Annali overo Croniche di Trento/Libro V

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DELLE CRONICHE

DI TRENTO

DI GIANO PIRRO PINCIO

LIBRO QUINTO.

Dedicate all'Illustrissimo Signor Aliprando Clesio.


EE
Ssendo la Città per la morte di così buon Prencipe mesta, & malinconica, mà allegra etiandio per la già poco fà recuperata libertà fù eletto à quella dignità ch'era vacante Giorgio primo di Liechtenstain

Giorgio 1. Vesc. 88. del Castello Nibespurgo, uno de principali Baroni dell'Austria, all’hora Preposito della Chiesa di San Stefano di Vienna, Città Metropolitana di quella Provincia, & Ducato. Fù confermato con auttorità Pontificia, al quale venne consegnato da Padri la cura, & governo del publico. Ricevè in mal punto la Carica, perche gli Trentini animati dalla speranza d’impadronirsi della Republica, & governo, drizzarano l’animo à machinare ingani, & sceleragini. Bellenzano. Erano instigati da Rodolfo della chiara Famiglia Bellenzana, costui era nemico capitale de Vescovi, & haveva il suo pensiero intento à cose nove, esortava ogn’uno alla libertà, acciò messa in confusione, & conquasso la Città, più agevolmente potesse arrivare à suoi disegni, & impatronirsi del Vescovato: Per tal effetto haveva havuta parola da Federico Arciduca d’Austria, & Conte del Tirolo, prometendoli questo ogni assistenza.

Pensando gli Trentini, & persuadendosi, che deposto il Vescovo dal Principato soli haverebbon havuto il governo della Città, & Territorio, desideravano venirne ad un fine, facevano percìò secretti consigli, ordivano ingani, apparechiavano intrepidi, & [p. 94 modifica]senza alcun induggio quanto giudicavano necessario per tal impietà. Scorgendo il tempo opportuno, & commodo per esequire si attroce sceleragine, persuadendosi che dovesse succedergli quanto bramavano, stabilirono arditamente assalire il Prelato. Per tal effetto dal Bellenzano huomo valoroso, in quel tempo superiore à tutti della Città in richezze, & seguito, auttore di tanto misfatto, fù amassata gente d’armi, secretamente introdotta nella Città, & distribuita per le contrade alli amici, e parenti, e questa posta in ordine, pensatamente assalirono gli infelici, & forsenati Cittadini il povero Vescovo, mentre usciva di Castello, lo presero con hostil violenza, & impeto, lo legarono, & condussero pregione, tratatto egli in tal guisa dalla forza populare, alzati gli occhi al Cielo formò queste parole Vigilio Santo, & altri Patroni di questa Città, & fortezza Episcopale, in questo modo permetterete sij oltraggiato il vostro Vescovo da chi havrebbe dovuto essere difeso. Conportarete che queste mani, quali tante volte han toccate le vostre Sante Reliquie con la dovuta devotione, & riverenza, hora restino frà queste funi ? Dunque sarà lecito col favor vostro che s’inalzino gli huomini degni, & buoni al supremo, & pericoloso stato di dignità, poi abbandonati, & traditi restino depressi ? Cosi dunque con mani machiate, & sacrileghe fatte violenza al vostro Vesc. Giorgio, qual con le proprie facoltà hà sollevata la vostra Città, tanto aggravata di debiti per le continue guerre, & gravi tributi ? Cosi strascinate in oscura carcere à forza de funi, quello ch’era solecito al culto Divino, & delle Chiese ? Non vi passa più per la memoria quella volta, che mi chiamasti dall’Austria anzi mandasti legati acciò venissi à reggere la vostra Chiesa, & Città insieme ? Non v’arricordate dico di quel giorno nel quale con tant’applauso, & apparato fui incontratto dalla Città, ricevuto, & accompagnato alla Sacra Sede Pontificale ? Queste sono le gratie, che rendete voi al vostro Pastore ? Sarà mai cosa giusta, che il vostro Prelato benemerito della vostra Republica, qual voi medemi creasti vostro Vescovo, hora, legato in oscura Carcere sij condannato à rendere l’anima come rea per mano de Carnefice ? Non poteva in altro modo satiarsi la libidine de perversi Cittadini, senza che le vostre mani s’imbratassero del sangue del vostro proprio Pastore ? Il Ves. viene compassionato. Molti della intorno sparsa turba si commossero, ma niun però hebbe ardire alzare gli occhi contra la potenza del Belenzano, come ditatoria, & suprema, manco per esso dar un minimo sospiro. [p. 95 modifica]

Così condussero gli perversi Cittadini il buon Vescovo, che in tal modo s’andava lamentando,in oscurissima Carcere, nella Torre rossa, altrimente detta Vanga, qual soprasta alla Porta Bressana, hora chiamata di San Lorenzo.

Oratione di Belenzano al popolo. Il Bellenzano, doppò il sacrileggio, convocò il popolo ad un publico raggionamento. Hora Trentini miei (disse) vi sete resi degni del nome de valorosi, havendo prima difesa la libertà poco avanti restituitaci dal Bavaro, poi di nuovo involata dal Vescovo Giorgio, qual furtivamente s’introdusse alla tiranide, l’havete di novo ricuperata con la vostra virtù, havendo fatto pregione l’istesso Vescovo, quello che ci impediva il non poter vivere come in Città libera conviene. Hoggi vi sete immortalati, havete dichiarato à tutte le nationi doversi havere in maggior stima la vostra gloria, & reputazione, che la superbia d’un huomo forastiere. Era cosa iniqua, ingiusta, & malvagia, che un Prete forastiere (coli quel temerario chiamava il Vescovo) havesse il governo della vostra Città, & quello, che non sapeva quello che si fossero le armi, ma giudicava cosa scelerata il combatere o commandare ad huomini belligeri. A noi s’appartiene governare la nostra Republica, conforme ci parerà meglio, in diffesa della quale, se lo commandarete, non recusarò mai espormi a qual si vogglia pericolo di guerre, non mi ritrarano dalla diffesa della Patria gli crudelissimi commandi de Vescovi, ne le loro servili contentioni. Queste mie richezze, quale hò havute da miei antenati, voi medemi destinate in servitio delle squadre, fuori, e del popolo entro la Città. Fate conto habbi ricevute queste ricchezze non à mio commodo, spaso, & passatempi, ma ad uso del publico, il che stimo habbiate per fermo. Di già havete più volte esperimentato l’animo mio, in effetti havete scoperto, che mai mancai all’utilità vostra, & della Republica. Sin hora forsi saran stati gli miei meriti più deboli di quello, che voi aspetavate, & io desideravo. Mi dichiaro, che quanto sarà determinato per conservatione della vostra reputatione, & libertà, sarà mio obligo esequire con ogni singolar accuratezza, & portando la necessità lasciarvi la propria vita frà l’armi de nemici, purche (dato bando dalla Città la pesante giogo de Vescoci) le cose vostre possan felicemente succedervi, & finalmente habbiate il commando doppò tanto tempo di servitù. E cosa più conforme la ragione il governare, che l’essere governato, il commandare, che il servire, il regere noi stessi, che l’essere retti da quelli, che vengono à noi giornalmente pelegrini da lontani paesi. Dite [p. 96 modifica]valorosi non è più lodevole che huomini forti, & degni per opere heroiche commandino, che il servire? Pensavamo che sotto il governo di Giorgio havesse la nostra Republica, & Città da godere una vera libertà, tranquilità, e pace, ma quanto ci hà ingannati questo nostro pensiero, à qual termine sijno arivati gli nostri interessi di stato voi lo scorgete; & non bisogna haver l’occhio solo alle cose passate, ma con molta maggior cautella, & diligenza à quello che per l’avenire può succedere, e qual piega possi sortire il corso de negotij. E necessario approviate quanto è stato fatto, è animosamente lo deffendiate, se non volete ricadere per mezzo de cadaveri in maggiore servitù. Dovete dunque, in conservarvi la libertà essere huomini coragiosi, e sodi. L’haver scacciato il Vescovo dal Castello, con tutto il rimanente riuscirebbe frustatorio, e vano, se l’eggregio fatto da voi cominciato abbandonasti, & non lo voleste diffendere. Non vi perdete d’animo, diffendete la libertà vostra, dono da tutte le nationi appreggiato, & à tutti iocondo, e caro, con quell’animo, & virtù ,con cui la recuperasti. Per questo effeto Federico Duca potentissimo d’Austria, & hora Conte del Tirolo vi promette ogni aiuto, questo ci riprende di codardia, & dappocagine. Dice non convenirsi, che li Trentini altresi gente feroce, si lasci governare da Vescovi, si stupisce, & publicamente vi tiene per huomini, che non sano goder la libertà, qual per special dono del Cielo vi è stata restituita. Non vorrei vi passasse per il pensiero, che quelli che vengono qua in questo Prencipato, lasciano per causa nostra la lor Patria, della quale havete già provato non ritrovarsi cosa più grata, & cara.

Vengono da noi (lo confesso) & lasciano la lor Patria, ma à che fine? per ingrassarsi con le nostre rovine, per arrichirsi delle nostre povere sostanze, & vogliono (gran cecità nostra) che per ciò gli restiamo molto obligati, & riceviamo à gran beneficio, che ci governino, che ci travaglino, & che ci scortichino. Bella cosa è il commandare, ancorche molto difficile, qual opinione se non fosse da ogn’uno abbracciata, non sarebbe à noi mandato giornalmente alcuno da parte diverse à travagliarci, quasi fosse proprio di voi altri servire à persone meschine, e dell’altre nationi haver dispotico dominio sopra li buoni. Trentini vivete in tal guisa, che vi dimostriate amatori della propria libertà, non vi scordate mai la tirania de Bavari, quali apportarono alla Città nostra tante turbolenze, & miserie, che per ancor non habbiamo purgato il sangue di quelle communi piaghe. Non volesti [p. 97 modifica]portare un Bavaro solo, huomo feroce, crudele, & à tutti formidabile, & soportarete più Vescovi, quali con ordine continuato, uno doppò l’altro, come à propria heredità da Paesi lontani à noi vengono, che con gli ornamenti delle loro Mitrie, & Bastoni storti ci arrecano maggior spavento delli soldati atroci, & inhumani con loro dardi, & morioni. Gli più moderni sempre si mostrarono più avidi: Et per governar più facilmente conforme il loro capricio vogliono essere temuti.

Se ci lamentiamo vengono imposti più gravi tributi, se obediamo, & con patienza sostenemo gli aggravi essendo buoni veniamo lodati, & à guisa di bestie da macello devorati; Sin quando sopportarete cotal tiranide? spero finalmente, che conoscerete le vostre forze, quali manco la natura ha voluto nascondere alli stessi bruti. Vorrei facesti computo quanti siate, & con quanti nemici habbiate la differenza, intenderete essere più facile combatere in favor della libertà e per l’Imperio tanti contro uno, che uno contro tanti. Volete haver pace, date mano all’armi. Se gli Vescovi vi vedrano pronti, & preparati al difendervi, più non vi molestarano, vi lasciarano godere le vostre ragioni, si quietarano permettendovi nella vostra libertà. Non bisogna perdersi d’animo Trentini miei, quando si tratta di diffendere la Republica gli parenti, gli figlioli, le mogli, & quel poco che si ritroviamo avere de richezze. Io non mancarò dal mio canto, non vi abbandonarò in qual si voglia luogo, in qual si sia pericolo, ma state avertiti à non vi intepidire, non mancate porgermi scambievolmente tutti quelli favori, che mi havete promessi nel più bello di consegire negotio di tanta nostra consequenza. Eh che non è d’animo tanto vile il popolo Trentino per natura ingenuo, & magnanimo, che di lui possi ragionevolmente dubitarne. Sarà possibile, che permeterete resusciti quel Vescovo ,qual medemi già mortificasti? Vi mostraste tanto animosi con gli stranieri per la libertà, & frà le proprie mura effeminati, vi darà l’animo vivere in vna vituperosa schiavitudine. Combateste in Campagna valorosamente per la publica libertà, & ve ne starete con le mani alla cintola nella vostra Città, perdendo miserabilmente quello, che con tante fatiche, & sangue recuperasti. Sempre (per quanto posso ricordarmi) havete ottenuto tutto ciò, che havete bramato, ò per fortuna, o per forza del vostro valore, proseguite, esperimentate la vostra felicità, non patite vi sij involata la vostra libertà, qual hora tenete frà le mani, sapiatela donque conservare. Constanti pure, ne vogliate [p. 98 modifica]permetere vi sij levato quello, che giuridicamente possedete. Io sarò il vostro protettore, il vostro padrone, il diffenssore della Città, & Republica insieme. Sarò ad ogni occorrenza in procinto e pronto sino al combatere contro i Vescovi, quali sempre havete scoperti capitali nemici delle vostre raggioni. Quando mi publicarete vostro Capitano per conseguire quello, che giustamente pretendete, vedrete chi è il Bellenzano, mi farò ammirare sempre più forte, & coragioso.

Cosa dunque s’habbi da fare lo concludi il popolo, il publico con communi balle, & voci. Io giudico meglio, & più espediente ridure il nostro governo in forma di Republica, perche cosi non si soggiace alla tirania d’un solo; Non può uno havere tanta prudenza, & forza che possa uguagliare tanti eccellenti ingegni, che in questa Città si ritrovano. Gli Prencipi per lo più sono dalle adulationi preoccupati, & molte volte ancorche altrimente di buona mente corroti. In somma non si ritrova la più soave cosa della libertà. Si che non può essere se non bene sradicare l’amministratione de Vescovi, & abbassare fino à terra la loro maledetta superbia, & orgoglio: E necessario rendere communi quelle cose, quali gli Prencipi passati temerariamente s’havevano come proprie usurpate. La somma del negotio stà in vostro petto, quanto la Republica determinarà, quello senza alcuna alteratione sarà entro, & fuori inviolabilmente osservato. Volendo condescendere à miei sani consigli principiaremo finalmente à commandare, doppò tanti anni di miserabile servitù, & ci faremo conoscere esser atti per reggere quelli, quali solleciti mandavano à noi i suoi adherenti per dominare. Hò detto il mio parere. Vorei parimente sentire il vostro senso.

Piaque à tutti il ragionamento del Bellenzano, qual servitosi di seditiose, e palliate ragioni, con tanta efficacia le seppe rappresentare, che non si ritrovò pur uno, che osasse contradirgli. Per il che sollevata la plebe qual sempre hebbe in odio la grandezza de Prencipi, subito furon sedeci soggetti per commandamento del popolo eletti, i quali havessero la suprema autorità, oltre questi determinarono uno a cui come ad unico auttore della recuperatione della Città tutti li negotij si riducessero, questo fù il Bellenzano, sotto li cui auspicij volevano, che tutte le cose fossero incaminate, & dirette. Bellenzano aspira al Principato. Insuperbito per questo il Bellenzano, & vedendo che il popolo tutto contra il Vescovo seco era in congiura, & che à se per commun decreto, della nobiltà, & plebe, [p. 99 modifica]stata conferita la potestà del governo, per altro anche d’animo intrepido, ad intraprendere ogni più malagevole impresa risoluto; prese per questo tanto ardire, & superbia, che cominciò à pensare d’effetuare quello, che molto tempo haveva conceputo nell’animo d’impadronirsi del Principato. Si propone avanti gli occhi, & và meditando cosa sij l’essere Prencipe, conclude essere il governo la cosa più degna, & soave di tutte l’altre, in consequenza tutti gli mezzi per giongere à tal fine essere honesti, & lodevoli. Poscia esamina quali potessero essere più à proposito, & ventilati gli più opportuni, determina doversi usare ogni studio per havergli in pronto; forma indi altri argomenti, cioè che non dependono gli Prencipi dalle leggi, ma ben si le leggi dalli Prencipi, il tutto essere lecito à chi commanda, participare gli Prencipi del Divino, tutte le cose soggiacere al suo volere, appartenere a huomini valorosi, & grandi tenere li scetri, l’essere capi alli altri; la scioca plebe per natura à guisa di paventosi Conigli codarda, & vile bramare più tosto d’esser retta, che reggere, gli saputi, & audaci poter condure questa bassa canaglia a lor voglia, & piacere ad ogni servitù, benche tiranica, esser pazzia potendo ciò fare, & mantenersi nel Principato, non farlo con manifesto pericolo d’esser servo. Essere necessario mostrar auttorità ver questi, rendersi eglino temerarij scorgendo il superiore pussilanimo. Si prefisse non riuscir malagevole il soggiogare gli Trentini, havere di già la Città in pugno, questa oppressa non apparere alcuna difficultà in ridure alla sua obedienza il rimanente del popolo, qual obedisce al nome Trentino, finalmente non dubita punto, che gli soldati non habbino da essergli fedeli, essendo tutti stipendiati con il suo danaro.

Vien in quella guisa il misero si precipitosamente trasportato dalla sua ambitione, & alti pensieri, & scosso dalla propria pazzia, che hormai gli par vedere che gli Nonesi, Solandri, quelli della Giudicaria, di Rendena, & altri Montanari, hanbitatori dell’Alpi, & cime de Monti, non molto lontani dalla Città, gl’habbin giurata fedeltà, & riconosciutolo per loro legitimo Prencipe. Essendo immerso il pazzo in questi, & simili pensieri, benche sapesse non potersi effetuare un tanto tradimento, & sceleragine, senza peccato, & macchia d’infamia, conoscendo etiandio essere impossibile pervenir al suo disegno senza inganni, & morte d’huomini, cominciò incrudelire, & mostrar la sua tiranide, contra quelli i quali per la loro integrità, & virtù, conosceva essere intimi al Vescovo, & altri di vita impuntabile, & a se di gran sospetto. Volse [p. 100 modifica]esercitare l’inhumano, primiera la sua crudeltà contro due giovini Ecclesiastici, Camerieri del medemo Vescovo, quali parimente dall’Austria l’havevano accompagnato fino à Trento; commandò donque che fussero posti in ceppi, poi tormentati, condotti in publica Piazza; Camerieri condannati ad esser decapitati. finalmente (commiserando molti la lor disgratia ancorche niuno havesse ardire di biasmar tanta crudeltà, ne formar in sua difesa, in publico una minima parola) fossero secondo il costume della Patria con la spada decapitati. Le teste ancora calde, e che grondavano stille di sangue per maggiormente far pompa della sua crudeltà, fece portar in pregione, & presentare al Vescovo.

Fiero spetacolo. Dicono gli Annali che il buon Vescovo si spaventò, in vedendo nell’oscura Carcere cotanto mostruosa, e disusata barbarie, non puote fermar gli occhi in speracolo si crudele; pianse inconsolabilmente, concependo maggior mestitia, & dolore della ingiusta morte de suoi famigliari, che della propria calamità. Pur in se ritornato richiamati li smariti spiriti, soverchiato dal dolore, diede horribil, & lamentevol grido. Il Vesc. accompagnato nel pianto. Inaudita sceleratezza cosi proruppe. Dunque à favore della plebe in nello modo io, & gli miei amici siamo imposturati, & ridutti alli infami colpi del Carnefice. Non si ritrova dunque chi in tanti miei guai, & delli amici, ardischi scusare, & prendere la diffesa di me loro Prencipe, & Vescovo incolpato del falso? Dunque sarò constretto sfortunatamente finir la vita senza sentenza, e processi per mera malignità de miei vassalli? Mentre si faceva sentire il perfido Bellenzano con si inaudite spietatezze nel Trentino, & il povero Vescovo viveva in tante calamità, & miserie, ristretto in oscura Carcere, oltraggiato, & con horribili vituperij improverato; venne all’orecchie d’Henrico Rottuburgo, perfetto della Provincia, amico, & confederato del Vescovo, haver la Città di Trento conspirato, & fatta congiura contra il lor Prencipe, & Pastore, il Popolo haver ribellato, & il buon Prelato frà gli lamenti, & querelle dalla slealtà de suoi sudditi, legato essere dalla moltitudine per commandamento del Bellenzano stato posto in infame prigione, il tutto venir amministrato per consiglio del Bellenzano, la Città ambitiosa del dominare hauer distribuiti gli officij.

Intese tali cose il Prefetto, stimò cosa indegna l’abbandonare il buon Vescovo in tanto pericolo, lasciar passar senza severo castigo indegnità tanto detestabile, usata ad huomo, & Prelato di si fatta integrità. Senza abbadare, stimando propria la causa del [p. 101 modifica]Vescovo con numeroso, & ben ordinato Esercito s’incaminò verso Trento.

Il Prefetto assalisce li Trentini. Di già s’era sparsa fama per la Città essere stato fatto consapevole il Prefetto di quanto era in quella succeduto, & haver il tutto ricevuto con mal sentimento, & che di già haveva amassata gente per venire alla rovina della Città. Inteso dal Bellenzano soprastargli il Dio delle vendette, per vendicare misfatto tanto infame, publico, & scandoloso, vien detto congregasse la seconda volta il Popolo ad una sua publica esortatione. Et incominciasse in tal guisa.

Essortatione di Belenzano al popolo. Trentini miei cari, Popolo mio diletto, huomini ne quali per la vostra fedeltà, valore, & virtù hò posto ogni speranza di ricuperare, & conservare la nostra antica libertà: E proverbio fatto à tutti commune, che le parole non aggiongono forza, ne mai per raggionamento essortatorio essersi alcuno reso di timido , & pauroso, coragioso, & ardito. Il timido non ascolti, ne s’accenda per acquistarsi gloria. Non v’hò adunati per infiamarvi, ne per giongervi animo, havendo di già sperimentato il vostro valore, ma solo per spiegarvi il mio consiglio. Sapete d’avantaggio Trentini miei quanta rovina v’habbi apportata la temerità, & pazzia d’alcuni, quali mentre si sono adoprati contra il ben publico, per far rendere obedienza all’avidità de Vescovi, hanno riduto la nostra libertà sotto una miserabile schiavitudine. Che perciò doppò haver voi meco conosciuto à qual termine fossero condotti i nostri interessi, giudicando non doversi più tolerare servitù tale, con ogni raggione deponessimo il Vescovo, che con tanta alterigia dominava, non potendo, che con la spada, farci strada alla antica nostra libertà. Intendo per quello, che noi facessimo con ogni giustitia, prepararsi, formidabil guerra. Di già essere il Prefetto de la Provincia Trentina con grosse, & ben ordinate squadre uscito in Campagna. Hò giudicato bene avisarvi, & darne à tutti parte, cosi ogn’uno sij allestito, e preparato all’armi, si farà a tutti conoscere chi son gli Trentini.

Si che occorendo, & essendo necessario azzufarsi con costoro, quali contro dovere hanno deliberato voler protegere il Tirano nostro: riducete à memoria nel stesso conflitto, quando andarete ad incontrare l’inimico, che non tanto portate la spada, al fianco, ma la gloria atresi, gli parenti, gli figlioli, le moglie, & l’istessa libertà, qual poco fà vi guadagnaste, il che potiamo senza dover essere tacciati giustamente desiderare, [p. 102 modifica]& chiedere dal Cielo. La vittoria sarà attribuita al vostro valore vincendo: Se per codardia, ò pigritia perdaremo, & cederemo all’inimico pur troppo ci farà constare, & sperimentare le consequenze. Li medemi ci si mostarano comtrarij da quali credevano vinti esser ricevuti con benignità, & amorevolezza, non ci restarà luogo di refugio, restarà prohibito ogni nascondiglio à chi saran scapati dalla spada. Vi sarà necessario ò patire cose vituperose, ed indegne d’huomini pari vostri, ò nella propria casa menar vita infame sbanditi dalla propria Patria.

Dalla nostra parte si combatte per la commune libertà, & stessa Patria, dalla parte nemica per la sol diffesa d’uno, si che non combataranno quelli con tanto calore, non potendo essere imputati, sarebbe grand ignominia la vostra, quando per il sommo de vostri interessi non ìmpiegasti ogni virtù, & forza fin’alla vita stessa, vi dovete raccordare quanto heroicamente sempre vi sete adoprati, & quanti trofei da vostri nemici sempre havere riportato; la dove permettendo il Cielo dobbiate incontrare l’inimico, & con esso lui azzufarvi per salute della Republica sarà più sicuro assalirlo con impeto, &_audacia, che mostrar timore. Il cercare salvarsi con la fuga fù sempre cosa effeminata, servile, & infame à quelli che son dall’armi circondati. Non vi cascasse mai in animo speranza di poter doppò la fuga, recuperare quelle cose che armati lasciasti in abbandono. Non ci ingombri cotal pazzia. Che occasione havete di temere, nella guerra non appaiano pericoli fuori che alli timidi. Huomini robusti, & forti elegono dal canto loro più tosto la giornata, che attendere l’inimico alli ripari. Non può esser superata la virtù. Si ricerca il solo ardire; l’animo generoso, & coraggioso serve per fortissimo muro, massima scritta anco appresso la plebe, proponete di vincere, & haverete la vittoria in pugno. La necessità vi deve far forti, ancorche per natura fusti timidi, siamo gionti à termine, che conviene ò restare nella Città con la propria honorevolezza, & dignità, ò spogliati d’ogni havere, menar vita mirerabile in alieni paesi, scacciati dal paterno suolo, & perseguitati da tutte le parti.

Stà in vostro petto l’eletione, Ma chi è cosi privo di giudicio, che non vedi più glorioso il vivere nella propria Città commodo di tutte le tue facultà, che passarsela con viver vita miserabile, & vituperosa ne paesi alieni in perpetua schiavitudine: Non sà servire chi sà dover morire, chi non teme la morte, sprezza la schiavitudine. Non vi smenticate dell’antica vostra virtù, non lasciate [p. 103 modifica]di voi macchia à posteri, ponete in questo ogni vostra diligenza. Lasciamoci più tosto trucidare à guisa di Animali brutti. E meglio combatendo virilmente conservare il buon nome, & acquistar eterna fama, come richiede la raggion d’huomini degni, che darsi alla fuga per salvare, & havere una vita infame, fate in modo, che ritornando dalla battaglia habbiate luogo di riposarvi vincitori nel grembo delle vostre care moglie. Che se la fortuna capital nimica della virtù vorrà troncare il filo della vostra gloria, almeno habbiate à cuore non lasciarvi la vostra libertà, & vita insieme senza vendetta, questa sarà la vostra gloria lasciar all’inimico vittoria mesta, & sanguinosa. Non havete occasione di temer la morte (se però serete huomini) quale da gente malvaggia vi vien minacciato.

La morte è solo terribile à coloro, che con la vita perdono ogni altra gloria, è gloriosa, & gioconda à chi per le loro virtù, non pon estinguersi li loro heroichi fatti. Havete avanti gl’occhi la sicura speranza della vittoria, la gloria stessa, e il frutto della vittoria, strada infalibile all’immortalità. Sù prendete l’armi, affrontate, col medemo animo, con cui per il passato v’aquistaste tanta fama, l’inimico già vicino.

Ancora non haveva il Bellenzano terminato il suo raggionamento, quando ecco si sente strepito de nemici, chedi già s’approsimavano, di già facevano sentire le lor Trombe, & Tamburi: Gli Trentini intesa la venuta del Capitanio del paese, & che di già le squadre s’eran impatronite delle Porte, entrando à forza, tutti attoniti, & sbigotitti si risolsero più tosto darsi alla fuga, che al combatere.

La città vien presa. La Città restò presa al primo assalto, fù dato foco alle case, le fiamme sparse, & spinte d’ogni parte s’attacavano alli tetti, era la rovina miserabile, il spetacolo compassionevole, s’astenero però i vincitori dalla strage humana, non haveva l’animo il Prefetto ne gi Soldati di distruggere la Città, volsero solo far qualche mostra con incendij per aterrire gli habitatori, onde diedero fuoco ad alcuni luoghi. Scorgendo gli Trentini la Città, piena de nemici, si lamentavano esser giunti à tal miseria per instigatione del Bellenzano, & la Città per causa d’un solo, arsa & distrutta. Si sentivano gli gridi & pianti delle donne, de fanciulli, gli strepiti de coperti, che cadevano, quali cose rimovevano gli animi, & occhi timidi delli Cittadini. Dimandavano li miseri perdono à Dio, qual tanto havevano offeso, aiuto dalli [p. 104 modifica]huomini, soccorso da San Vigilio lor padrone, rinovando poscia il pianto sopra la lo rovina, d’esser riserbati à favola, spetacolo, & ludribio delli huomini, haverebbon mosse l’istesse pietre à compassione. Facevano voti à Dio, & à Santi per la lor salute publica. Il Bellenzano huomo fortissimo, auttore di tanta sceleratezza, giudicò cosa inhumana, abbandonare in tanto evidente pericolo la plebe, inesperta all’armi, qual esso haveva indotta alla ribellione, onde riprehendendogli di pusilanimità, & timore, ad alcuni proponeua la libertà, dono datoci dalla larga mano Divina, & la viruperosa servitù cosa d’essere temuta sopra ogni altra cosa, ad altri essagerando dimostrava gli infami congressi de Soldati con le proprie moglie, & figliole, la morte de genitori, & l’ultimo esterminio della povera Città. Hora accarezzava hora esortava, & hora dava animo à Soldati in si urgente negotio. Brevemente espose queste cose, stimando gloriosa, ed immortale la morte di quelli, che morivano nelle armi per la Patria, pronto à diffeda della Città si precipitò con pochi frà le saete, & nemici, qual valorosalmente combatendo fu preso, & ridotto in potere de nemici vincitori.

All’hora il Prefetto rimirando il sanguinoso auttore della rovina Trentina, proroppe con gran severità in cotali parole. Non è dubio haver sempre Iddio immortale havuto in uso, quando severamente per loro demerito volle castigare alcuno, mutando la lor fortuna: concedergli più aventurosi successi, acciò il lor castigo & dolore si rendi più penetrante, reducendosi à contraria sorte. Onde dobbiamo piamente credere, & persuadersi essere stata permissione Divina, che tu ti sij usurpata la Republica mediante la crudel pregionia dell’innocente Vescovo, la miserabil morte di quelli giovani nobili, la publica rovina, le cose sacre violate delle Chiese, non acciò (che ne sei indegno) tu regnasti, & regesti gli buoni, ò fusse più prolongata la giustitia dei tuoi misfatti, ma acciò ricevesti più condegno castigo, & fosse l’esito della tua vita più vituperoso, & doloroso. Dunque perche non sapesti conservarr, & godere la quiete frà le tue Porte, & giurisditione assai più beata, sarai esempio perpetuo a secoli futuri, quanto sijno amari gli frutti di quelli, che vogliono tiranicamente dominare. Dette coteste, ò simili parole, non commandò fosse condotto quello, à quale rimproverava l’offesa di lesa Maestà, in Carcere, ma subito alla Piazza, acciò col danno d’uno si sedasse la guerra ciuile , & da tal giustitia imparassero gli mortali per l’avenire à [p. 105 modifica]guardarsi dall’offendere Prencipi, si che lo sentenziò senza altri Processi che fosse decapitato. A Bellenzano vien tagliata la testa. Tal fù il premio dell’audace Bellenzano, qual doppò compiuta breve, & vituperosa tirania, mostrò coll’infelice so esito, essere cosa nefanda por violentemente le mani nel Prencipe, qual deve come padre del publico essere honorato, insegnando à tutta la posterità etiamdio non convenirsi il voler fondare dominij sopra persone private, mediante la stragge d’huomini & rovina della Patria. Conobbe finalmente l’inconsiderata plebe, quanto danno haveva conseguito dalli perniciosi consigli del Bellenzano, qual primo s’era voltato dalli Vescovi alla plebe, huomo favorevole al popolo, & se non fusse stato di genio contrario alli Ecclesiastici, degno di gran memoria. Giorgio Vescovo, per il cui interesse, & liberatione, il Prefetto haveva mossa la guerra, & condotto l’Esercito alla Città, fù liberato di prigione, & restituito alla pristina dignità; non molto doppò fù sforzato con la fuga salvarsi, & abbandonare la sua Chiesa, imperoche essendo andata all’orecchie dell’Arciduca Federico d’Austria la rovina fatta, & la calamità patita da Cittadini, dal quale anco riceverono ardire il Bellenzano, & seguaci, per risolversi alla sudetta ribelione, ne prese tanto sdegno, & colera, che subito fù provocato all’armi, & gravemente sentita tanta rovina, & crudeltà, si lamentò fosse stata una Città contra ogni legge si hostilmente saccheggiata, & abbruggiata, massime essendo à lui amica, & confederata. Perilcbe senza dimora si portò con nemico Esercito nel Trentino, il che essendo sparso per la Città, il buon_Vescovo per timore di quello se ne fuggì.

Gli Cittadini incontrarono (sentita la di lui venuta) l’Arciduca rendendosegli, & assieme consegnandogli la Città. L’Austriaco mostrando haver compassione delle gravi calamità, & cattivi incontri della Città, consolò con dolce raggionamento il popolo, & mitigò in parte gli loro pianti, & cordogli; gli inanimò à non si perdere d’animo, ne conturbarsi per le passate disgratie, certi di esperimentare la clemenza, & liberalità della famiglia d’Austria, potendogli di ciò far intiera fede il non havergli abbandonati ne’ pericoli.

Non molto doppò il Vescovo intimò il giorno all’Arciduca à comparere avanti il Concilio Constantiense (prima detto (come habbiamo congieture) Gannoduro) qual all’hora era incominciato, perilche fù constretto quel giorno comparire, & dire le sue [p. 106 modifica]raggioni. In qual parte poi inclinassero gli pareri de Prencipij, à quali fù concessa la causa dal Concilio, & qual giudicio, & sentenza seguisse in si difficultosa controversia, se desideri sapere il successo diffusamente, leggi gli atti di quella Sinodo: Qua solo diremo, che il buon Vescovo fù conosciuto nel Concilio Basiliense innocente, restando spurgato dall’accuse, che gli erano imposte, & cosi con publico giuditio fu sententiato.

Non passò però molto tempo, che fu la seconda volta preso, & custodito nel Castel di Spor, la dove anco (come vogliono alcuni) finì la vita sua col veneno, è portato poi nella Città fù sepolto nella sepoltura d’Alberto Ortemburgese, del quale dicessimo disopra. Sono altri che dicono, che doppò havere Federico spogliate le Chiese, facesse prendere Giorgio Vescovo nel Castello del buon Consiglio, & ivi lo sforzazze à cedere la publica amministratione del Prencipato, poi lo constringesse à partirsi dalla Città, lasciatovi solo un suo Vicario, in riguardo delle cose spirituali: quali cose il buon Vescovo, per essere in potestà del nemico, circondato da gente armata, tutto pieno di timore, fatto l’accordo, conforme più piaque al vincitore, stabilì con giuramento. Sono altri Auttori, la cui opinione ci riesce più probabile, quali vogliono se ne fugisse in Niklspurgh, Terra dell’Austria, ne’ confini della Moravia, & ivi trasportasse tutti gli ornamenti, & raggioni della Chiesa Trentina Ornamienti de la Chiesa dal Cardin. Clesio recuperati (quali poi Bernardo Clesio Vescovo di Trento, & Cardinale della Santa Romana Chiesa, come habbiam inteso ultimamente recuperò, & il tutto restituì alla sudetta Chiesa) poi rescrivesse dall’Austria, & renonciasse per lettere alle Capitolationi convenute, rivocando il giuramento fatto, & altre conventioni, protestando il tutto (come fatto per forza, & paura) essere nullo, & invalido. Avisando gli feudatarij in niun modo dovessero obedire all’Austriaco, & che esso s’haveva eletta la Sede sua Episcopale in quel Castello dell’Austria, il che anco dichiarò per lettere, & publici Monitorij per ivi esercitare col dovuto decoro l’autorità Episcopale. Accusò anco l’Arciduca appresso il Sommo Pontefice delli tanti pregiuditij, & offese fattegli, perilche furon destinati Commissarij, quali restituissero il Pontefice alla sua Chiesa.

Nel medemo tempo il Concilio Constantiense, essaminata la causa, determinò fosse reso al suo Vescovato il Prelato di Trento. A quali sentenze, & decreti non volse obedire l’Austriaco, ma continuando nella sua deliberata, & ostinata determinatione mai volse restituire la Città di Trento. [p. 107 modifica]All’hora il buon Pastore, sollecito per la sua Chiesa, & acciò una volta restasse libera dalle mani del nemico, & confusa la ostinatione dell’Austriaco, invocò il brazzo secolare dall’Imperatore, quindi publicato l’Imperial Editto, fù l’Arciduca bandito, & gli suoi haveri confiscati. All’hora gli Sguizzeri entrarono nelli di lui Stati hereditarij, s’impadronirono à forza d’armi dell’Ergaudia, & Turgaudia, quali anco al giorno d’hoggi possedono.

Scorgendo l’Arciduca mentre era assai occupato a danneggiare l’altrui, pericolare gli propri Stati, venne à trattati di pace con li Trentini, onde d’accordo fù remessa la causa sommariamente ad Ernesto, & Alberto Arciduchi d’Austria, qual sentenzia sortisse in tante difficultà, non si ritrova scritto, questo solo habbiam letto essere Giorgio Vescovo ritornato alla sua Chiesa. Però fù preso la terza volta, & morto di veneno nel Castello di Spor. Non ostante tante contrarietà, & miserie visse ad ogni modo (benche vita misèrabile) nel Vescovato, in tanti affani, & angustie, & governò la sua Chiesa con animo intrepido, senza mai voler renonciare, hora residendo nella Città, hora prigione, hora bandito il spatio d’anni 24. finalmente morì, & fù sepolto nella Chiesa di San Vigilio. Gran sofferenza del Vescovo. In questo Prelato frà l’altre sue prerogative, che in esso risplenderono, principalmente vien lodata la sua costanza, pazienza, & grandezza d’animo, da quale circondato come da fortissimmo muro, mai si perdè d’animo, manco la fortuna, nemica capitale della virtù mai puote, con tante aversità abbattere quella fortezza d’animo, tanto alto, & generoso, perloche resta chiaro una tal fortezza, & constanza di quel Prelato, essere provenuta non da industria, o naturalezza, ma da Dio stesso, dal cui volere in tanti travagli mai si scostò, al quale, poi consecrò una Croce d’Argento, intagliata delle sue insegne, & armi, hora conservata nella Parochiale di Flavone Villa di Val di Non, & tenuta (come intendiamo) da quelli Popoli in gran veneratione.

Giovanni d’Isnia. A questo buon Vescouo successe nella Catedra Trentina Giovanni Isnina Moravo, in quel tempo della medema Chiesa, Costui conseguì il Vescovato à favore dell’Arciduca d’Austria, col qual haveva stretta amicitia, con tal conditione, che quando havesse conseguito il Principato, & la Chiesa Trentina per il di lui favore, gli haverebbe restituito quelli feudi, quali vna volta ricevete Henrico Ortenburgense, con lasciargli di più tutte quelle pretensioni, per le quali tanto s’era contro di lui affaticato, appresso il Concilio Constantiense gli superiori anni Giorgio Vescovo, col [p. 108 modifica]riportarne la palma. Ma per esser stata l’elettione simoniaca nè, come nè canonica, nè men confirmata dalla suprema Sede, non vien costui connumerato frà gli Vescovi, qual però governò la Città, & Territorio di Trento il spatio di tre anni, (ò come altri vogliono di un solo, & dieci mesi l’anno 1424. Ernesto. Nel qual tempo Martino Quinto Pontefice Romano, mandò à Trento Hernesto cognominato Ayyero (o come scrivono altri) Avverro, Vescovo Gurzense, & Cancelliere d’Ernesto, Arciduca d’Austria, acciò governasse, & reggesse la Chiesa Trentina; ma perche venne contra il parere del Colleggio, & della Città non fù ammesso al Pontificato, onde manco questo vien annoverato frà gli Vescovi Trentini.

Alessandro Vesc. 89. Doppò fù eletto Alessandro della famiglia de Duchi di Mazovia nativo Polaco, di stirpe Reggia, & Zio da parte di madre di Federico, eletto Re de Romani, poi Imperatore succeduto, qual l’anno che si celebrò il Concilio Bassiliense, fù creato Cardinale, & Patriarca d’Aquileia, aiutando la fortuna sempre il sangue Reggio ad honori, & gradi supremi, fù portato à molti negotij dell’Imperatore, & al governo di molte Provincie, quali anco con somma sua lode resse, & governò. Fù in stima del più sapiente huomo della sua età, che perciò si conciliò la gratia de molti gran Prencipi, quando vene al possesso del Vescovato non possedeva la Chiesa Trentina cosa veruna di libero fuori della meschina Città, & il Castello del buon consiglio, il rimanente tutto era stato usurpato, per il che stimò necessario impiegar ogni sua forza, & sapere, acciò la Chiesa hostilmente di lacerata, & distrutta si reparasse, & si riducesse al pristino stato.

Dunque tanto s’affaticò, & operò, che in breve, se ben doppò molti sudori riunì gli Castelli, Borghi, Terre, & Ville, & altre giurisditione del Vescovato, alla Città. Riva Castello contiguo al Lago di Garda, prima impegnato alli Prencipi di Verona, Poi à forza d’armi preso dal Duca di Milano, Filippo Maria, con la sua somma prudenza parimente ricuperò, in questo hebbe molto, che fare; fù mestiero servirsi del sapere, a chi mancavano le forze per formar Eserciti, acciò morendo lasciasse la Chiesa libera, & nelle sue raggionì intiera, qual egli medemo nel suo ingresso ritrovo snervata. Veramente dobbiamo con ogni raggione persuaderci, havere questo Pontefice operate cose heroiche, & eggregie, ancorche non sijno per mancamento de Scrittori derivate alla posterità. Dicono morisse nella Città di Viena, & ivi restasse sepolto nella Chiesa di San Stefano, in cui fù Prelato. [p. 109 modifica]

Eletto Theobaldo. Morto Alessandro, elessero gli Signori Canonici alla degnità Episcopale, à piene voci, Theobaldo da Wolgestain VVolgestain VVolgestain , Canonico della Chiesa di Trento. Di questa eletione furon imputati auttori gli Prencipi del Concilio Bassiliense, il che essendo pervenuto all’orecchie d’Eugenio Sommo Pontefice, l’intese malamente, & ne mostrò colera, che le raggioni della Sede Apostolica venissero usurpate dalli Prencipi della Germania, depose Theobaldo, Benedetto Abbate. promosse al Vescovato Benedetto, di Patria Trentino, di bassa nascita, all’hora Abbate, e Priore del Monasterio di S. Lorenzo, di la della rippa del’Adice, fuori della Porta Bresciana, al cui commando obedirono gli luoghi della Diocese Trentina, sottoposti alla giurisditione Veronese. Mà per le continue litti, & controversie frà Theobaldo, & Benedetto, l’uno de quali era portato dalli Prencipi del Concilio Basiliense, l’altro dal Sommo Pontefice. Si ridusse finalmente la differenza à Sigismondo Arciduca d’Austria, & in quel tempo Conte del Tirolo. Vedendo l’Arciduca essere la causa in suo potere, andava considerando, & ruminando à quale havesse da giudicare il Vescovato. Se in favore di Benedetto, dubitava maggiormente irritarsi il Concilio contro il Sommo Pontefice, se di Theobaldo veniva ad offendere l’auttorità del Sommo Pontefice, havesse pure egli conferito con raggione, ò con ingiustitia la Chiesa Trentina à Benedetto, oltre che le parti, quali havevangli remessa la causa da decidere, mai si sarebbon aquetate. Perciò giudicò meglio levare ogni maggior incendio, che potesse succedere da tal giuditio, & parimenre provedere alli Trentini.

Giorgio 2. Vesc. 90. Dunque, doppo molta ponderazione, vene à questa conclusione, deliberò escludere, & questo, & quello, col promovere al Vescovato Georgio Hackum, huomo di nobil prosapia, & fratello del suo (come loro dicono) Marescalco. Certo non havrebbon in tal guisa nè Theobaldo, nè Benedetto havuta occasione di litigare, & cosi finalmente havrebbon havuto fine le discordie. Successe il tutto conforme il di lui desiderio, imperoche gli Signori Canonici Trentini, volendo obedire à sani consigli dell’Arciduca, elessero Gergio Secondo lor Vescovo, huomo gratissimo al sudetto Prencipe, non giudicarono bene, ne conforme gli lor interessi contrastare con la fortuna, ma più presto conciliarsi con beneficij quelli, che non eran capaci di timore, ne potevano altrimente essete convinti. Gli Prencipi del Concilio determinarono confirmate con la sua auttorità quello che havevano gli Trentini [p. 110 modifica]eletto à postulatione, & dimanda dell’Austriaco. Ciò havendo Benedetto, & Theobaldo inteso, ancorche ne sentissero grande cordoglio, vedendosi privi d’ogni speranza, però per non provocarsi contra, con litigij un giovine di gran richezza, & che gli bolliva il sangue nelle vene, volendo ostinatamente perseverare in difendere la lor causa, giudicarono meglio sopportar tutto in buona pazienza. Anco Nicolao Quinto Romano Pontefice, successore d’Eugenio, qual puoco fà era passato à meglior vita, considerata la discordia, qual longo tempo, hebbero contro il Romano Pontefice gli Alemani, giudicò essere più espediente, à se & alla Romana Chiesa, procedere con quelli più benignamente, trattare con piacevolezza quei Popoli di sua natura feroci, & barbari, mittigare con insoliti favori consimili animi non ben affetti alla suprema Sede, acciò non dassero l’ultimo crollo, scostandosi dalla vera Catolica Fede.

Di già à bastanza haveva esperimentato, & ne teneva sicura certezza, che quella natione si sarebbe sempre resa più crudele, & mal affetta, con pericolo (quando non fossero stati à tempo opportuno prevenuti con piacevolezza) di suscitare qualche rabiosa guerra, che era proprio di quei Popoli, coll’irritarsi maggiormente, scorgendo trattamenti imperiosi, & facilmente piegarsi vedendo seco procedere humanamente, & con modi cortesi. Essere genio d’animi nutricati nella libertà il lasciarsi convincere, più con il rossore, che con la paura. La doue havendo gli Padri, & Prencipi del Conciliom col mezzo di lettere operato col Pontefice, si de molti altri negotij, come anco della confirmatione di Giorgio Vescoco Trentino, & fatte calde instanze acciò non fosse annulato, & revovato, quanto da loro era stato con commun concorso a nome di tutta la Germania stabilito, & approvato, si mostrò perciò il Sommo Pontefice facile, è benigno à cotali preghiere, rispose voler haver con la sua auttorità rato, & fermo, quanto haveva conosciuto essere loro grato. Per questa sola gratia reconciliò alla Santa Sede tutti gli Alemani, parte de quali pareva hormai si fossero levati dalla di lei obedienza. Nicolò 5. Sommo Pontefice. Sotto il Pontificato di questo buon Pastore Nicolò Quinto, successero molte cose curiose, & degne di sapersi nell’Italia, & altri luoghi dell’Europa, alcune de quali habbiam giudicato bene porre qui brevemente, alcuni dicono di quelli, che osservarono gli tempi passati esser stato questo Pontefice creato Papa l’anno 1446. l’anno primo del suo Pontificato cascò dalla goccia, ò appoplesia, [p. 111 modifica]Filippo Filippo Duca di Milano Visconte Duca di Milano, & doppò quattro giorni andò a suoi antenati.

Francesco figlio del Sforza Capitano dell’Esercito Milanese, prese per assalto, & sacheggiò Piacenza.

L’anno seguente superò in battaglia l’Esercito Venetiano, vicino al Fiume Adda dirempeto al Borgo detto Caravaggio. Il terzo anno aggiustatosi con Venetiani questo Campione, & Generale di quelle squadre, faceva diverse continue scorrerie, travagliando molto la ricca, & gran Città di Milano, qual prima con ammirabil valore haveva diffesa, mentre Carlo Gonzaga Soldato molto esperto nella militia, con bravura, & con presidio la difendeva. Nel medemo anno, l’Imperatore Federico Terzo, di questo nome costrinse Amadeo vien deposto dal Pontificato. Amadeo Duca di Savoia, eletto Sommo Pontefice, sotto nome di Felice Quinto, dal Concilio Bassiliense, à deponere il Pontificato, qual haveva tenuto nove anni sei mesi, & sette giorni. Giubileo L’anno quarto che fù 1450. fù il Giubileo universale in Roma, ove d’ogni parte del Mondo concorse tanto numero di populo, che dalla gran calca troviamo morissero forsi ducento persone, & molte più precipitare, dall’urtarsi nelli incontri, nel Fiume, quali restarono assorte, & sepolte in quello.

Amurathe Imperator de Turchi. In quel stesso tempo traboccò nell’Infernal fossa Amurate Imperator de Turchi, lasciato successore dell’Imperio, Maumeto suo figliolo; San Bernardino di Siena fù Canonizato San Bernardino di Siena huomo di mirabil Santità, & dottrina dell’ordine de Minori.

L’anno quinto di questo Pontefice, venne à Roma, assieme con la sua sposa Nebionara, figliola di Neduardo Re di Portogallo, l’Imperatore Federico, ove fù, conforme si costuma Coronato, & unto dal Sommo Pontefice. Indi si trasferì a Napoli, nella qual Città con mirabil magnificenza, pompa, & liberalità del Re Alfonso furon celebrate le nozze.

Federico Imperat. vien preso in Costantinopoli. L’anno sesto fù per assalto, & forza d’arme presa, & saccheggiata, andando tutti à fil de Spada, la Città di Constantinopoli, antichissima residenza dell’Imperio Orientale da Maumetto Re de Turchi. Costantino Imperatore. Constantino Paleologo figliolo d’Helena, Imperator dell’Oriente, decapitato, miserabilmente perse la vita, & l’Imperio insieme. Per tal stragge, & perdita si sono di modo indebolite le forze de Christiani, che di là pare l’Imperio loro, come se gli fossero tagliati sotto gli garletti, ò ginochi, sij andato sempre declinando, & ricadendo: ma per non fermarsi molto nella narratione di cose aliene, & fuori della nostra historia, fà mestieri ritorniamo [p. 112 modifica]alla medesima, dalla quale poco fà eramo usciti. Dunque Giorgio aggiustati gli negotij, conseguì il Vescovato Trentino. Fece molte core degne di buon Prencipe, quali sono di già pervenute alla nostra memoria. Era di picciola stattura, d’animo sopra le di lui corporali forze grande, fortificò con propugnacoli, & meze lune, fatte di pietre vive, à scarpello, il Castello de buon Consiglio (cosi vien detta quella Rocca) superò Castel Beseno, reputato da tutti inespugnabile, situato nel riverscio d’un Colle, riducendolo sotto la giurisditione, prese per forza il Borgo dalla Pietra rifarci da fondamenti Castel Corredo in Val di Non. Lasciò à successori quantità di tappezzarie, vasi d’Argento, & molti altti ornamenti della Chiesa. Favorì sempre gli buoni, & humili, & conforme il costume Romano preseguitò, & vinse gli superbi, scacciò, mortificò, & castigò severamente gli di lui emuli, mostrò la fronte à ribelli della Chiesa, di modo che quelli ch’hebbero ardire di provocare, & travagliare con temerarie offese la dignità Ecclesiastica restarono con condegni pene castigati, & con gravissime corretioni ripresi, diffese sempre con ogni diligenza, & fatica la Republica. Scacciò, & tenè lontani da suoi confini gli nemici, si che tutti lo predicavano Beato in terra, ancorche avanti si debba attendere il successo dell’ultimi giorni, essendo la fortuna instabile. Ne habbiamo documento da questo buon Prelato, qual era stato portato fino alla cima delle prosperità, forsi per farlo più miseramente cadere. Non bisogna cantar la vittoria avanti la battaglia.

Fù per frode de suoi favoriti tradito, per l’insidie principalmente di quelli, quali con immortali beneficij s’havea obligati, venne gabato, & inganato, da quelli, à cui havea confidati tutti gli suoi secreti, & la vita stessa si che lo dierono nelle mani de Cittadini perversi, quali prima occultamente, poi alla scoperta si ribellarono. Il Vesc. và à salvarsi à Bolzan. Il buon Prencipe, batuto da si pestifera, & crudele fatione, fuggì dalla sua Città a Bolzano, ove visse due anni in Esilio.

In questo mentre, Sigismondo Arciduca d’Austria, con somma prudenza, & inviolata fede gouernò la Città comessagli dal buon Prelato, governando il Vescovo solo in absenza. Sono chi affermano, che il Vescovo perseguitato da suoi non havesse commessa spontaneamente la Città à quel Arciduca, ne quello à preghiere d’alcuno havesse ricevuta in se tl carica, ma ingordo di ampliar gli suoi confini, servitosi dell’occasione delli odij civili, & dell’assenza del Vescovo, per forza d’armi, si fosse, con improviso assalto impadronito della Città. Dobbiamo però seguire il [p. 113 modifica]parere di quelli, che tengono, havesse quel benigno Prencipe presa in sua protettione, & governo la Republica di Trento, & anco con gran piacevolezza retta, & custodita. Condescendesse facilmente alle preghiere, fattegli dal Vescovo con lettere, che contenevano non lo abbandonasse in tanta calamità, & tradimenti.

Dicono, che l’Arciduca havesse malamente intesa una tal sceleragine de Cittadini di Trento, che perciò non potendo si fatta impietà portar in patienza, determinò al despetto loro restituire il proprio Prelato, huomo giustissimo, & di lui amico alla propria Chiera, & quelli, per il cui consiglio era stata fatta la congiura nel proprio Vescovo, bandire dalla Città, & precipitargli nell’Adice, quando fossero per loro mala sorte capitati nelle di lui forze.

Giorgio ancorche si fusse querelato della crudeltà de Cittadini ver la sua persona, ad ogni modo fatto imittatore di Christo, come conviene a Padre universale, s’affaticò mitigare più tosto, che irritare maggiormente il giusto sdegno del Duca.

Quando intese, che era quel Prencipe con preparata armata in procinto per vendicare il di lui oltraggio, rispose restargli molto obligato, havendo inteso che havesse à diffesa della sua causa, reputatione, & Stato insieme stabilito con magnanimità assalire Trento, ma perche vedeva quella Città afflitta, & in esterminio per la piaga, & rovina poco fà ricevuta, & che, se di nuovo venise presa à forza d’arme, darebbe l’ultimo spirito, s’ellegeva più tosto restar solo in calamità, lontano dalla sua Chiesa, & Principato che governare frà le lacrime, & singulti de suoi Cittadini, doversi trattare la sua ritornata con gli Trentini più mittemente.

L’Arciduca quanta maggior bontà osservò nel Prelato, tanto maggior sdegno concepì contra gli Trentini. Si mostrò non poter più tolerare, che la congiura di quei scelerati, più al lungo facessero furie carnevalesche del loro scacciato Vescovo. Di già haveva d’ogni parte chiamate genti, con ogni rigore fatte Cernide, formato un Esercito d’ogni sorte di persone, commandato tutti fossero in pronto all’assalto & rovina di Trento. Sigismondo Arciduca manda l’armata alla volta di Trento. Mentre andava machinando la guerra ne Trentini. Il Vescovo portava la sua disgratia con gran modestia, & patienza. Non volse come vago, & pelegrino, d’animo perduto, humiliarsi à piedi del populo vincitore, ma instrutto dalle Sacre lettere in qual si voglia luogo accadeva trovarsi is prefigeva sempre restare Vescovo, & quello essere la di lui propria patria, non reputa esser scacciato dalla [p. 114 modifica]Città, non essendo Città quella, nella quale gli buoni, & antichi costumi sono calpestati, & il viver morigerato del tutto sbandito Ma essersi ritirato d’un luogo pieno di turbolenze, ad una Santa, & riposata quiete. Trento non esser più luogo honorato, ma un ridutto, & sentina d’huomini, che vivono alla bastiale, conforme le sfrenate voglie de suoi appetitti, le pazzie, & furori del Bellenzano haverla indotta à publiche sceleragini, & infami partiti, esser stata nobilitata del nome di Città mentre han retto gli Vescovi. Nella sua partenza haver perso il misero Trento la prerogativa di Città. Non esser quelli Cittadini, ma banditi, havendo per causa loro preso bando il Vescovo, non può il Vescovo esser bandito, essendo egli quello che constituisce la Città. Chiamarai tu Cittadino colui, che ha data la morte à molti, quello che ha scacciato il Pastore, quello, che con armi hà conturbato la Piazza, & tutta la Città? quello ch’ha fatto yiolenza alle Chiese? non lo dirai più tosto nemico capitale? Pensano, (diceva) questi scelerati huomini, che scacciato il Vescovo, restassero ruinati, & arsi li di lui haveri, mà s’ingannano, ravivarebbono quando potessero scancelare l’immortal gloria d’eterno beneficio, da lui fatto al publico; non han potuto, nè mai potran ciò fare. Confidava che finalmente l’offesa de perversi gli sarebbe stata occasione d’un glorioso ritorno alla patria, sapeva ben esso quanto fosse questo negotio à cuore dell’Imperatore, del Sommo Pontefice, & d’altri gran Potentati.

Queste cose publicamente diceva il buon Vescovo, & con patienza dissimulava, & inganava il desiderio del suo ritorno. In questo mentre stimando l’Arciduca non doversi più differire il castigo di tanta barbarie, commandò fossero spiegate le bandiere, & di già messossi in viaggio con poderoso Esercito, per la restitutione del Vescovo s’incaminava contro Trentini, lasciando alcuni, acciò unissero le reliquie del campo, & con gran prestezza gli seguissero. Gli Trentini conosciuta la venuta, & pensiero dell’Austriaco, pentitti del lor fallo, massime considerando, che la lor Città per tante congiure fatte ne Vescovi, sarebbe sempre stata tassata d’infamia, dalla posterità, desideravano esser digiuni di quanto havevano comesso.

Gli Trentini richiamano il Vescovo. Onde, di per la paura del nemico, che già gli era alle Porte, si anco, per scancellare in parre la macchia della Città, con apparente beneficio, determinarono ricevere & richiamare con apparati, & dovuto honore il lor Vescovo, qual con tanta malvagità prima [p. 115 modifica]havevano scacciato. Acciò qui pienamente fosse spiegata, & à tutti palesa la volontà del popolo, stabilirono per mostrare segno d’osequio, & honore andare ad incontrarlo, & fargli tutti quelli honori, che mai havessero potuto. Dunque per Ambasciatori lo richiamarono, pregandolo inoltre volesse perdonargli, & dimenticarsi di quanto havevano inginstamente commesso contra la sua persona. Consideri ogn’uno con qual animo attendessero la risposta. Si deve ad ogni modo perdonare alla moltitudine, la clemenza del Prencipe deve esser riguardata, non la pazzia del stolto volgo. Supplicarono con ogni efficacia, & humiltà anco l’Austriaco, acciò s’astenesse dalla preda, & sacco della lor Città, volesse uscire dalli confini, & ritornare senza dar danni nella propria Patria, di già si chiamavano vinti, si rimettevano alla sua devotione, pronti ad obedire ad ogni commando. Si per questa ambasciata, come per le preghiere del Vescovo, placato l’Arciduca, fece battere la ritirata.

Il buon Pontefice richiamato dalle lacrime de suoi Cittadini, mentre ritornava alla Città s’infermò d’hidropesia, ò male subcutaneo, cioè sotto la pelle, & gionfiandosi il corpo, morse vicino alla Villa detta Matran, del Vescovato di Presanone, qual poi portato in Trento, fù sepolto nella Capella di Santa Massentia, alla destra dell’Altare, qual se bene visse fuori della sua Chiesa abbatutto, & scacciato dalla malignità de tempi, & d’huomini, ad ogni modo mantenutosi sempre nella debita gravità, & condecente decorò, governò la Chiesa 18. anni, & due mesi con somma lode. Morse l’anno 1455. 23. Agosto.

Il Fine del Quinto Libro.