Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro I/VII
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CAPITOLO SETTIMO.
Descrive l’Autore ciò, che più di curioso vide in Mexico.
Per rimediare a ciò, il Signor V. Re spedì nei Mercordì 13. ordini, e lettere circolari a’ lavoratori, e persone benestanti, che introducessero nella Città tutta la quantità di grano possibile; perocchè mangiavasi un pane picciolo, che costava quindici grani della moneta di Napoli, quando non pesava per quattro.
Avendo alcuni Indiani conosciute carnalmente una madre, e una figlia, e poscia rubatele, e uccise, due leghe distante dalla Città; furono il Giovedì 14. due di loro giustiziati. Era condotto co’ medesimi un’altro, il quale due ore prima s’era trovato, con una chiave falsa, aprendo una bottega, per rubarla. Costui ebbe prima una frusta di ducento colpi sulle spalle, e poi fu bollato, con un ferro rovente, sotto la forca; oltre il gastigo, che doveva avere, fatta la causa: stando con particolar vigilanza il Signor V. Re, sul fatto di punire i ladri.
Per essere il terzo Venerdì di Marzo a’ 15. uscì dall’Ospedal Reale (eretto dal Rè con otto mila pezze di rendita, per servigio degl’Indiani infermi) una divota processione, in rimembranza della Passione del Signore. Precedevano più di cento Confrati, in abito di penitenza; quindi la Nobiltà, e poscia altri penitenti. Seguiva poscia una compagnia di soldati vestiti di nero, armati di celata, e trascinanti le picche: e in mezzo ad essi andava uno a cavallo, portando appesa a un’asta una tunica, simboleggiante quella di Nostro Signore. Vi erano però pochissimi sonatori. Quella processione dee farsi infallibilmente, perche così ha comandato il Rè, con particolar cedola.
Il Sabato 16. andai a caccia di tordi, essendovene gran copia, e di varie spezie; come neri, bianchi, e con macchie rosse. Nel ritorno andai nella Real Audienza, a udir riferire, e parlar la causa di D. Antonio Gomez, mio amico. Mentre era ne’ corridoj del Tribunale, vidi venire il Signor V. Rè D. Giuseppe Sarmiento, e passare nella sala del Crimen: e quivi sedersi in mezzo agli Auditori, nel medesimo banco.
La Domenica 17. andai nell’Ospedale Reale, a vedere un Teatro mezzanamente capace, dove si rappresentano le Commedie: si applica il guadagno, che se ne cava, al mantenimento del medesimo Spedale.
Udii Messa il Lunedi 18. nella Chiesa Cattedrale. Ella è ben grande, ed a tre navi a volta, formate da alti Pilastri di pietra. La fabbrica non è ancor finita, e si fa tuttavia a spese del Re, il quale le ha assegnato, oltre una certa somma dalla Real Cassa, mezzo Reale per tributo di tutta la diocesi: e perciò l’Arcivescovo abita in una casa (eziandio pagata dal Re) dirimpetto la Casa della Moneta. Nel mezzo fra il Presbiterio, e’l Coro, ingegnosamente lavorati d’odorifero legno, con bellissime figure, e fogliami: e quattro vaghi altari tiene ne’ lati del suo quadrato. All’intorno la Chiesa sono più cappelle ricchissime, e dorate, che non invidiano punto al famoso altar maggiore. Il frontispizio è vistosissimo, con tre porte; oltre altre cinque, che sono ne’ lati.
Scrivono gli Storici, che questa Chiesa fu fondata dal Marchese D. Fernando Cortes, nel medesimo sito del Tempio maggiore del Gentilesimo; però altri, dalle antiche dipinture, e figure, pruovano, che questo Tempio era, dove oggidi è il Collegio di S. Alfonso. Il P. Medina pag. 235. Che che sia di ciò fu eretta in Vescovado questa Chiesa a’ 13. di Ottobre del 1625. e in Arcivescovado a’ 31. di Gennaio del 1645. Il P. Ventancur cap. 3. pag. 17. Tiene undici Vescovi suffraganei, cioè de la Pobla de los Angeles, Mechoacan, Huxacca, Guadalaxara, Guatimala, Iucatan, Nicaragua, Chiapa, Honduras, e Nueba-Viscaya; de’ quali undici Vescovadi le sole decime importano cinquecento, e sedici mila pezze; e tutte i frutti cinque milioni, cento, e sessanta mila pezze d’otto. Si sono spesi alla fabbrica della Chiesa di Mexico dal dì, che si fondò, sino a’ 22. di Decembre 1667. un milione, e cinquanta due mila pezze d’otto; e tutta via la fabbrica non è finita.
Per la festa del Glorioso S. Giuseppe, andai il Martedi 19. udir la Messa, e’l Sermone nella Chiesa della Mercede. Vi sono ricchissimi altari, e tetto dorato; e’l Convento è ben ordinato, e capace di più, e più Religiosi. Nell’uscire, che feci dalla Chiesa, incontrai la Santissima Eucaristia uscita dall’Arcivescovado, per portarsi a un’infermo. Portavala il Sacerdote in una carozza, tirata da quattro mule, mantenute dalle rendite delle Confraternità.
Il Mercordi 20. udii messa nel Monistero delle Monache di S. Chiara; rinomate per le buone pastiglie d’odore, che lavorano. La Chiesa è ben’ornata, e’l Convento di buona fabbrica.
Il Giovedi 21. postomi a cavallo col servidore, andai tre leghe lontano dalla Città, per vedere il famoso Giardino del Colleggio di S. Angelo, de’ PP. Carmelitani Scalzi. Quivi giunto, fui cortesemente ricevuto dal P. Rettore, e dal Padre Fr. Gio: di S. Lorenzo; i quali menandomi alla Chiesa superiore, fecero certamente vedermi una massa, d’oro, sebben picciola. L’inferiore, era anche bella, con cinque altari. Passeggiammo poscia per tutto il Convento, che è così grande, e capace, che non solo vi abitano comodamente 52. Religiosi; ma sono già 108. anni, che sempre vi si celebra il Capitolo Provinciale. La libraria è delle migliori dell’Indie, essendovi circa 12. mila corpi di libri.
Il Padre Fr. Gio: menommi al tanto rinomato Giardino, che quantunque nel circuito delle mura non ecceda tre quarti di lega Spagnuola; nondimeno, passandovi un gran fiume per mezzo, lo rende così fertile, che i suoi alberi Europei, apportano di rendita al Convento più di 13. mila pezze l’anno. Si truovano quivi pere di 40. sorti, che si vendono sei pezze d’otto la soma; varietà di pome, pesche, e mele cotogne: perche quanto alle noci, castagne, e cose simili sono in poco numero. Pretendendo l’Arcivescovo la decima di queste frutta, e negando i PP. di volerla dare, come di alberi piantati per uso del Convento; per ordine del Re venne un’Auditore, a numerar gli alberi; e trovonne sino a tredici mila, siccome mi riferirono persone degne di fede. E’ posto il giardino in luogo ameno, appiè d’altissimi monti. Tengono i PP. nel medesimo Collegio un buon giardino di fiori, nel quale sono alberi di Garofano; però questi sebbene hanno i fiori del medesimo odore, e fraganza di quei delle Molucche; non vengono però a perfezione. Vi sono vivaj, con varj pesci, e fontane assai ben lavorate, per diporto de’ Religiosi. Dopo desinare ritornai in Mexico.
Andai il Venerdi 22. a vedere un famoso Convento di Monache, detto della Conceçion. Elleno sono circa 85. e tengono da cento serve; perche vivendosi nella maggior parte delle Religioni della nuova Spagna, non in comunità, ma ricevendosi dal Monistero il danajo, per mantenersi (cioè due pezze d’otto, e un quarto la settimana per persona); ciascuna mantiene cinque, e sei serve. Il Convento perciò è ben grande, fabbricato colla spesa di più centinaja di migliaia di scudi; e la Chiesa è anche grande, e bene ornata.
Entrai il Sabato 23. nel Convento, quivi vicino, di S. Lorenzo, similmente di Donne. La Chiesa è ben ornata, con sette altari, e col tetto dorato.
La Domenica 24. andai a vedere l’Ospedal di S. Jacinto, appartenente a’ Missionarj Domenicani di Manila. La Chiesa è picciola, ma bella; e l’Ospizio, nuovamente fabbricato, capace di cinquanta Religiosi; che si sostentano colla rendita del giardino, come il Collegio di S. Angelo; e rimane anche loro danajo per mandarlo in Cina: avendomi riferito il Padre Martino Ibañes Biscaino, dell’istesso Ordine, che frutta ogni anno 8. in 9. mila pezze da otto, di sole erbe, e verdure. E’ da notarsi però, ch’il circuito delle mura del giardino non è più che un terzo di lega. L’esser prossimo alla Città fa la rendita maggiore.
L’ospizio di S. Nicolas de Villanueba de’ PP. Agostiniani della mission di Cina, è contiguo al suddetto, verso Mexico. Vi ha una Chiesa, ed abitazione per ospiziare 40. missionarj, come mi riferì F. Pietro Flores Procuratore del medesimo. Si sostenta anche colle rendite del giardino.
Essendo il giorno della Annunziazion della Vergine, il Lunedi 25., andai a udir la messa cantata, e’l sermone nel Convento dell’Incarnazione: e vi udii cantar le Monache assai bene. Elleno sono circa cento, e tengono sopra 300. serve: e perciò la Chiesa tiene sette piccioli altari, ma il Convento è ben grande. Dopo desinare passando per S. Francesco il Grande, vi trovai radunata quasi la metà del Popolo, per vedere l’esequie di tre giustiziati, ridotti in quarti un mese prima, per enormi delitti; e poi lasciati esposti ne’ luoghi publici, per terrore degli altri. I PP. di S. Gio: di Dio, gli dimandarono all’Audienza del Crimen; ciò che ordinariamente si concede. Postigli poi nella Cappella de los disimparados, nel loro Convento; chiesero limosina, per sepellirgli, e celebrar messe. Gli portarono poscia (giusta il costume) in S. Francesco, dove quei PP. fecero l’esequie, con un buon sermone; e finalmente portatigli per le strade pubbliche della Citta, gli sepellirono nella Suddetta Cappella de los disimparados.
Entrai il Martedi 26. nella Caxa Real, posta dentro il Real Palagio. Ne hanno la cura tre Uficiali Regj, cioè a dire il Contador, il Fattor, e’l Tesorero; che ricevono il danajo de’ tributi, e del Real Quinto, per marchiar l’argento. Questo non sarà meno ogni anno di seicento mila marchi, d’otto oncie l’uno; oltre quello, che si frauda al Re, ch’è la maggior parte. Mi riferì D. Filippo de Rivas Ensayador Real nel medesimo Tribunale, che nell’anno 1691. egli ne marchiò ottocento mila marchi. Tutto questo argento si riduce poi in moneta; separandone prima l’oro: cioè quando ve n’avesse 40. grani per marchio, altrimente non torna conto il separarlo.
Il Mercordi 27. andando alla Cappella Reale, incontrai il Governadore del nuovo Mexico, che dovea andarvi a far dimora per cinque anni. Essendo il medesimo stato in Napoli, contrasse meco una stretta amicizia; e narrommi come da piccioli principj, era giunto a quel posto. Questo Paese è nuovamente conquistato; ma molto più rimane da conquistarsi. Fummi, con questa occasione narrato, che quei Cicimecchi sono così destri arcieri, che colpiscono un reale in aria; e fanno cader tutti i grani d’una spica, senza giammai troncarla. Sono molto golosi della carne di mula; onde talvolta, rubati i viandanti, han lasciate le casse di pezze da otto (che non apprezzano), e portatesi le bestie. Di più costumano di pingersi il corpo, come i Frati, che vanno a’ Bettelemme. Mantiene il Re seicento soldati a cavallo in più Presidj del nuovo Mexico, con soldo di 450. pezze d’otto l’uno: però in fatti i soldati ne hanno solamente pochi reali, e’l rimanente entra nella borsa del Governatore, il quale vende loro tutto quello, che fa di bisogno nel mestiere; volendo per ragion di esemplo 20. pezze di ciò, che val due; e con questa illecita industria, il Governo viene a rendere 300000. pezze. Or questi Soldati vanno armati di rotella, archibuso, e mezza lancia; non già per combattere co’ Cicimecchi, ma per girgli cacciando a guisa di bruti circa il mese di Novembre. Hanno ordine dal Re di adoprarsi in modo, che non gli uccidano; ma gli conducano ad essere istrutti nella nostra Santa Fede. In questo modo si sono conquistate sinora, verso Ponente (benche si difendano a più potere, colle loro freccie) più di 150. leghe di Paese. Il male si è, ch’essendo ben 500. leghe lontano da Mexico, i Barbari facilmente prendono fidanza di rivoltarsi; sapendo, che non ponno esser mandati soldati dì soccorso, in tempo troppo brieve. E’ vero che il Paese è piano, e comodo per gli carri, in alcuni mesi; ma denno passarsi così spaziosi deserti, che per lo rischio d’essere assaliti da’ silvestri, sogliono ogni sera trincerarsi, guardati da’ soldati. I Padri Francescani han cura della conversione di questi Cicimecchi, più tosto Ateisti, che Idolatri: e ne han ridotto buon numero a viver da uomini, però quel naturale silvestre l’inchina sempre alla solitudine.
Il Paese è cosi popolato, che vi si cammina molte giornate, senza incontrarvisi alcun villaggio; onde il V. Re di Mexico vi mandò gli anni passati più famiglie, a popolarlo: essendo il terreno ottimo producitore di quanto vi si semina, anche di frutta Europee; oltre l’aver ricche miniere d’oro, e d’argento. Or non permettendo la lunghezza della strada di portar materasse, per dormire; i Padri Gesuiti, che vanno alla loro Missione del Parrai (più ingegnosi degli altri Missionarj, in quel che tocca la comodità) hanno appreso da’ medesimi Indiani, di portare, avanti lo arcione della sella, lo loro materasse, ed origlieri di pelle; che la sera s’empiono d’aria, col fiato, e la mattina si fanno tornare al loro stato.
Andai il Giovedì 28. nel Monistero di S. Caterina di Siena, di Religiose Domenicane; dove trovai una Chiesa ben’ornata di nove altari; e l’abitazione abastanza capace. Il Venerdi 29. dopo desinare, prima s’udirono alquanti tuoni, e poi caddero ben grosse grandini, e una buona pioggia.
Dovendosi il Sabato 30. far la visita generale de’ carcerati, per le seguenti feste di Pasqua; il Signor V. Rè sentì primamente Messa nella Real Cappella; dove, in una fila di sedie, s’assise egli nel mezzo, e gli Auditori, ed Alcaldi allato. Dirimpetto stavano seduti i due Fiscali, del Rè, e del Crimen. Finita la Messa, passarono nella Sala del Crimen, ed in passando, furono presentati al V. Rè due alti rami di fiori, con conigli appesi, da alcuni Indiani (rappresentanti il loro Comune) e mazzetti di fiori a i Ministri, in segno d’ossequio. Sedettesi il V. Rè in mezzo del banco, sotto il baldacchino; e allato gli Auditori, Alcaldi, e Fiscali, al numero di dieci: e quindi il più antico Auditore lesse i memoriali de’ rei; de’ quali uditi i delitti, il V. Rè, col parere degl’istessi Auditori, determinava ciò che si avesse a fare: nelle cause però de’ ladri non avea stilla di pietà, ma ordinava, che si proseguisse la causa.
Dopo desinare fui invitato da D. Filippo de Rivas, Ensayador della Real Cassa, a veder l’operazione, ed esame, che dovea farsi in sua casa da un’argentiere, suo discepolo, per la miniera di Sacatecas, coll’assistenza degli Officiali della Cassa Reale. Andatovi, trovai questi seduti sotto il baldacchino Reale, della medesima maniera, che sogliono stare nel Tribunale. Il Fattore, più antico de’ medesimi, diede all’argentiere un pezzo d’argento, che avea molto oro mescolato; per investigarne la ley, o qualità, e quanti grani d’oro, piombo, o altra liga vi erano. Fatta l’operazione in un fornello, che era acceso di fuori, e colla bocca dentro l’istessa camera; seppe dar ragione agli Uficiali della dimanda: e’l simile fece d’un pezzo d’oro, che poi gli diedero, per saperne i carati; di maniera che l’approvarono, come abile nell’esercizio suddetto d’Ensayador. Vi furono poscia acque dolci (per rinfrescare i corpi, scaldati dalla fornace) cioccolata, e varietà di cose inzuccherate, anche per portarle a casa; particolarmente molte pastiglie. Sono queste rotonde, fatte di pasta di zucchero, con molt’odore, e con figure impresse sopra, a modo degli Agnus Dei di cera, che si dispensano in Roma. Costumano li Indiani darle colla cioccolata, e biscotti; non per mangiarsi, ma per portarsi a casa, offendendosi se taluno, ignorante del costume, le lascia. Se ne danno più, e meno, secondo la qualità del soggetto, però almeno vagliono un reale l’una.
La Domenica, ultimo del mese, dopo Vespro, vidi una curiosa cerimonia nell’Arcivescovado, chiamata della segna: tredici Canonici vestiti di lunghi mantelli neri, con capuccio, passarono dal Coro al Presbiterio, per mezzo lunghe inferriate. Ivi genuflessi, il Decano prese uno stendardo nero, con una Croce rossa in mezzo, che (cantate alcune preci, e versi della passione), cominciò a volgere ora a destra, per toccare colla punta l’ultimo de’ Canonici, ora verso l’altare; e poi a sinistra, per farla toccare dall’ultimo Canonico di quella parte, essendo egli in mezzo la fila. Ultimamente fece sventolare alquanto in aria lo stennardo, e postoselo quindi in ispalla, passeggiò per lo Presbiterio, in memoria d’aver Cristo Signor nostro passeggiato per lo Cortile di Pilato. Posti poi tutti in fila, colle spalle all’altar maggiore del Presbiterio, fecero, a un per uno, profonda riverenza, e partirono verso il Coro, trascinando lunghissima gramaglia. L’ultimo fu il Decano, fra due Canonici, collo stendardo nelle mani.
A causa d’una scandalosa pratica, fù il Lunedì 1. d’Aprile, posto prigione, nel Castello della vera Crux, il Conte di S. Iago.
Entrai il Martedi 2. nella Zecca, dove vidi, a mio piacere, in più stanze, coniar le pezze da otto, con martelli. Il Mercordì 3. vidi la 2. Processione della Passione, fatta da Indiani. Ella uscì dall’Ospidal Real, composta di gran moltitudine di confrati, con mazze tinte in mano, in luogo di torcie.
Il Giovedi Santo 4. ne passarono tre, una appresso l’altra: e furono de’ fratelli della Trinidad, vestiti di rosso; de’ fratelli della Chiesa di S. Gregorio, de’ PP. della Compagnia; e de’ fratelli di S. Francesco, che si chiama Processione de los Cinas, per esser d’Indiani delle Filippine. Ogni una portava le sue statue, con quantità di lumi, e una compagnia d’armati, nel modo riferito di sopra: oltre alcuni, che andavano a cavallo, preceduti da trombe lugubri. Giunta la Processione al Real palagio, ebbero contesa di precedenza i Cinesi, e’ Fratelli della SS. Trinità; onde si diedero colle mazze, e Croci sulle spalle; in modo che molti vi restarono feriti.
I sepolcri, e monumenti, che si fanno in Mexico, sono vaghi, e vistosi; però poveri di lumi, e tutti su d’un modello, e ogni anno dello stesso modo: essendo i Tabernacoli alti, con colonnate, e lavori di stucco dorato, che servono sin che è buono il legno. La notte andai a vedergli, come ivi sì costuma. La mattina poi del Venerdì 5. andai ben per tempo in casa di D. Filippo de Rivas, che mi avea invitato, per vedere la Processione del Calvario, o di Gerusalemme, che esce da San Francesco il Grande, coll’insegna del S. Sepolcro. Quattr’ore prima di mezzo dì si udirono tre trombe, con suono flebile, e poi si videro molti fratelli con lumi in mano; fra’ quali andavano varj disciplinanti. Seguiva una compagnia d’armados; de’ quali alcuni erano a cavallo, portando la sentenza, titolo, veste, ed altri simboli della Passione. Quindi alcuni, rappresentanti il buono, e mal Ladrone, Nostro Signore, la Madre Santissima, S. Giovanni, e S. Veronica. Poscia due, che si fingeano Sacerdoti Ebrei, sopra mule; ed altre simili apparenze, assai ben disposte. Tornata la processione in S. Francesco, si predicò in mezzo al cortile, per la moltitudine del popolo, ivi adunato, per vedere le tre cadute di Nostro Signore, gli atti della Veronica, della Madre Santissima, e di S. Giovanni, che vi si dovevano rappresentare, per muovere tutti a tenerezza.
Dopo desinare comparve la processione de’ Neri, ed Indiani, fratelli della Confraternità di S. Domenico; con più persone, che si disciplinavano, e faceano altre penitenze. Vi erano divote figure, una compagnia di uomini armati, e’l monumento di Nostra Signora. Dopo questa seguì quella degli Spagnuoli, detta dell’Enterramiento de Cristo, accompagnata da sedici Regidores, (che sono gli Eletti della Città) due Alcaldes, e un Corregidor (che in prima istanza rendono giustizia in Mexico) preceduti da’ loro Alguaziles, o Capitani di birri. Seguivano molti Cavalieri d’abito, e fratelli; e tutti i misterj della Passione, portati, sopra picciole bare, da Angeli, ben vestiti di nero, con gli abiti ornati di gioje. Appresso venivano dieci penitenti, con lunghissime gramaglie; la compagnia di uomini armati, assai ben vestiti d’arme bianche (come è detto delle altre); e in ultimo Nostro Signore in un ricco Sepolcro d’argento, serrato di cristallo, donato già dal Vescovo di Campece al Monistero di S. Domenico. Andava, presso al monumento la Madre Santissima, e S. Giovanni; e dopo un’infinità di divoti. In somma non ebbe che cedere alla magnificenza delle nostre Europee.
Uscì poi la terza processione d’Indiani, della Parrocchia di S. Giacomo de’ Padri Francescani, con gl’istessi misterj, Angeli (però non cosi ben vestiti), disciplinanti, compagnia d’armati, e tomba di Nostro Signore; appresso al quale andavano alcune donne Indiane, coperte di lutto, e piangenti, rappresentando le figlie di Sion.
La mattina del Sabato 6. furono il Signor V. Rè, e la Signora V. Regina nella Cattedrale, ad ascoltare i divini uficj, e le altre cerimonie: il primo seduto sullo strato; la seconda entro un palchetto, serrato da gelosie; amendue nei corno del Vangelo. In un banco, dietro la sedia del V. Rè, sedevano il Cappellano, Maggiordomo, Capitan della Guardia, e Cavallerizzo. Dal corno della Pistola sedeano i Reggidori, assistiti da due mazzieri, vestiti di damasco, con mazze di argento in mano. Finite le solite cerimonie, si cantò la Messa, e si scoperse, nell’intonarsi il Gloria, il ricco tabernacolo di marmo; il di cui primo ordine è sostenuto da 16. colonne, e da 8. il secondo, con statue magnificamente dorate; macchina, che giunge sino al tetto della Chiesa. Vi è un pergamo altresì dell’istesso fino marmo delle colonne, eccellentemente lavorato. Venne desiderio alla V. Regina d’un poco di vino: e il Cherichetto, che glie lo portò, cadde per la scala in giù, con tutta la caraffina in mano, non senza risa del popolaccio.
La Domenica 7. giorno di Pasqua di Resurrezione, andai nella Chiesa di S. Agostino il Grande; e vidivi (giuda il costume) il V. Re, che assisteva alla Messa, seduto nella sua sedia, sullo strato; e circa 18. Cavalieri di S. Giacomo, seduti su due banchi allato, colle loro sopravvesti bianche dell’Ordine. Ebbero prima in giro la pace, e poscia tutti si comunicarono. Sono in Mexico molti Cavalieri, di quello, e di altri Ordini, i quali s’esercitano a misurar drappi, e tele; e vender, non solo cioccolata, ma altre cose ancora di minor pregio; dicendo, che per una Cedola di Carlo V. non resta pregiudicata la loro nobiltà. La Chiesa Suddetta è bellissima, con 13. Altari, ricchissimi d’oro, et adorni di buone dipinture. Entrandosi si vede a sinistra una picciola Congregazione de la Terzera Orden, con cinque altari, riccamemte ornati. Dopo desinare andai nel Teatro, a veder rappresentare una commedia, intitolata: la dicha, y desdicha del nombre. Riuscì tanto nojosa, che mi sarei ben contentato d’aver dati i due reali, (che si pagano per entrare, e sedere) per non sentirla. Erano sedici Comici Criogli, o Indiani, che rappresentavano molto male; e ciò perche gli Europei tengono ad ignominia recitare pubblicamente.
Andai a visitare Nostra Signora di Guadalupe il Lunedi 8. una lega lungi dalla Città. La Vergine Santissima si compiacque apparire a un’Indiano, chiamato Iuan Diego ne’ principj, che si conquistò la nuova Spagna, e propriamente nel 1531.; imponendogli, che facesse sapere al Vescovo (che allora era Fray Iuan Sumarrica, Frate Francescano) che desiderava si fabbricasse in suo onore una Cappella, nel luogo dell’apparizione. Il Vescovo non prestò fede all’Indiano, onde, dopo altre apparizioni, nella 5., che fù in giorno di Sabato; la Madre Santissima comandò al detto Indiano, che raccogliesse alquante rose da sopra il monte, e le portasse al Vescovo; perche così gli avrebbe dato fede. Andò Iuan Diego nel monte, e vi raccolse, benche fusse nel mese di Decembre, vaghissime, e fresche rose, che giammai in quel luogo non erano nate. Portatele al Vescovo, nascoste nel manto (che chiamano Ayatl, fatto d’erba di Maghey, e trasparente, come un setaccio), quando volle scoprirle, in vece di rose, trovò una bellissima immagine della Vergine Santissima. Oggidì questo è il più divoto Pellegrinaggio, dove concorrono i Mexicani, con ricchi doni; co’ quali si sta fabbricando una Chiesa, ben grande a tre ale, sopra otto pilastri: nè vi vorrà picciola spesa, per ridursi a perfezione. L’altar maggiore d’una picciola Chiesa, dove presentemente è riposta, è ingegnosamente fatto d’argento. Vi sono altri tre altari, per la celebrazion di tante Messe, ch’ogni mattina vengono di limosina. Vicino alla Chiesa suddetta è il luogo della 5. apparizione, con una gran sorgiva d’acqua; e non molto lungi, sulla rocca, un divoto Romitorio, nel luogo appunto, dove l’Indiano prese le rose.
Dopo desinare andai a diporto nel canale di Xamaica, che è il Posilipo di Mexico. Vi si palleggia in canoas, o barche, (e se si vuole anche per terra) con gran numero di sonatori, e cantori, i quali quivi gareggiano (uomini, e donne) per far comparire la perfezione del lor canto. Lo rive sono sparse di povere case d’Indiani, e di Osterie; per prender rinfreschi, cioè a dire cioccolata, Atole, e tamales. Il principale ingrediente de’ due ultimi, è il grano d’India, in questo modo. Fan bollire il maiz con calce, e poi ch’è riposato, lo macinano, come si fa del cacao. Passano quindi la pasta per dentro un setaccio, con acqua, acciò n’esca un licore bianco, e denso simile a quello, che noi facciamo delle mandorle: e quel licore, poi che ha bollito un poco, si chiama Atole; e si beve, o mescolato colla cioccolata, o da per se solo. Del secondo modo i golosi lo bevono con zucchero; però in qualsivoglia modo è di gran nutrimento, e generalmente usato nell’Indie. Della pasta, che rimane lavata, si fanno i Tamali; ponendovi carne battuta, zucchero, e spezierie, e colorendogli anche al di sopra. Così l’uno, come l’altro non mi parvero di mal sapore, benche la mia bocca fusse accostumata ugualmente al buono, e al cattivo. Giunse il medesimo giorno, un corriere d’Acapulco, colla novella della partenza del Galeone di Manila, seguita a’ 30. dì Marzo; perloche si cominciò un’altra Novena, per lo suo buon viaggio.
Dalla vera Crux venne similmente avviso il Martedì 9. d’esser’entrata in quel porto l’Armata di Barlovento, che dovea accompagnar la flotta all’Avana. Udii Messa quel giorno in S. Ines, Monasterio di Religione, fondato da un Cittadino di Mexico, con bastanti rendite, per farvi entrar 33. donzelle povere, che sono di presente nominate dal suo erede. Il Convento all’incontro dà a questo Protettore, successore, per gratitudine, mille pezze d’otto l’anno, per comandamento del Fondatore. E’ quello jus patronato oggidì di un Crioglio di Casa Cadena. La Chiesa è ben’ornata, con nove Altari, e’l Cielo a volta, il tutto ben dorato.
Il Mercordì 10. incontrai il Sig. V. Re in una carrozza a due, e poi lo vidi por piede a terra nell’Alxondiga (luogo dove si vendono le vettovaglie), temendosi, per la mancanza del Maiz, di qualche rivoluzione. Fece egli frustare un’Indiano, che lo vendeva di nascosto. Non essendovi altro passatempo (perche i Cittadini di Mexico sono applicati totalmente al negozio) nè avendo io alcuna occupazione, andai dopo desinare a sentire una Commedia nel Teatro.
La mattina del Giovedì 11. andai a vedere Ciapultepech; luogo nel quale dicono le Istorie, essere stato il Palagio di ricreazione dell’Imperador Montesuma. Di presente serve d’abitazione a’ Signori Vice-Re sino attanto, che non si dispone la Città per riceverlo, e preparare l’ordinario Palagio. Da alcuni anni in qua non si fa più questo ricevimento pubblico; avendo la Città fatto rappresentare al Re il gran danajo, che spendere abbisognava; onde il Conte di Montesuma che ora è V. Re, entrò privatamente, a prendere il possesso nella sala della Reale Audienza; e poi che fu disposto il tutto, fece la solenne entrata a cavallo, per la Calzada di Guadalupe, accompagnato dalla nobiltà, e Ministri. Giunto all’arco trionfale, eretto avanti la Chiesa di S. Domemenico si serrò la porta, secondo il solito, per fare la cerimonia della presentazion delle chiavi, e del giuramento d’osservare i Privilegj della Città. Volendo egli por piede a terra, per ciò fare, cadde da cavallo, e gli cadde anche di testa la perucca; perche la bestia era bizarra, ed egli, come Dottore, ben poco pratico nel mestier di cavalcare. Passò quindi il secondo Asco riccamente adorno; e poscia un ponte, sui cimiterio della Cattedrale; alla di cui porta l’attendeva, ponteficalmente vestito, l’Arcivescovo, con tutto il Capitolo; per ricevere il giuramento, dell’osservanza de’ privilegi della Chiesa; e ciò fatto si cantò il Te Deum.
Per ritornare al Palagio di Ciapultepech, egli fu fatto fabbricare, appiè di un colle (nella cui cima è un romitorio, coll’immagine di S. Francesco Xavier) da D. Lodovico Velasco V. Re in tempo di Carlo V. come si legge nella Iscrizione sulla porta del medesimo; poco però è capace per la Corte d’un V. Re. Tiene due cortili; in uno de’ quali soleva la Città far la festa de’ Tori, mentre si disponeva l’entrata. Il giardino è picciolo, però vi ha una gran sorgiva d’acqua; che dopo aver servito al Palagio, si conduce per una Cañaria (senz’Archi) sin’a Belen, Noviziato de’ Padri della Mercede; per uso anche degli abitanti di quel Rione. Dicono che questo fonte fosse stato trovato a caso da un V. Re, mentre facea cavare, per trovar il Tesoro di Montesuma. Quivi vicino è un boschetto, e non lungi la casa della polvere, che si lavora con ingegni ad acqua. Principiano da Ciapultepech i famosi Archi (Caños detti dagli Spagnuoli) per gli quali si conduce in Mexico una preziosa acqua, che nasce in Santa Fe, tre leghe quindi discosta. Fece questa immensa spesa un particolar Cittadino, chiamato Marco Guevara. Di questa acqua, come più leggiera, si servono quasi tutti, perche quella di Belen è grossa. Alcuni dicono, ch’entrando, da Ciapultepech avanti, in canne di piombo, prende mala qualità; io però la trovai assai buona.
Andai il Venerdì 12. a vedere la miracolosa Immagine di Nostra Signora de los Remedios. Per giungervi camminai tre leghe, per un buon paese piano, e coltivato, come quello di Poggio Reale di Napoli. La Chiesa è fabbricata sopra un colle, con sufficienti abitazioni per gli Sacerdoti; che la servono, sotto la cura d’un Vicario. Ella è adorna di bellissime dipinture, con cornici dorate; come anche il tetto, e i quattro altari; il maggiore però (dove è la Santa Immagine di rilievo, alta due palmi) oltre l’esser tutto dorato, ha un bel baldacchino d’argento massiccio; un’avanti-altare di cristallo, con figure dorate al di sotto; e fino a trenta ben grandi lampane d’argento, ingegnosamente lavorate; nè si vede punto risparmiato quello metallo, per ornare il Pergamo. Dietro l’altar maggiore è una cameretta, ove sono riposte le cose più preziose della Vergine, donatele da’ divoti.
Narrano, che questa S. Immagine fusse stata tolta a un Soldato da un certo Indiano, il quale nascostala fra alcune piante di maghei, le presentava da bere, e da mangiare; sulla semplice credenza, che avesse bisogno di nutrimento, come viva. E perciò si mostra un ticomatte, o vaso, dentro il quale le dava a bere. Per le gran ricchezze che vi sono, e per essere su d’un monte, dubbitandosi di ladri; non s’apre la Chiesa, che due ore prima di mezzo dì.
Udita messa, passai nel Convento di S. Xuachin, de’ Padri di S. Teresa, che da pochi anni in quà si è cominciato a fabbricare. Abitano perciò i Religiosi in comodamente, e celebrano in una picciola Chiesa di tre altari. Stanno anche circondando di mura un grande spazio di terreno, per fare un famoso Giardino, che col tempo sarà dilettevole, e di grande utilità. A vendo desinato co’ medesimi Padri, ritornai, sul tramontar del Sole, in Mexico, non essendo, che due leghe distante.
Il Sabato 13. Andai In San Domenico, per vedere la Cappella di D. Pedro Montesuma, discendente dell’Imperador Montesuma; e vi trovai la seguente Iscrizione, in lingua Spagnuola:
Capilla di D. Pedro Monesuma, Principe heredero, que fue de Montesuma, Señor de la mayor parte de la nueba España. La Cappella è dedicata a nostra Signora de los Dolores, assai divotamente ornata, et arricchita d’oro; nientemeno, che gli altri 40. altari della medesima Chiesa; oltre gli Oratorj, e Congregazioni. Il Convento è ben grande, con 130. Religiosi, collocati in Dormentori, assai ben disposti.
Andai a sentir Messa la Domenica 14. in S. Teresa, delle Monache del suo Ordine, per vedere un miracoloso Crocifisso. Il legno di questa Immagine essendo già marcito, ordinò l’Arcivescovo, che si sepellisse col primo morto d’un certo villaggio d’Indiani; de’ quali non morendo alcuno, per lungo tempo, si osservò mutato il legno, e come rinovato prodigiosamente: onde fu trasferito in Mexico, e riporto in questa Chiesa (secondo la tradizione de’ Mexicani) ove si conserva, con molta convenevolezza. Il Monastero è ricco, e la Chiesa ha sei altari ben dipinti, e con magnificenza arricchiti d’oro.