Vite dei filosofi/Libro Primo/Annotazioni
Questo testo è completo. |
◄ | Libro Primo - Vita di Ferecide | Libro Secondo | ► |
ANNOTAZIONI
PROEMIO.
Le Vite dei Filosofi ec. — Ai titoli lunghi e svariati dirportano le diverse edizioni (vedi il Menagio nella Westeniana e l’Huebnero in quella di Lipsia 1831) parventi di sostituire questo brevissimo, siccome altri fece colle vite di Plutarco.
I. Barbari — βάρβαρος — propriamente chi pronunciava male, o parlando guastava alcuna lettera. Così si appellarono dai Greci i forestieri, anzi tutto che non era greco.
Magi — μάγως, al dire di Apuleio, significava nella lingua dei Persiani ciò che nella sua sacerdote. — Veggasi anche Plinio e Porfirio. — Come osservatori degli astri e interpreti dei libri sacri, la scienza e la religione erano nelle loro mani; come educatori dei re avevano parte nei pubblici negozj. Il loro culto era quello del fuoco non senza mescolanza di sabeismo e di astrologia. — I magi, spesso confusi coi Caldei, furono istituiti da Hom od Homanes. Zoroastro li riformò.
Caldei — χαλδαίας — I Casdim o Caldei furono i dominatori di Babilonia dopo il giogo assiro; la condizione del loro paese gli indusse forse ad adorare gli astri. Una casta si dedicò all’astronomia ed ebbe esclusivamente il nome di Caldei, sia che il traesse dal paese o, com’altri suole, dall’arte, che ai tempi di Alessandro spacciavano di esercitare da oltre quaranta mila anni.
Ginnosofisti — Γυμνοσοφισταί, filosofi o meglio sapienti-ignudi — nome elle davano i Greci ai filosofi indiani che ignudi si aggiravano per le selve, e di cui tante cose narravansi. Quando Alessandro li visitò ne era capo Mandani o Dardanide. Calano, uno di costoro, accettò le offerte di Alessandro e lo seguì, portando seco l’abbominazione de’ suoi colleghi. Finì coll’abbruciarsi vivo per cessare l’infermità. Racconta Plinio che i Ginnosofisti tolleravano, fra l’altre cose, di mirare con occhi fermi il sole dal nascere al tramonto, e di tenere tutto il dì ora l’un piede or l’altro sulle arene bollenti. — I moderni santoni all’Indie fanno simili e maggiori pruove.
Druidi o Sennotei — Erano pe’ Celti ciò che i Magi, i Caldei, i Ginnosofisti per altri popoli. — Osserva il Kühnio che l’appellazione di Druidi (l’etimologia di questo nome derivò dalle querce) convenisse a tutti, filosofi, teologi e poeti galli; ma che i teologi specialmente fossero detti σεμνοθεός (onoranti Dio) ατο τε σεμνοειντο θειον. Vedi una lunga nota di Menagio. Tutte le nazioni celtiche ebbero i loro Druidi, e gli Eubagi, i Bardi, i Saronidi, i Sanniti o Sennotei non erano che sette diverse od una medesima chiamata con nome diverso. I Celti poi erano una molto estesa nazione, anzi diverse nazioni, come a dire Germani, Galli, Ispani, Illirii, Traci ecc. Gli scrittori romani li chiamavano: Celti germani, Celti transalpini, Celti cisalpini. Diodoro afferma che tutti si appellavano Galli; e ne deriva il nome da Galata figlio di Ercole. Strabone li crede così detti per la chiarezza e nobiltà della stirpe da γάλαξ latte, quasi dall’imitarne il candore. Il primo scrittore che usasse del nome di Galati per indicare i Celti fu Callimaco in uno de’ suoi inni. La religione dei Galli (Gaulois) ci è nota poco più di quanto ne racconta Cesare. Le donne sotto nome di Druidesse dividevano co’ Druidi le cure del culto, ed anche quelle del governo. Si sa che offerivano vittime umane: che le Druidesse coglievano il sacro vischio dalle querce, ma si ignora quali fossero i loro numi. Due secoli avanti l’e. v. ammisero nella loro mitologia gli dei astronomici che tutti i popoli civilizzati adoravano. Ma sacrificando a’ nuovi numi cercavano di farlo almeno sotto una quercia, in memoria di Esus, il dio terribile, come il Dio degli Ebrei e degli Sciti: e lo adoravano in tutte le cose non prodotte dalla mano dell’uomo, i laghi, gli stagni, i fiumi. Plinio dice, che grande analogia era tra il rito de’ Galli e quello dei Persiani; e S. Clemente d’Aless., che come quella dei Persiani, la religione dei Galli era una religione di filosofi. — Forse da principio non adoravano che un solo dio, Esus, e credevano all’immortalità dell’anima. La loro legge si conservava per tradizione: come i Magi vestivano bianco e precedevano i popoli alla guerra.
Oco — Ωχου — Certo è voce errata, che nessuno, fuori di Suida, ricorda questo nome. Alcuni eruditi tengono doversi leggere Μαχου — Ωρου il Kùhnio. Un Mosco, avanti la guerra di Troja, fu tra Fenicii il maestro della dottrina degli atomi.
Zamolsi — Ζάμολξις — in Erodoto i migliori codici e lo Schweighaeuser leggono Ζάλμοξις. Nella lingua dei Traci zalmos significa pelle d’orso, e secondo Porfirio gli venne questa appellazione, perchè di una pelle d’orso fu coperto nascendo. Erodoto lo chiama or dio, or genio, che promiscuamente, come Omero, usa i due nomi. Secondo Esichio i Traci lo onorarono per Saturno, secondo Iamblico come Ercole; alcuni ne fanno un Greco che insegnasse a’ Geti le iniziazioni, altri un servo di Pitagora. Forse era più antico. Vedi Clem. Alessandr., Luciano, Laerzio. Tra tutte le narrazioni, dice Mustoxidi, quella di Erodoto spicca come la più ingenua.
Atlante — Molte favole spacciate intorno a costui null’altro significano se non ch’e’ tenevasi per l’inventore dell’astrologia ed era forse un ente cosmogonico.
Efesto — Ἥφαιστος, fuoco, fiamma — Uno dei nomi di Vulcano.
Sacerdoti e profeti — I soli sacerdoti, e forse pochi tra essi, erano gli interpreti dei libri sacri, i possessori e custodi del sapere e dell’intimo segreto. Tutti gli altri ingannati con dottrine plebee. I sacerdoti egizii rasi il capo, vestivano di lino, calzavano scarpe di papiro, si lavavano quattro volte il dì, s’astenevano dal vino, da alcuni cibi, ed in particolare dalle fave. Il sommo sacerdote era il primo magistrato dopo il re, gli altri giudici e medici, e si dicevano possessori, per mandato di Iside, di una terza parte delle terre, onde il regio potere veniva da essi infrenato. Coloro che volevano partecipare a’ loro segreti dovevano sottomettersi a pruove durissime, e i forestieri persino alla circoncisione.
II. Da costui ad Alessandro il Macedone ec., ec. — L’Egitto paludoso e malsano fu certo abitato dopo altri paesi: pure quei sacerdoti spacciavano una sapienza antichissima, e fanciulli, al paragone, solevano chiamare i Greci! Racconta Erodoto che di trecento dei loro re serbavano i corpi: e Mela che di tredici mila anni avevano annali sicuri, e memorie scritte che da che erano egiziani, quattro dei loro corsi avevano mutato le stelle, e due volte era tramontato il sole dove allora sorgeva.
Zoroastre — Racconta Plinio che per privilegio al solo Zoroastre accordato fra tutti gli uomini, aveva riso il dì stesso che nacque; ed è fama che la sua morte avvenisse, com’egli avea desiderato, per mezzo del fuoco celeste. Portenti che sempre accompagnano gli introduttori di nuove religioni! E tale fu Zoroastre, uomo intorno a cui la tradizione accumula gran numero di fatti. Forse v’ebbero più Zoroastri. Volney lo dice contemporaneo di Nino (1200 A. C.) altri di Dario; e chi più antico d’assai, e chi piu recente. A lui si attribuisce il Zend—Avesta (parola virente), libro che i dotti non giudicano apocrifo, ed alla cui morale, che fu modello a molte altre, si tributano lodi particolari. Spicca fra le sue massime la bellissima: nel dubbio che un’azione sia buona o cattiva, astientene. Il Zend—A vesta, per la maggior parte liturgico, lascia presentire qualche dottrina speculativa; ma forse quest’ultima non aggiugne l’antichità della prima, e i diversi frammenti di cui sembra composto, e le differenti lingue in cui è scritto, accennano diverse epoche.
Ostani, Astrassichi ecc. — Ostane fu uno dei più gran magi dopo Zoroastre. Forse in onore di costui gli stessi magi si nominarono Ostani. Si ricordano da Plinio due Ostani, uno che seguì Xerse nella spedizione di Grecia, un altro, Alessandro. Tutti i qui nominati sono magi che fiorirono nella scuola persiana.
III. Non solamente la filosofia, ma ec. — Anche il nostro buon Diogene volle darci un tocco di greca jattanza; chè d’altra parte venne in Europa il sapere e il genere umano; e la Grecia fu tratta dalla barbarie da popoli stranieri. I poeti poi, dice il Tennemann, presa dalla religione quella parte che offeriva maggiore allettamento e curiosità agli spiriti, stabilirono una specie di educazione estetica ed intellettuale che servi come d’introduzione agli studj scientifici — Musco e Lino furono tra questi — Ma la scienza progressiva non nacque se non quando i Greci riuscirono a strapparla dal santuario.
Da cui traendo Anassagora — ὅθεν λαβὼν Ἀναξαγόρας ec. — Fermo che nulla potesse venire dal nulla, ammise una materia allo stato di caos, ma fece che uno spirito, una mente (νους) vi stabilisse quell’ordine ch’ei contemplava nella natura. Non altro significa il διακοσμῆσαι che in ordinem adducere. E il mondo di che altro consta che di ordine? Aldobr.
Turpissime libidini ec. — Vedi la nota del Casanbono e l’appendice critica dell’Huebnero. Forse αἰσχρουργούμενα scrisse Diogene senza più.
VI. Adoratore degli astri — Ζωροάστρην ἀστροθύτην εἶναι Αστροθύτην che adora, che sagrifica, ch’arde incensi agli astri, Brochart vorrebbe στοχαστής, contemplatore degli astri. Ma Auquetil du Ferrou, traduttore dei libri di Zoroastre, ci fa sicuri appartenere questo nome alla lingua Zend, nella quale Zoroastre si scrive Zerethosduó. Ora in quella lingua zeré significa d’oro o di color aureo; e thaschré è il nome dì una stella il cui elogio si trova nel libro Jeschts. Essa è quella che credesi distributrice di piove; essa vinse i due cattivi genii che nel cominciamcnto delle cose volevano privarne la natura. Quindi Zoroastre vale alla lettera astro color d’oro, astro brillante. V. Pasq. Borelli princip. di etimolog.
Επικλήσεσι ec. — L’Holstenio voleva si leggesse επικνκλήσεσι, e traduceva: res omnes suis revolutionibus permanere. Carpentario diceva: nulla doversi mutare; e traduceva: omnia permansura in sua appellatione; cioè in sua forma, da cui deducesi l’appellazione: nella qual cosa convengono le opinioni dei magi. V’ha chi interpreta questo luogo: res onmes eorum invocationibus permanere. Menag. — Ea quae sunt ipsorum precibus permansura. Kühnio — Leggi una lunga nota del Casaubono.
VII. Κατασκευάζειν δὲ ἀγάλματα — Leggo col Casaub., e coll’Huebn. κατασκ. δὲ ἀυτοῖς cioè a quegli animali cui adoravano.
Ἑπιδιαμένειν καὶ μετεμβαίνειν — Riesce oscuro l’Aldobrandino traducendo: animam et permanere et emigrare. Piuttosto corpori superesse et ex alia in aliud migrare. Kühnio.
VIII. Nel libro dell’esanimata — Plinio fa ricordanza di questo libro di Eraclide in cui si racconta d’una femmina, che per sette dì fu esanime, poi richiamata di nuovo a vita.
X. Quella filosofia ionica, questa italica — Eusebio, nelle Præpar. evang., dice essere state tre le filosofie, l’italica, l’ionica, l’eleatica. Menagio reca un passo di Temistio che ne novera quattro; ma non di stirpi filosofiche parla Temistio in quel passo, bensì delle parti della filosofia cui Platone raccolse e collegò. Quindi l’errore di Menagio — Vedi Rossi Comment. Laert.
XII. Eudemonici — Ἀπὸ διαθέσεων, ab iis, quibus afficiebant animos. Cioè questi filosofi promettevano ai loro discepoli εὐδαιμονία, la felicità, e da questa διάθεσις, disposizione, affezione di cui volevano ch’ei fossero imbevuti, furono così chiamati — Kühnio.
Correggitori — Ἐλεγκτικοὶ — Dal confutare le cose degne di confutazione. Kühnio — Ἐκλεκτικοὶ leggono altri.
Ἀναλογητικοί — Dal considerare, ragionare, cercare l’analogia delle cose. Ciò che in ogni setta rinvengano di consono raccoglievano, e si costruivano un’analogia della filosofia — Kühnio — Ἀναλογιστικοί corresse Enrico Stefano — Ἀπολογητικοί, leggeva Giuseppe Scaligero: ἐλεγκτικοὶ καὶ ἀπολογητικοί, cioè, contraddicenti, opponenti, e difendenti, rispondenti.
XIII. Clitomaco cartaginese — Il Rossi, nelle sue Comment. Laert., legge in vece di Κλειτόμαχος Καρχηδόνιος, Διονύσιος , e soggiugne: come dopo tanti filosofi che fiorirono nelle dialettiche; dopo tanti Megarici, che vendicarono a sè il nome di dialettici; dopo tanto tempo che questa setta esisteva, farne autore Clitomaco? Nulla di ciò ne’ vecchi libri; nulla nella vita sii Clitomaco dello stesso Laerzio. Forse gli cadde dalla penna Clitomaco per Dionisio, il quale nomina dialettico nel S. 98 del lib. II, e da cui la setta, che prima Megarica fu appellata, si disse Dialettica.
Non si ammette, per la sua oscurità, la Pirronica — διὰ τὴν ἀσάφειαν. L’oscurità non era un titolo per rigettare una setta. Forse era scritto: ἀφασίαν, continenza dal pronunciare, precetto pirronico. Non ammettevasi la pirronica, perchè nulla affermava; non istimandosi essere setta quella che non aveva dogmi — Rossi.
XIV. Potamone — „Già Antioco aveva offerto il primo esempio di un eclettismo indipendente e ragionato. Dopo Strabone il geografo associò le dottrine di Zenone a quelle di Aristotele; Sozione il giovine tentò di unire le prime alle antiche idee di Pitagora; un Ammonio stabilì tra Platone e Aristotele un concerto più facile, in uno, e più utile. Potamone, che Suida colloca sotto il regno d’Augusto e Laerzio in un’epoca poco anteriore a quella in cui viveva egli stesso, sembra essere stalo il primo a dare all’eclettismo una forma regolare e sistematica. Parea ch’ei cercasse di conciliare le dottrine degli stoici con quelle di Aristotele, e che non ammettesse le idee di Platone. Così può dedursi dal frammento di Diogene, pel quale soltanto ci è nota questa sua impresa — Degerando — “.
Due essere i criterii della verità: l’uno da cui nasce il giudizio ec. — „L’uno de’ quali risiede nella stessa facoltà che giudica, cioè a dire nella ragione che presiede a tutto il sistema delle funzioni intellettuali; l’altro consiste nelle percezioni che servono di mezzo o di strumento per le conoscenze, cioè a dire nella certezza e nella evidenza delle impressioni ricevute — Degerando — “.
Principio d’ogni cosa ec. — Su questi quattro principii riposerebbe, secondo Laerzio, la metafisica di Potamone, la
materia, cioè, la causa efficiente, la qualità e il luogo. — Del resto Diogene e Suida soli tra gli antichi hanno fatto menzione di costui, le cui opere sono da lungo tempo perdute, nè pare facesse egli gran fortuna. Tengono i dotti che Porfirio non accenni a Potamone.LIBRO PRIMO
CAPO PRIMO.
Talete.
Il ritratto dì Talete è tolto, siccome gli altri che adornano quest’opera, dall’Iconografia greca di F. Q. Visconti.
I. Ma tengono i più che fosse nativo Milesio — Tra questi è Plutarco che senza addurre ragioni combatte l’opinione di Erodoto; perchè i Greci mal comportavano che il primo de’ loro sapienti fosse un barbaro.
II. Posta da un canto la politica ec. — Forse quando da’ suoi concittadini fu rigettata l’idea ch’egli primo concepì e propose di uno stato federativo: idea benefica che assai ne appalesa la vastità del suo ingegno.
Callimaco il fa trovatore dell’Orsa minore. — L’Huebnero omette la parentesi. Altri crede il passo fuor di luogo.
Stimando tutto il resto esser facile. — Così traducono i più; ma Scaligero e Casaubono congetturano doversi leggere ακατανόητος, incomprensibili.
Predicesse gli eclissi di sole. — L’eclissi che dicesi predetta da Talete accadde a nove di luglio dell’anno Giuliano proleptico 597 dell’E. V. secondo il Petavio. Erodoto attesta il fatto, il quale è parimente riferito da Eudemo discepolo d’Aristotele. I dubbi proposti dal Dodwello paiono senza fondamento al Visconti.
III. Primo aver egli chiamate le anime immortali. — Talete non poteva essere inventore di una dottrina già antica, ed ecco in proposito una nota del Visconti: Quest’errore derivò, credo, dall’abuso dei sinonimi. Primo fu Talete a riguardare le anime umane come sempre esistenti, cioè non aventi nè principio, nè fine, ἀΐδιος eterne: ma questo vocabolo equivalendo talvolta ad ἀθάνατος immortale, in luogo di cui si usa frequentemente, si è senza ragione sostituito quest’ultimo, ec., ec.
Da solstizio a solstizio. — ἀπὸ τροπῆς ἐπὶ τροπὴν, propriamente da rivolgimento a rivolgimento, quindi, secondo il Montucla, scoprì anche l’eclitica.
La grandezza del sole dimostrata settecento venti volte maggiore della lunare. — L’abate Canaye correggeva, πρῶτος τὸ τοῦ ἡλίου μέγεθος τοῦ ζωδιακοῦ κ.τ.λ. Altri σεληναῖος κύκλος. Vedi la nota dell’Huebnero. — Ed anche Bayle che a questo proposito reca un passo di Apuleio. — Il citato Montucla dice doversi intendere dell’orbita lunare, la quale è poco lunge dall’essere la settecenventesima parte del diametro apparente del sole. — Stor. dell’astron.
Primo aver discorso sulla natura. — Sebbene l’origine della filosofia greca, secondo il Ritter, appartenga più al dominio della tradizione che a quello dell’istoria, tnttavia il più degli scrittori greci ne riferiscono il principio a Talete. Ciò particolarmente lo differenzia dagli altri sapienti. — Talete abbandonò il soprannaturale, le cause invisibili, e interrogata la natura, fece uscire il suo stato presente dalle sole condizioni del suo stato anteriore. Quindi Tertulliano lo chiama il primo dei fisici. Collo sbarazzare la scienza dalla teologia naturale e dalla metafisica, pare, osserva il Degenerando, avere il nostro filosofo presentito sino d’allora il celebre voto di Newton: oh fisica, salvami dalla metafisica.
Apprese geometria dagli Egizi. — „Partito l’Egitto e dato a sorte a ciascuno un egual quadrato — se il fiume sminuiva a taluno la sortita porzione — il re inviava quei che vedessero e misurassero di quanto si era menomato il campo — ed a me pare che di qua trovatasi la geometria, ec.“ Erodoto.
Descrisse in un cerchio il triangolo rettangolo. — Proprietà del cerchio, per cui tutti i triangoli aventi per base il diametro e dei quali l’angolo opposto aggiugne la circonferenza, hanno quest’angolo retto. — Montucla.
I triangoli scaleni e la teorica delle linee. — Cioè, la descrizione (apparentemente geometrica) del triangolo e le proprietà delle figure ec. — Montucla.
VI. Per amore de’ figliuoli. — διὰ φιλοτεκνίαν. Altri corresse δι´ ἀφιλοτεκνίαν per disamore. — „Solone visitando Talete meravigliò di vederlo circondato di famiglia non sua, e di non aver mai voluto procreare figliuoli. Non rispose Talete, ma finse che uno straniero giungesse da Atene ed annunziasse la morte di un giovane figlio di un illustre Ateniese allora assente. Infelice padre, sciamò Solone, e ne richiese il nome. A sentirsi ripetere il suo, Solone diede nelle più violenti smanie. Allora Talete: ecco ciò che mi ha distolto dall’aver figli.“ — Plutarco.
V. Prendesse a pigione ifattoi ec. — Cicerone dice ch’e’ comperò tutte le olive prima della fioritura, omnem oleata antequam florere cæpisset. — Plinio ciò racconta non di Talete ma di Democrito.
VI. Principio di tutte cose affermò essere l’acqua. — Questa dottrina di Talete, generalmente riconosciuta per sua, sembra, al dire di Ritter, riferirsi all’antica opinione, essere cioè la terra sostenuta dall’acqua. Per tal modo anche la filosofia di Talete verrebbe a ricongiugnerei colla tradizione. Ma s’egli ha realmente filosofato, la sua dottrina doveva emergere da considerazioni generali sul mondo, e queste considerazioni sono chiaramente espresse nei principii che servono di base alla sua dottrina; tutto alimentarsi dall’umido; il caldo stesso provenirne e mantenersi, e seme di ogni cosa essere l’umido; però l’acqua origine della natura umida, da cui tutto proviene e si nutrisce, principio primitivo di tutte cose — Aristotele. — Questa dottrina, segue il Ritter, è collegata coi fenomeni della natura virente, colla nutrizione e col nascimento per via di seme. Pare non aver Talete considerato il mondo che come un ente vivo, il quale fosse uscito da uno stalo di seme imperfetto; seme, nell’idea del nostro filosofo, di una natura umida o dell’acqua, principio di tutte le esistenze individuali e proprio alimento a sè stessa. Questo modo di considerare l’universo animandolo, e che consiste a non vedere nel mondo che uno sviluppo del seme primitivamente esistente della vila si mostra del pari in altri punti di dottrina, che con certezza si possono attribuire a Talete. E quindi ei scorgeva la vita nell’apparenza della morte; credeva animata la pietra magnetica e l’ambra, perchè si movevano; e diceva in generale animato e pieno di spiriti o genii il mondo.
VII. Chi lo interrogò fu Anacarsi. — E prima aveva detto Misone. Congettura il Rossi essere questa una glossa intrusavi da qualche amanuense. Laerzio, nella vita di Misone, tutt’altrimenti ci racconta il fatto, e forse si confusero le due narrazioni.
Aristodemo — Spartano che scaduto dalle ricchezze e fuggito dagli amici, proferì questa dura sentenza!
IX. Crescere il Nilo quando le etesie ne respingono le correnti. — Piacque al nostro Arici di accennare all’opinione di Talete scrivendo nelle sue fonti, questi bei versi:
Ma, o che dell’anno a certi tempi abbondi
La niliaca riviera, e tra le ripe
Mal contenuta le soverchi e passi:
O che rimpetto il mar gonfio le sorga
Là dove mette capo e la contrasti,
(Che spirando l’etesie aure soavi
Contro aquilone, allentano e a ritroso
Sospingon l’acque a la sorgente, ond’elle
Gittansi al largo e immobili ristanno.
Altre opinioni corredano fra gli antichi, che noi non racconteremo, e che si possono leggere in una nota dello Aldobrandino. Per far cadere quella del nostro filosofo basta l’osservare che l’etesie cominciano a soffiare quando è già sul finire il crescere del Nilo. — Omero nel IV dell’Odiss. chiama il Nilo διϊ≤πετής, e quindi primo di ogni altro seppe doversi il crescere di quel fiume alle piogge estive che cadono in Abissinia. Lo struggersi delle nevi e le piogge de’ tropici sono cagione colla loro regolarità del crescere periodico non del Nilo soltanto, ma del Niger, dello Zair, del Rio della Plata, e di altri fiumi.
X. Talete era nato il prim’anno della trentesima quinta olimpiade. — Osserva il Ritter non doversi gran fede alla cronologia di quest’epoca. Una tradizione generalmente sparsa assegna a Talete una più alla antichità, e vi è quella che gli fa predire l’eclisse di sole che pose fine alla guerra tra i Medi od i Lidii. Altri il dice vissuto poco dopo. Certo è solo ch’ei visse quando la sua patria fiorente e libera faceva un esteso commercio per mare e per terra.
Visse ai tempi di Creso cui promise ec. — Altri lo ha per favoloso. Così la pensavano Plutarco e il Bruckero e il Menagio e il Freret e lo stesso Erodoto, in cui si potrà leggere il modo che si spacciava tenuto da Talete per deviare quel fiume. Il chiar. Mustoxidi adduce in conferma del fatto di Talete lo scol. di Aristofane nelle Nuv. e Luciano nell’Ippia, il quale v’aggiugne di soprappiù, che ciò facesse senza sussidio di macchina, e coll’unica forza dell’ingegno, in una sola notte!
XIII. E suo il motto: conosci te stesso. — Questo apotemma leggevasi scritto nel tempio di Delfo; e forse, osserva Cousin, vi fu trasportato dall’oriente, foggiandolo alla Greca — dai sensi allo spirito — dai simboli alle spiegazioni. Significava ciò che gli specchi ieratici ne’ templi egiziani. Se non che l’Egitto, dice Olimpiodoro, mostra sempre le cose a traverso l’enimma del simbolo; la Grecia alla luce della parola scritta. — Ma non tutti attribuivano questo motto a Talete; anzi i più lo fanno autore dell’altro, ΕΓΓΥΑ ΠΑΡΑ Δ´ΑΤΑ la sfortuna viene dopo gli impegni; la malleveria ha presso il danno, che parimente era scritto sulle pareti del tempio di Delfo, e che nel viaggio d’Anacarsi, come osserva il Visconti, s’interpreta in un modo adatto diverso: La sventura ti segue dappresso. Vedi anche una lunga nota del Menagio.
XIV. Intorno ai sette sapienti ecc. — Stesse incerte tradizioni che sul conto di Talete. — Filosofia politica chiama il Bruckero quella ch’e’ professavano. Distinti per virtù e per sapere; spesso legislatori delle loro patrie; legati fra loro di schietta amicizia potevano costoro riguardarsi come i depositarj del sapere di quel tempo (584, a. circa prima dell’e.v.). La pratica saviezza che raccomanda sovra tutte le virtù pubbliche, riferendole al più generoso amor patrio, era da essi insegnata per via di brevi sentenze, chiare e profonde, onde ebbero il nome di gnomici o sentenziosi. Furono detti anche pianeti dai molti viaggi che intraprendevano in cerca di sapienza. Per generale consenso erano questi i sapienti: Periandro — Solone — Briante — Talete — Cleobulo — Pittaco — Chilone. — Sebbene Talete, al dire di Cicerone e di Apuleio, avesse nome del più saggio fra i sapienti, forse vincendo gli altri in dottrina, nessuno dei sette era primo od ultimo per responso dell’oracolo, il quale ordinò che i loro nomi fossero scolpiti in giro. Uso che le convenienze teatrali riserbarono ai moderni virtuosi!! — Il convito dei sette sapienti di Plutarco non è un frammento storico, ma una semplice novella. Ei li raccoglie presso Periandro.
Di Talete vanno attorno anche queste lettere. — Sono d’accordo gli eruditi nel credere supposte e queste due lettere di Talete, e quelle di Solone, di Pittaco, di Democrito, che dallo stesso Diogene si riportano.
CAPO II.
solone.
Il ritratto di Solone tolse il Visconti da un busto che si conserva nella galleria di Firenze. Ha la testa cinta di una benda ch’è il simbolo di apoteosi: ed il Gali vi osserva l’organo della sagacità comparativa assai prominente.
I . Discarico. — „Ora in quanto a ciò che asseriscono gli autori più recenti, cioè che gli Ateniesi, coprendo con buone e piacevoli denominazioni quelle cose che cattive e dispiacevoli sono per sè stesse, urbanamente le ingentiliscono, appellando le meretrici amiche, le gabelle contribuzioni, custodie i presidii delle città, e abitazione la carcere; io credo che se ne abbia a riferire l’origine ad un artificio da Solone praticato, il quale chiamò discarico l’abolizione dei debiti; imperciocchè questo fu il primo suo istituto, ordinando che rimessi fossero tutti quei debiti che allora esistevano, e che alcuno per l’avvenire non desse ad usura sopra de’ corpi, quantunque vogliano alcuni scrittori, ch’egli non assolvesse già totalmente i poveri dal pagare i loro debiti, ma che solo alleggeriti li abbia nelle usure. da luì rendute più moderate, onde i poveri stessi, restandone molto soddisfatti e contenti, chiamarono discarico questo tratto di umanità.“ — Plutarco.
Fece altre leggi e le collocò sovra tavole di legno. — Nunc ergo ingressus scribe ei super buxum ec. Isaia, xxx, 8. Il testo dice tavola di legno. — Tzetze, nelle sue Chiliadi, ci insegna: che avanti l’invenzione della carta le leggi si scrivevano sovra tavole di legno ec. — Ciò attesta Simmaco; ciò stesso Cassiodoro ed Isidoro che così si esprime nel suo etimologico: Ante cariæ et membranarum usum in dolatis ex ligno codicillis epistolarum eloquia scribebantur. — Schedæ erant asseres sive tabellæ non absimiles scandulis quibus tecta, tegularum vice, in quibusdam locis teguntur, dicta ἀπὸ τοῦ σχίζειν dal fendere, segare, dividere. — Anche i testamenti, sino a certa epoca, si scrissero sul legno, onde l’operare contra tabulas era lo stesso che fare contro il testamento. — Rotoli di legno, traduce il Borbeck.
II. Folegandrio o Sicinite. — Folegandro era un’isola tra le Sporadi; Sicino un’altra presso Creta.
III. I disegni di Pisistrato disvelò. — „La madre di Solone era cugina di quella di Pisistrato. — Fra l’uno e l’altro passava da principio una grande amicizia sì per cagione della loro parentela, e sì ancora per cagione dell’indole e delle eleganti fattezze, che sortite aveva dalla natura Pisistrato, in grazia delle quali cose (come vogliono alcuni) erane Solone innamorato.“ — Plutarco. — Pisistrato di più chiedeva che il suo amico Solone fosse colmato di onori, dichiarando di voler condursi secondo il parer suo: ma le finzioni dell’astuto non valsero a sedurre l’amico, e ne denunziò altamente le trame, e lo palesò come pubblico nemico; e perchè il popolo era affascinato ed il male già fatto, trattato da pazzo, sebbene rispettato, abbandonò volontariamente la patria, lasciando a Pisistrato il comando ch’ei prima avea rifiutato. Ciò accadde 560 anni prima dell’e. v. Pitistrato aveva destrezza nel maneggio dei pubblici affari, moderazione, virtù domestiche, e gli Ateniesi lo avrebbero adorato se si fosse potuto cancellare l’immagine della libertà.
IV. Navigò per l’Egitto ec. ecc. — In Egitto soggiornò presso Canopo, all’imboccatura del Nilo, e quivi conversò con que’ sacerdoti, i quali gli narrarono una meravigliosa istoria sull’isola Atlantide, che parvegli bel soggetto di poema.
Venne da Creso. — Tutti sanno il famoso colloquio avuto con quel re; ma v’ha chi pone in forse il viaggio di Lidia.
VII. Chi non alimenta i genitori sia infame. — Un’altra legge avea fatta per la quale dichiarava: non essere il figliuolo obbligato ad alimentare il padre se questi insegnato non gli abbia una qualche arte.
Interdisse la bigoncia a bagascioni. — Certo a chi prostituivasi per mercede. — „Che Solone poi forte non fosse contro i bei giovani e che resistere non sapesse ed amore arditamente come lottator valoroso quando viene alle mani, può ricavarsi e dalle sue stesse poesie (alcune delle quali si dissero licenziose), e da quella sua legge, la quale proibiva a chi servo fosse di ungersi e di amar fanciulli, annoverando un sì fatto amore fra le applicazioni più belle e più decorose, ed esortando in un certo modo a queste cose coloro che degni ne erano, nel tempo medesimo che le vietava a quelli che ne erano indegni.“ — Plutarco.
IX. Meglio Solone illustrò Omero di Pisistrato. — Pisistrato ordinò i libri di Omero e ne diede una compita edizione: Solone, osserva l’Aldobrandino, fece più comandando che regolarmente si recitassero in pubblico — Vedi una nota del Menagio. — Rossi lo ha per un passo intruso.
Vecchia e nuova luna. — „Osservando Solone la disuguaglianza de’ mesi e il moto della luna, che non si accorda interamente nè col nascere nè col tramontare del sole, ma spesso lo raggiunge e oltrepassa di un giorno medesimo, determinò che un tal giorno si chiamasse vecchia e nuova luna, riputando che quella parte di giorno, ch’è avanti la congiunzione di que’ due pianeti, appartenga al mese che termina, e la parte dopo al mese che già incomincia. Probabilmente però fu egli il primo che intese bene il signifìcato di quel passo di Omero, che dice parlando di un giorno solo:
„Finendo un mese e incominciando l’altro.“
„Il dì seguente poi chiamò novilunio: e dopo il dì vigesimo non seguirà già contando con aggiugnere al numero i nuovi dì che venivano, ma levandone via di giorno in giorno uno di que’ dieci che in quel mese, restavano, secondochè vedeva andar pure decrescendo il lume della luna fino al dì trentesimo.“ — Plutarco. — Il mese greco componevasi di tre decadi: principiante, mezzana, declinante. La declinante si numerava a rovescio, e però il ventesimo primo dì chiamavasi decimo della declinante, il ventesimo secondo nono, e così di seguito sino al secondo che era il ventinovesimo; il trentesimo come è detto sopra vecchia e nuova luna. — Intrante mense; exeunte mense hanno gli scrittori dell’xi sino al xiv secolo. Dall’uno al quindici numeravasi regolarmente ed era l’intrante mense: dal sedici sino al trenta a rovescio, e il sedicesimo appellavasi quindici exeunte mense ecc., il ventesimo nono ed il trentesimo penultimo ed ultimo. Vedi Rollandino. E ciò praticavasi anche in Brescia, come si scorge da una nostra cronaca, ed era, secondo il Ducangio, generalmente in uso in Italia ed in Francia. Nel 1400 si tornò alla romana.
Nata una sedizione ecc., — Qui è manifesta contraddizione con un’altra legge di Solone la quale ordina: che sia tenuto infame chi in occasione di sedizione non si dichiari nè per l’una nè per l’altra parte, volendo che in riguardo agli affari pubblici non se ne stesse alcuno con indolenza ed insensibilità per aver posto ili sicuro le cose sue proprie, nè si gloriasse dì non essere quindi a parte nè dell’afflizione nè della malattia della patria, e fuor d’ogni rischio aspettando che vinca l’una o l’altra fazione.“ — Plutarco. — A similitudine di quegli angeli
— che non furon ribelli
Nè fur fedeli a Dio, ma per sè foro.
che il divino Alighieri pose tra i perduti che l’inferno rifiuta! Guai se questo peccato avesse gastigo a di nostri! — Del resto il Meursio lo tiene che sia un errore di memoria. Vedi una nota del Menagio.
XIV. È noto aver egli scritto — elegie — giambi ed epodi — ed anche un poema, l’Atlantide. — Di Solone ci rimangono molti frammenti poetici, tutti ripieni di morale sapienza, ed in particolare delie sue elegie che dir potrebbonsi elegie politiche. — Solonis Athen. carminum quæ supersunt, præmissa commentatione de Solone poeta — Dispos. atq. annotat. instruxit W. Bachius Bonn, Weber, 1825 , in 8.°.
XV. Fiorì intorno alla quarantesimasesta olimpiade ec. ecc. — Era nato l’a. 629, circa, avanti l’e. v. e morì, dicesi, in Cipri alla corte di Filociro l’a. 559. — „Della filosofia morale attese principalmente a quella parte che risguarda la politica, come faceano moltissimi de’ sapienti d’allora. Ma nelle cose fisiche egli era molto semplice ed imperito.“ — Plutarco. — Alcune sue leggi furono censurate, e lo stesso Plutarco dice che vi sono molti assurdi in quelle che riguardano le donne, Io non ho fatto, così Solone, le migliori leggi che si potesse, ma buone tanto quanto gli Ateniesi comportar le sapessero.
CAPO III.
Chilone.
„Il ritratto di Chilone delineato, benchè imperfettamente, sopra un frammento di pavimento in mosaico, è l’unico monumento che ci abbia conservato l’immagine del sapiente di Lacedemone. Si vede a Verona nella biblioteca capitolare: l’ab. Bianchini arricchì la sua patria di questo importante frammento scoperto a Roma sull’Aventino nel principio dello scorso secolo.“ — Visconti. — Questo ritratto più non esiste nell’indicata biblioteca: noi ne chiedemmo ad uno di que’ buoni Canonici,il quale nulla ci seppe dire nè di Chilone, nè del musaico, nè della sorte che potea averlo colto.
I. Primo eforo sotto Eutidemo. πρῶτον ἔφορον — „Non è verisimile, come per alcuni fu detto, ch’egli abbia nel tempo della sua magistratura cercato di estendere l’autorità degli efori, scolpando quella dei re. — Questa opinione del Menagio non è fondata che sulla violenta interpretazione da lui data a questo luogo di Diogene: questo luogo per chi ben lo considera, non contiene altro che lo sbaglio pigliato da alcuni scrittori, i quali, avendo letto che Chilone era stato il primo eforo, intesero questa frase, come se importasse che fosse stato il primo degli efori, ossia l’istitutore di quella magistratura.“ — Visconti.
III. Dovendo giudicare un amico ecc. — Seguo la correzione dell’Huebnero, del quale vedi la nota, e quella del Menagio.
V. È suo l’apotegma: alla malleveria sta presso il danno. — Il succitato musaico portava scritto il motto ΓΝΩΘΙ CΑΥΟΝ, conosci te stesso, che al Bianchini ed al Winckelman avea già fatto ravvisare in quei monumento il nostro filosofo: tuttavolta, osserra il Visconti, quell’apotegma, che scritto leggevasi nel tempio di Delfo, non fu attribuito a Chilone senza contraddizione. Que’ medesimi che glielo appropriano sono d’avviso che il sapiente non abbia preso che una risposta datagli dall’oracolo. Checchè ne sia, i più degli antichi ne fecero onore a Chilone.
CAPO IV.
Pittaco.
Il ritratto di questo sapiente fu dal Visconti tratto da una medaglia ch’ha nel rovescio quello di Alceo. Così la gloria nazionale, dice il sommo archeologo, e la celebrità letteraria hanno fatto congiugnere sopra un monumento di poche linee d’estensione due emuli, che non potevano star bene insieme nel loro paese natio. — Le satire del poeta non offuscarono la gloria del sapiente, il quale acuto per sorte di guerra nelle mani il sedizioso, gli accordò un generoso perdono.
I. Con una rete che avea sotto lo scudo avviluppò furtivamente Frinone. — A tempi di Pittaco tutto era concesso a difesa della patria. — Dolus an virtus quis in hoste requiret! — Lo stesso Plutarco ammira lo stratagemma della rete nascosta, e tutta l’antichità cita con plauso ciò che i moderni chiamerebbero un'indegna superchieria, dimentichi delle reti che da’ nostri politici si vanno ponendo in pratica tutto dì! — Da questa astuzia è opinione di alcuni che sieno nati i retiarii romani. — Polien. stratag. ecc.
VI. Morì già vecchio ec. — L’anno 570 innanzi l’era volgare.
VIII. Eran garzoni che pe’ lunghi trivii
Velocemente fean colle percosse
Le trottole girar — Segui le tracce
Di costor, disse — Ei v’andò presso, ed essi
Dicean: Tira alla pari — ecc.
οἱ δ´ ἄρ´ ὑπὸ πληγῇσι θοὰς βέμβικας ἔχοντες
ἔστρεφον εὐρείῃ παῖδες ἐνὶ τριόδῳ.
κείνων ἔρχεο, φησί, μετ´ ἴχνια. Χὠ μὲν ἐπέστη
πλησίον· οἱ δ´ ἔλεγον· τὴν κατὰ σαυτὸν ἔλα.
βέμβιξ — ἐργαλεῖον ὃ μάστιγι στρέφουσιν οἱ παῖδες κ. τ. λ. Strumento che fanno girare i fanciulli colla sferza ecc. — Suida — Vedi ancora Esichio, stessa parola. Dunque la nostra trottola e non la ruzzola, come traduce il Pagnini. Ma come giuocando alle trottole vi sta il τὴν κατὰ σαυτὸν ἔλα, il tibi parem agita? Non m’avvenne mai di udire che i nostri fanciulli gridassero tira alla pari, che così tutti i traduttori voltano il passo. Forse sarebbe stato meglio: batti, tira, tocca su quella (trottola) che è più vicina a te; se questo modo di dire fosse particolare al nostro giuoco piuttosto che a qualunque altro. — Pare che anche il Borheck nella sua traduzione tedesca siasi trovato nello stesso imbarazzo. Fattomi interpretare il passo, mi si disse aver così traslatato il testo: Ivi erano fanciulli che lanciavansi pel trivio in vorticosi giri, stringendosi pari con pari. Or segui l’orme di costoro, disse; ed ei si fece vicino ad essi. Pari con par disposti! gridavano gli uni agli altri i fanciulli ecc. Ed ecco, se m’appongo, il giuoco della trottola mutato nel nordico valtz! Che dunque conchiuderne? che troppo si è detto per una fanciullaggine.
CAPO V.
Biante.
I. Che il tripode gli fu mandalo ec. — Secondo la tradizione più accreditata fu dato a Biante che il consacrò nel tempio d’Apollo ismenio a Tebe. — La città di Priene era in origine una colonia tebana. — Prima di tutti pubblicò il Visconti una medaglia di bronzo di quella città, rappresentante da un lato il busto di Minerva e nel rovescio la figura di Biante ritta e dietrovi il tripode.
II. Biante coprì alcuni mucchi di arena spargendoci sopra frumento. — Erodoto racconta questo stratagemma come usato ad Aliatte da Trasibulo a Mileto. Forse Diogene fu tradito dalla memoria; giacchè Priene era già stata prima espugnata da Ardi. — Mustoxidi.
V. Circa i numi, di che sono. — Sanctius ac reverentius visum de actis Deorum credere, quam scire. — Tacito.
VI. I più sono cattivi. — Questa massima si collega colla superiore: amare come se fossimo per odiare, molti essendo i malvagi, altamente disapprovata da Cicerone. Tristissimo vero, sclama il Visconti che la pratica del foro e la civil società gli avranno persuaso — Rousseau diceva: l’uomo è buono, ma gli uomini sono cattivi.
CAPO VI.
Cleobulo.
II. Compose canzoni e indovinelli. — γρίφους, propriamente reti da pescatore; cosi chiamavansi le quistioni enigmatiche che si proponevano ne’ conviti. — Intorno alle varie maniere di grifi è a vedersi Ateneo.
CAPO VII.
Periandro.
„L’erme che rappresenta questo sapiente è di una perfetta conservazione, e le pupille espresse dalla scultura danno un carattere alla fisonomia più animato, che d’altro canto ci fa conoscere un uomo risoluto e fermo.“ — Visconti.
I. Da lui chiamata Melissa. — „Vedutala con una semplice tonaca alla peloponnesiaca che versava il bere agli operai innamorossene e la sposò — e le impose il nome di Melissa (Ape), forse per la dolcezza che in lei ravvisava nel favellare, o nei graziosi costumi.“ — Mustox.
VI. Fiorì intorno la trentesima ottava Olimpiade ecc. — I dotti non sono d’accordo nè sull’epoca nè sulla durata del suo regno. Larcher ne fissa il principio al quarto anno della trentesima sesta Olimpiade, 633 prima dell’e. v.; la Nauze della quarantesima ottava, 598 a. c. Secondo lo stesso Larcher tenne il regno settant’anni; secondo Aristotele, ed è l’opinione dei più, anni quaranta quattro. Finì in lui la dinastia dei Cipselidi.
VI. Lo studio è tutto. — Quasi tutti gli antichi attribuiscono il motto a Periandro; ma un anonimo poeta greco lo dice autore di questo: χόλον κρατέειν, contenersi nell’ira. Ed il primo fu anche altramente interpretato, come si può vedere in un epigramma dell’antologia latina nel verso:
Ille nihil rerum fieri jubet immediatum.
Ove, al dire di Visconti, il μελετα, in dialetto dorico, si credette aver forza di μελεται, ciò che mutandone il significato fece dire a Periandro, non far cosa senza esservi preparato. Del resto l’iscrizione scolpita sull’erme di Periandro non lascia alcun dubbio, e conferma la frase del nostro biografo che ha espressa questa massima coll’articolo μελετὴ τὸ πάν.
Periandro. Le cose raccontate dal nostro Diogene, e che per la maggior parte hanno la testimonianza di Erodoto, se sono vere, fecero con ragione esclamare al Bayle, nell’articolo Periandro, che: ori auroit eu plus de raison de le ranger parmi le plus mèchans hommes qui aient jamais ètè. Il solo nome di tiranno, che i Greci davano ai re i quali governavano non infrenati da una costituzione, doveva escludere Periandro da quel nobile consesso. E per vero altri vi pose in sua vece Chilone e Lasso; e Luciano lo bandì dall’Eliso. — Osserva il Visconti che quantunque i sapienti fossero tutti coetanei, Periandro era il più vecchio.
CAPO VIII.
Anacarsi lo Scita.
II. Detto alla scitica. — Scyticus sermo. Non tanto, com’altri volle, maschio e nervoso, quant’aspro e vero.
IV. Mercè il discorso era uscito salvo di Grecia. — „Non video, quo ista, Διὰ μὲν τοῦ λόγου ἐκ τῆς Ἑλλάδος σωθῆναι pertineant, nisi ita accipiantur: sed ob græcum sermonem, seu, quem cura Græcis aut a Græcis, habuisset, salutem consequutum eundem ob invidiam, quam in patria subiisset, perire. Est porro vis et acumen in verbo σωθῆναι, quod Anacharsis ad animum refert quum ἀπολέσθαι quod illi respondet, de corpore dicatur.“ Ross., Com. Laert. — Il Meibomio voltò, sermonis et disciplinæ gratia ec. l’Aldobrandini, propter sapientiam.
V. Nelle taverne dicono apertamente la bugia? — ἐν ταῖς καπηλείαις. Propriamente l’arte del taverniere, καπηλεία — Corregge nella versione: in caupona exercenda, l’Huebneros — In mercaturis faciendis, l’Aldobrandino. Forse dal mentire che fanno gli osti a preferenza; onde il chiedi all’oste se ha buon vino. Borheck traduce come l’Aldobrandino.
I Greci che il fumo lasciavano nei monti ecc. — Il Menagio assente al Casanbuono che pensa doversi intendere delle legna ridotte a carbone perchè non facciano fumo. Altri vi scorge un senso metaforico e vorrebbe per forno intendere le antiche capanne, o in vece di καπνός (fumo) leggere καρπός (frutto) e per esso la ghianda, intendendo avere il nostro filosofo fatte le maraviglie perchè i Greci, negletti i favori della natura, non, come gli Sciti, vivessero alla campagna ec ec.
VI. Trovò, per gli usi della vita e l’àncora e la ruota de’ vasai, al dire di alcuni. — L’àncora e la ruota de’ vasai, vantano un’antichità assai maggiore. — Borheke traduce: egli trovò la vita, come alcuni dicono, simile ad un’àncora e ad una ruota da vasi.
VII. Scrisse una lettera ec. — Si stamparono a Parigi alcune lettere di Aristippo Gr. Lat. 1552, in 4°. egualmente apocrifo.
CAPO IX.
Misone.
„Quelli cui piacque di escludere Periandro dal numero dei sapienti, vi sostituirono Misone lacedemone o cretese o arcade ch’egli si fosse, e per avere un uomo puro dai peccati o dalle tacce di Periandro, misero in iscena questo Misone, che era un agricoltore e un misantropo, il quale non rideva mai se non quando era solo“ Agatopisto Cromaziano.
CAPO X.
Epimenide.
III. Venne in Atene la quarantesima sesta Olimpiade. — Sul conto di costai tutto è oscuro. Antichi autori, dice il Barthelemi, lo fanno venire in Atene sei cento anni prima dell’e. v. Platone cinque cento soltanto; ciò divise le opinioni dei moderni, e si disse alterato il testo di Platone, e due gli Epimenidi. Forse visse assai vecchio, e fece due viaggi in Atene; e forse Platone s’ingannò.
Purificò la città. — Non solo purificò Atene con cerimonie religiose, ma pei riti che v’introdusse si può considerare come uno dei legislatori di quella città, avendola preparata a ricevere le leggi di Solone. L’impostura, servendo a fini politici, non era oggetto per ancora di vile mercimonio.
Si sagrificasse ad un nume particolare. — τῷ προσήκοντι θεῷ: peculiari deo, Huebnero — propicio deo F. Ambrogio — proprio, Aldobrandino — Il porsi a giacere delle pecore a caso sembra togliere ogni relazione col nume cui si doveano sagrificare, e le are senza nome ce lo dicono abbastanza. Perchè nessun nume rimanesse senza culto si eressero altari anche agli dei ignoti.
Delitto cilonio. — Cilone occupò la rocca d’Atene. Gli Ateniesi, nemici d’ogni tirannide, ve lo assediarono e costrinsero a fuggire; ma i rimasti, riparatisi presso l’ara della veneranda dea, furono trucidati. — Vedi Tucidide e Plutarco.
Decretarono ad esso un talento. — Sei mila dramme; cinque milae quattrocento circa delle nostre lire — e il profeta non chiese per sè che un ramuscello dell’olivo consacrato a Minerva, e per Cnosso sua patria l’amicizia degli Ateniesi!!
V. Scrisse la generazione dei Cureti ec. — Di queste sue opere non rimane che qualche verso citato dagli antichi, e il dubbio che appartengano ad altri Epimenidi. — Anche Pausania chiama ἔπη le poesie di Epimenide cioè versi eroici, ma il Siebelis crede che ἔπη siano piuttosto formole in versi per le purgazioni, e cita Strabone, il quale dice aver fatto Epimenide τοὺς καθαρμοὺς διὰ τῶν ἐπῶν.
CAPO XI.
Ferecide.
I. Da Siro. — Isola oggi della Sira, una delle Cicladi. Poiusinet de Sivry afferma, ma con poco fondamento, essere Ferecide una cosa stessa con Cadmo. Lo sì fa autore della metempsicosi e della perpetuità degli animi.
V. Gli dei chiamano tuoron la mensa. — Alludesi ad una lingua particolare ai numi, della quale si tocca in Omero, in Platone ed in altri.
VI. Serbasi nell’isola di Siro anche il quadrante — di cui si tenne inventore Ferecide. L’istrumento con cui questo filosofo faceva le sue osservazioni, crede il Bailly che fosse un gnomone. Se non che un passo di Omero assegnerebbe al quadrante di Siro una data più antica.
VIII. Nacque nella cinquantanovesima Olimpiade. — Anni 600 prima dell’e. v.
Scrisse quest’epistola. — Apocrifa la dimostrò il Salmasio nelle sue note al Solino.
E questi sono coloro che si appellano sapienti. — Piacemi a proposito dei sapienti di soggiugnere alcune parole di Ritter: „Ora non avvi persona, la quale sapendo far distinzione tra la filosofia e le altre produzioni dello spirito, volesse parlare della filosofia dei setti sapienti, se ne eccettui Talete. Essi ciò nulla meno hanno potuto farsi una specie di filosofia pratica tratta dalle reiasioni sociali cogli altri uomini, e consegnarla alla tradizione sotto forma di sentenze. Noi non siamo inclinati, a supporre e a ricercare in essi una saggezza più profonda; e neppur crediamo poterne inferire un menomo che sul senso morale dei Greci del loro tempo, poichè questa raccolta di sentenze offre poca autenticità, e la riunione dei sette sapienti in società, sul nome dei quali non si è neppure d’accordo, appartiene alla tradizione e non all’istoria“. — La storia della filosofia greca comincia propriameote dal secondo libro di Diogene, alla cui testa dee intendersi collocata la vita di Talete, al quale, come è detto, la maggior parte degli scrittori greci fanno risalire l’origine della filosofia.