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186 | sul mare delle perle |
— Il canotto è piccolo e dovevo pensare anche a Binda ed a mio nipote.
— Avete fatto bene. Dov’è il Bangalore?
— A due miglia da qui, nascosto fra tre isole che lo coprono interamente. I miei uomini stanno rialzando gli alberi che avevo fatto abbassare.
— Avete detto loro di tenersi pronti?
— Nessuno dormirà e, ai primi colpi di fucile, verranno incontro a raccoglierci.
Il francese estrasse l’orologio e l’accostò agli occhi.
— Sono le dieci — disse. — Il marajah e tutta la sua gente sono in orgia per festeggiare il felice esito delle caccie. Il momento è buono per scatenare gli elefanti: andiamo.
— Dovrò entrare anch’io nel campo? — chiese Amali. — Sono vestito da cingalese, tuttavia qualcuno potrebbe riconoscermi.
— No, voi vi fermerete fuori — disse il francese. — Agiremo noi.
Si misero in marcia nel più profondo silenzio. In lontananza, presso le rive della palude, si vedevano ardere i fuochi del campo e si udivano grida, rullii di tamburi e tocchi di tam-tam.
— Si divertono — disse il francese. — Fra poco queste grida di gioia, si tramuteranno in urla di terrore.
— Come farete a iniettare il vostro liquido agli elefanti? — chiese Amali, che gli camminava a fianco.
— Con una piccola lancetta scannellata. Pungerò la tromba.