Commedia (Buti)/Paradiso/Canto XIII
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(Commento di Francesco Da Buti) (XIV secolo)
Canto tredicesimo
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C A N T O XIII.
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1Imagini chi bene intender cupe1 2
Ciò ch’io or vidi, e ritenga l’image,
Mentre ch’io dico, come ferma rupe,
4Quindici stelle, che ’n diverse plage
Il Ciel avvivan di tanto sereno,
Che soverchia dell’arte ogni compage;3 4
7Imagini quel Carro, a cui il seno1
Basta del nostro Cielo e notte e giorno,
Sì ch’ al volger del temo non vien meno;5
10Imagini la bocca di quel corno,1
Che s’incomincia in punta de lo stelo,6
A cui la prima ruota va dintorno,
13Aver fatto di sè du’ segni in Cielo,
Qual fece la filliuola di Minoi,
Allora che sentì di morte il gielo,
16E l’un ver l’altro aver li raggi suoi,7
Et ambedu’ girarsi per maniera,
Che l’uno andasse al primo, e l’altro al poi;
19Et avrà quasi l’ombra de la vera8
Costellazion e de la doppia danza,
Che circulava il punto, dov’io era.
22Poi che tanto di là da nostra usanza,9
Quanto di là dal muover de la Chiana
Si muove ’l Ciel che tutti gli altri avanza,
25Lì si cantò non Bacco, non Peana;
Ma tre Persone in divina natura,
Et in una persona essa e l’umana.
28Compiè ’l cantor al volger sua misura,
Et attesarsi a noi que’ santi lumi,10
Felicitando sè di cura in cura.
31Ruppe ’l silenzio nei concordi numi
Possa la luce, in che mirabil vita
Del poverel d’Iddio narrata fùmi.
34E disse: Quando l’una pallia è trita,
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter l’altra dolce amor m’invita.
37Tu credi che nel petto, onde la costa
Si trasse per formar la bella guancia,
Il cui palato a tutto ’l mondo gosta,
40Et in quel, che forato da la lancia,
E possa e prima tanto satisfece,11
Che d’ogni colpa vince la bilancia,
43Quantunqua a la natura umana lece
Aver del lume, tutto fusse infuso
Da quel valor che l’uno e l’altro fece;
46E però ammiri a ciò ch’io dissi suso,
Quando narrai, che non ebbe ’l secondo12
il ben che ne la quinta luce è chiuso.
49Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,
E vedrai ’l tuo creder e ’l mio dire
Nel vero farsi, come centro in tondo.
52Ciò che non muore e ciò che può morire,
Non è se non splendor di quella idea,13
Che parturisce, amando, il nostro Sire:14
55Chè quella viva luce, che sì mea15
Dal suo Lucente, che non si disuna
Da lui, nè da l’Amor che in lor s’intrea,16
58Per sua bontate il suo raggiar aduna,
Quasi specchiato in nove sussistenzie,
Eternalmente rimanendosi una.
61 Quinde descende a l’ultime potenzie
Giù d’atto in atto tanto divenendo,
Che più non fa che brevi contingenzie;
64E queste contingenzie esser intendo
Le cose generate, che produce
Con seme e senza seme il Ciel movendo.
67La cera di costoro e chi la duce,17
Non sta d’un modo, e però sotto ’l segno18
Ideal poi più e men traluce;
70Unde elli avvien che un medesimo legno,
Segondo spezie e mellio e peggio frutta,
E voi nascete con diverso ingegno.
73Se fosse a punto la cera dedutta,
E fusse ’l Cielo in sua virtù suprema,
La luce del suggel parrebbe tutta.
76Ma la Natura la dà sempre scema,
Similemente operando all’artista,
Ch’à l’abito de l’arte e man che trema.19
79Però se il caldo amor la chiara vista
De la prima virtù dispone e segna,
Tutta la perfezion quivi s’acquista.
82Così fu fatta già la terra degna
Di tutta l’animal perfezione;
Così fu fatta la Vergine pregna.
85Sì ch’io commendo tua opinione.
Che l’umana natura mai non fue,
Nè fia, qual fu in quelle due persone.
88Or s’io non procedesse avanti piue,
Dunque come costui fu senza pare?
Comincerebber le parole tue.
91Ma, perchè paia ben ciò che non pare,
Pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
Quando fu detto: Chiedi, a dimandare.
94Non ò parlato sì, che tu non posse
Ben veder ch’ei fu re, che chiese senno
Acciò che re sofficiente fosse;
97Non per saper lo numero in che enno20
Li motor di quassù, o se necesse
Con contingente mai necesse fenno;
100Non si est dare primum motum esse,
O se di mezzo cerchio far si potè
Triangol sì, ch’un retto non avesse.
103Unde, se ciò che dissi, e questo nuote,21
Regal prudenzia e quel vedere impari,
In che lo stral di mia intenzion percuote;
106E se al Surse drizzi li occhi chiari,
Vedrai aver solamente rispetto
Ai regi, che son molti, e i buon son rari.22
109Con questa distinzion prende ’l mio detto,23
E così puote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro Diletto.
112E questo ti sia sempre piombo ai piedi,
Per farti muover lento, com’uom lasso
Et al sì et al no che tu non vedi:
115Chè quelli tra li stolti ben è basso,24
Che senza distinzion afferma o nega
Così nell’un come nell’altro passo.25
118Perch’ell’incontra che più volte piega
L’opinion corrente a falsa parte,
E poi l’affetto lo ’ntelletto lega.
121Via più che ’ndarno da riva si parte,
Perch’ei non torna tal, qual ei si move,
Chi pesca per lo vero, e non sa l’arte:26
124E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso, Briso e molti,27
Li quali andavan, e non sapean dove.
127Sì fe Sabellio et Arrio, e quelli stolti,
Che furon come spade a le Scritture,
In render torti li diritti volti.28
130Nè sian le genti ancor troppo sicure
Ad iudicar, siccome quei che stima
Le biade in campo, pria che sian mature:
133Ch’i’ ò veduto tutto ’l verno prima
Il prun mostrarsi rigido e feroce,
Possa portar la rosa in su la cima;29
136E legno viddi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto suo cammino,
Perir al fin all’intrar de la foce.
139Non creda donna Berta, e ser Martino,
Per veder un furar, l’altro offerere,
Vederli dentro dal consil divino:30
142Chè quel può surgere, e quel può cadere.
- ↑ 1,0 1,1 1,2 vv. 1, 7, 10. C. A. Immagini
- ↑ v. 1 Cupe; desidera, dal cupio dei Latini. E.
- ↑ v. 6. C. A. dell’aere
- ↑ v. 6. Compage; dal latino compago, come image ec. E.
- ↑ v. 9. Temo; timone modellato sul nominativo latino, come sermo, Dido ec. E.
- ↑ v. 11. C. A. Che si comincia
- ↑ v. 16. C. A. E l’un nell’altro
- ↑ v. 19. C. A. Ed avrai
- ↑ v. 22. C. A. Poi ch’è tanto di là
- ↑ v. 29. C. A. attesersi
- ↑ v. 41. C. A. E prima e poscia tanto soddisfece,
- ↑ v. 47. C. A. ebbe secondo
- ↑ v. 53. C. A. è splendor, se non di
- ↑ v. 54. C. A. partorisce
- ↑ v. 55. C. A. che s’innea
- ↑ v. 57. C. A.Da l’un, nè dall’
- ↑ v. 67. C. A. l’adduce,
- ↑ v. 68. C. A. stan d’un
- ↑ v. 78. C. A. Che all’abito dell’arte à man che trema.
- ↑ v. 97. Enno; sono. Da è, giuntovi no provenne eno, e duplicato l’n enno. E.
- ↑ v. 103. Onde, se ciò ch’io dico, e questo note,
- ↑ v. 108. C. A. Ai rei ch’en molti, e a’ buon che son rari,
- ↑ v. 109. C. A. prendi mio
- ↑ v. 115 C. A. Che quegli è tra gli
- ↑ v. 117. C. A. Nell’un così come
- ↑ v. 123. C. A. e non à l’arte:
- ↑ v. 125. C. A. e Brisso e
- ↑ v. 129. C. A. In tender
- ↑ v. 135. C. A. Poscia portar le rose
- ↑ v. 141. C. A. al consiglio
COMMENTO
Imagini chi bene intender cupe ec. Questo è lo xiii canto di questa terzia cantica, ne la quale lo nostro autore finge come santo Tomaso ritorna a parlare, e solve uno dubbio lo quale nasce d’uno detto che finse l’autore che fusse detto di sopra da lui nel canto x; cioè: A veder tanto non sur se ’l secondo; lo quale detto finse l’autore che santo Tomaso dicesse di Salomone, poi che l’altro dubio che si mosse anco per le parole dette da lui nel detto canto; cioè: U’ ben s'impingua se non si vaneggia, fu soluto di sopra nel canto xi. E dividesi tutto in due parti: imperò che prima l’autore à descritto per similitudine delle costellazioni del cielo li due circulari movimenti, che àe finto di sopra essere stati fatti intorno a sè et a Beatrice da le due brigate de’ dottori de la santa Chiesa; cioè dai dodici maggiori e poi da altri dodici di minore eccellenzia; finge che santo Tomaso d’Aquino incominciasse anco a parlare e movesse lo dubbio, che Dante aveva de le parole dette di sopra da Salomone, opponendo contra quelle e poi incominciando a solvere l’opposizione come si fece da lunga; ne la seconda, come discese al punto de la quistione e solvè l’ opposizione e dichiarò lo punto de la questione, et incominciasi quine: Però se il caldo amor ec. La prima, che sarà la prima lezione, si divide in parti cinque: imperò che prima induce lo lettore ad imaginare, per esemplo delle due costellazioni del cielo che si muoveno circularmente intorno al perno del cielo, l’una più distante che l’altra nel polo artico, la doppia circulazione che à finto di sopra che facessono di sopra le dette due dodicine 1 intorno a lui et a Beatrice; nella seconda finge come, volgendosi quelli due circuli di beati spiriti intorno a loro, cantò loda de la santa Trinità, e come si fermorno e santo Tomaso incominciò a parlare, et incominciasi quine: Poichè tanto di là ec.; nella terzia finge come santo Tomaso intrato a parlare disse che, poi che era stato soluto l’uno dubbio mosso di sopra per le parole dette da lui nel x canto; cioè: U’ ben s’impingua ec.; lo quale dubbio si solvè ne l’undecimo canto, elli voleva indulto da carità in questo luogo solvere l’altro; cioè, A veder tanto ec., e prima pone la proposizione che Dante può fare, et incominciasi quine: E disse: Quando luna ec.; ne la quarta parte incomincia a tolliere l’opposizione, faccendosi da lunga, et incominciasi quine: Or apri li occhi ec.; nella quinta parte dichiara la cagione delle differenzie delli omini, la quale pare che non debbia essere per le cose dette di sopra, et incominciasi quine: La cera di costoro ec. Divisa addunqua la lezione, ora è da vedere l’esposizione testuale, allegorica e morale.
C. XIII — v. 1-21. In questi sette ternari lo nostro autore parlando al lettore, volendoli dare ad intendere come quelli due serti dei beati spiriti che 2 si giravano intorno a lui et a Beatrice erano con questo ordine; che l’uno era contenuto dentro dall’altro et era più presso al centro che quello di fuora, arreca due similitudini le quali vuole che lo lettore abbia per imaginazione, non perchè così sia; cioè imaginando che quindici stelle che sono in cielo del primo grado, cioè le maggiori che vi siano, siano poste in tondo l’una allato a l’altra intorno a qualche centro e gironosi intorno a quel centro, e che le sette del corno de la tramontana, e l’altre sette del carro, che sono di minore grado che le sopradette, anco siano ordinate in tondo intorno al cerchio predetto de le quindici stelle e giranosi intorno al detto cerchio, sicchè quando l’uno si gira, l’altro si giri, quando si posa si posi, e risplenda l’uno cerchio inverso l’altro; e cosi dice che erano li predetti due cerchi dei beati spiriti che erano intorno a lui et a Beatrice, e però dice così: Imagini; cioè quello lettore ne la mente sua, chi; cioè lo quale, bene intender cupe; cioè desidera di bene intendere, Ciò ch’io; cioè tutto quello, lo quale io Dante, or; cioè ora che desidera di sotto, vidi; cioè fare a li due serti dei beati spiriti detti di sopra, e ritenga; cioè lo lettore, l’image 3; cioè l’imaginazione, ch’elli arà fatto ne la sua fantasia al modo ch’io l’insegnerò, Mentre ch’io dico; cioè in questo mezzo ch’io Dante dico l’adattazione della cosa, ch’io voglio assimigliare a questa imaginazione: imperò che, se egli perdesse la cosa imaginata, non intenderebbe la cosa che si dè assimigliare, se non si facesse la similitudine, o vero l’imagine da capo, come ferma rupe; cioè come ferma pietra di monte, che non si muove, Quindici stelle; ecco la prima parte di quello che dè lo lettore imaginare, cioè che quindici stelle che sono ne l’ottava spera del fermamento del primo grado, come Alfraganodice cap.xix nel suo libro de la Forma del mondo ec.; cioè di maggiore lume e di maggior corpo che tutte l’altre, e però dice poi, che ’n diverse plage 4; cioè le quali quindici stelle in diverse parti e contrade del cielo sparte: imperò che non sono in uno medesimo luogo, Il Ciel; cioè l’ottava spera del fermamento, avvivan; cioè rendono vivo e splendido, di tanto sereno; cioè di tanta chiarità, Che soverchia; cioè che la detta chiarità avanza, dell’arte ogni compage; cioè ogni comunione dell’artificio che Iddio à fatto: imperò che nell’ottava spera non è stella, che queste quindici non avanzino in splendore. Et adiunge ora l’altra cosa che vuole che lo lettore imagini, dicendo: Imagini; ancora lo lettore nel suo pensieri, quel carro; cioè quelle sette stelle che sono nel polo artico che sono quattro innanti, cioè due e due e poi tre in filo l’una dopo l’altra, e la terza viene da lato non per linea diritta, che si chiama l’Orsa maggiore, della quale è stato detto di sopra, a cui; cioè al qual carro, il seno Basta del nostro Cielo; cioè lo grembo del nostro cielo artico che è dentro dal paralello artico, cioè settentrionale: imperò che fanno quello giro tra di’ e notte in 24 ora 5, e notte e giorno; cioè basta al suo girare: imperò che tra di’ e notte compie la sua rota e circuizione e ritorna al punto onde s’è partito, Sì ch’al volger del temo non vien meno; cioè per sì fatto modo li bastano 24 ore che sono tra di’ e notte, che non vegnano meno innanti che abbia compiuto la sua revoluzione; e chiama temo le tre stelle che vegnano di rieto in filo, unde potrebbe altri dubitare che lo carro andasse a drieto: imperò che le quattro vanno innanti e le tre che sono lo temone, dirieto, e così è questo al movimento uniforme del primo mobile; ma quanto al movimento dell’ottava spera che va in cento anni uno grado, lo timone va innanzi; ma questo movimento non si comprende da li vulgari, come l’altro. Imagini; cioè ancora lo lettore, la bocca di quel corno; cioè l’altre sette stelle dell’Orsa minore, che sono anco nel polo artico allato al perno che tiene lo cielo primo mobile, in sul quale si gira ancora l’ottava spera in cento anni uno grado, e stanno le dette sette stelle a modo d’uno corno, sicchè allato al perno è la prima, poi due, l’una dopo l’altra in filo, involta poco, come volge lo corno; poi due e due allato l’una a l’altra per buono spazio in mezzo; sicchè paiano la bocca grande del corno unde esce lo suono, e la prima pare che sia la bocca piccola dove si pone la bocca di colui che suona lo corno; e perchè stanno in forma di corno, però dice l’autore di quel corno: lo corno e lo carro è stato disegnato per me di sopra in questa opera, Che s’incomincia; cioè lo qual corno piglia principio, in punta de lo stelo; cioè in punta del perno, A cui; cioè al qual perno, la prima ruota; cioè lo primo mobile, va dintorno: però che ’l perno sta immobile, e lo cielo primo mobile gira intorno ad esso, Aver fatto di sè; ecco quello che vuole l’autore, che lo lettore imagini; cioè che le dette quindici stelle e le quattordici abbiano fatto di sè, du’ segni in Cielo; cioè le quindici per sè e presso ad uno perno, e le quattordici per sè intorno a le dette quindici, Qual; cioè segno, fece la filliuola di Minoi; cioè Adriana, o vero Adragne, figliuola del re Minos di Creta, quando fu lassata da Teseo nell’isola, che lo dio del vino, Bacco, amò e morta trasmutò in cielo e fecene uno segno che si chiama Corona: questo segno è aquilonare, secondo che dice Marziale delle nozze di Mercurio e di Filogia nel libro II, lo quale rappresentano alquante stelle ordinate in tondo a modo d’una corona, Allora che sentì; cioè Adriana, o vero Adragne, sentì, di morte il gielo; cioè che moritte: ne la morte si sente il gielo della morte, e tale segno vuole l’autore che lo lettore imagini essere fatto de le dette quindici stelle, cioè a modo d’una 6 corona tonda, et intorno da questa corona imagini le quattordici stelle avere fatto un altro segno tondo a modo di corona, che intornei lo primo. E l’un; cioè segno, ver l’altro aver li raggi suoi; cioè imagini ancora lo lettore che l’uno segno abbia li raggi in verso l’altro, cioè quello d’entro in verso quello di fuora, e quello di fuora in verso quello di dentro, e così rendere splendore l’uno a l’altro, Et ambedu’; cioè questi due segni 7, girarsi; cioè intorno in tondo, per maniera; cioè per sì fatto modo, Che l’uno; cioè segno in tondo dedutto, cioè lo secondo, andasse al primo; cioè girasse a modo del primo, e l’altro; cioè lo primo segno, andasse, s’intende, cioè girasse, al poi; cioè a modo del poi, cioè del secondo segno, e così s’accordasse l’uno coll’altro, Et avrà; cioè colui che arà così imaginato, quasi l’ombra; cioè l’apparenzia, lo segno, de la vera Costellazion; cioè di quella costellazione che si chiama Corona: imperò che quello segno è spattabile 8 d’alquante stelle e stanno in tondo come corona quasi, com’è detto, e de la doppia danza; cioè del doppio ballo 9 de’beati spiriti, de’ quali à detto di sopra e dirà ancora, Che; cioè la quale doppia dansa, circulava; cioè intorneava come circuili due, il punto; cioè lo centro del corpo solare, dov’io; cioè nel quale io Dante, era; cioè Beatrice, come è stato detto di sopra. E però lo lettore può comprendere che l’autore à voluto dimostrare con questa fizione poetica ch’elli fusse astrologo, dimostrando ch’elli sapeva quelle quindici stelle del primo grado, e ch’elli sapeva lo corno e lo carro de la tramontana e lo segno, o vero costellazione che si chiama, Corona. Et oltra questo volse dare ad intendere l’allegoria, o vero moralità, che io ò toccalo di sopra fingendo che questi beati spiriti si rappresentino nel corpo solare intorno al centro et intorno a Beatrice, che significa la santa Teologia: imperò ch’elli, quando fece questa opera, n’era studioso: imperò che tutti furno studiosi de la santa Teologia; e finge che quelli dodici primi fussono più presso, perchè furno più profondi in scienzia e più eccellenti che li secondi dodici ne la santa Teologia; e che l’uno serto risplenda ne l’altro, significa che la dottrina delli uni è stato dichiaramento della dottrina delli altri, et e converso; e che si muovino ad uno modo e che posino ad uno modo, significa che uno principio et uno fine mosse l’uno e l’altro collegio a trattare de la santa Teologia 10; cioè per piacere a Dio, mossi da carità d’Iddio e del prossimo. Et oltra ciò debbe sapere lo lettore che l’autore àe usato qui una figura che pone Dottrinale, che si chiama omophrosis, la quale si pone quando si spone quello che è ignoto per quello che è altresì ignoto, o più: imperò che, volendo dare ad intendere al lettore come stavano li due serti, àe indutto la similitudine della costellazione, che si chiama Corona, che è più ignota al lettore, dicendo ch’elli finga et imagini che si faccia de le quindici e quattordici stelle, ben che non sia così; la quale cosa è molto straniera dalli omini vulgari che leggeno questa opera; e però, se i’ non ò sodisfatto a la intenzione loro, ciascuno mi perdoni che io non ò potuto mellio dare ad intenderlo. Et àe introdutto l’autore a parlare santo Tomaso prima, e poi maestro Bonaventura da Bagnoreo, et àe fatto continuare molto lo parlare: imperò che ’l detto pianeto àe a dare influenzia de l’elocuzione, sicchè conveniente e verisimile fizione è stata fatta da l’autore, e così introducerà ancora (l) (a) (8) [v. a parlare santo Tomaso d’Aquino a solvere lo dubbio, mosso di sopra, con molta eloquenzia, come apparrà nel testo.
C. XIII — v. 22-33. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come santo Tomaso d’Aquino dopo alcuno canto e movimento fatto in giro ritornò a parlare, quietato lo loro movimento, dicendo così: Poi che tanto di là da nostra usanza; cioè poi che oltra la nostra usanza eccessivamente, Lì; cioè in quel luogo, nel quale io Dante era con Beatrice, cioè nel corpo solare, si cantò non Bacco; cioè non si cantò Bacco, cioè le lode di Bacco, come si solevano cantare dai Tebani nel monte Citerone, quando facevano la sua festa e li suoi sacrifici, come è stato detto di sopra in questa opera, non Peana; cioè non si cantorno le lode di Pean cioè d’Appolline 11, le quali, si cantavano in Delo et in Licia da coloro che li facevano sacrificio che erano infideli 12, Ma tre Persone; cioè lo Padre, lo Figliuolo, lo Spirito Santo, in divina natura: imperò che le dette tre persone sono nella natura divina, Et in una persona; cioè ne la persona del Figliuolo tanto, essa; cioè divina natura, e l’umana; cioè natura insieme si cantò dai detti due serti, che si moveano intorno a me Dante et a Beatrice; ecco quello che cantavano quelli beati spiriti, secondo la fizione dell’autore: imperò che mentre che furno in questa vita da loro non si cantò nei loro libri, se non le lode de la santa Trinità che è ne la divinità, e della divinità del Verbo iunto co l’umanità; e questo fu cantato tanto eccessivamente da la usanza del nostro cantare mondano, Quanto di là dal muover de la Chiana; ecco la relazione che l’autore arreca per similitudine dicendo: Quanto avanza lo muover de la Chiana lo primo mobile, che gira tanto ratto, che in ventiquattro ore fa la sua revoluzione: la Chiana è uno fiume padulesco, che è in Toscana tra Siena e Perogia, che va sì piano che non si vede suo movimento, Si muove ’l Ciel; cioè lo cristallino, lo primo mobile, che; cioè lo quale cielo, tutti gli altri; cioè cieli, avanza; cioè soperchia nel suo movimento. E così 13 dice che tanto lo canto di quelli beati spiriti avanzava in dolcezza lo canto umano che si fa nel mondo, quanto lo moto del primo moto avanza in celerità lo movimento della Chiana. E poi che quine tanto eccessivamente fu cantato le dette lode de la santa Trinità e de la incarnazione del Verbo, Compiè ’l cantor; cioè santo Tomaso d’Aquino, lo quale finge l’autore che fusse cantatore delle dette lode: imperò che nelle sue opere che scrisse, eccessivamente di ciò parloe, come appare a chi le legge, al volger; cioè a dare la volta tonda del ballo e del giro del serto, sua misura; cioè di tempo che era bisogno al suo canto: imperò che la consonanzia del canto non si fa, se non colliendo tempo proporzionato a le note, et imperò in quello luogo non si poteva cogliere tempo, nel quale l’autore finge ch’elli fusse: imperò che, benchè il Sole girasse in tempo la sua rota, elli girava insieme con esso, sicchè non s’accorgeva del suo girare, e cosi non s’accorgeva del tempo, e però ben finge che al volger cogliesse sua misura del canto, Et attesarsi; cioè e riposarsi, a noi; cioè a me Dante et a Beatrice, que’ santi lumi; cioè quelli beati spiriti, che risplendevano come lumi 14, Felicitando sè; cioè beatificando sè medesimo et accrescendo la sua beatitudine, di cura in cura; cioè di pensieri in pensieri: imperò che tutti erano pieni di carità perfetta; e per questo da ad intendere che, finito lo cantare, seguitte lo silenzio; nel quale silenzio avea più profonde e perfette meditazioni che nel cantare, e così cresceva la beatitudine come cresceva la carità. Ruppe ’l silenzio nei concordi numi; cioè incominciò a parlare tra quelli beati spiriti, che si possono chiamare iddii per partecipazione de la beatitudine, la quale è quello che è la divinità, e però dice ne’ concordi numi; cioè tra quelle concordevile anime, che erano numi, cioè iddii, Possa la luce; cioè, poi che si furno posati, quella luce, cioè quella beata anima, ruppe lo silenzio et incominciò a parlare, in che; cioè ne la qual luce, mirabil vita; cioè vita meravigliosa di santità e di virtù, Del poverel d’Iddio; cioè di santo Francesco 15, narrata fumi; cioè detta fu a me Dante; e questa fu la luce di santo Tomaso d’Aquino, la quale introduce ancora l’autore a parlare ne la forma che seguita lo testo.
C. XIII — v. 34-48. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, finita la circulazione che facevano quelli due cerchi e lo canto, santo Tomaso d’Aquino ritornò a parlare dichiarando uno dubbio, lo quale nacque delle parole dette nel canto x, cioè quando disse di Salomone, che A veder tanto non surse ’l secondo; ma prima finge che santo Tomaso muova lo dubbio, ch’elli vidde essere ne la mente di Dante per le parole dette di sopra, dicendo così: E disse; cioè la detta luce, cioè santo Tomaso d’Aquino: Quando luna pallia è trita; cioè poi ch’è battuta l’una aiata de la pallia, sicchè ne sono uscite le granella che v’erano, et usa similitudine che si contiene in significazione, colore retorico, cioè: Poi che è discusso l’uno dubbio, sicchè la verità ene apparita fuora, come appare lo grano quando la paglia è battuta, Quando la sua semenza; cioè la verità, che n’è uscita fuora, è già riposta; ne la mente di Dante e nel testo de la sua opera, sicchè si manifesterà al lettore. A batter l’altra; cioè pallia, dolce amor; cioè dolce carità, m’invita; cioè invita me santo Tommaso, cioè carità mi muove a discutere l’altro dubbio, sicchè la verità n’esca fuora. Ecco che muove e manifesta lo dubbio, che Dante aveva ne la mente dell’altro detto di sopra nel x canto. Tu; cioè Dante, credi che nel petto; cioè del primo omo Adam, e però dice, onde; cioè del quale petto, la costa; cioè de la quale fu formata Eva, si trasse; cioè si cavò: imperò che de la costa ritta 16 del petto d’Adam da Dio fu formata la prima femina, cioè Èva, per formar la bella guancia; cioè la bella gota; et è qui figura che si chiama sinedoche, e colore 17 intellezione, dove si pone la parte per lo tutto, cioè la guancia per la femina, Il cui palato; cioè de la quale femina lo palato e lo gusto: nel palato sta la virtù del gusto, e però si pone per lo gusto, a tutto ’l mondo gosta; cioè a tutti gli omini del mondo costa, che n’ ànno perduto l’essere sempre in felicità, il poter non morire; e qui si pone lo continente per la cosa contenuta; cioè lo mondo per gli uomini che sono contenuti nel mondo, et è denominazione colore retorico. Et in quel; cioè petto, cioè di Cristo, che; cioè lo quale, forato da la lancia; cioè da la lancia di Lungino, quando fu confitto in su la croce per li Iudei da’ cavalieri di Pilato. Questo Lungino fu uno cavalieri di Pilato, lo quale non vedeva lume; e sentendo che Cristo era in su la croce, perchè morisse e non stesse in stento, benchè Cristo fusse già morto, si fece dirizzare la punta de la lancia al costato ritto del petto di Cristo, e spingendola in su, li ficcò la punta nel cuore che era dal lato sinistro e continuamente n’escitte sangue et acqua; e venutone giù per la lancia, e venutoli fregato la mano sanguinosa alli occhi, riebbe lo vedere; per lo quale miracolo si convertitte a Cristo, e dimandolli perdono, E possa e prima; cioè poi che fu forato da la lancia, et inanti che fusse forato da la lancia, tanto satisfece; cioè per la colpa dei primi parenti, Che vince; cioè quello, che quel petto satisfece, la bilancia d’ogni colpa; cioè che lo merito de la passione di Cristo e del sangue proprio ch’elli sparse innanti del suo corpo, quando sudò 18, et inanti che morisse de le piaghe, e poi che fu morto del suo costato, fu sofficente satisfazione de la colpa dei primi nostri parenti e di tutti li omini che mai furno e che saranno in quanto si vogliano partire e dimandino remissione, e però dice che vince ogni bilancia: imperò che non è nessuna colpa che pesi tanto, quanto pesa lo merito de la passione di Cristo nel cospetto d’Iddio, Quantunqua a la natura umana lece Aver del lume; cioè tanto quanto di sapere e del lume intellettuale è licito a l’umana natura d'avere secondo natura tutto fusse infuso; cioè messo nel petto d’Adam e di Cristo, Da quel valor; cioè da quella potenzia infinita divina che è attributa 19 al Padre, che; cioè la qual potenzia, l’uno e l’altro fece; cioè fece Adam e Cristo, E però ammiri; cioè tu, Dante, ti meravigli, a ciò, ch’io dissi suso; cioè io Tomaso d'Aquino di sopra nel canto x, Quando narrai; cioè io Tomaso, che non ebbe ’l secondo; cioè la quinta luce, cioè Salomone, non ebbe pari a sè in sapere quando disse, che A veder tanto non surse ’l secondo; e però dice: Il ben; cioè l’anima beata di Salomone, che; cioè lo quale bene, ne la quinta luce è chiuso; cioè ne la quinta chiarità de lo splendore era fasciato: però che finse che fusse lo quinto da lui, sicchè per le parole dette si comprende che santo Tomaso dicesse a Dante: Tu credi che Adam e Cristo avessono cioe 20 di perfezione, che può avere l’umana natura: dunque come dice che la quinta luce non ebbe ’l segondo, che furno questi due più perfetti uomini di lui? E di costoro non si debbe intendere che fussono in quella quinta luce, e così manifesta santo Tomaso a Dante lo dubbio ch’elli aveva senza che Dante l’esprimesse; e questo finge l’autore, come è stato detto, per mostrare che ogni cosa vedono li beati in Dio, nel quale riluce ogni cosa siccome in uno specchio, eziandio li pensieri delli uomini.
C. XIII — v. 49-66. In questi sei ternari lo nostro autore finge che santo Tomaso incominciasse a solvere lo dubbio proposto di sopra, dicendo così: Or; cioè avale tu, Dante, apri li occhi; cioè de la ragione e dello intelletto, a quel ch’io; cioè Tomaso, ti rispondo; cioè al tuo dubbio, E vedrai ’l tuo creder; cioè, tu Dante, vedrai quello che tu credi, cioè che Adam e Cristo avessono tanto di perfezione, quanto può avere l’umana natura, e ’l mio dire; cioè che la quinta luce, cioè Salomone vidde tanto, che A veder tanto non surse ’l secondo— , Nel vero farsi; cioè contenersi dentro dal vero amenduni questi due ditti, cioè lo tuo e lo mio, come centro in tondo; cioè come si contiene lo centro dentro al tondo, cioè dal suo cerchio, cioè da la sua circunferenzia. Ciò che non muore; cioè li angeli, li cieli e la prima materia e l’anime umane, e ciò che può morire; cioè le cose elementate e materiate, Non è se non splendor di quella idea: idea è forma, o vero ragione stabile et incommutabile de le cose che non sono anco formate, e per questo è eterna l’idea e sempre à sè in uno medesimo modo, perchè si contiene ne la divina mente e non nasce e non muore; ma secondo questa forma e ragione si fa quello che non muore, e che può nascere e morire: e ciò che nasce muore: quello che non muore propriamente non si dice nascere: e però lo nostro autore tocca l’una cosa e l’altra, cioè quello che non muore e quello che può morire, e dice che questo che non muore e quello che può morire non è se non splendore; cioè atto di quella idea; cioè di quella forma ideale che è ne la mente divina, la quale è eterna et incommutabile, benchè la forma secondo quella produtta possa corrompersi e mutarsi, Che; cioè la quale forma ideale, cioè la quale idea, parturisce: cioè ab eterno produce, amando, il nostro Sire; cioè per sua propria bontà lo nostro signore Iddio: imperò che, come Iddio è eterno; così l’idea di tutte le cose fatte e che si debbono fare, ab eterno fu prodotta da lui ne la sua mente per la sua infinita bontà. Chè quella viva luce; cioè imperò che la viva luce, cióè il Verbo Divino, cioè lo figliuolo d’Iddio, del quale dice santo Ioanni: Erat lux, vera quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum, — che; cioè la quale luce, sì mea; cioè per sì fatto modo si deriva per generazione, Dal suo Lucente; cioè dal suo Padre, che non si disuna Da lui; cioè che non si diparte dall’unità de la sustanzia del Padre, nè da l’Amor; cioè da lo Spirito Santo, che; cioè lo quale Spirito Santo, in lor; cioè nel Padre e nel Figliuolo, s’intrea; cioè è 21 terzia persona: imperò che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, et è la terzia persona in divinità: imperò che ’l Padre è la prima, la seconda è lo Figliuolo, la terzia è lo Spirito Santo, et una è sustanzia di tutte e tre, et una natura et una divinità, Per sua bontate; cioè per sua propria benivolenzia e non per altra cagione, come dice Boezio nel terzio libro della Filosofica Consolazione: Quem non externae pepulerunt fingere causae Materiae fluitantis opus, verum insita summi Forma boni livore carens ec. — il suo raggiar; cioè lo suo operare, la sua virtù informativa, aduna; produce: cioè produce una perchè, benchè siano tre persone, uno è l’operare 22 di tutte e tre in dare le forme, et una è la virtù informativa: imperò che Iddio è forma de le forme e cagione di tutte le cagioni. Quasi specchiato; ecco che arreca la similitudine, e perchè non è propria però adiunge, Quasi; cioè come se lo raggio del Sole percotesse in nove specchi, li quali rifondessono da sè raggi; così la virtù una informativa risplende e gitta lo suo raggio nei nove cieli per mezzo delli nove ordini delli angeli che sono intorno a Dio, et ellino refundeno essa virtù nei nove cieli, come si dirà di sotto, e quelli cieli rifundeno ne le cose di sotto da loro: e però diceva: Quasi specchiato; cioè quasi come influsso, siccome in specchi, in nove sussistenzie; cioè in nove cieli per mezzo de li nove ordini d’angeli che 23 sotto stanno al detto raggiar e sono forme sustanziali senza materia, Eternalmente: imperò che Iddio è eterno, sicchè ’l suo raggiare è eterno: la luce non è mai senza splendore, rimanendosi una: imperò che una è la natura e la sustanza e la divinità di tutte e tre persone, e però uno è lo suo raggiare. Quinde; cioè da le nove sussistenzie, cioè da’ nove cieli per mezzo delli nove ordini d’angeli, cioè da’ nove motori ch’elli, cioè Iddio, à posto ai nove cieli, descende; prima la virtù informativa nei cieli che sono nove e sono forma con materia incorruttibile, e di quinde discende a le cose che sono forma con materia corruttibile. E prima discende la virtù informativa per mezzo del motore del primo ordine nel primo mobile, e nel secondo cielo per mezzo del secondo motore del secondo ordine, e così delli altri; ma lo primo mobile infonde anco la sua virtù unita nel secondo cielo et esso la divide in tutte le sue stelle per la virtù che fa 24 dal suo motore, ciascuna stella dell’ottava spera la infunde la sua virtù nei pianeti e ne le cose di sotto per la virtù data a li pianeti dai loro motori, e così l’uno infunde nell’altro infine che descende a le cose di sotto al cielo de la Luna, e però dice lo testo: a l’ultime potenzie; cioè a gli elementi che sono ultime potenzie, Giù d’atto in atto; cioè di cielo in cielo, che ciascuno è attivo et àe a fare l’atto suo et operare la virtù sua che li è infusa da quelli di sopra, tanto divenendo; cioè tanto descendendo di corpo in corpo, Che più non fa; la detta virtù informativa, che brevi contingenzie; cioè cose che contingeno e poco durano. Et espone sè medesimo, dicendo: E queste contingenzie esser intendo; cioè io santo Tomaso, Le cose generate, che produce Con seme e senza seme; cioè che nasceno di seme e senza seme, il Ciel movendo: imperò che li cieli per lo loro moto sono cagione de le loro influenzie: imperò che li cieli riceveno di sopra, e di sotto infondeno; e se non si movessono non influerebbono se non in uno determinato luogo la loro influenzia, e così non sentirebbe l’universo la virtù informativa dei cieli.
C. XIII — v. 67-78. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come santo Tomaso, oltra procedendo ne la sua ragione, aggiunge a la maggiore sua ragione, che à premissa inanti, la minore formando così l’argomento: Li princìpi formali produceno la forma ideale che reluce in loro secondo che l’paziente è disposto, e secondo che essi sono disposti a producere; ma ellino tutti non sono sempre disposti a producere d’un modo, nè la materia paziente è sempre atta a ricevere d’un modo; e però addiviene diversità ne li individui. La maggiore è vera: imperò che ogni agente opera secondo la sua virtù e secondo che truova lo paziente disposto. La minore è vera che li cieli non sono tutti sempre disposti a producere d’un modo: imperò che altra virtù à l’uno et altra virtù à l’altro, e sempre non stanno in un modo, anco continuamente sono in mutazione. E così la materia paziente conviene essere disposta diversamente, secondo che diversa è in sua composizione, e secondo che diversamente la dispongono li cieli; adunqua è vera la conclusione, cioè che diverse sono le contingenzie e diversi sono l’individui che si generano per le influenzie dei cieli. Dice adunqua così lo testo: La cera di costoro; cioè de li individui che sono disposti a ricevere la impressione dei cieli, che è forma impressa da la forma ideale che è ne la mente divina, e chi la duce 25; cioè e li cieli che la dispongono a ricevere, cioè la materia paziente, Non sta d’un modo: imperò che la materia paziente non è sempre in uno medesimo modo, nè anco li cieli che la dispongono non sono in una medesima azione, e però sotto ’l segno Ideal; cioè sotto la impressione che ànno li cieli de la idea, che è ne la divina mente, poi; cioè che l’ànno ricevuta da la mente divina, più e men traluce; cioè secondo che sono disposti li cieli a disponere la materia paziente et ad influere in essa; e secondo che essa è disposta a ricevere per sua virtù e potenzia datali naturalmente, risplende nel suo essere, secondo la forma in essa indutta. Unde; cioè per la qual cosa, avvien elli; cioè avviene quello, cioè che un medesimo legno; cioè una medesima spezie d’arbori, e però dice, Segondo spezie; cioè secondo spezie s’intenda l’identità; ma non secondo l’individuo; e tanto viene a dire quanto diversi arbori secondo l’individuo; ma non secondo la spezie: imperò che, se la diversità fusse secondo la spezie, non sarebbe maraviglia; ma essendo secondo lo individuo, l’omo se ne meraviglia, e mellio e peggio frutta; cioè uno fico 26 et uno melo meglio fruttifica che uno altro. E voi; cioè uomini, nascete con diverso ingegno; cioè l’uno con ingegno grosso, e l’altro con ingegno sottile. Se fusse a punto la cera; cioè la materia paziente, che è come cera, atta a ricevere la impressione dei cieli, dedutta; cioè menata e fatta molle, acciò che ricevesse la impressione del suggello, E fusse ’l Cielo; cioè che induce l’impressione, in sua virtù suprema; sicchè fusse atto ad imprimere, secondo la sua maggior virtù: imperò che ’l cielo, benchè sia atto ad imprimere quello che riceve da Dio per mezzo de’motori, non è sempre atto d’uno modo: imperò che la virtù dei cieli si muta secondo lo mutamento dei cieli e lo situamento de le sue parti; e però altro effetto produceno in uno tempo et altro in uno altro, La luce; cioè la forma e lo splendore, del suggel; cioè della impressione dei cieli, che è come suggello ad imprimere nella materia paziente, parrebbe tutta; cioè si vederebbe tutta imperfetta 27 ne le cose produtte da la natura. Ma la Natura; cioè la natura naturata, cioè le cagioni seconde che sono li cieli, la dà; cioè la virtù dei cieli, che à ad imprimere ne la materia paziente, sempre scema; cioè con mancamento: imperò che nolla dà in quella perfezione che la riceve dai motori, Similemente operando; cioè la natura; ecco che arreca la similitudine, operando; cioè la vera natura, all’artista; cioè come fa l’artefice, Ch’à l’abito de l’arte; cioè che sa quello che richiede l’arte; ma non lo può amministrare: imperò che à defettuosi l’istrumenti e però dice, e man che trema: cioè l’artifice non può amministrare quello che s’appartiene all’arte: imperò che li manca lo istrumento, cioè la mano che dè operare, la quale è defettuosa, chè trema e non può operarla a quello che si conviene e ch’elli vuole fare; e così li cieli ànno bene a producere e sanno quello che si produce; ma per qualche modo manca loro la perfezione. E finisce la prima lezione del canto xiii, et incominciasi la seconda.
Però se il caldo amor ec. Questa è la seconda lezione del canto xiii, ne la quale l’autore nostro finge che santo Tomaso descendesse al punto de la quistione e solvesse l’opposizione e dichiarasse lo punto de la quistione. E dividesi tutta in parti cinque: imperò che prima finge 28 e rende la cagione, per che addiviene che alquanti siano di grande eccellenzia et alquanti perfetti produtti da la natura, come di sopra à renduto cagione per che addiviene che gli omini non nasceno tutti perfetti; nella seconda finge come santo Tomaso descendesse al punto de la quistione, et incominciasi quine: Or s’io non procedesse ec.; nella terzia finge come santo Tomaso solve lo dubbio e la quistione e dà a Dante ammonimento, et incominciasi quine: Unde se ciò ec.; nella quarta parte finge che conferma l’ammonimento dato a Dante per esempli di molti Filosofi et eretici che sono caduti in errore non servando questo ammonimento et incominciasi quine: Per ch’ell’incontra ec.; ne la quinta parte lo nostro autore finge come santo Tomaso adiunse uno altro ammonimento de l’iudicare, dimostrando che l’omo ne’ suoi iudici si può molto ingannare, et incominciasi quine: Nè sian le genti ec. Divisa ora la lezione, è da vedere lo testo co l’esposizioni lilterali, allegoriche e morali.
C. XIII — v. 79-87. In questi primi tre ternari lo nostro autore finge come santo Tomaso d’Aquino, continuando lo suo parlare, perchè aveva detto di sopra perchè avviene la diversità nelli individui, sicchè adiunge ora la cagione, unde addiviene che molti individui nasceno con grande eccellenzia e quale con tutta perfezione, dicendo: Però; ben dice Però: imperò che questo che dirà descende da quel che è detto di sopra, se il caldo amor; cioè se lo fervente amore, cioè de la natura che è mossa da Dio, come amato da essa, e 29 però se la natura è ben disposta a ricevere la virtù impressa da Dio, et Iddio la impronti, allora viene la cosa produtta perfetta; e però si debbono acconciare le parole, cioè: se la chiara vista; cioè la chiara luce, De la prima virtù; cioè d’Iddio, che è prima e somma virtù, dispone e segna; questi due verbi non pone l’autore senza cagione; ma a dimostrare che Iddio è primo operatore d’ogni bene, e però dice dispone: imperò che Iddio prima per sua grazia dispone la natura a ricevere la sua impressione, e poi imprime in essa la sua forma e lo suo suggello poi che l’à disposta, e però dice e segna; cioè imprime lo suo suggello, il caldo amor; cioè lo fervente amore de la natura naturata, cioè dei cieli che sono cagioni seconde e de la materia che è paziente et esce fuora in atto cosi disposta, come amante con fervore grande di fare quello che piaccia a colui che l’à così disposta, Tutta la perfezion; cioè tutta la perfezione che può dare la natura, secondo la potenzia ordinata, data da Dio, quivi; cioè in quella così fatta natura ferventemente amante, s’acquista: imperò che niente vi manca che possi dare la natura. Et è in questo luogo da notare lo sottile intelletto che l’autore ebbe: imperò che coniunse insieme la sentenzia del Filosofo, cioè che Iddio muove ogni cosa come amato, che tanto vuole 30, quanto Iddio stante fermo et immobile ogni cosa muove co lo istinto, che àe posto ne le cose naturali, a simile come l’amato muove l’amatore che stando immobile muove lo suo amatore co la virtù dell’amore che è ne l’amante; e la sentenzia della santa Teologia che è che ogni cosa si muove secondo la grazia d’Iddio, cioè secondo la disposizione che Iddio dà per sua grazia. E questo quanto al bene, e però disse 31 dispone e segna; e lo caldo amore per la inclinazione de la natura, la quale, benchè sia in ogni cosa secondo l’ordine della natura, cresce secondo la influenzia della grazia. Così fu fatta già la terra degna Di tutta l’animal perfezione; arreca la prova di quello che àe detto, per esemplo de la prima creazione di tutti li animali: la terra produsse al principio tutti li animali per la influenzia che li fu data da’ cicli secondo ch’ella fu disposta a 32 producere, e prima quella influenzia ricevere, e li cieli la influsseno secondo che disposti furno da Dio, prima a ricevere e poi ad influere. Così fu fatta la Vergine pregna; ecco che arreca l’altro esemplo de la creazione de l’umanità di Cristo, non del modo: imperò che ’l modo fu cosa sopra natura, cioè che femina concepesse senza seme virile; ma l’umanità di Cristo fu la più perfetta che mai fusse. Unde procedè sì fatta perfezione? Da la luce divina che dispuose lo ventre de la Vergine Maria a ricevere tale impressione, e sì fatta forma impresse, e così dispuose tutti li cieli e tutta la natura a ricevere tale impressione, e sì fatta poi imprimere. E però s’adatta bene tale esemplo a proposito: Sì ch’io; cioè per la qual cosa io santo Tomaso; ecco che descende a l’opinione che comprendeva essere ne la mente di Dante, la quale si verifica per l’argomento detto di sopra, sì come conclusione, commendo tua opinione; cioè di te Dante, et è questa, cioè Che l’umana natura mai non fue; cioè nel tempo passato, Nè fia; cioè nel tempo che è a venire, tale s’intende, cioè di tanta perfezione, qual fu; cioè di quanta perfezione fue, in quelle due persone; cioè in Adam et in Cristo: imperò che la natura mai non produsse omo sì perfetto nè producerà, come fu Adam primo omo, e Cristo lo quale si dice secondo uomo: imperò che secondo l’umanità fu di tutta perfezione che la natura puote dare: non dice de la deità, che è cosa perfettissima et incomprensibile.
C. XIII — v. 88-102. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come santo Tomaso ebbe fatto lo descenso a l’opinione sua, fece lo descenso al punto del dubbio, acciò che quello solvesse, dicendo così: Or; cioè ora, cioè a vale, s’io; cioè se io santo Tomaso, non procedesse avanti piue; cioè più innanti co la mia ragione, Dunque come costui; cioè Salomone, del quale si parlò di sopra, fu senza pare? Ecco lo dubbio: imperò che per quel che è detto, mostrato è ch’elli avesse più eccellente di sè in natura umana, cioè Adam e Cristo, Comincerebber le parole tue; disse santo Tomaso a Dante, secondo ch’elli finge, dicendo contra a quello che detto òne; e così tocca lo punto dell’obiezione. Ma perchè; ecco che incomincia santo Tomaso a solvere lo dubbio, dicendo: Ma acciò che paia ben; cioè si vegga bene, ciò che non pare; cioè quello che non si vede, Pensa; cioè tu, Dante, chi era; cioè colui, del quale fu detto di sopra, che A veder tanto non surse ’l secondo; e pensa ancora, e la cagion, che ’l mosse; cioè colui, del quale è stato detto, a dimandare; cioè a Dio la grazia che li dimandò, Quando fu detto: Chiedi; cioè quando fu detto a lui, cioè a Salomone: Dimanda quel che tu vuoi. Non ò parlato; cioè io Tomaso, sì che tu; cioè Dante, non posse Ben veder ch’ei fu re; cioè che colui, di che parlai, fu re Salomone: imperò che nella santa Scrittura in libro Regum III. cap. III. si scrive che fu detto a Salomone da Dio nel sonno, che dimandasse quella grazia ch’elli voleva; et elli disse: Iddio Signore, oltra altre cose che disse prima, darai al servo tuo lo cuore ammaestrevile a ciò che possa iudicare lo popolo tuo, e dammi senno sicch’io cognosca tra ’l bene e’l male; e per questo si può cognoscere che fu lo re Salomone: imperò che nella Bibbia non si contiene che a nessuno altro re fusse detto: Chiedi; e che nessuno dimandasse quello che dimandò elli, che; cioè lo quale, chiese senno; cioè addimandò senno a Dio, Acciò che re sofficiente fosse; cioè a questo fine fece la sua dimanda si fatta, a ciò ch’elli fusse re sofficiente a reggere lo popolo a lui commesso; e però dice: Non per saper; cioè non 33 senno, per sapere a vanagloria; ma ad utilità del popolo, e non per sè, come arebbono fatto molti altri, e però dice: lo numero, in che enno 34; cioè nel quale sono, Li motor di quassù; cioè li angeli, che Iddio àne posto et ordinato a muovere li cieli, e però àe detto di quassù: imperò che santo Tomaso, che parla secondo la fizione de l’autore, si rappresentava a lui allora nel corpo solare; la quale cosa arebbono dimandato molti presuntuosi che vogliano pur sapere quello che non si può sapere, o se necesse Con contingente; cioè coniunto, mai necesse fenno; cioè fenno risultare una proposizione che si facesse per necesse; la quale cosa è de le cautele dialetiche; la quale arte e scienzia fa l’uomo acuto in disputare: non addimandò sapere 35 Salomone, per avere le cautele de la Dialetica ne’ suoi silocismi. E che necesse con contingente fanno e concludono necesse, si dimostra argomentando così: Quel che è necessario essere, non contingente è non essere; e quello che non è contingente è non essere: impossibile è non essere; adunqua quel che non è contingente è non essere, necessario è essere 36. E la maggiore e minore si provano per le regole de l’equipollenzie; la quale cosa non addimandò 37 Salamone di sapere, perchè queste cose sono de la garrulità dei Dialetichi e sono a bene essere 38 e, Non si est dare primum motum esse; cioè ancora non dimandò, se non per esser chiaro dei dubbi dei Filosofi. Tratta Aristotile nel libro iii, iv e vi 39 se è possibile che sia lo primo moto o no. O se di mezzo cerchio far si pote Triangol, sì ch’un retto non avesse; cioè nè non dimandò se non per sapere lo problemo d’Euclide, che mostra Campano nel libro ii, cioè se si può fare d’uno mezzo cerchio uno triangulo che non abbia uno canto diritto; la qual cosa non è possibile: imperò che conviene che lo mezzo cerchio si divida per mezzo con una linea, e così rimagnano due trianguli che l’uno e l’altro àe uno angolo retto e gli altri ottusi, sì come appare in questa figura che è posta qui appresso; o conviene che si divida con due linee, e così seranno tre trianguli e nessuno arà angulo retto sì come appare in questa figura di sotto posta, e così appare che da mezzo cerchio non può fare triangulo che non abbia retto, se non se ne fa tre che anno anguli ottusi. E questo non dimandò di sapere Salomone, perchè non àe a fare l’omo ben vivere, e per consequente non àe a fare l’omo beato; ma dimandò sapere reggere lo popolo suo virtuosamente; la qual cosa fece beato lui e chi seguitò lo suo sapere.
C. XIII — v. 103-117. In questi cinque ternari finge lo nostro autore come santo Tomaso, continuando lo suo ragionamento, conchiuse la soluzione del dubbio di sopra posto, dicendo: Unde; cioè per la qual cosa; ecco che conchiude, se ciò che dissi; cioè io Tomaso di sopra, cioè del decimo canto, cioè Dentro nell’alta mente un sì profondo Saper fu messo che, se ’l vero è vero, A veder tanto non surse ’l secondo. — e questo nuote; cioè ch’i’ ò detto ne la parte precedente, cioè che li fu detto: Chiedi da Dio, e ch’elli dimandò cognoscimento tra ’l bene e ’l male acciò che possa iudicare lo popolo tuo, impari vedere; cioè tu, Dante, Regal prudenzia; cioè che fu regale prudenzia quella addimandò Salomone quando chiese senno; cioè senno per reggere lo popolo suo et anco, impari vedere quel; cioè quello, In che; cioè nel quale, siccome nel fine, lo stral; cioè lo parlare, di mia intenzion; che esce de la mia intenzione 40, percuote; cioè in che fine si dirizza. E; per questo dà ad intendere che quando disse di sopra non surse ’l secondo, intese alcuno re che fusse segondo a lui in sapere, e così se ne esclude Adam: imperò ch’elli non fu re, e santo Tomaso parlando, intese dei regi. E se al Surse; cioè a questa parola, cioè Surse: questo è verbo che significa si levò; e se a questo parlare, drizzi li occhi chiari; cioè la ragione e lo’ntelletto non turbati d’altra 41 occupazione, considerando che vuole significare si levò, che non si può intendere se non di quelli che sono cadudi 42: imperò che chi non cade non si leva, e chi non sta giuso 43 ad iacere; dunqua levare presuppone cadere o iacere andato inanti, e per questo si esclude dal parlare lo secondo uomo, cioè Cristo; imperò che Cristo non cadde mai, nè iacque moralmente intendendo: imperò che mai non peccò. Ecco che sta vero lo detto di prima, cioè che A veder tanto non surse ’l secondo: imperò Adam non osta, perchè non fu re; ma ben cadde; e Cristo non osta: imperò che, benchè fusse re, non surse: imperò ch’elli non cadde: imperò che non peccò mai. E però ben dice: Vedrai; cioè tu, Dante, aver; cioè le mie parole, solamente rispetto Ai regi, che son molti: imperò che molti sono li regi del mondo, che sono al presente e che sono stati e che saranno, sicchè solamente le mie parole intendevano dei regi e così se ne esclude Adam, e i buon son rari: imperò che li buoni regi che siano senza peccato non si truovano: imperò che, se pure si trovasseno, si troverebbono rilevati per la grazia d’Iddio dal peccato originale o attuale o mortale, come si rilevò Salomone; e così se ne esclude Cristo: imperò che niuno peccato fu in Cristo nè originale, nè attuale, nè mortale, e così non Surse; sicchè, benchè Adam e Cristo fussono più savi di Salomone, questa è vera che nessuno re si levò da l’umana infezione secondo a lui, cioè a Saiomone pari: imperò che se non si levò secondo, puòsi conchiudere nè anco pari. Con questa distinzion; cioè delli omini alcuni sono regi, et alcuni no: lo mio parlare si restringe ai regi, e così delli omini alcuni si levano, come tutti li più si levano dal peccato per la grazia, et alcun 44 non si levano, e questi non sono se non Cristo e, secondo l’opinione d’alquanti, la Vergine Maria; e lo mio parlare si restringe a coloro che surgeno da l’umana infezione, prende ’l mio detto; cioè di me Tomaso d’Aquino, lo quale dissi di Salomone, E così puote star; cioè vero, con quel che credi Del primo padre; cioè d’Adam, e del nostro Diletto; cioè Cristo che è diletto di tutti i beati di vita eterna, sicchè questa è vera: l’umana natura mai non fu nè sarà tale, quale ella fu in Adam et in Cristo; e questa anco è vera, che nessuno re si levò mai pari a Salomone. E questo ti sia sempre piombo ai piedi; cioè e questa gravezza sia sempre a l’ effezione 45 tua, Dante, Per farti muover lento; cioè per farti andare lentamente a negare o affermare quello che si dice, come andrebbe colui che avesse lo piombo ai piedi, com’uom lasso; cioè come l’uomo stanco che si muove lento, Et al sì; cioè et all’affermazione, et al no; cioè et al negare, che tu non vedi; cioè se si debbe affermare o negare. Chè quelli; cioè imperò che; ecco la cagione, tra li stolti ben è basso; cioè ben è infimo tra li stolti, cioè è stoltissimo de li stolti, Che senza distinzion; cioè che prima faccia, afferma o nega; non fatta la distinzione, Cosi nell’un come nell altro passo; cioè così nelle proposizioni affirmative, come nelle negative: imperò che l’uomo può negare et affermare la negativa e così l’affirmativa; e chi lo fa senza distinzione è stoltissimo: imperò che la cosa potrà essere vera in uno modo e falsa in uno altro modo, sicchè per diversi respetti potrebbe essere vera e falsa, siccome appare ne le dette di sopra. E però in questa parte tocca bella et utile moralità; cioè che l’omo non dè essere frettuloso a negare, o ad affermare quello di che è addimandato; dè ben prima veder innanti che neghi, o affermi, se è da negare o d’affermare, e quello fare con distinzione ancora.
C. XIII — v. 118-129. In questi quattro ternari lo nostro autore conferma l’ammonimento che finse dato a lui da santo Tomaso predetto, fingendo ancora lo detto santo Tomaso continuare lo suo parlare, dicendo così: Sai tu, Dante, perch’io Tomaso òne detto che colui è stoltissimo che afferma o nega le proposizioni affirmative e negative senza distinzione? Perch’ell’incontra; ecco la cagione, per ch’elli avviene questo, cioè, che più volte piega l’opinion corrente a falsa parte; cioè l’opinione corrente, che non si ferma a distinguere, più volte piega a falsa parte che a la vera parte; e la cagione si è che de le cose non certe è opinione: imperò che de le certe è scienzia, e quando l’opinione si dirizza a la verità non è più opinione: imperò che diventa scienzia, sicchè, stante l’opinione che è credere che così sia senza certezza, piega lo ’ntelletto a la falsità, per che a la verità non adiunge e però piegasi a quel che crede esser vero, E poi l’affetto lo ’ntelletto lega; et adiunge la cagione, per che l’uomo sta fermo ne la sua opinione, cioè perchè l’affetto; cioè l’amore che l’omo àe posto al suo iudicio, lega lo ’ntelletto, e non nel lascia partire, poi che s’è incominciato a fermare. Via più che ’ndarno; cioè via più che invano s’affatica, come colui che navicando, si parte da riva; e non sa dove elli vada; et affaticatosi poi si ritorna a la riva unde s’è partito 46, àe perduto la sua fatica: peggio anco fa colui che si parte dal vero, e va errando con sue opinioni: imperò che non solamente perde la fatica; ma elli entra in errore che è peggio 47, Chi pesca per lo vero; cioè colui che va tentando di trovare lo vero co le sue opinioni, come lo pescatore che per credenzia va tentando dove sia lo pescio, e non sa l’arte; cioè non sa le scienzie che insegnano ad investigare e trovare la verità che sono contenute ne la Filosofia, come colui che non sa l’arte del pescare, che s’affatica e non à del pescio, e così perde la fatica; ma anco àe peggio colui, Chi pesca per lo vero, e non sa l’arte; di trovarlo, che colui che pesca per lo pescio e non sa l’arte di trovarlo e di prenderlo: imperò che questo non perde, se non la fatica; ma quello altro perde più: però ch’elli s’empie di falsa opinione che con fatica poi si lassa; e però dice lo testo: Perch’ei; cioè perchè elli; ecco la cagione, non torna tal, qual ei si move; cioè in quello essere ch’elli è innanti che pigli l’opinione: imperò che prima è voto e non à bisogno se non di mettere nello ’ntelletto la vera opinione, la quale non si dè chiamare opinione; ma scienzia; e poi che v’à messa la falsa opinione àe due fatiche; la prima, di cacciare via la falsa opinione e poi di mettervi la vera, e questo è quello che dice l’autore che finge che dica santo Tomaso. E di ciò; cioè di quel ch’ò detto, sono al mondo aperte prove; ecco che induce esempli a pruova di quello ch’à detto, Parmenide; questo fu filosofo in Atene e fuggitte l’abitazioni 48 e compagnie delli uomini et abitò nel monte Caucaso dove si dice che trovasse la Loica; e lo luogo che abitò fu chiamato la pietra di Parmenide e fu maestro di Zenone et al tempo di Ciro re de’ Persi fu famoso; e, secondo che dice Aristotile in el primo della Fisica, errò tenendo che fussono più princìpi immobili; la quale opinione Aristotile nel detto libro reprova e danna; e così tenne ancora Melisso che fu anco filosofo, et ancora Briso che fu anco filosofo, e tenne anco che fussono più princìpi mutabili e mobili, e però l’autore di loro à fatto menzione, dicendo: Melisso, Briso e molti; cioè altri Filosofi, dei quali anco Aristotile fa menzione nel detto libro, Li quali andavan; cioè Filosofi andavano discorrendo co le loro opinioni, e non sapean dove: imperò che non vedevano lo inconveniente, a che li menavano le loro false opinioni. Sì; cioè similmente, fe Sabellio; questo fu monaco cristiano eretico: Sabellio fu discepolo di Niceto e fu eretico, presa l’eresi dal maestro suo che teneva che ’l Padre, e ’l Figliuolo e lo Spirito Santo fussono una persona 49, e che ’l Padre sostenesse, et altri errori dipendenti da questi, et Arrio; questi anco fu cristiano prete eretico d’Alessandria al tempo di Licinio imperadore compagno di Costantino, lo quale si fece cristiano liberato da la lebbra da santo Salvestro: questo eretico Arrio disse molti grandi errori e quelli volse nella santa Chiesa di Dio seminare, dicendo che ’l Figliuolo non era consunstanziale al Padre, e che lo Figliuolo era creatura, e che lo Figliuolo aveva creato lo Spirito Santo; e non potendolo rivocare Alessandro vescovo d’Alessandria da questi errori, lo cacciò fuora della chiesa et elli allora suscitò setta contra la Chiesa et allora Costantino imperadore cristiano fece fare lo sinodo, nel quale furno 318 vescovi e convinsono li errori d’Arrio, di Sabellio e di Fotino, e fu cacciato Arrio in esilio; possa revocato, dovendo venire a disputazione col vescovo d’Alessandria, per li devoti preghi del detto vescovo innanzi che venisse a la disputazione, gittò le intestine di sotto e cadde morto, e quelli stolti; cioè cristiani eretici altri, che furno molti, sì come appare ancora di sopra, Che furon; cioè li quali detti eretici furno, come spade a le Scritture; cioè de la santa Teologia, cioè furno fatti come sono le spade ai volti umani: imperò che quando la spada è lucida e lo volto umano vi si specchi, lo rende torto e non lo rappresenta in quella forma che è; così questi eretici ripresentano li testi de la santa Teologia torti a chi li guardava sposti da loro, perchè li storcevano e tiravano a la loro falsa opinione. E bene assimiglia li volti umani a la santa Scrittura: imperò che come lo volto umano dimostra quello che è nel cuore; così lo testo della santa Scrittura dimostra dirittamente la vera sentenzia che è dentro in esso testo, e li eretici storceno li testi e così storceno le sentenzie, e rendono falsi e torti li testi e le sentenzie a chi legge le loro erratiche opinioni; e però dice: In render torti; cioè in rappresentare torti a chi li guarda ne le loro esposizioni, li diritti volti; cioè li dritti testi e le loro diritte sentenzie. E così à fatto prova per questi esempli di quello che disse di sopra, cioè che Chi pesca per lo vero, e non sa l’arte Via più che’ndarno da riva si parte, perch’elli non torna tale quale elli si muove.
C. XIII — v. 130-142. In questi quattro ternari et uno versetto lo nostro autore finge come santo Tomaso, continuando lo suo parlare, adiunse alcuna moralità; cioè che l’uomo non debbe essere sicuro in iudicare le condizioni delli omini: imperò che li iudìci delli omini sono molto ingannevili, dicendo così: Nè sian; ecco che adiunge questa moralità a quella di sopra, quasi dica: Io òne detto che gli omini non debbono affermare nè negare senza distinzione, e debbono essere tardi così all’uno come a l’altro; e così ti dico che debbono essere in iudicare, e però dice: Nè sian le genti ancor troppo sicure Ad indicar; cioè 50 le condizioni degli omini: imperò che per quel di fuora non si può vedere quel d’entro, nè per lo presente si può iudicare lo futuro: imperò che dice santo Agustino: De occultis alieni cordis temere iudicare peccatum est, e Boezio nel iv libro preallegato molte volte dice: De hoc quem tu iustissimum et aequi servantissimum putas, omnia scienti providentiae diversum videtur ec. Et adiunge l’autore una similitudine, dicendo: siccome quei; cioè quelli, che stima Le biade in campo, pria che sian mature; alcuna volta vedendo l’omo la biada in erba fa sua stima, dicendo: Qui ara tanto grano, che poi non vi si ricollie pur la metà; et assegna la cagione: Ch’i’ò; cioè imperò ch’io Tomaso òne, veduto tutto ’l verno prima Il prun; cioè quello che produce la rosa, mostrarsi rigido e feroce; sicchè pare secco, Possa portar la rosa in su la cima; cioè ne la primavera, quando tutte l’erbe e le piante metteno fuora; et adiunge l’altra cagione, dicendo: E legno; cioè navicabile, viddi già; cioè io Tomaso, Correr lo mar; cioè lo quale naviga, dritto e veloce; cioè lo legno, per tutto suo cammino; cioè per tutto lo viaggio che dovea fare, Perir al fin; cioè a l’ultimo; e dichiara quando, cioè, all’intrar de la foce; cioè del fiume nel quale vuole intrare per andare a la città, sì come s’entra ne la foce dell’Arno ne la quale sono già periti molti legni entrando et uscendo. E però descende, posto l’ammaestramento proibitivo de l’iudicare, a dimostrare come l’uomo si può ingannare: imperò che l’iudicio umano non s’accorda co l’iudicio d’Iddio, lo quale non può errare; ma l’omo sì, dicendo: Non creda donna Berta, e ser Martino; cioè alcuno uomo e donna; e pone lo nome finito per lo infinito, Per veder un furar; cioè uno uomo furare, l’altro; cioè uomo, offerere; cioè fare offerta a Dio, Vederli dentro; ecco quel che l’uomo non debbe credere, cioè vedere colui che fura e colui che offerisce, dentro dal consil divino; cioè da la providenzia d’Iddio che àe predestinato o prescito coloro: imperò che la providenzia d’Iddio ene ignota a gli omini; et adiunge la cagione, dicendo: Chè; cioè imperò che, quel; cioè colui che fura, può surgere; cioè dal peccato a la grazia, lassando lo furare e diventando santo omo, e quel; cioè che offerisce, può cadere; cioè da la grazia al peccato; e così rimane ingannato lo iudicio umano. E qui finisce lo canto xiii, et incominciasi lo quatuordecimo.
Note
- ↑ Dodicine, dozzine. E.
- ↑ C. M. che finge che si girassero
- ↑ Image; imagine, dall’imago latino e terminato in e per cagione di uniformità, come compage più innanzi ec. E.
- ↑ Plage; plaghe, per l’ordinaria fognatura dell’h. E.
- ↑ Ora, adoperato anco in plurale senza che vari la desinenza, come duca, papa, pera e simili. E.
- ↑ C. M. di quel segno che si chiama corona che sta intorno al perno del cielo, ed intorno a questa
- ↑ C. M. segni così ordinarsi: girarsi
- ↑ C. M. spettabile
- ↑ C. M. doppio circulo de’
- ↑ C. M. santa Scrittura;
- ↑ C. M. Apolline lo quale è chiamato per molti nomi, le quali si
- ↑ C. M. sacrificio, li quali canti si facevano in quei di rieto nel modo dell’idolatria, Ma
- ↑ Da - E così - a - del Verbo, - manca nel Magliab.
- ↑ C. M. lumi; imperò che di lume fasciati erano come finge l’autore si riposonno attendendo a noi, Felicitando
- ↑ C. M. s. Francesco che per amore di Dio amò la povertà, narrata
- ↑ C. M. costa diritta d’Adamo cavata da Dio
- ↑ C. M. colore che si chiama
- ↑ C. M. sudò, e quando fu battuto, et
- ↑ Attributa; attribuita, secondo il latino attributus. E.
- ↑ Cioe o ciò di perfezione, vaga maniera del dire tolta dai Latini. E.
- ↑ C. M. cioè si fa terzia
- ↑ C. M. è lo padre di tutte,
- ↑ C. M. che ricevono stando di sotto da Dio esso raggiare, e quello rifundeno come specchi ne’ cieli, e li cieli rifundeno come secondi specchi nelle cose di sotto a loro, Eternalmente
- ↑ C. M. la virtù infusa in esso da’ suoi motori. E ciascuna
- ↑ Duce; deduce, dispone, dal latino ducere. E.
- ↑ C. M. uno fico meglio frutta che un altro. E voi;
- ↑ C. M. tutta e perfetta nelle
- ↑ C. M. prima rende la cagione,
- ↑ C. M. e allora è ferente l’amore della natura quando è ben
- ↑ C. M. vuole dire, cioè che Iddio
- ↑ C. M. disse se la chiara vista, dispone
- ↑ C. M. disposta a ricevere prima quella influenzia e producere, e li cieli
- ↑ C. M. non dimandò senno per sapere ad
- ↑ Enno, dalla terza singolare è, duplicala l’n alla consueta giunta del no finale. E.
- ↑ C. M. non dimandò senno Salomone per sapere le
- ↑ Questo passo debb’essere sconcio dalla ignoranza del copista. E.
- ↑ C. M. e per sapere questo non addimandò senno Salomone, perchè
- ↑ C. M. essere; ma non ad essere, Non
- ↑ C. M. e v dolla Fisica, se
- ↑ C. M. intenzione, come lo strale dal balestro, percuote;
- ↑ C. M. d’altra opinione,
- ↑ Cadudi, scambio del t in d, come in imperadore, privado ec E.
- ↑ C. M. giuso o a sedere o ad iacere non si leva; dunque levare presuppone o cadere o sedere o iacere essere ito innanti,
- ↑ . M. alcuni come tutti li più non si levano che sempre vi stanno, e
- ↑ Effezione per affezione, come talora scontrasi effetto per affetto. E.
- ↑ C. M. partito senza pescio, e così àe
- ↑ C. M. peggio; e se pur ritorna mai non ritorna tale quale prima era, Chi
- ↑ C. M. fuggite lo coabitare con li uomini et andò ad abitare nel
- ↑ C. M. che’l Padre e l’altre due persone incarnasseno e sostenesseno, et
- ↑ C. M. cioè non sieno lo genti troppo ardite, ad indicare delle condizioni