Eh! La vita/L'ultima lusinga

L'ultima lusinga

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L’ULTIMA LUSINGA

[p. 175 modifica]— E dopo tutto, che doveva importargli se suo fratello si rovinava? Gli dispiaceva per quella buona donna di sua cognata, per la ragazza buona quanto la mamma, bellina, istruita, che avrebbe potuto fare un magnifico matrimonio — magnifico era l’aggettivo prediletto di don Vito Li Pani — se suo padre non avesse sciupato anche metà della dote della moglie pel maledetto viziaccio del gioco. Tressetti, primiera, zecchinetta; cento lire oggi, duecento, trecento domani... quando non si trattava di qualche migliaio. E bisognava trovarle sùbito, se non le aveva in casa, perchè — dicono — i debiti di gioco devono essere pagati nelle ventiquattr’ore; quasi, mettiamo, quarantott’ore dopo, perdessero la loro qualità di debiti di onore! Ed ora, ecco che quell’imbecille ammattiva con le cabale pel Gioco del Lotto! E ogni settimana [p. 176 modifica]presentava al botteghino una gran filza di giocate per questa o quella ruota, per tutte le ruote, da tener occupato lo scrivano una buona mezz’ora, con dispetto degli altri giocatori che avevano fretta più di lui!

Sissignore, suo fratello don Pietro Li Pani si era ridotto a questo: di contare su un terno, su una quaderna, su una cinquina; e non si avvedeva che ogni settimana buttava via trenta, quaranta lire, con le quali avrebbe potuto provvedere alle piccole spese giornaliere, e non far tribolare la moglie e la figlia che soffrivano in silenzio perchè egli diventava di giorno in giorno più intrattabile.

Non era stato un modello di dolcezza neanche prima; ne sapeva qualcosa sua moglie, donna Michela — la prudenza e la bontà in persona — che aveva dovuto chiudere un occhio o tutti e due su certe marachelle del marito: e questi se n’era abusato.

Poi la passione del giuoco lo aveva preso tutto. La povera moglie si era lusingata che sarebbe passata anch’essa, com’era già passata la pazzia per le donne. Si era ingannata.

Don Pietro aveva avuto la disgrazia di una serie di vincite che gli avevano fatto perdere la testa. [p. 177 modifica]

In quelle sere tornava a casa col portafoglio ricolmo di biglietti di banca, con le tasche piene di monete di argento e di soldoni; e si metteva a contarli in un angolo della tavola apparecchiata per la cena, disponendoli a gruppi, in bell’ordine per impressionare l’immaginazione della moglie e della figlia. Poi cavava fuori il taccuino dove segnava le vincite, faceva l’addizione con le somme precedenti e soggiungeva:

— Centosessanta lire da questo, cinquanta da quello, trentacinque da quell’altro....

Erano i crediti su la parola.

— Serviranno per domani sera!

Dall’aria con cui tornava a casa, le due donne capivano se don Pietro aveva vinto o no.

Aveva vinto sera per sera, in quel mese, ed entrava zufolando un motivetto di valzer. Fatta la rassegna della vincita, si metteva a cenare con grande appetito, raccontando le vicende della serata, quasi si trattasse di battaglie campali; e prima di rizzarsi da tavola, appena accesa la pipa, prendeva due o tre pezzi da cinque lire, una monetina d’oro da dieci, e diceva alla moglie e alla figlia:

— Questi per te; questa per te. Metteteli da parte o spendeteli come vi piace. [p. 178 modifica]

Parve che la fortuna si fosse stancata, tutt’a un tratto, di farlo vincere e stravincere. Per mesi e mesi di sèguito, don Pietro tornò a casa muto, col viso smorto.

Cavava fuori il taccuino, ma per risommare i quattrini perduti sulla parola; tanto a questo, tanto a quello!... E una mattina disse alle due donne:

— Per qualche giorno.... Mi avete detto che non le avete ancora spese.... A te, Matilde, pagherò anche gli interessi.

Si sforzava di ridere accarezzando il mento alla figlia.

Moglie e figlia attesero per un pezzo quelle dugentosettantacinque lire, e non ne riparlarono più, dopo che don Pietro era andato su tutte le furie l’ultima volta che Matilde per ischerzo, gli aveva detto:

— Almeno gli interessi, papà!

Ah, se avessero saputo quante altre centinaia e centinaia di lire erano volate dietro a quelle da due anni in qua! E le cambiali scontate presso uno strozzino, rinnovate con interessi su gli interessi! E le iscrizioni ipotecarie su i fondi di Cancello e di Margarone per due prestiti spariti anch’essi nei gorghi della zecchinetta! [p. 179 modifica]

Ne seppero qualcosa la mattina che don Vito Li Pani venne a sgridarle:

— Ma come? Ve ne state zitta zitta, cara cognata, quasi non si trattasse pure dalla vostra dote e dell’avvenire di questa povera ragazza? Non lo sapete dunque che il mio signor fratello è rovinato? Che, durando così, dovrà andare tra poco, con una canna in mano a chiedere l’elemosina uscio per uscio, se vorrà farvi mangiare e mangiare due soldi di pane? Ah! Cascate dalle nuvole? Se egli si figura che io debba spendere il mio per aiutarlo, ha fatto male i suoi conti! Mentre lui si è divertito.... mi capite? e ora si diverte col libro di quaranta fogli, io, cara cognata, mi sono privato di un po’ di fumo di tabacco nella pipa, fin di un sorso di caffè, anche di quello che spaccia mastro Cola nella sua lurida bottega! Perchè ve lo vengo a dire? Per mettervi su l’avviso.

Troppo tardi!

Don Pietro, ora, non maneggiava più il libro di quaranta fogli, come suo fratello chiamava il mazzo delle carte da gioco, ma La smorfia, il Libro dei Sogni, il Rutilio e certi vecchi scartafacci dàtigli [p. 180 modifica]in prestito da suo compare Giammona, a cui li aveva confidati un frate cappuccino che aveva fatto vincere, in vita sua, ambi, terni, quaderne a tante persone.

Se non che con quegli scartafacci unti e bisunti, zeppi di numeri, di calcoli, di astruse operazioni aritmetiche, nè lui, nè suo compare Giammona riuscivano a raccapezzarsi. E per ciò don Pietro attendeva un sogno, un bel sogno rivelatore che gli permettesse di combinare una quaderna o una cinquina; di un terno, di un miserabile terno non sapeva che farsene!

Da qualche mese in qua, appena sveglio, prima di saltar giù dal letto, domandava alla moglie:

— Che ti sei sognato?

— Niente.

— È impossibile. Non sogni mai? Vedi di ricordartene.

— Niente, ti dico.

— Come si fa a non sognar mai?

— E tu, dunque?

— Io? Che ne sai? Non devo dirlo a te se sogno o no.

— Tu fai come quello che aveva perduto le mule e andava in cerca delle cavezze. Non parlo per [p. 181 modifica]me; ormai ho bisogno di così poco! ma per nostra figlia.

— È appunto per lei...

— Ah! Ti lusinghi col lotto? Un’altra rovina! Come non te n’avvedi?

Don Pietro saltava giù, e si vestiva brontolando. Gli pareva che sua moglie, dicendo del lotto: — È un’altra rovina! — gli facesse la jettatura, e gli guastasse tutti i calcoli della cabala secondo Rutilio e secondo gli scartafacci del frate cappuccino.

E appena vedeva la figlia che si era alzata mattiniera e preparava, in cucina, il caffè, le domandava:

— Che ti sei sognato?

— Niente.

— Vedi di ricordartene. Non sogna nessuno in questa casa! È una fatalità.

— Non sogni neppur tu!

— Tua madre, niente! Tu, niente!

— Ah!... Ora mi sembra...

— Dici.

— Sì, mi sembra di avere sognato...

— Brava!

— Ma non ricordo che cosa. Mi pareva di essere.... dove? Non so più dove.

— Non importa. Che facevi? [p. 182 modifica]

Don Pietro aveva ragione; era una fatalità: in casa sua nessuno sognava! E se qualcuna sognava, sveglia, non rammentava che cosa avesse sognato!

Compare Giammona, invece, soleva fare due, tre sogni ogni notte, ma inconcludenti, da non poter ricavarne numeri che portassero fortuna.

C’erano gli avvenimenti della settimana, le grandi disgrazie riferite dai giornali, le piccole disgrazie che accadevano in paese.

Don Pietro e il compare perdevano intere giornate per cavarne i numeri infallibili. E quando li avevano scelti, restavano a contemplarli, estatici, scritti, anzi, sgorbiati dal compare su un pezzo di carta.

E don Pietro, sodisfatto, esclamava:

— Questa volta sono parlanti! Mi par di leggerli su la tabella del botteghino.

— Sono parlanti! — ripeteva compare Giammona.

E la sera del sabato si mordevano le mani, tiravano qualche moccolo. Invece del 35 era venuto il 36! Invece dell’82 era uscito l’83! Invece del 68, il 69! Pareva che lo avessero fatto per dispetto quei numeri infami! [p. 183 modifica]

Non era stato anche un vero dispetto...?

Don Pietro e il compare non potevano rammentarsene senza sentirsi soffocare dalla rabbia!

Don Vito, venuto a fare una visita alla nipote che stava a letto con febbre, passando davanti all’uscio dello studio del fratello, aveva picchiato con le nocche delle dita:

— È permesso?

Si era fermato su la soglia, ridendo alla vista impacciata dei due cabalisti che tentavano di nascondere alcune carte.

— Oh! Io non cerco di sapere i vostri numeri... veri, quelli che non escono mai! Li so meglio di voialtri, ma mi astengo di giocarli; non voglio arricchire senza fatica. Per l’estrazione ventura? 16, 37, 46. Uno più bello dell’altro. Ve li regalo. Se avete quattrini da sciupare... Terno secco, sicuro!

Ed ecco, alla immediata estrazione, tutti e tre i numeri in fila, come quegli li aveva annunziati per chiasso. Don Pietro e il compare non se ne davano pace!

Don Vito si presentava, tutti i giorni, in casa del fratello, ora che la povera Matilde andava di male in peggio con quelle febbri che le bruciavano il sangue e le carni e resistevano a qualunque medicina. [p. 184 modifica]

— Come va? Che ne dice il dottore? — domandava alla cognata.

— Quella figliuola è stata sempre un libro chiuso per tutti. Non mi è mai riuscito d’indovinare che c’è nella sua testa e nel suo cuore!

— Un amore deluso?

— Una gran pena certamente. Ho paura di scoprirla.

— E siete sua madre!

— Che consolazione potrei darle? Siamo ridotti quasi alla miseria.

— Lasciatemi parlare a quattr’occhi con lei.

Entrò nella camera di Matilde tutto rannuvolato, quasi fosse venuto a posta per sgridarla, per farle una gran lavata di capo. Si premuniva così contro la tenerezza e la bontà della sua indole, perchè — soleva dire — anche il bene bisogna saper farlo a tempo e luogo, altrimenti non è più bene.

La cameretta era tenuta in una dolce penombra, dove risaltava il biancore della coperta del lettino e dei guanciali, e, su i guanciali, la macchia nera dei capelli di Matilde.

— Ancora febbri? — brontolò. — Non vogliamo finirla? [p. 185 modifica]

— Se stesse a me, zio! — rispose Matilde.

— Quando non facciamo niente per star meglio! Quando ci ostiniamo a pensare... a pensare! Il pensiero è il maggior veleno.

— Ma io non penso a niente, zio!

— Pensi.... a lui! Che ti figuri? Che nessuno abbia capito?

— Oh, zio! Oh, zio!

— Lascia stare gli oh! È naturale, alla tua età. Avresti dovuto confidarti con tua madre... o con questo zio che ti vuol bene, e tu lo sai. Tuo padre è.... un animale irragionevole; possiamo far a meno di lui e dei suoi terni al lotto... che non si decidono a venir fuori! Dunque? Su, come al confessore. Chi è? Voglio entrarvi in mezzo io.

— Nessuno!... Non è nessuno!

— E c’è bisogno di piangere per questo? Si dice: è il tale! — Vuole la dote? È giusto. Avrà la dote. Già, se fosse persona intelligente, dovrebbe contentarsi di possedere un tesoro di ragazza come te.... Ma la dote non guasta. La troveremo. Lo zio don Vito non potrà portarsi nell’altro mondo il poco che ha e che ha saputo conservare... Comincerà dal fare un po’ di bene anche da vivo, al contrario del suo signor fratello.... E per ciò lo zio [p. 186 modifica]don Vito vuol sapere.... È qui per ricevere la confessione. Dunque?... Dunque?

Matilde, rannicchiata sotto le coperte, piangeva silenziosamente.

Don Vito si rizzò tutt’a un tratto dalla seggiola, sbuffando.

— Con voialtre ragazze si perde il ranno e il sapone! Avete certe teste!... Tu almeno dovresti pensare a quella madonna addolorata di tua madre. Non vedi che è ridotta uno scheletro? Confidati con lei, almeno con lei!

E uscì dalla cameretta deluso, indispettito. Si sfogò col fratello incontrato nel corridoio assieme col compare Giammona.

— Ma non ti accorgi che tua figlia muore non si sa di che pena? Sei allegro. Hai delle belle giocate in vista?... Non mi maraviglio tanto di lui, quanto di voi, signor Giammona, che potreste essere suo nonno, e aver senno anche per due! Voi però non siete padre, non avete una figlia, figlia unica, che languisce a letto da tre mesi e va peggiorando di giorno in giorno!...

— Che posso farci io, con le febbri? — balbettò don Pietro assalito alla sprovveduta.

— Le febbri, certe febbri, non vengono per caso. Te ne sei forse preoccupato? [p. 187 modifica]

— Ho chiamato il dottor Mèusa.

— Che dovrebbe fare il lustrascarpe, non il medico. Hai chiamato lui perchè si contenta di poco, perchè ammazza quasi per niente i poveri malati che gli càpitano per mano. È miracolo se tua figlia è ancora viva dopo tre mesi di visite. Tu pensi alla Càbala, ai terni da vincere... Sai quale sarebbe il vero terno per tua figlia? Un marito, sarebbe! Muore di passione la povera figliuola! Un marito, al giorno d’oggi, se non c’è una bella dote, non lo trova neppure una principessa di nascita; e la tua scioperataggine....

— Oramai, caro don Vito — disse il Giammona — ormai è inutile parlarne!

— E intanto voi lo aiutate a far peggio col Lotto!

— Non posso procurargli un marito per la figlia!

— Non si tratta di procurarlo, scusate.

E rivolto sdegnosamente al fratello, soggiunse: — Va’, va’ a vederla! Sono uscito dalla sua camera col cuore sconvolto; piange, ma non parla. È ridotta irriconoscibile. Quell’asino di dottor Mèusa non ha capito niente. E tu... e tu... tu, coi tuoi terni, le tue quaderne, non avrai tanto da farle una bella cassa da morto! Dio disperda le mie parole! [p. 188 modifica]

Don Pietro era diventato, improvvisamente, tutto premure per la figlia. Aveva detto alla moglie:

— Chiamerò il dott. Cassisi.

— Bisognerà prima pagare il dott. Mèusa.

— Per quel che ha fatto!

— Tre mesi di visite, e qualche volta due al giorno.

— Le pagherò.... Ma, dunque, non sei riuscita neppur tu a saper niente?

— Neppure il confessore.

— Bisogna buttarsi a indovinare.

— E quando avremo indovinato?

— Tu hai detto che qualche volta parla nel sonno.

— Parole sconclusionate. — Sì!... No!... Basta! — Non si capisce nulla. Mai un nome, mai!

Don Pietro passava lunghe ore nella cameretta della figlia, attendendo che si addormentasse e che parlasse. Compare Giammona gli aveva detto che i malati, se sognano, sono veggenti. Se poi parlano nel sonno... Il difficile è interpretar bene quel che dicono; ma con un po’ di buona volontà e di studio... [p. 189 modifica]

Perciò don Pietro stava come in agguato, seduto a piè dei lettino dove Matilde smaniava, voltandosi e rivoltandosi da un fianco all’altro, o rimaneva immobile sotto le coperte, con gli occhi chiusi, facendo sentire appena l’ansimare del suo respiro.

Il dott. Cassisi veniva due volte al giorno, impassibile, e si grattava il mento col gesto caratteristico con cui soleva significare che era poco contento di un malato. Non ordinava niente; lasciava che la malattia facesse il suo corso. Strana malattia! Sì un po’ di febbre, un po’ di anemia, un po’ di alterazione nella circolazione del sangue e quindi nelle funzioni del cuore; ma come? ma perchè? E siccome il dottor Cassisi non credeva alla volgare stupidaggine — egli diceva — dell’anima, non poteva ammettere che il male provenisse da essa. E quando donna Michela gli accennò timidamente, sottovoce... il sospetto suo e del cognato don Vito, il dottore cessò di grattarsi il mento e con la sua brutale sincerità disse alla malata:

— Ho scritto una santa ricetta; medicina infallibile: Recipe, un bel tocco di marito!... Sei contenta?

Uno scoppio di singhiozzi e di pianto fu la risposta di Matilde. [p. 190 modifica]

E da quel giorno diè un tracollo.

Don Pietro, sopraffatto dalla pietà per la figlia, in certi momenti, dimenticava che stava seduto, ore e ore, là a piè del lettino, per sorprenderle nel sonno qualche parola. Come il respiro di lei si faceva più tranquillo, più uguale, egli si rizzava da sedere, si chinava cautamente su lei, stava in orecchio, trattenendo il fiato. E a ogni sillaba, a ogni parola da lei mormorata, dava uno sbalzo, attendendo un motto rivelatore, una breve frase che egli avrebbe tradotti, lì per lì, in numeri, senza consultare il Libro dei Sogni; ormai lo sapeva a memoria!

Matilde si agitava, mugolava parole inintelligibili, si destava di soprassalto; e allora lui:

— Hai fatto un brutto sogno?

— No, papà.

— Eppure smaniavi, pareva che non ti riuscisse di parlare...

— No, papà.

— Ma che hai, figlia mia? Che hai? Parla!

— Ho... Non ti rattristare... Anzi! Ho... che fra tre giorni sarò morta!... Non dir niente alla mamma!

Don Pietro si sentì stringere il cuore, gli salirono le lacrime agli occhi. [p. 191 modifica]

— Che ti metti in testa queste sciocchezze?

— È venuto a dirmelo la nonna.

— Ma che nonna, figliuola mia! Una ragazza intelligente come te non deve credere alle fandonie dei sogni....

— Perchè sarebbe venuta ad ingannarmi?

— Non è venuta!

La contradiceva per spronarla a parlare. Nonna, 17; morta che parla, 47; e... e... e... Non potè andare più innanzi; gli pareva di profanare quella santa creatura che, forse, tra giorni, sarebbe morta davvero. E corse a nascondersi nel suo studio, con la testa tra le mani, inorridito di aver potuto calcolare, quasi speculare su la malattia della figlia. Involontariamente, però, quei due numeri se li sentiva ronzare a un orecchio; più avrebbe voluto dimenticarli, e più divenivano insistenti.

Compare Giammona lo sgridava:

— Siete un ragazzo? Due oggi, due domani...

— No! Che m’importa più di arricchire? Se ho tentato, se volevo tentare, era per lei, per riparare il male che ho fatto a lei e a mia moglie... e pure a me. Ma io me lo son meritato!

— E se non muore? com’è certo; se non muore, dovreste ammazzarvi con le vostre stesse mani! [p. 192 modifica]Siete un ragazzo? Io metterei anche il 3; è indicato chiarissimo. E metterei gli anni della ragazza.

— Ventidue...

Pronunziò il numero quasi gli avesse scottato le labbra e tornò a ripetere:

— No! Non m’importa più di arricchire!

La mattina dopo, il dottor Cassisi dichiarò:

— Non verrò più.

E incontrato per la scala don Vito, lo fermò:

— È questione di qualche giorno, forse di ore!

— E porta via il suo segreto! — esclamò don Vito.

Don Pietro in due giorni pareva invecchiato di dieci anni. Si aggirava per la casa come un fantasma; e nell’esagerazione del rimorso pel patrimonio dilapidato, strizzandosi le mani, si rinfacciava:

— L’hai uccisa tu! L’hai uccisa tu, scellerato!

Ragionava meglio don Vito, dicendo che la nipote portava via nell’altro mondo il suo segreto.

Matilde, ora, sorrideva alla mamma, sorrideva al padre come persona che sa prossima la sua [p. 193 modifica]liberazione. E, infatti, di vivo le rimanevano soltanto gli occhi, i begli occhioni neri, che avevano scintillato quasi in continuo sorriso quando andava per casa, canticchiando, aiutando la madre nelle faccende domestiche. Don Pietro non poteva sostenere quello sguardo con cui ella pareva chiedesse perdono di morire, di abbandonare padre e madre in tristissime circostanze.

Per questo egli si fermava poco nella cameretta della malata; andava e veniva come una mosca senza capo; e se, involontariamente, gli attraversava il cervello l’idea che la figlia avrebbe potuto suggerirgli un bel terno, una quaderna, come compare Giammona sosteneva che i moribondi son capaci di fare; se, involontariamente, si sedeva su la seggiola a piè del lettino, e guardava Matilde con aria di attesa quasi supplicante, si riscoteva tutt’a un tratto, indignato contro di sè; e andava di là, nel suo studio, per rinfacciarsi:

— L’hai uccisa tu! L’hai uccisa tu, scellerato! Ed ora pretenderesti anche... Scellerato!

Fu verso l’alba del funestissimo giorno.

Don Pietro che aveva mandata quella larva di sua moglie a riposarsi un pochino dopo mezza nottata di veglia, interrogata la figlia a bassa voce, [p. 194 modifica]con un tremore di tenerezza nell’accento, chino su lei, carezzandole lievemente i capelli:

— Come ti senti? Come ti senti?

— Bene, papà. Non ho bisogno... di nulla!

Egli si era seduto dapprima al solito posto, poi aveva collocato la seggiola vicino al capezzale, e teneva la mano su quella fronte scottante, madida del sudore della febbre che consumava le ultime forze di tanto fiore di giovinezza.

— Papà! — ella disse con un filo di voce. — I santi sacramenti, presto... E tu, non dubitare: verrò a darti in sogno... quel che tu desideri. Sì, sì, papà!

Egli la baciò tutta su le coperte, dal capo ai piedi, delicatamente, come una santa reliquia, col cuore pieno d’immensa gratitudine per quella promessa che egli non avrebbe rivelato a nessuno fino a che non si fosse avverata.

E quando la collocò con le sue mani nella cassa mortuaria, che don Vito aveva fatta fare a sue spese, foderata di raso bianco internamente e di velluto azzurro, fuori — povera creatura! Era leggera come una piuma! — e quando la casa parve vuota, schiacciata sotto il silenzio della desolazione, ed egli si trovò finalmente solo con la moglie [p. 195 modifica]vestita a lutto, dopo tre giorni di visitu, in cui erano accorsi amici, conoscenti per prender parte al loro dolore — entravano, senza dire una parola, rimanevano seduti, si rizzavano, muti, per far posto ai sopravvenienti — dopo tre giorni di doloroso stupore, durante i quali aveva tentato di consolarsi ripensando le parole della figlia: — Verrò a darti in sogno, quel che tu desideri. Sì, sì, papà! — la moglie e il fratello lo videro andare in cucina con una bracciata di libri e di scartafacci, accendere il fuoco e buttare sui carboni divampanti i fogli dei diversi libri dei Sogni, strappati, sparpagliati perchè bruciassero meglio, i fogli del Rutilio e gli scartafacci del frate cappuccino che non erano stati buoni a fargli vincere neppure un terno!

Don Vito, maravigliato e contento, vedendo salire per aria, portati via dall’impeto della fiamma i neri residui del fogli che s’ingolfavano nel camino e sembravano tanti uccellacci di malaugurio messi in fuga, gli disse: — Hai fatto bene! Dovevi pensarci prima.... Meglio tardi che mai! — Don Pietro avrebbe voluto rispondergli: — Non ne ho più bisogno.... Verrà Matilde! — Ma si mordeva le labbra per non parlare.

E attese. [p. 196 modifica]

Un mese, tre mesi, un anno! Attanagliato dall’angosciosa agonia di quella speranza, di quella promessa che la morta si era dimenticata di mantenere — nonostante le preghiere, nonostante le messe fàttele dire in suffragio! — egli declinava rapidamente, quantunque il fratello don Vito fosse venuto a coabitare da lui, col caritatevole pretesto di fargli l’amministratore del poco che gli era rimasto.

Don Vito, qualche volta, si lasciava scappare un lieve ironico accenno al passato; e allora don Pietro scoteva amaramente il capo e rispondeva:

— Se fosse venuta!... Ma non è venuta!

— Chi? La quaderna?

E un giorno, convinto che ormai fosse inutile tenere il segreto, al rimpianto del fratello che, alla risposta: — Se fosse venuta! — tornava a domandare: — Chi? La quaderna? — egli scoppiò in lacrime ed esclamò:

— Perchè lusingarmi? Perchè promettere?

Don Vito, nell’udire il racconto, pensava con spavento: — Mio fratello impazzisce!