ↑ gli doma
- ↑ che non aveva fatto fino allora
- ↑ misurando
- ↑ era un abitante del contorno
- ↑ Questi
- ↑ lesse
- ↑ che colui al quale la lettera era diretta stava al convento di Po
- ↑ che vi conduce alla Porta Orientale
- ↑ del lazzeretto
- ↑ quei mod
- ↑ e le par
- ↑ le risposte di quel signore
- ↑ sulla strada maestra, dinanzi alla porta orientale al punto che
- ↑ camminò lungo | e quindi
- ↑ Fermo
- ↑ rappresentarsi
- ↑ A margine, in penna: «- tortuosa — imbroglia l'immaginazione del lettore»
- ↑ poi tra due siepi andava a seconda dei confini sghembi (del) dei terren
- ↑ a seconda dei
- ↑ tirate
- ↑ e piant
- ↑ d’alberi
- ↑ ineguali
- ↑ ammucchiati
- ↑ Il corso
- ↑ era diviso
- ↑ Sic; ma spiegabile con la cancellatura precedente
- ↑ che lo lambiva e faceva ) e due strade torte e anguste ; e le fabbriche che Io fiancheggiavano, e che erano
- ↑ bruna, sudicia
- ↑ [così] di modo che il corso era partito
- ↑ tortuose
- ↑ Questo fossatello
- ↑ questo fossatello passava sotto una volta e
- ↑ le case a sinistra
- ↑ sotto
- ↑ [Le case) Le case
- ↑ a [sinistra] destra
- ↑ case
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «accennare la croce e basta, mi pare. Aggiungendo a conclusione: Delle fabbriche, ecc.». Cancellato terminavano ad una via posta quasi a rimpetto di quella tuttora esistente di Borghetto, verso la metà
- ↑ rimpetto a quella [tuttor] la quale
- ↑ monastero di cui rimane
- ↑ tuttavia aperta
- ↑ formato
- ↑ Le fabbriche poi che costeggiano
- ↑ tutte quelle
- ↑ sono fatte colle
- ↑ venute
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. Punto a capo».
- ↑ senonché sulle porte
- ↑ allora
- ↑ non vede gente di
- ↑ veder
- ↑ scorse
- ↑ Sic.
- ↑ come di neve
- ↑ [fosse stata] fosse sparsa
- ↑ [all] ad una e ad un | e al
- ↑ farina a questo modo
- ↑ porsi sul
- ↑ sugli scaglioni del piedestallo presso
- ↑ qualche
- ↑ [se gli fo] se gli avesse
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo»
- ↑ gli parevano troppo fuor di luogo: egli
- ↑ gli |pa] se fossero stati
- ↑ In vita — Che è questo? diss’egli tra sé.
- ↑ tornano
- ↑ nasca
- ↑ si _
- ↑ v’era in Milano.
- ↑ [Lo gettano] Un cane che fosse passato l'avrebbe
- ↑ tanto
- ↑ il padrone veni
- ↑ per
- ↑ spiega
- ↑ Variante desse ragione di
- ↑ la faccia e gli abiti infarinati, camminavano | la faccia era | gli abiti e i
- ↑ uscire
- ↑ degli ad or
- ↑ dell
- ↑ ad ambe mani
- ↑ di pani dal qua
- ↑ [che] dal quale di tempo in tempo ne cadeva qualcuno a terra, però non potendo
- ↑ di tempo
- ↑ pigliando la cesta
- ↑ qua cadevano
- ↑ teneva
- ↑ da [un] sotto
- ↑ [e come] e come balz
- ↑ Segno di richiamo, e a margine in penna: «. punto fermo».
- ↑ vide che era la gonna rivo
- ↑ spruzzava
- ↑ per dove passava
- ↑ della donna
- ↑ [questa] quella famiglia
- ↑ giunsero presso
- ↑ Fermo intese che l’uomo [che] diceva: foresi birboni
- ↑ rispose la donna
- ↑ [in un] facendo
- ↑ le [mosse] fece ballare
- ↑ a quel
- ↑ un grandissimo
- ↑ che
- ↑ avrà
- ↑ pagamento
- ↑ conf
- ↑ alla certe
- ↑ per quella liberazione delle
- ↑ suo tranquillo ed abituale
- ↑ a tutto
- ↑ essere in peggio, [ma] ma intanto
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «come non avrebbe avuto sembianza di bene agli occhi di Fermo? Intanto non v'era più il male di prima, intanto i pari ecc.»
- ↑ tanto odioso,
- ↑ Per altra parte
- ↑ Fermo
- ↑ non
- ↑ [i più debo] la cuccagna
- ↑ cuccagna sarebbe una cuccagna
- ↑ i deboli
- ↑ patito
- ↑ forse Di qui, accanto a varie righe, linea verticale, e a margine, in penna: « idea troppo sottile: è il Sig. d. Alessandro che vi si riflette, ma Fermo non vi avrebbe pensato.- Continuato a patire - direi questo dopo: - vedeva benissimo che quella farina pigiata - ecc. ».
- ↑ che
- ↑ Variante pigiata
- ↑ stata mangiata
- ↑ riflessioni erano
- ↑ Variante non tristo
- ↑ asilo
- ↑ quale
- ↑ quale
- ↑ quatto quatto
- ↑ se ne an
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto a capo».
- ↑ sostenuta v’era allora
- ↑ Mi ci congr
- ↑ giovani
- ↑ [aveva] s’era indirizzato prima d’entrare in città
- ↑ e tirò il campanello
- ↑ [aveva usa] egli aveva risguardato il convento come un [luogo] punto di riposo, e un
- ↑ e dalle tentazioni
- ↑ per
- ↑ si cono
- ↑ e
- ↑ Accanto, in penna: « Non so come, ma questo passo non mi pare abbastanza chiaro pei frettolosi lettori dei Romanzi. Cambiate poche parole sarà forse chiarissimo. - Era quello il secondo anno di scarso raccolto. Nel precedente era stata piuttosto scarsità che carestia: e le provvisioni rimaste degli anni grassi, avevano supplito tanto o quanto al difetto; talché la popolazione era giunta al nuovo raccolto non satolla e non affamata, ma al certo affatto sprovveduta. Ora questo nuovo raccolto nel quale erano riposte tutte le speranze fu (scarso) scarsissimo, assai più del raccolto precedente, in parte per maggiore-ecc.».
- ↑ abbon
- ↑ tanto quanto
- ↑ s’era trovata
- ↑ ma
- ↑ infelicità
- ↑ presso
- ↑ e questo
- ↑ Le estorsioni e le
- ↑ Sic.
- ↑ tanto
- ↑ campagne rimasero incolte, m
- ↑ Variante erano rimaste
- ↑ case inco
- ↑ Variante erano andati
- ↑ A margine, in penna, del Manzoni: « Lampugnano, la pestilenza seguita in Milano. Mil.° 1634, pag. 19.» Cancellatura Molti altri tentati dalla penuria avevano [conservata] sottratta
- ↑ stretto dall’ur
- ↑ a quelle
- ↑ men
- ↑ delle une e delle altre
- ↑ prevedere, e quasi sentire la fame [al] sotto la messe stessa.
- ↑ senti
- ↑ universale dell
- ↑ un calcolo confuso
- ↑ [non] indistinta, ma
- ↑ di rincarare il grano
- ↑ [è uno di quei mali che spaventano la terra] è uno dei più gravi mali che
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo».
- ↑ Variante a nessuno ne tocchi
- ↑ moltissimi
- ↑ o per molti
- ↑ sollievo
- ↑ i mezzi
- ↑ dell’[aumento] accresciuta difficoltà
- ↑ L’aumento quindi delle
- ↑ lavoro offerto qua
- ↑ [a quelli | ai] a quelli
- ↑ i lavori usati | gli
- ↑ da una
- ↑ i mezzi di
- ↑ degli operaj
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «quell’inciso, mi spiace, imbarazza la serie delle idee, massimamente perché - beneficenza - significa più direttamente dono gratuito che una [offerta] ricerca di lavoro.»
- ↑ carità
- ↑ il loro
- ↑ bisogna
- ↑ ma
- ↑ spiacevo
- ↑ una materia
- ↑ [ed è da desiderarsi che alcuno attenda a mettere in chiaro l’utilità vera] e sarebbe bella, e forse nuova impresa il desider
- ↑ porre in chiaro
- ↑ più
- ↑ per Segno di richiamo, e a margine, in penna: «a - molti di quei fini - se non m’inganno».
- ↑ Posti in opera i rimedi che abbiamo accennati, | Dopo
- ↑ non resterebbe altro a fare ❘ non
- ↑ [più operosi ed efficaci dei primi messi in opera ❘ più affini dei primi] più operosi dei primi
- ↑ e gli ordini dei
- ↑ trista
- ↑ tutte
- ↑ Quando la scarsezza del vitto conduce l’alto prezzo del grano, (lacuna)
- ↑ il
- ↑ cosa
- ↑ ma molto degna di esse
- ↑ tutti di
- ↑ si occupa
- ↑ di questi p
- ↑ le prime sono giudizi che precedono la riflessione, e le
- ↑ parole e
- ↑ lo studio dei principj
- ↑ è gente che studia sulla cattedra
- ↑ alla fame nei tempi dell’abbondanza
- ↑ intendono
- ↑ ascoltare pazientemente
- ↑ e non guardarsi dal tacere, perché la ragione in bocca loro è paradosso;
- ↑ la ragione in bocca loro è paradosso, e
- ↑ [opporre loro) rispon
- ↑ adunque in quella occasione
- ↑ occasioni
- ↑ Segno di richiamo e a margine in penna: «punto fermo».
- ↑ circostanza
- ↑ del
- ↑ non [più sentire che si faccia menzione dell'altro mondo] allontana dai suoi pensieri tutto ciò che può richiamarlo (lacuna)
- ↑ Variante utile
- ↑ dovrebbero essere
- ↑ imparassero a parlare o a tacere
- ↑ esaminare a loro agio
- ↑ che
- ↑ informarsi di quello che è stato
- ↑ ma aspettano il momento
- ↑ della
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «punto fermo per amor del cielo».
- ↑ [calunniano] deridono
- ↑ sono state preced
- ↑ le
- ↑ del popolo
- ↑ aument
- ↑ ragio- nament
- ↑ non
- ↑ e fa
- ↑ diffidano già
- ↑ sen
- ↑ rispondono
- ↑ a quelle
- ↑ credono di rispondere
- ↑ solo
- ↑ so
- ↑ sull’esame
- ↑ inf
- ↑ [ma gran parte] (lacuna) una gran parte di esse si può trovare in [molti libri] alcuni libri che [le hanno] ne hanno osservate
- ↑ annu
- ↑ ma
- ↑ una o
- ↑ la
- ↑ app
- ↑ [significa] esprimere
- ↑ scempie
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «- quantità qualunque di biade - mi pare più chiaro.»
- ↑ biade, che cosa s'insegna, che cosa si può concludere? se non ce ne fosse assolutamente, che quistione si scioglie? Se non ci fosse grano assolutamente, non si parlerebbe più di stentare, ma di morire tutti in pochi giorni. [I grani si raccolgono] (lacuna) Ognun sa che [il grano] i grani si raccolgono una volta l’anno, o a [tempi] certe distanze, e che si consumano alla giornata; è quindi necessario che
- ↑ vi
- ↑ alla popola
- ↑ [cono] aver conosciuto
- ↑ la quantità di grano esistente,
- ↑ una
- ↑ ricerche
- ↑ si afferma
- ↑ calcoli, senza
- ↑ non ap
- ↑ anche
- ↑ [che | per mezzo d | l’osservazione di] per le sue conseguenze,
- ↑ contra tutte le indagini | tutta
- ↑ tutta
- ↑ L’as
- ↑ vero
- ↑ il ca
- ↑ veramente
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «direi se è lecito farla da arrogante: - la sproporzione tra il grano e il bisogno. Il [rincaramento] caro prezzo è un doloroso, deplorabile, funesto, acerbo (accumulate quanti epiteti vorrete, non saranno mai troppi: ma il sostantivo [sarà] è: rimedio). Il caro prezzo è un rimedio — fino alle parole - la scarsa e mancante vittovaglia. Se una forza qualunque potesse illudere fino alla fine, addormentare tutti i terrori, tutte le cupidigie, tutte le previdenze, di modo che in un anno generalmente scarso il prezzo rimanesse basso come negli anni abbondanti, che ne avverrebbe? Finché grano vi fosse, il consumo sarebbe uguale a quello degli anni abbondanti, si vivrebbe lietamente e a discrezione per qualche tempo. Poi all'ultimo si morrebbe di fame, perché tutta la provvisione sarebbe stata consunta qualche mese prima del nuovo raccolto. -»
- ↑ dite quanti epitet
- ↑ meno d
- ↑ la classe più numerosa a [scemare] diffalcare
- ↑ conserva
- ↑ quella
- ↑ porzione di
- ↑ potenza
- ↑ addorment
- ↑ fino all’ultimo
- ↑ far sì
- ↑ non
- ↑ [quella forza] l'effetto terribile di questo fallace beneficio sarebbe di
- ↑ gli uomini
- ↑ sarebbe
- ↑ e l’ultimo e terri | e l’
- ↑ e terribile
- ↑ fallace
- ↑ lasciare la popolazione lontana ancor dal raccolto senza un
- ↑ pri
- ↑ sono perso | si
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: « - codeste - s’il vous plait».
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo».
- ↑ naturale
- ↑ di alcuni, essi
- ↑ poiché è difficile far credere
- ↑ chi raccomanda
- ↑ chi raccomanda
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: « . punto fermo». Cancellatura [chi disputa coll’ | nega all’ | addolorato sulle cagioni del dolore | chi nega e chi vuol disputare con l’addolorato sulla cagione del suo dolore | chi dice: il patimento è inevitabile] chi nega all’addolorato che la cagione [del su] prima, unica del suo dolore sia (lacuna) e appena appena
- ↑ del suo dolore si
- ↑ ed
- ↑ perversa
- ↑ appena appena quando
- ↑ i veggenti in que
- ↑ Il
- ↑ non [può che | proferisce] può dire questo
- ↑ un uomo
- ↑ Queste false idee che pur vivono ancora e anche
- ↑ ancora
- ↑ dei più, e
- ↑ ai tempi
- ↑ più avidamente bevute
- ↑ la rozzezza era ancora quasi universale
- ↑ era di pochi
- ↑ applicato come
- ↑ [più o meno spropositata non può non esistere nella società ; e si tratta soltanto] più o meno spropositata
- ↑ lo scarso
- ↑ provate le so
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «- eppure - è forse meglio».
- ↑ altri
- ↑ [di un| del male
- ↑ Segno di richiamo, e a margine in penna: « - e che lo accapparravano - mi pare necessaria questa giunta per motivare il ragionamento che segue»
- ↑ Sic.
- ↑ stivato suggellato
- ↑ l’esaminare il
- ↑ pensare che
- ↑ quel
- ↑ era in gran
- ↑ s’era
- ↑ [conveniva prima] era da osservarsi prima
- ↑ [lasciando stare] senza dire che quegli accapparratori (sic) sarebbero
- ↑ intenta
- ↑ in lamenti non pensava che i
- ↑ le presen
- ↑ ripeteva che la colpa era tutta degli accapparratori. (sic) Aggiun | di quegli che
- ↑ Sic. il grano
- ↑ [perché si accapparrasse] (sic) il grano per | i grani si accaparrassero (sic) da speculatori ingordi | che i grani si accapparass | i grani si spe
- ↑ [quegli che] gli ammassatori scellerati, i fornaj che ne facevano provvista scellerati che volevano affamare | il ritirarlo dal commercio, e imporgli
- ↑ scellerati
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «Proseguo nella mia arroganza: - il prezzo che sarebbe piaciuto alla loro avidità. Che volevasi adunque? Forse che ogni [famiglia] cittadino si provvedesse di tutto il frumento necessario all'annuo consumo? Idea troppo pazza per cadere in mente ad alcuno. Però, se la popolazione avesse voluto o saputo rendersi un conto esatto delle sue idee, avrebbe trovato ch’ella voleva che il grano non fosse in nessun luogo: né presso i possessori di terre, né presso i mercanti, né presso i fornaj, né presso i consumatori. Frattanto che si declamavano spropositi, il valore delle granaglie [si] andava aumentando. Il prezzo straordinario - »
- ↑ [Che ognuno provvedesse.] E siccome era impossibile che
- ↑ e di
- ↑ spropositi grossi e in gran numero, ma
- ↑ obbliga
- ↑ ha
- ↑ vede
- ↑ d’un
- ↑ A margine, in penna: « - Ad ogni modo, l’effetto immediato di quegli spropositi de* magistrati era d’esacerbare - ecc. ».
- ↑ quegli spropositi non
- ↑ all’insipienza
- ↑ ma alla loro insufficienza.
- ↑ di più.
- ↑ [Accadeva allora] Gli uomini facevano allora quello che pur troppo hanno fatto quasi sempre. Dicono intollerabile la sventura quando è ancora [nei suoi pr] in picciol grado, [quando] la rassegnazione [sarebbe] sembra loro impossibile quando è ancor facile: s’ingegnano tanto che [ella] la rendono più grave, e che la spingono talvolta ad un segno, in cui non resta più nemmeno ad essi la forza necessaria per essere impazienti, [e passano dalla ferocia allo stupore | e dopo aver comincialo con la ferocia, finiscono con lo stupore, e invece di rassegn] ed hanno, ben più della rassegnazione lo stupore. —
- ↑ A margine, del Manzoni: «Grida del 2 agosto 1628» Cancellato la conseguenza
- ↑ avevano riso, e
- ↑ venderlo
- ↑ Nuovo
- ↑ possidenti a nasc
- ↑ come sono sempre comparsi in simili casi
- ↑ fatte
- ↑ [offersero quest] cercarono il riso
- ↑ i quali
- ↑ risposero
- ↑ far passare il grano
- ↑ o trovavano altri
- ↑ ad ogni
- ↑ e del sospetto pubblico:
- ↑ non tanto
- ↑ conoscere
- ↑ complicità
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo».
- ↑ un peso di odio pubblico
- ↑ i più agguerriti contro il terrore, e contro l’infamia, i quali
- ↑ ed il sospetto,
- ↑ [si | vedevano che tutt] non vedevano in tutte queste cose che una [quella di] possibilità di maggiore guadagno (lacuna) In mezzo a tan (lacuna)
- ↑ sofferte e
- ↑ La carezza
- ↑ ne avevano portato
- ↑ se [credi] crediamo al Tadino, al prezzo esorbi
- ↑ Il Ripamonti [nella] storico (dell] allora vivente, nella storia della peste asserisce che si vendeva a cinquanta lire il moggio; il Tadino [al] altro storico della peste e pure vissuto al tempo della carestia, poi [porta il] afferma che il prezzo comune della città era di settanta anzi di ottanta lire
- ↑ una a dir
- ↑ la prece
- ↑ esagerazione
- ↑ I mali, generalmente parlando, produc
- ↑ negli uomini
- ↑ Si dice
- ↑ allora
- ↑ s’accomoda ad ogni
- ↑ esser passato per
- ↑ che doveva essere
- ↑ A margine, cancellato Capitolo VI
- ↑ all’assedio di Casale
- ↑ tardi
- ↑ non avevano
- ↑ persuaso [che] confusamente che il male era nella carestia del pane (lacuna) S’appigliò
- ↑ vedendo
- ↑ chiaro
- ↑ e sono spaventati da quello che veggono
- ↑ Suppose egli
- ↑ grano
- ↑ aveva creato
- ↑ conchiuse
- ↑ avesse
- ↑ fare
- ↑ di quelle trentatré lire
- ↑ [Andando] Andando
- ↑ adunque
- ↑ pose mente
- ↑ che
- ↑ osservò
- ↑ il prezzo di trentatr
- ↑ tale
- ↑ era
- ↑ era una
- ↑ scritto, spiccato, e pubblicato
- ↑ A margine, del Manzoni, non cancellato Capitolo
- ↑ erano rimasti e rimanevano tuttavia
- ↑ lo avev
- ↑ [sanzionato] sancito legalmente
- ↑ accorrev
- ↑ stabili
- ↑ riunite
- ↑ L'ordine, come è facile immaginare, non fu egualmente accetto ai fornaj (lacuna)
- ↑ Segno di richiamo, e a margine, in penna: «. punto fermo».
- ↑ il minor num
- ↑ somministrare
- ↑ quello che la l
- ↑ che quel prezzo stabilito era altamen
- ↑ [pure non] non poteva però non vedere | vedeva
- ↑ non poteva non sentire
- ↑ indipendente
- ↑ prev
- ↑ e
- ↑ dice
- ↑ sorte
- ↑ que
- ↑ insistenz
- ↑ con la
- ↑ Questi [forzati] costretti
- ↑ la
- ↑ della
- ↑ serv
- ↑ a facchinare e a scalmanarsi
- ↑ perdere
- ↑ [cercava | lo adulterava quanto poteva] senza irritarsi all’estremo
- ↑ meno
- ↑ apparire
- ↑ Sottolineato come ecc., e margine, in penna: «lascerei questo paragone cosi intempestivo in materia cosi triste. »
- ↑ rinnegherà
- ↑ toccasse con mano il prezzo
- ↑ non
- ↑ atterrito
- ↑ farla
- ↑ menar buoni
- ↑ [agli] ai
- ↑ guada