Sul mare delle perle/Capitolo XIII

XIII. Il rapimento di Maduri

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Capitolo XII Capitolo XIV

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CAPITOLO XIII.

Il rapimento di Maduri.

La caccia era terminata da parecchie ore e le tenebre erano calate, quando Jean Baret ed il capitano della guardia lasciavano inosservati il campo, per dirigersi verso il lago.

Ai servi avevano detto che si recavano a cacciare, in mezzo ai canneti, le anitre notturne e che sarebbero tornati verso la mezzanotte, quindi avvertissero il marajah, nel caso che fossero stati chiamati.

Attraversato il campo, che era illuminato da immensi fuochi per preparare le cene, il francese ed il capitano costeggiarono la palude ove aveva avuto luogo la battuta dei coccodrilli, poi si nascosero in mezzo alle macchie, avviandosi verso il lago, che distava non più di mille passi.

La notte era oscurissima, ma Jean Baret, che aveva visitato quei luoghi di giorno, era sicurissimo di non smarrirsi e di ritrovare il gruppo di canne che aveva indicato a Durga.

— Che siano già giunti? — chiese il capitano.

— Li troveremo, — rispose il francese. — [p. 184 modifica]Amali, qualunque cosa dovesse accadere, non mancherà ad un appuntamento, specialmente ora che si tratta dei suoi interessi.

— Mi trema il cuore pensando al pericolo a cui si espone.

— Io invece sono tranquillissimo.

— Se qualcuno avesse veduta la sua scialuppa?

— I soldati ed i battitori erano oggi troppo occupati per pensare a sorvegliare le rive del lago. E poi non hanno alcun sospetto di quanto stiamo per preparare. Avete notato dov’è il fanciullo?

— Sempre vicino alla tenda del marajah.

— E gli elefanti riposano poco lontano?

— Dietro la tenda del principe.

— Benissimo: tutto va a meraviglia. Fra un paio d’ore il fanciullo sarà nostro.

— E dove fuggiremo poi?

— Sul lago, se non ci taglieranno la via. Quando avremo raggiunto il Bangalore, scenderemo il canale e poi andremo diritti allo scoglio.

— Mi hanno detto che quella rocca è inespugnabile, quindi potremo di lassù sfidare le ire del marajah e di tutti gli abitanti di Jafnapatam.

Il francese scese la riva guardando dove metteva i piedi, non essendo improbabile che vi fossero dei coccodrilli nascosti fra le erbe acquatiche, e scorse, a cinquanta metri, il gruppo di canne che aveva indicato al luogotenente del re dei pescatori di perle.

— Se sono giunti devono essere nascosti là dentro, — disse.

Accostò due dita alle labbra e mandò un fischio [p. 185 modifica]che si poteva confondere con quello delle oche selvatiche sibilanti o con quello d’un serpente in collera.

Un momento dopo si vide una forma nera ed allungata uscire fra le canne e dirigersi verso la riva. Era una barca montata da quattro uomini armati di fucili.

— Sei tu, Durga? — chiese il francese.

— Sì, signore — rispose il luogotenente — e conduco il padrone.

— Amali — esclamò il capitano, profondamente commosso all’idea di poter abbracciare l’amico, dopo tanti lunghi anni di separazione.

La barca in pochi istanti attraversò la distanza e toccò la riva.

Un uomo, vestito da cingalese, balzò a terra, strinse la mano al francese, poi si gettò fra le braccia, già aperte, del capitano, dicendo:

— Finalmente ti posso rivedere, mio bravo Binda.

— Amali — esclamò il capitano. — Il mio futuro signore! Ecco il più bel giorno della mia vita!

— Ne verranno altri migliori, amico, — rispose il re dei pescatori di perle. — Siamo tutti pronti. Signor Jean Baret, come potrò ricompensarvi? Durga mi ha raccontato tutto e approvo pienamente il vostro progetto, l’unico che possa riuscire.

— Sono ben lieto di esservi utile, — rispose il francese. — Se il diavolo non ci mette la coda, fra poco il piccolo Maduri sarà vostro e l’ostacolo che vi impedisce d’agire sarà levato per sempre. Avete condotto solo due uomini con voi? [p. 186 modifica]

— Il canotto è piccolo e dovevo pensare anche a Binda ed a mio nipote.

— Avete fatto bene. Dov’è il Bangalore?

— A due miglia da qui, nascosto fra tre isole che lo coprono interamente. I miei uomini stanno rialzando gli alberi che avevo fatto abbassare.

— Avete detto loro di tenersi pronti?

— Nessuno dormirà e, ai primi colpi di fucile, verranno incontro a raccoglierci.

Il francese estrasse l’orologio e l’accostò agli occhi.

— Sono le dieci — disse. — Il marajah e tutta la sua gente sono in orgia per festeggiare il felice esito delle caccie. Il momento è buono per scatenare gli elefanti: andiamo.

— Dovrò entrare anch’io nel campo? — chiese Amali. — Sono vestito da cingalese, tuttavia qualcuno potrebbe riconoscermi.

— No, voi vi fermerete fuori — disse il francese. — Agiremo noi.

Si misero in marcia nel più profondo silenzio. In lontananza, presso le rive della palude, si vedevano ardere i fuochi del campo e si udivano grida, rullii di tamburi e tocchi di tam-tam.

— Si divertono — disse il francese. — Fra poco queste grida di gioia, si tramuteranno in urla di terrore.

— Come farete a iniettare il vostro liquido agli elefanti? — chiese Amali, che gli camminava a fianco.

— Con una piccola lancetta scannellata. Pungerò la tromba. [p. 187 modifica]

— Monteranno subito in furore?

— Dopo qualche minuto.

— Rispondete dell’esito?

— Sono sicuro della potenza del mio liquido.

Erano le dieci e un quarto quando il drappello giunse a breve distanza dal campo.

I soldati, i servi ed i battitori si divertivano allegramente intorno ai fuochi, suonando e danzando, mentre sotto la tenda del marajah si udivano echeggiare canti selvaggi.

— È il mio nemico — disse Amali, con voce cupa. — Se potessi sorprenderlo e ucciderlo in mezzo all’orgia!

— E Mysora? — gli mormorò agli orecchi Jean Baret.

— Ah! Sì, avete ragione — sospirò il re dei pescatori di perle.

— Per questa notte accontentatevi di avere il fanciullo. Vale più del marajah, perchè vi sgombrerà la via per giungere al trono. Voi rimarrete nascosto in mezzo a questi cespugli coi vostri due uomini e ci aspetterete. Appena fatto il giuoco fuggiremo verso il lago e c’imbarcheremo. Nella confusione, nessuno farà attenzione a noi.

— Agite con prudenza.

— Fidatevi di me.

Entrò nel campo, seguito da Durga e dal capitano, salutato con deferenza dalle guardie, e si diresse verso la tenda del marajah, dove il baccano era assordante.

Il principe, i suoi cortigiani ed i suoi ministri [p. 188 modifica]erano in baldoria. Si udivano ridere, discutere, cantare in mezzo al cozzar dei bicchieri.

Al di fuori una trentina di musicisti percuotevano i tam-tam ed i tamburi, accrescendo il baccano.

Jean Baret fece il giro della tenda, sostando presso i musicisti e presso i fuochi, intorno ai quali danzavano servi e soldati; poi mosse verso la piccola tenda occupata da Maduri, che era guardata da otto guerrieri. Finalmente s’accostò agli elefanti che stavano sdraiati gli uni presso gli altri, sopra un ammasso di foglie di banano.

Stanchi dalla marcia fatta al mattino nella jungla, dormivano russando fragorosamente.

— Tenete a bada i due guardiani, — disse il francese a Durga ed al capitano. — Mi sbrigherò presto.

Mentre i suoi due compagni si mettevano a chiaccherare coi mahuts, interrogandoli sull’età degli elefanti e sui loro caratteri, il francese si era levato da una tasca interna una piccola fiala di cristallo, che conteneva un liquido rossastro ed una lancetta scannellata, sottilissima, colla punta assai acuta.

Dopo essersi assicurato che nessuno faceva attenzione a lui, s’appressò all’elefante più grosso e, fingendo di accarezzargli la proboscide, lo punse leggermente.

Il colosso scosse gli orecchi, come se avesse voluto scacciare una mosca importuna e continuò a russare.

Jean Baret, sebbene impressionato ed inquieto, [p. 189 modifica]passò ad un altro e continuò finchè giunse all’ultimo.

Quand’ebbe finito raggiunse Durga ed il capitano, dicendo con voce alterata:

— Andiamo a goderci un po’ di musica dinanzi alla tenda del marajah. Suonano bene i cingalesi.

Li trasse lontani mormorando:

— Attenti al fanciullo, il colpo è fatto.

Un momento dopo uno spaventevole barrito rimbombava dietro la tenda del marajah, seguito subito da altri non meno formidabili.

— Eccoli che montano in furore — disse il francese, accostandosi alla tenda del fanciullo.

I conduttori, udendo quei barriti, si erano slanciati verso gli elefanti per calmarli e dovettero subito retrocedere spaventati.

I sei colossi si erano alzati dando segni di una viva agitazione, ondeggiando minacciosamente le proboscidi. Un tremito scuoteva i loro corpacci; agitavano disordinatamente gli orecchi, sbuffavano, barrivano e calpestavano pesantemente il suolo colle loro zampacce.

Un conduttore, più coraggioso degli altri, si era accostato verso il pachiderme più grosso, chiamandolo per nome. La risposta fu un terribile calcio che gli fracassò il cranio.

Fu come un segnale. I sei colossi, presi da subitanea pazzia, spezzarono le catene, precipitandosi attraverso il campo e spazzando via uomini e tende.

Grida di spavento, di dolore si alzavano dappertutto. Soldati, servi, battitori e suonatori, sorpresi [p. 190 modifica]da quell’improvviso assalto, fuggirono a rompicollo dinanzi ai mostruosi animali che li inseguivano al galoppo.

Il marajah, prontamente avvertito, aveva abbandonato precipitosamente la tenda, seguito dai cortigiani, dai ministri, dai suoi capitani e dalle guardie che vegliavano dinanzi alla tenda di Maduri.

Era il momento opportuno per agire; la confusione era al colmo nel campo.

Il francese e Durga in due salti si gettarono dentro la tenda. Il giovane Maduri, svegliato da quel pandemonio, si era appena alzato e chiamava ad alta voce le sue guardie.

— Venite! — gridò Jean Baret, prendendolo in braccio. — Gli elefanti sono impazziti e minacciano di ammazzare tutti.

Senza aspettare la risposta del ragazzo, si slanciò fuori della tenda fuggendo disperatamente dalla parte opposta. Durga ed il capitano lo seguivano colle carabine in mano.

I sei elefanti, diventati furibondi, continuavano la loro pazza corsa, spargendo dovunque il terrore, per nulla spaventati dai colpi di fucile che sparavano alcuni soldati.

Jean Baret, vedendo dinanzi a sè lo spazio libero, si precipitò in mezzo alle tende atterrate, affrettando la corsa. Per sua fortuna gli elefanti si erano slanciati dietro i fuggiaschi, che si affollavano dall’altra parte della palude.

In due minuti giunse presso i cespugli in mezzo ai quali stava nascosto Amali coi suoi due pescatori. [p. 191 modifica]

— Eccolo! — gridò il francese.

— Maduri! — esclamò il re dei pescatori di perle. — Mi riconosci tu?

— Mio zio! — balbettò il ragazzo. — Ti conosco ancora.

— Vieni! Fuggiamo! Sei libero!

Stavano per prendere la corsa, quando si udì un grido.

— Portano via l’ostaggio! Tradimento! Tradimento!

Così gridava un cortigiano del marajah, il quale, fuggendo, si era diretto da quella parte.

Jean Baret, che aveva impugnato la carabina, si volse e, vedendolo avvicinarsi colla scimitarra in mano, gli sparò addosso, facendolo cadere sulle ginocchia.

Il grido del cortigiano, malauguratamente, non era andato perduto. Altri, che si dirigevano verso quella parte della palude, l’avevano udito ed avevano anche veduto il francese far fuoco.

Urla acute si alzarono.

— Rapiscono Maduri! Alle armi! Tradimento! A noi, guardie!

Quantunque gli elefanti continuassero a correre, barrendo e atterrando quante persone potevano raggiungere, alcuni soldati si erano slanciati dietro ai fuggiaschi.

— Al lago! — gridò Jean Baret. — Siamo stati scoperti.

In un momento attraversarono il canneto e si gettarono nella foresta, sperando di far perdere le loro tracce. [p. 192 modifica]

Amali portava sempre il ragazzo e pareva che neanche sentisse quel peso, perchè correva avanti a tutti.

Jean Baret invece rimaneva alla retroguardia, per uccidere chiunque si presentasse.

Le grida continuavano. Tutti i cingalesi si erano slanciati, dietro ai fuggiaschi, senza più occuparsi degli elefanti.

Il marajah probabilmente era con loro per stimolarli.

— Non ci lascieranno più — mormorava Jean Baret. — Brutto affare se ci raggiungono prima di toccare il lago. Corrono come cervi questi cingalesi.

Li sentiva avvicinarsi. I più veloci non dovevano essere lontani che tre o quattrocento metri.

Anche Amali se n’era accorto e raddoppiava gli sforzi; raccomandando a Maduri di tenersi ben attaccato al collo.

Dopo altri dieci minuti di corsa sfrenata, giungevano al lago. Quindici o venti cingalesi erano alle loro calcagna ed avevano cominciato a sparare qualche colpo di fucile.

Il canotto era là, arenato sulla riva.

Durga con una scossa lo rimise in acqua, mentre Jean Baret tirava due colpi contro gl’inseguitori, atterrando i più vicini.

S’imbarcarono alla rinfusa, presero i remi e s’allontanarono velocemente, dirigendosi verso le isole. Amali ed il francese avevano ripreso i fucili, aprendo un vivissimo fuoco.

Anche i cingalesi sparavano ed il loro numero [p. - modifica]— Tu!... tu!... Amali!... (pag. 234). [p. 193 modifica]aumentava di momento in momento. Le palle fioccavano intorno alla barca.

— Gettati dietro il bordo! — gridò Amali a Maduri.

In quell’istante una palla, meglio diretta, forò le tavole della scialuppa, aprendo un buco grande come una moneta da un soldo e l’acqua cominciò a entrare. Altri due proiettili aprirono nuovi buchi.

— Padrone — disse Durga. — Facciamo acqua.

— Dirigi la barca verso la riva che si estende oltre la palude — rispose il re dei pescatori di perle, senza cessare di sparare. — Ci salveremo nei boschi.

— Ed il Bangalore? — chiese il francese.

— Starà mettendosi alla vela — rispose Amali. — Non potrà essere qui prima di mezz’ora.

— E la barca affonda.

— Ci faremo raccogliere sulla riva.

La barca correva a sbalzelloni, sotto la spinta dei quattro remi, dirigendosi verso la riva più prossima, la quale era separata dalla palude da un largo e profondo canale, che i cingalesi non potevano attraversare, essendo popolato dai coccodrilli.

Il fuoco era cessato a causa della distanza; invece le urla e le minaccie continuavano. I soldati del marajah urlavano all’impazzata, intimando ai fuggiaschi di tornare indietro e di riconsegnare il ragazzo.

— Aspettateci — rispondeva Jean Baret, il quale, lasciata la carabina, s’ingegnava, col suo ampio cappello, di gettare via l’acqua che entrava in [p. 194 modifica]quantità. — Verrete a riprenderlo sul Bangalore, se ve ne lascieremo il tempo.

Amali, in piedi a prora, guardava verso le isole per vedere se la nave si mostrava.

— Si vede? — chiese il capitano.

— Non ancora.

— Che si sia arenata? — domandò Jean Baret.

— È quello che pensavo anch’io — rispose Amali. — Quelle isole sono piene di sabbia e di fango.

— Pessimo affare se non giungesse prima che i cingalesi attraversino quel canale.

— Hanno barche?

— Non ne abbiamo vedute.

— In tal caso non oseranno sfidare le mascelle dei coccodrilli — disse Amali.

— Possono costruire delle zattere.

— Ci vuole del tempo e siamo a due passi dalla riva.

La scialuppa, quantunque fosse quasi piena d’acqua, già si trovava presso i primi canneti.

Durga ed i due marinai, con pochi e poderosi colpi di remo, l’arenarono per impedirle di affondare e tutti sbarcarono.

Avevano preso terra a due miglia dal posto occupato dai cingalesi, quindi pel momento nessun pericolo li minacciava.

Si vedevano però delle fiammelle costeggiare il lago e poi sparire in mezzo agli alberi.

— Amali — disse Jean Baret — vi dico che stanno abbattendo degli alberi per fabbricarsi delle zattere. [p. 195 modifica]

— Sì — mormorò il re dei pescatori di perle. — Ci inseguiranno.

— Volete aspettare qui la vostra nave?

— Non la vedo ancora. Che cosa può esserle successo?

— La marea l’avrà lasciata a secco. So che si fa sentire assai forte su questo lago.

— Amali — disse il capitano. — Non fermiamoci troppo qui. Giacchè abbiamo tempo, rifugiamoci nei boschi. Più tardi penseremo a raggiungere la tua nave. Conosco un nascondiglio dove potremo aspettare che le genti del marajah si stanchino di cercarci.

— È lontano? — chiese Jean Baret.

— Si trova in mezzo ad una jungla foltissima.

— Che cos’è quel rifugio?

— Un tempio dedicato a Budda.

— Quanto impiegheremo a giungerci?

— Due o tre ore.

— Domineremo il lago?

— Sì, perchè si trova in alto.

— Andiamoci — disse Amali. — Alla mia nave deve essere successo qualche arenamento; se così non fosse sarebbe qui, perchè i miei uomini sono di una fedeltà a tutta prova. Li ritroveremo in altro momento.

— Non lascieranno il lago? — chiese Jean Baret.

— Senza di me! Oh, mai! aspetteranno il mio ritorno, anche se la mia assenza dovesse prolungarsi un mese.

— Venite — disse il capitano. — I cingalesi si [p. 196 modifica]aggirano sulla riva del canale e si saranno già messi all’opera per costruire le zattere.

— Guidaci — soggiunse Amali, dopo d’aver lanciato un ultimo sguardo sul lago.

— Un momento — disse Jean Baret. — Dove si trova la vostra nave?

— Al medesimo posto dove l’avete lasciata — rispose Amali.

— Presso la riva?

— Ha un ponte gettato sulla spiaggia.

— Ora possiamo andare.

— E perchè questa domanda? — chiese Amali.

— Supponete che noi, per meglio sfuggire all’inseguimento, fossimo costretti a separarci. Sapendo dove si trova la nave, la riunione sarebbe poi più facile.

— Siete prudente — disse Amali.

Avevano volto le spalle al lago allontanandosi frettolosamente. Durga ed il capitano aprivano la marcia; Amali, il francese e Maduri venivano dopo ed i due marinai la chiudevano.

L’oscurità era foltissima sotto quei boschi e anche la marcia difficilissima a causa degli sterpi, delle radici e dei cespugli, che occupavano il terreno, nondimeno procedevano senza arrestarsi un solo istante, spronati dalla paura.

Temevano che i cingalesi avessero già attraversato il canale e si fossero rimessi in caccia accompagnati dai cani.

Di quando in quando Amali prendeva il ragazzo fra le braccia e lo portava, non ostante le proteste di lui, il quale assicurava di non sentirsi stanco e di essere un buon camminatore. [p. 197 modifica]

— Sei contento di essere libero? — gli chiedeva Amali, accarezzandolo.

— Oh sì, zio, e da quanti anni sospiravo il momento di poter lasciare il marajah! Quell’uomo mi faceva paura e tremavo tutte le volte che mi guardava. Avevo sempre in mente che volesse uccidermi, come ha ucciso mio padre.

— Non lo rivedrai più, mio buon Maduri. Ora sei sotto la mia protezione e ti porterò in un luogo sicuro dove potremo sfidare tutti i guerrieri del marajah. E dimmi, ti faceva paura anche Mysora?

— No, zio, era buona con me e mi regalava sempre dei dolci. Anzi quando vedeva il marajah ubriaco mi faceva nascondere, perchè anch’ella temeva che mi volesse scannare.

— Dunque tu non odii Mysora?

— No, l’amavo come una sorella.

— Sai dove si trova ora?

— Mi hanno detto che dei ladri di mare l’hanno rapita e uccisa.

— Non è vero, nipote mio. Quei ladri di mare erano i miei uomini e Mysora si trova mia prigioniera.

— Non le avrai fatto del male.

— Oh no! Anzi, tutt’altro.

— Mi condurrai da lei.

— Sì, quando avremo raggiunto la mia nave andremo a trovarla. Ti parlava mai di me?

— Sì, qualche volta. Anzi mi disse che ti aveva veduto alla pesca delle perle.

— Manifestava dell’odio parlando.

— No, zio, anzi ti compiangeva, ma ti temeva. [p. 198 modifica]

— E perchè aveva paura di me?

— Non lo so, forse pel timore che tu vendicassi la morte miseranda di mio padre.

— E lo vendicheremo, Maduri, te lo giuro.

— In qual modo, zio? Anch’io vorrei vendicarlo — disse il ragazzo con energia.

— Ci sarai anche tu quel giorno che io abbatterrò il marajah nella polvere.

— Ed a Mysora farai nulla?

— No, perchè si è mostrata buona verso di te.

— Comincia la jungla — disse il capitano. — Armate le carabine; qui vi saranno delle belve.

— C’è Jean Baret con noi — disse Amali.

— È famoso, padrone — aggiunse Durga. — L’ho veduto alla prova e anche il marajah era entusiasta di lui.

— Se potesse avermi ora nelle sue mani, il suo entusiasmo non mi salverebbe di certo — disse il francese.

— Non vi ha ancora preso — rispose Amali.

— E mi auguro che non venga mai quel momento, quantunque egli sia convinto che io gli abbia salvata la vita.

— Silenzio — disse il capitano. — Cerchiamo di passare inosservati.

La jungla era anche più fitta della foresta, tutta irta di canne spinose altissime, che a malapena permettevano il passo.

In mezzo a quei vegetali si udivano misteriosi rumori, che ora aumentavano ed ora cessavano bruscamente, di passo in passo che il drappello si avanzava. [p. 199 modifica]

Anche qualche ombra si vedeva balzare improvvisamente fra le canne spinose e poi scomparire rapidamente.

Camminavano da qualche po’, faticando assai ad aprirsi il cammino, quando il capitano fece cenno ad Amali, che lo seguiva da presso, di fermarsi.

— Che cosa c’è di nuovo? — chiese il re dei pescatori di perle sottovoce.

— Qualcuno si avanza.

— Saranno dei cervi o dei cinghiali.

— No, deve essere un animale assai grosso. Nascondiamoci e lasciamolo passare.

Tutti si inginocchiarono fra le canne, che in quel luogo erano altissime, e stettero zitti, col dito sul grilletto delle carabine.

Un animale cercava di farsi largo fra i vegetali; lo si udiva sbuffare, brontolare e urtare vigorosamente i bambù, i quali si piegavano a destra ed a sinistra, scricchiolando.

— Chi sarà? — chiese Jean Baret ad Amali che gli stava presso.

— Credo che sia un rinoceronte, — rispose il re dei pescatori di perle.

— Brutta bestia.

— E pericolosa.

— La lascieremo andare?

— Sì, se non si accorge della nostra presenza. Facendo fuoco indicheremo ai cingalesi il nostro rifugio.

— Già, mi ero dimenticato che ci danno la caccia. Siamo in un brutto impiccio.

— Se si tratta d’un rinoceronte, abbiamo molta [p. 200 modifica]probabilità di non venire assaliti. Ci vedono poco quei bestioni e non hanno l’olfatto fine.

— Viene — disse Durga.

Una massa enorme, che aveva sul muso un lungo corno piantato verticalmente, aveva aperto i vegetali, soffiando con forza.

Sia che avesse fiutato qualche cosa di sospetto, sia che fosse stanco, o che temesse qualche sorpresa, s’arrestò un momento guardando attraverso le canne e fiutando l’aria, dopo di che si rimise in cammino, passando a soli quattro passi di distanza dal gruppo imboscato.

— È un rinoceronte — disse Amali, quando non udì più lo scricchiolare delle canne. — Se si accorgeva della nostra presenza ci ammazzava tutti; le nostre palle non sarebbero riuscite a fermarlo sul colpo.

— Hanno una pelle straordinariamente grossa — disse Jean Baret. — Un giorno, per ammazzarne uno, ho dovuto sparargli addosso dodici volte.

— Ripartiamo, — consigliò il capitano.

— Ed i cingalesi che non si odono più? — disse il francese.

— Ci cercheranno senza far rumore — rispose Amali. — Conviene anche a loro non farsi udire.

— Riusciranno a scoprire le nostre orme?

— Hanno i cani, — disse il capitano. — Prima però che le scoprano ci vorrà del tempo e poi la jungla è folta ed umida.

— E questo vecchio tempio, si vede? — chiese Durga. [p. 201 modifica]

— Ci giungeremo presto, — rispose Binda.

Continuarono ad avanzare, portando sempre il ragazzo, onde sottrarlo alle spine, e curvando i vegetali, che non accennavano a diradarsi.

Altre due volte dovettero fermarsi, avendo scorto altri grossi animali passare a breve distanza, dei bufali o dei cinghiali, poi il capitano si fermò dicendo:

— Siamo giunti.

— Io non vedo nulla, — disse il francese.

— Aspettate che abbiamo oltrepassato questi immensi bambù.

— Vi è uno spazio libero intorno al tempio?

— Sì.

— Così almeno potremo vedere se i cingalesi si avanzano.

Il capitano si tuffò in mezzo ai vegetali, urtandoli violentemente per farsi largo, e raggiunse uno spazio quasi scoperto, in mezzo a cui si rizzava un informe edificio, sormontato da una cupola piramidale, traforata da un numero infinito di finestre.

— Ecco la pagoda — disse. — Per questa notte saremo al coperto.