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cap. xiii. — il rapimenti di maduri 189

passò ad un altro e continuò finchè giunse all’ultimo.

Quand’ebbe finito raggiunse Durga ed il capitano, dicendo con voce alterata:

— Andiamo a goderci un po’ di musica dinanzi alla tenda del marajah. Suonano bene i cingalesi.

Li trasse lontani mormorando:

— Attenti al fanciullo, il colpo è fatto.

Un momento dopo uno spaventevole barrito rimbombava dietro la tenda del marajah, seguito subito da altri non meno formidabili.

— Eccoli che montano in furore — disse il francese, accostandosi alla tenda del fanciullo.

I conduttori, udendo quei barriti, si erano slanciati verso gli elefanti per calmarli e dovettero subito retrocedere spaventati.

I sei colossi si erano alzati dando segni di una viva agitazione, ondeggiando minacciosamente le proboscidi. Un tremito scuoteva i loro corpacci; agitavano disordinatamente gli orecchi, sbuffavano, barrivano e calpestavano pesantemente il suolo colle loro zampacce.

Un conduttore, più coraggioso degli altri, si era accostato verso il pachiderme più grosso, chiamandolo per nome. La risposta fu un terribile calcio che gli fracassò il cranio.

Fu come un segnale. I sei colossi, presi da subitanea pazzia, spezzarono le catene, precipitandosi attraverso il campo e spazzando via uomini e tende.

Grida di spavento, di dolore si alzavano dappertutto. Soldati, servi, battitori e suonatori, sorpresi