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XVI XVIII
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Idillio.


Lo hanno avuto tutti un primo amore? Io penso che sia per la passione amorosa come per il sorgere del giorno. Le persone positive hanno stabilito l’ora [p. 150 modifica]precisa in cui il sole spunta; ma prima che esso spunti non c’è qualche cosa in cielo che annuncia il giorno? È una luce, innanzi pallida, poi rosata, è un fremito sulla terra di foglie che si scuotono, di nidi che si aprono, è un trepidare d’ali non ancora distese, un vanire di profumi non ancora prosciolti dal grembo dei fiori; tutta la natura ha un palpito cheto, misterioso, quasi sacro.

............

Fu quando incominciava a cancellarsi dalla mia mente l’immagine del principe che non avevo veduto. Alcuni parenti della zia, essendo venuti dalla provincia a trovarla, mi condussero seco al ritorno. Era la loro una assai povera casa, anche più povera di quella a cui ero avezza; ed essi gente rozza che incominciarono a dimostrarmi come, per cambiar luogo non potessi mutare il mio destino. [p. 151 modifica]Languivo anche là, in mezzo a discorsi volgari, a idee grette ed abitudini meschine, senza prendere alcun vantaggio dell’aria buona e della libertà della campagna, alzandomi sempre di mala voglia alla mattina e invocando lungamente l’ora di gettarmi sotto le coltri, come in un asilo di pace e di oblìo.

C’era in quella casa un giovanetto selvatico e scontroso assai, di cui vedevo appena qualche volta i grandi occhi lampeggiare nell’angolo più buio della stanza; non ne avevo mai udita la voce; a tavola occupava il posto più recondito e scappava prima di aver finito.

Una sera più annoiata del solito, tentai di andare a letto di soppiatto, salendo al buio la scaletta che dalle due misere stanzette terrene metteva alle altre due superiori, ma quando fui sul pianerottolo mi fermai. Avevo scorto una [p. 152 modifica]piccola fiamma proveniente da un moccolo di candela che il giovinetto teneva in mano, mentre se ne stava accoccolato per terra con un libro scucito sui ginocchi, e leggeva, senza aver udito il mio passo.

— Buona sera — gli dissi finalmente passandogli accanto.

Egli balzò in piedi spegnendo in pari tempo il moccoletto e facendo atto di fuggire. Lo pregai di fermarsi, assicurandolo che ero dolente di averlo disturbato e che potevo dargli uno zolfanello per tornare ad accendere il lume. Quest’ultima considerazione parve deciderlo. Non rispose nulla, ma si fermò; io lo sentivo più che vederlo; soffiava un poco e i fogli di carta scricchiolavano nelle sue mani.

Quand’ebbe riaccesa la piccola fiamma — mio Dio! esclamai — come fa a leggere? [p. 153 modifica]

Egli arrossì.

Diedi allora uno sguardo ai fogli.

— Si può sapere, senza indiscrezione, che libro è questo?

Mi sentivo un po’ sua superiore e mi veniva il desiderio di incoraggiarlo.

Egli schiuse finalmente le labbra e disse che erano quelli gli avanzi di una vecchia Antologia. Chinai il capo sulla sua mano e lessi:

Dagli atri muscosi, dai fori cadenti.

— Sono versi.

— Sì, sono versi di Alessandro Manzoni.

— Mi pareva di saperlo anch’io, ma non ne ero sicuro.

Egli sfogliò fino che ebbe trovato I Sepolcri.

— Questa — disse — mi piace assai.

— Lei studia? [p. 154 modifica]Il rossore tornò vivissimo sulle sue guancie. Mormorò a fior di labbro: — Devo lavorare.

— Ma intanto studia?

Non rispose ed io lo lasciai.

L’indomani a tavola i nostri occhi si cercarono con una specie di curiosità. Egli aveva degli occhi molto belli. Fu allora che gli diedi nella mia mente il nome di Stello col quale mi ritorna sempre innanzi. Quella sera le donne di casa mi condussero ad una funzione religiosa, dalla quale tornammo piuttosto tardi e si andò a letto tutte assieme. Ma nei giorni seguenti, mi capitò ancora, andando a letto presto, di trovarlo sul pianerotto ed egli non fuggiva più.

Una sera mi domandò a bruciapelo:

— Sa cosa vuol dire “il limitar di Dite?[p. 155 modifica]

Confessai la mia ignoranza. Egli ne parve afflitto come di un disinganno che non si aspettava e soggiunse:

— Anch’io non capisco — poi lesse lentamente nella sua Antologia sdruscita:

Ma perchè pria del tempo a se il mortale
Invidierà l’illusïon che, spento,
Pur lo sofferma al limitar di Dite?

E restammo tutti e due muti, sopra la parola misteriosa. Ruppi io prima il silenzio:

— Questa è quella poesia che le piace tanto?

— Sì, ma non la capisco tutta.

Non mi meravigliai. Amavo anch’io certe cose senza capirle. La nostra comune ignoranza ci avvicinava e più ancora un certo non so che di intimo e di somigliante che c’era in noi. [p. 156 modifica]

Gli dissi di lasciarmi leggere la poesia per intero. Egli mi porse il libro reggendomi davanti il moccoletto e seguendo cogli occhi la mia lettura, che non fu nè rapida nè facile, ma dalla quale mi venne un tale diletto estetico che fu come una rivelazione.

Alcune frasi particolarmente mi avevano colpita:

                         Celeste è questa
     Corrispondenza d’amorosi sensi.

ed anche:


     ... ricovrarmi sotto le grandi ali
     Del perdono di Dio.

C’erano delle note al testo, per cui ci riuscì abbastanza facile di capire le allusioni a Parini ed altre; il mio amico tuttavia si struggeva su quei primi tre versi incomprensibili, ed io mi struggevo di non saperlo aiutare. [p. 157 modifica]

Intanto il moccoletto fumava, giunto alla fine. Ebbi un po’ di rimorso per quella porzione che ne avevo consumata io stessa e scappando in camera, tolsi la mezza candela dal mio candeliere e gliela portai, dicendo che potevo farne senza perchè la luna entrava raggiante sopra il mio letto.

Stello non fece molti complimenti; esitò un istante, mi guardò con una di quelle sue brevi occhiate da selvaggio e disse semplicemente: grazie. Io trovai molto piacevole quella sera il coricarmi a lume di luna.

Fu per ricompensarmi di questo piccolo servigio? Lo credetti; nelle sere che vennero dopo, quando lo salutavo sul pianerottolo, mi offriva sempre un mazzolino di fiori. Quei mazzolini meritano d’essere descritti: piccolissimi, di fiori comuni, legati strettamente da un [p. 158 modifica]pezzo di cordicella, colti chissà quanto tempo prima e spesso appassiti, testimoniavano la rozza ingenuità del giovinetto; da tutti esalava un profumo aspretto come lui, un profumo non delicato, nè inebbriante, ma penetrato da un aroma agreste che aveva un fascino particolare.

Mi accorsi che quel profumo veniva da una piccola foglia leggermente frastagliata, di un verde modesto, quasi un verde coperto di polvere, come hanno gli arbusti delle terre asciutte. Gli domandai una sera che pianta fosse: ed egli mi rispose che era un geranio d’Africa, un geranio suo che aveva piantato di sua mano nel giardinetto di casa.

— Vuole vederlo? — soggiunse bruscamente.

E senza attendere la risposta scivolò giù dalla scala, facendomi cenno di seguirlo. [p. 159 modifica]

Pochi momenti dopo eravamo nel minuscolo giardino, senza aver fatto maggior rumore di due piccoli scoiattoli sopra un albero. La luna batteva in pieno ed alla sua chiara luce mi mostrò la pianticella. Io osservai che era molto magra, che non doveva coglierne rami tutti i giorni altrimenti si sarebbe spogliata interamente.

— Che fa? — disse lui alzando le spalle. — Io devo abbandonarla lo stesso.

— Perchè abbandonarla?

— Vado via.

— Quando?

— Il mese venturo. Mi hanno trovato un posto di...

Pronunciò la parola a voce così bassa che non intesi che cosa fosse. La sua confusione mi turbava moltissimo; sentivo una tenerezza particolare per quello strano fanciullo condannato come me ad [p. 160 modifica]una vita che non era la sua. Cercavo che cosa avrei potuto dire per consolarlo, quando egli riprese:

— Però non ci starò sempre. Voglio fare il tipografo. In una stamperia mi dispiacerà meno a lavorare e poi leggerò e poi...

Sollevò uno sguardo dritto al cielo, senza completare colle parole il suo pensiero, ma io mi trovai così commossa che egli dovette pur comprenderlo.

E nessuno di noi due si moveva.

La sera era deliziosa, col giardinetto immerso in un bagno di luce, una quiete tutt’intorno, una pace, e tante stelle sopra le nostre teste e tanti pensieri dentro.

Da quella sera il pianerottolo fu un po’ trascurato. Noi ci trovammo parecchie volte per tacito accordo nel giardino così dolcemente illuminato dalla luna; i nostri discorsi non erano molto [p. 161 modifica]lunghi, ma ci piaceva stare insieme anche senza parlare. Spesso ci fermavamo a guardarci; sempre egli mi dava qualche foglia del suo geranio, ed io gli mostravo i mazzolini vecchi che avevo conservati. Glieli mostravo perchè egli allora sorrideva e mi piaceva a vederlo sorridere, mi pareva che in quel momento fosse felice.

Quando venne fissato il mio ritorno in città ne provai un vivo dolore. Egli pure ne parve scosso. Non disse d’amarmi, ma io già lo sapevo.

L’ultima sera fu oltre ogni dire malinconica. Parlammo ancor meno del solito, ma ogni tanto ci dicevamo addio senza guardarci. Ad ogni arboscello egli si fermava e ne coglieva un fiore che mi metteva nel grembiule; quando ebbe côlti tutti i fiori, mietè le erbe odorose, tanto timo, del miglionetto e un po’ di [p. 162 modifica]maggiorana. Tutto il suo geranio fu spogliato e siccome tentavo oppormi a quella devastazione, egli disse col suo accento risoluto:

— No no, è meglio che muoia!

Finalmente ci separammo rattenendo le lagrime; io avevo il grembiule colmo di fiori e una piccola foglia del suo geranio stretta nella mano.

Salita in camera, mi fu impossible dormire, il letto mi respingeva; e siccome non dormivo sola, la buona donna che mi aveva ceduto metà della sua camera, quando lei fu a letto, insistette perchè mi coricassi anch’io. Trovai il pretesto del mio piccolo bagaglio che non era ancor pronto, tanto da indugiare un poco, perchè veramente mi sentivo soffocare dall’angoscia. Poi, quando mi parve che la donna fosse addormentata, apersi la finestra, mi tuffai nel candore [p. 163 modifica]della luna come nel raggio di una pupilla cara e sciolsi finalmente le mie lagrime.

Di lì a un poco, asciugandomi gli occhi e fermandoli sul piccolo giardino sottoposto alla finestra, mi parve di vedere un’ombra coricata sull’erba; il cuore mi prese a battere disordinatamente e per un moto istintivo tesi le braccia.

L’ombra allora balzando in piedi alzò le sue verso di me. Preghiera, saluto, desiderî impossibili, che cosa significava quella muta adorazione? Io non lo so, ma il cuore mi batteva più violentemente ancora mentre una specie di morsa sembrava trattenerlo. Parlare ci era impossibile. Io avevo già sentito la mia compagna voltarsi e rivoltarsi nel letto e temevo che si svegliasse.

Era necessario chiudere la finestra, ma prima presi una manciata dei fiori [p. 164 modifica]che egli aveva colti per me e mi posi lentamente a fogliarli sopra il suo capo.

Caddero così spezzati nell’aria della notte petali di gelsomini, fogliuzze di rose, ramicelli di timo e di maggiorana, caddero alcune foglie del geranio d’Africa, lasciando nell’umida atmosfera una striscia di profumo acuto, e Stello sempre colle braccia alzate, ne era tutto innondato come da una pioggia.

Quello fu il nostro ultimo saluto.


Rinuncia


E quando è che si ama davvero? Molte volte, nelle sere de’ miei maggiori trionfi, davanti al teatro gremito di gente che pendeva dal mio labbro, che palpitava con me e per me in quel fremito [p. 165 modifica]meraviglioso che corre dal palcoscenico alla platea, quando l’entusiasmo batte le ali, io pensavo con acuto desiderio ad uno fra tanti. Uno solo. Ed era per lui, per l’incognito fratello, che mettevo tanta passione ne’ miei occhi e nelle mie parole. Dove era egli? Esisteva? Non mi sono sbagliata troppe volte? Non ci siamo ingannati reciprocamente, e non subiamo tutti l’inganno naturale, l’eterno inganno dell’amore?

È così vero che il cuore dei giovani somiglia a un albero fiorito sopra una strada maestra; è sempre sul primo che passa che lascia cadere i suoi petali e i suoi profumi. Come riprenderli poi? e chi accusare della loro dispersione?

Quando soffiano i venti primaverili i fiori appena sbocciati cadono, cadono talvolta sul letamaio, cadono sulla fronte di un poeta. Chi ne ha merito? Chi ne [p. 166 modifica]ha colpa? Chi sa nulla di nulla quando soffia quel vento?

L’amore è triste.

Triste sopratutto è il tornare ad amare. Ripetere senza fede le stesse parole che si sono pronunciate col sorriso dell’illusione, invitare ancora cogli occhi che hanno pianto, baciare colla bocca che ha imprecato, giurare ciò che non si crede più; essere felici e sapere che tutto passa, desiderare e conoscere che la fine del desiderio è la nausea o l’indifferenza...

Voi forse non potete comprendere, o felice fanciullo, questa terribile cosa: la stanchezza dell’amore. Siamo in una verde campagna alitante di vita, oppure in un salotto saturo di mistero; il nostro cuore batte sentendo battere all’unissono le forze vergini della natura, oppure le forze raffinate dell’ambiente; l’una o [p. 167 modifica]l’altra cosa ci rapisce, ci inebbria. Amiamo per la prima volta!

Ma ritorna la verde campagna co’ suoi fiori, co’ suoi profumi, coi susurri, col silenzio, coll’invito... Ritorna il salotto chiuso colle morbidezze, colle penombre complici, coll’arte suggestiva del lusso. — È la seconda volta! — E poi ancora, ancora...

Quel verde, che è sempre lo stesso, ci ripete che noi non lo siamo più, perchè noi sappiamo che non è più il verde d’allora e che i fiori appassiscono e che i profumi dileguano e che le traccie dei baci e delle lagrime nell’erba palpitante vengono distrutte dalle nuove erbe, dai nuovi nidi; e sui guanciali di seta vengono distrutte dal piumino che passa a levare la polvere, e nei nostri cuori, nei nostri cuori ulcerati e dolenti la scienza della vita ha scritto: Fine. [p. 168 modifica]

Tutto ciò è di una tristezza e di una dolcezza insieme di cui non posso darvi un’idea se non facendovi pensare a dei canti di bimbo intorno ad una bara, che è la cosa più triste e più dolce che io conosca.

Ho nominato la Desclée, ma ho pure un’altra sorella spirituale nell’arte, quella Adriana Lecouvreur, la di cui straordinaria sensibilità fu senza forse il suo pregio maggiore. Ella aveva la affettività attristata e pensosa che serve così bene ad interpretare la passione; affettività rara e solitaria che spunta in certe anime privilegiate senza bisogno di alcuna coltura e in ambienti assolutamente contrari, come poteva essere per Adriana il corrotto, frivolo e voluttuoso mondo teatrale del settecento. Ella è stata una prova luminosa della teoria che le persone elette possono rasentare il fango ed anche fino ad un certo punto toccarlo [p. 169 modifica]senza cadere da quel loro trono di superiorità morale che le tiene sempre a tanta altezza sopra il volgo.

C’è una frase della Lecouvreur che mi pare toccante. È quella diretta ad un giovane che la richiedeva d’amore; “Siatemi amico, ma per amare scegliete un cuore vergine. La creatura eletta non dovrà aver perduta la felice illusione che rende attraente ogni cosa, non dovrà essere stata peranco nè tradita nè lasciata; dovrà credervi buono e buoni tutti gli altri uomini.„

È così che si ama. La fede e la speranza, come negli ingenui simulacri dei nostri nonni, accompagnano sempre l’amore. Il cuore, la croce e l’ancora — non lo sapevate? — erano cinquant’anni fa una specie di amuleto; si portavano al collo appesi ad una catenella e guai a perderne uno. [p. 170 modifica]

L’amore forse scomparirà dal mondo. Esso è un sentimento buono per le creature semplici: due fanciulli che si prendono per mano e credono. Un giorno ciò non sarà più possibile. Dico ora a me stessa:

— Ammirazioni, simpatie, desideri, estasi che vengono a te, fascini che susciti, ideali che ispiri, prendi tutto colla convinzione che tutto si risolve in nulla. Non tenere una sola particella di questi tributi, riportali alla divina fonte da cui vennero. C’è in essi qualche cosa di veramente buono, di veramente puro, ma non è per te. È un prestito: è il bene circolante nel mondo, rendilo.

E dico ancora a me stessa:

— Non condensare il sogno, non cercare di farne una realtà. Vedrai tante volte nell’arco del cielo forme di fiori strani e grandiosi, angeli, fiamme, nomi simbolici, ma non tentare di afferrarli [p. 171 modifica]perchè si scioglierebbero in nebbia.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Ho dovuto smettere; la sera era già inoltrata, mi posi alla finestra, e una dolcezza sovrumana mi allacciò a poco a poco il cuore, come se una mano invisibile lo premesse e ne facesse uscire delle lagrime di sollievo. Piansi nella freschezza della notte, sentendo venire a me dall’ombra tutti i miei dolori e insieme un conforto, una speranza, un’alba di pace.

Scrivo quasi al buio:

     Fioriscono su le mie labbra i baci
     per te;
     per la tua fronte olimpica,
     pei tuoi divini occhi,
     per te.
     Ma questo non sarà, non sarà mai;
     non ora, non nel tempo, mai
     non sarà!

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     Comprendi tu la gioia,
     la malinconica gioia
     del no?
     Faccio un mazzo de’ miei desiderii,
     de’ miei desideri più occulti;
     li lego,
     come fascio di rose morte,
     come gruppo di ceri spenti
     e salgo,
     col soavissimo peso,
     serenamente salgo
     a te.

Non sentite in queste parole un ardore muto, soffocato? e come un pianto che viene da lontano, che non finirà, non finirà mai?

Com’è possibile ch’io dica tutto? L’ho tanto desiderato, ma ciò non può essere. Oh! se voleste indovinarmi! Ecco io gemo, mi struggo, grido, sospiro non basta? La musica dice forse di più? Eppure la capite. Perchè non mi capite? [p. 173 modifica]Lo so, è per questo: che non avete mai sofferto, nè pianto, e per quanto il vostro ingegno vi porti lontano, sempre cadrete, sempre vi arresterete davanti alla sfinge che si chiama dolore e non sarà mai vostra la mestizia sconfinata, lamentosa, piena di ferite e di lagrime di chi ha veramente conosciuto.

Anche voi aveste un giorno il crudele coraggio di rimproverarmi la mia mancanza d’amore. Lawrance! quando la terra si immerge nelle tenebre voi sapete bene che essa ha bevuto tutti i raggi del sole, non già che è senza sole. Voi dite la pura, la fredda, la casta notte, ma non ignorate quali profondi ardori essa celi, e che la sua freddezza è pudore e la sua castità è un velo di lagrime.

Una terribile fatalità pesa sui cuori elevati e sensibili. Essi amano e [p. 174 modifica]s’ingannano. Vedete, cerco di essere giusta fino allo scrupolo. Non io certo ripeterò le volgari verità che molti hanno creduto di scoprire accusando ora gli uomini, ora le donne, e nemmeno le frasi fatte “gli uomini egoisti, orgogliosi, sensuali — le donne vane, leggere, civette.„ Ognuno di costoro, pronunciando una di tali frasi risponde al proprio sfogo, alla propria limitata ed egoistica esperienza.

Come si fa a dire: è l’uomo che fa soffrire, oppure è la donna che fa soffrire quando noi siamo tutti uno per uno un mondo e per un giro che facciamo intorno agli altri nessuno conta le mille rivolte compiute su noi stessi?

Se dobbiamo accusare qualcuno dei nostri disinganni accusiamoci, perchè noi soli fabbrichiamo i nostri amori dipingendoli coi colori della nostra [p. 175 modifica]fantasia. Il nostro cuore quando è giovane e ardente somiglia ad un prisma; presta le sue tinte all’oggetto che maggiormente lo avvicina. L’ideale è dentro di noi, e noi vogliamo a viva forza estrinsecarlo in un’altra persona. L’amore è l’anima grande dell’universo che si perpetua nell’inno della vita, e noi vogliamo fissarlo in due occhi che la cateratta può chiudere oggi o domani e che la morte chiuderà per sempre.

Si incontrano le anime nella vita, nel tempo, nella possibilità, nella elezione? No, vero?

Date pure due anime eguali difficilmente potranno rivelarsi e compenetrarsi appieno. Se vi è il tempo mancherà la causa, se la causa è pronta sopraverrà l’assenza, e quand’anche tempo, ambiente e presenza fossero d’accordo, non esiste sempre il passato del quale basta un’ombra [p. 176 modifica]per oscurare qualsiasi gioia? E non basta una indisposizione dello spirito? Noi abbiamo impeti sublimi, ma nessuno in quel momento li vede, e rifatti non hanno più lo stesso valore; saremmo tante volte eroici, sublimi, appassionati, se mille piccoli fili invisibili non agitassero contemporaneamente la nostra timidezza o il vago terrore di agire che si impossessa così facilmente di chi è avvezzo alla vita del pensiero.

Ieri sera una luna meravigliosa correva agile in mezzo alle nubi, più bassa di esse e così luminosamente staccata dal firmamento che sembrava avvicinarsi con rapido moto alla terra. Aveva l’aria di un dio che venisse incontro a noi apportatore di verbi sconosciuti. Che cose alte vi avrei dette se mi foste stato vicino! Ma ve le avrei veramente dette? [p. 177 modifica]

Tutta la differenza tra la vita e il sogno è questa: Nel sogno si riuniscono le circostanze esterne alle interne, mentre nella vita manca sempre qualche cosa; qualche cosa che c’è, che esiste ma che viene o troppo presto o troppo tardi.

E allora perchè ostinarci ad amare? perchè rinnovare, convinti, l’inganno? Esso è buono per i cuori semplici, ve l’ho già detto. I cuori feriti e spasimanti, che sanno, devono elevarsi fin dove l’amore cambia natura. Nelle più alte regioni atmosferiche la rarefazione dell’aria impedisce lo sviluppo della vita organica, ma più ardente e più pura vi raggia la luce.

La fedeltà, forma elevata dell’amore terreno, è un non senso per il grande amore, di cui è aspirazione principale la evoluzione verso un tipo sempre più perfetto.