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XVII XIX
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Egli ti era vicino e ti parlò.


Nei giardini di Milano (dopo Roma è questa la città dove abbiamo maggiormente vissuto insieme e, dopo Villa Borghese, i giardini di Milano sono quelli che amo di più al mondo), ci fermammo una volta — malinconica parola! — davanti al minuscolo villaggio degli uccelli. Due splendidi campioni di non so [p. 179 modifica]quale specie rara erano alloggiati a parte, in un fabbricato fra corte e giardino come i vecchi palazzi aristocratici, e i loro cortili apparivano separati appena da un leggerissimo graticcio. Noi, appoggiati alla ringhiera di ferro, li guardammo per un pezzo restando muti. — (Oh! come era in quel giorno trasparente fino alla idealità la vostra carnagione di anglosassone sotto il cielo d’Italia.)

Tutti ciarlavano intorno a noi; le bambinaie coi loro fanciulletti, i fanciulletti con le loro bambole, le signore con l’amica di passaggio, il vecchio seduto al sole con l’altro vecchio che la combinazione gli aveva posto accanto, e noi no.

Intanto i due nobili uccelli, separati dalla lieve barriera, si sentivano e si cercavano. Erano d’ambo le parti rincorse audaci, soste piene di attesa, [p. 180 modifica]tentativi impossibili di volo, atteggiamenti di sfida, e dolci lamenti e sdegni e colpi di rostro contro la barriera; tutta una guerra, un dramma, un poema. Animati dallo stesso ardore, l’uno non vedeva gli sforzi dell’altro e forse lo giudicava, inferiore. Correva l’uno fino all’ultimo limite del graticcio, attratto dal movimento e dalla voce del compagno, di cui doveva sentire anche il calore del respiro, senza riuscire a vederlo e a toccarlo, e retrocedeva con attitudine di vinto. Ma l’altro si trovava davanti al medesimo ostacolo e ripeteva gli stessi movimenti, i gridi, i colpi, i lamenti, il richiamo doloroso, insistente fine allo spasimo, per retrocedere poi anch’esso battuto, scorato, vinto. Stavano vicini, si intendevano, si sentivano e non potevano amarsi.

Perchè non vi ho parlato allora? Era così dolce il cielo sopra le nostre teste, [p. 181 modifica]mite l’aria e l’ora. Io ascoltavo fremendo la vita che passava, e dal fondo del cuore mi saliva una vecchia canzone che mi piace tanto: “Laggiù dove l’onda inquieta sospira la notte e il giorno; laggiù, quando cantava l’allodola, non hai incontrato l’amore. Egli ti era vicino e ti parlò.„

Per un istante ebbi la tentazione di ripeterla ad alta voce; ma tutte le volte che la mia anima è profondamente commossa, una specie di timidezza o di pudore, non so, mi spinge ad assumere un contegno troppo in contraddizione con la causa per non perderla affatto. Dissi:

— Che bel verde questi platani!

— Non sono platani, — rispondeste.

— Mi pare di sì.

— Non lo sono.

— Allora che cosa sono? [p. 182 modifica]

Il mio cuore insisteva a dire: "l’onda inquieta" e il labbro fece la domanda per conto suo.

— Non lo rammento; ve lo saprò dire.

— Eppure hanno la foglia frastagliata dei platani.

(Anche l’occhio guardava senza ascoltare il cuore.)

Ma la musica (fu il nostro breve cicaleccio come una levata d’archi) non coperse le parole mormoranti in fondo al nostro essere, le parole che non dicemmo.

Bensì voi alzaste poco dopo la voce per raccontare la disputa avuta con un amico al caffè; le vostre pupille scintillavano di gaiezza giovanile; la vostra voce aveva l’intonazione alta e leggermente alterata di chi vuole recitare una parte; non proseguiste molto, tuttavia. La divina bellezza del giorno e [p. 183 modifica]dell’ora ci riprendeva; la gioia di vivere ci penetrava per gli occhi e per il cuore.

Vi vedevo, voi, nell’aria inesprimibilmente pura, nella luce fatta di raggi e di veli come un ardore orgoglioso che si nasconde, nella mitezza generale delle tinte e dei susurri che poteva far credere ad una sospensione delle miserie terrene, ad un istante felice di perdono.

Un impercettibile, quasi involontario movimento portò il lembo della mia gonna accanto al vostro piede.

— Che giornata incantevole! — mormorai lievissimamente per non alterare il dolce tumulto interno.

Voi assentiste, muto, col sorriso. E intanto l’ora passava. Una leggera freschezza nell’aria era il primo avvertimento. Dalle cime degli alberi si ritirava a poco a poco il sole, strisciando [p. 184 modifica]sulla sabbia dei viali, concedendo fino all’ultimo il suo calore ai piccoli nidi, alle tane sepolte nell’erba, dove tra i fili lucenti saltavano ancora una volta i grilli e sparivano nella fluente eleganza delle loro ali di velo le libellule misteriose. Un fremito che si andava facendo sempre più dolce e più muto correva nelle fronde degli alberi. Sollevai gli occhi pensando “Laggiù, quando cantava l’allodola„. Ma le allodole e le rondini scendevano in larghi giri, silenziose, radendo le vette delle magnolie sotto le quali ci eravamo seduti.

Dolce e lucido verde delle magnolie, un po’ freddo (come noi?) e aristocratico, verde che sfidi il gelo!

Mi cadde a terra il ventaglio, voi lo raccoglieste, ed io vi guardai mi pare con una grande e interna dolcezza, impiegando qualche minuto a ritirarlo dalla [p. 185 modifica]vostra mano, mentre voi stesso esitavate a cedermelo.

In quel momento di sensazione divisa rivisse nel battito dei nostri cuori tutto l’incanto dell’ora trascorsa, e vi si fissò coll’olezzo delle magnolie, col verde, col sole morente, col calore del vostro braccio che avevo toccato, della vostra mano che aveva sfiorato la mia, col desiderio che ci aveva avvinti, così sottile e celato, non affatto padrone di noi e non schiavo.

L’invisibile ci dominava; saliva dalle anime nostre incontro ai nostri labbri che si chiudevano per custodirlo meglio, incontro ai nostri cuori che sospendevano, quasi per arrestarla, la vita.

Chiusi gli occhi per un istante ed ebbi la gioia di accorgermi che anche sotto le palpebre chiuse vedevo il cielo, gli alberi e voi. Vi vedevo meglio, senza [p. 186 modifica]la distrazione degli oggetti secondari, come in una selezione sempre più pura dello spirito e in quel dolce oblìo sembrava annegarsi il mio malinconico passato. È questa la felicità! — pensai.

Respirare accanto ad un anima sorella senza fondersi, senza raggiungere il sogno. Amarsi con qualche cosa ancora di incompleto, di incompreso, non è forse il fascino maggiore, il fascino unico, l’attesa?

Non vi avevo ancora ringraziato per avermi raccolto il ventaglio, ma era troppo tardi per farlo. Troppo tardi! ripetei fra me e me. Mi strinsi nel mio boa nero sfuggendo a un brivido e sôrsi in piedi.

Voi mi guardaste dubbioso, con una fiamma smorta nelle pupille. E vero?