Storia di Torino (vol 2)/Libro II/Capo VII

Libro II - Capo VII

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Capo Settimo


Forzate. — Figlie de’ Militari. — Carceri. Condizione d’alcune carceri di provincia in sul cominciare del secolo xviii. — Palazzo Solaro in cui servì Gian Giacomo Rousseau. — Chiesa e convento di San Domenico. Breve storia della medesima. — Pitture antiche. — Uomini illustri. — Inquisizione. — Valeriano Castiglioni e il presidente Benzo. — S. Pietro de curte ducis, ossia del Gallo. — Fondazione della confraternita della Trinità pe’ pellegrini e convalescenti nel 1577.— Antiche grandezze dell’Osteria di S. Giorgio. — Strada dei Maschara.— Palazzo dei marchesi di Spigno. Antico palazzo dei marchesi d’Este. — Torquato Tasso a Torino.


Ricercando ora da capo la seconda via al nord parallela a Dora Grossa osserviam dapprima com’essa muti tre volte nome, dicendosi, strada delle Figlie Militari, strada di S. Domenico, strada del Gallo, strada del Cappel d’oro, sotto al qual nome finisce nella piazza di San Giovanni. Quest’ultima chiamavasi un tempo strada de’ Calzolai.

Movendo, come abbiam fatto per le altre da [p. 253 modifica]ponente, troviamo nel secondo isolato a sinistra la prigione delle donne, chiamata le Forzate.

Era prima un ritiro di donne traviate, fondato nel 1750 da un benefico cittadino sotto al titolo di Sta Maria Maddalena: ora è prigione di donne: ed una piissima dama, da noi già lodata, dopo d’averla ampliata e resa più comoda, vi prepara al ravvedimento quelle infelici, nelle quali il lume interno della coscienza non è affatto ottenebrato osi può ridestare. Subito dopo incontrasi il ritiro delle Figlie de’ militari.

Nel 1764 la compagnia del Santo Sudario instituiva nella sua chiesa una regolare istruzion religiosa per la milizia; e gli ecclesiastici che facean parte di quella congregazione, rivolgeano speciali cure all’ammaestramento delle giovani figlie de’ militari, alcune delle quali più abbandonate e più miserabili furono ricoverate in una casa presa a pigione. Cristina Enrichetta d’Assia, moglie del principe Luigi di Savoia Carignano, favorì grandemente quest’istituto che, a richiesta di lei, venne accolto dal re Vittorio Amedeo in sotto alla sua protezione nel 1778. Sono da settanta fanciulle, che vengono ammaestrate in ogni sorta di lavori donneschi, e ricevono anche istruzioni elementari di lettere. Questo ospizio debolmente provveduto, di cui pochi parlano, a cui pochi testatori pensano, è per altro uno di quelli che sono degni di favor più speciale. Possano le nostre parole procurargli alcuna di quelle segrete rugiade [p. 254 modifica]di beneficenza per cui tanti asili di carità veggonsi in un baleno sorgere e fiorire. Qui il celere arricchire è senza ingiuria e senza sospetto.

Dopo questo ritiro nulla troviam di notevole fino al quinto isolato. Contiene le carceri senatorie la cui forma esteriore, la cui disposizione interna darebbe una mentita ai progressi del secolo, se l’augusto Re, fautor sollecito de’ miglioramenti che predica la carità cristiana, non avesse a sì importanti riforme già rivolto con effetto le savie sue cure. Non è la sola carità legale, è la giustizia, è la morale evangelica che vuole una distinzione tra il carcere preventivo che è solo a titolo di custodia, ed il carcere successivo alla sentenza che è a titolo di pena; che vuol separate le categorie de’ delinquenti, sia nel carcere preventivo, sia. nel carcere penale; che vuol separate soprattutto le età, dimodoché gli adolescenti traviati non sieno contaminati dal fiato pestifero di chi incallì ne’ misfatti. De’ quali miglioramenti tutti quelli che l’ingrata disposizione de’ luoghi potea consentire si sono di già procurati, gli altri s’otterranno, noi confidiamo nella provvidenza del Re, senza troppo rilardo, trasferendosi in edilìzio meglio appropriato a queste condizioni i carcerati.

Chi pon mente alla qualità delle carceri, massime provinciali, che ancor si vedeano nel principio del secolo scorso, troverà senza dubbio nette, e comode, e sane quelle di cui parliamo. [p. 255 modifica]

Aprivansi esse nel mastio delle fortezze, nelle torri, ne’ sotterranei, sotto ai fossi dei castelli, e portavan nomi che, ora pareano fatti per dileggio de’ rinchiusi, ora ricordavano la posizione della prigione, ora l’antica destinazion della stanza.

Nel castello di Miolans, che fu, come il forte di Ceva, prigion di stato a’ tempi di Vittorio Amedeo ii, due prigioni poste in alto, chiamavansi Paradiso; due altre Speranza, una Tesoro, una Purgatorio. Il carcere inferiore umido, Inferno.

A Miraboc i rei di morte si ponevano in una cisterna, dove, scriveva il comandante, non panno vivere più di 15 giorni!!

Le prigioni del forte di Ceva chiamavansi Saviezza, Speranza, Costanza, Pazienza e Penitenza.

A Bard v’era una camera chiamata l’Olla, scavata nella rócca fatta a guisa di pozzo, dove penetrava qualche poco d’acqua ne’ tempi piovosi, e con una corda oppure scala a mano si calavano i prigionieri.

Nel castello d’Acqui le carceri avean nomi meno agevoli a comprendersi. L’una era detta la Dormia, l’altra Scamuzzone. Ma torniamo a più liete memorie.

Nell’isola che segue a diritta è un bel palazzo de’ conti Solaro della Chiusa, che ora appartiene a Sua Eccellenza il conte Solaro della Margarita, ministro e primo segretario di Stato per gli affari esteri. Bello, dico, non per ornamenti esteriori, ma per l’interna eleganza. Fu restaurato dal conte Alfieri. In [p. 256 modifica]questa casa servì giovanissimo Gian Jacopo Rousseau in condizione di lacchè; ma il vecchio conte di Govone, conosciutone l’ingegno, lo trattava con molti riguardi; anzi l’abate suo figliuolo che avea fatto ottimi studi nell’università di Siena, piacevasi d’ammaestrarlo e di compierne l’educazione col pensiero d’avviarlo poscia per la carriera diplomatica. Una di quelle bizzarrie subitanee dell’indole selvaggia e morbosamente sensitiva di Rousseau lo fece uscire di quella casa e lo risospinse al di là dai monti in traccia d’avventure, tra ’l buio degli errori, le dorate lusinghe de’ sogni, il soffio delle tempeste.

Proseguendo il cammino, si trova sul canto della via d’Italia la chiesa di San Domenico coll’annesso convento. Fu fondato verso l’anno 1260 per opera di frate Giovanni, torinese, domenicano del convento di Sant’Eustorgio di Milano, il quale, non contento d’aver procurato alla sua città natale il benefìcio di una congregazione d’uomini nel ministero apostolico della predicazione e nella scienza teologica segnalatissimi, volle dotarla d’una biblioteca molto rara e copiosa.

Chiestane licenza al generale n’ebbe questa risposta:

Al carissimo figliuolo in Gesù Cristo, frate Giovanni di Torino, dell’ordine de’ Predicatori,

Frate Giovanili, de’ frati dell’ordine medesimo, [p. 257 modifica]inulil servo. Salute ed affetto dì sincera dilezione.

Essendosi per diligenza vostra procurato che nella città di Torino si abiti un convento del nostro ordine, e la novella piantagione essendo priva del conforto dei libri e dovendo con pietosi ed opportuni sussidii alleggerirsele il peso della povertà, col tenore delle presenti vi concedo facoltà di disporre de’ vostri libri in favor di detto convento, come alla discrezi on vostra parrà conveniente. State sano e pregate per me. Dato a Milano Vanno del Signore 1266 a’ 16 d’aprile.

Il padre Giovanni da Torino avuta questa licenza si die a procacciar libri e ne adunò tanti che sommavano a più centinaia, e formavano a que’ tempi, avuto riguardo anche al loro valor venale, un vero tesoro; e con istrumento del 17 giugno 1277 ne fe’ donazione alla casa di Torino.1

Fra le opere donate v’erano anche i sermoni del donatore, poichè pochi o nissuno di que’ frati falliva allora al proprio nome. Tutti predicavano e molti con tanta forza da dover alzar pergamo, non in chiesa ne in piazza, ma in campo aperto, dinanzi a più migliaia d’uditori.

La chiesa di Torino fu rifatta nel secolo xiv nel sito che prima occuparono le case della famiglia del Po (de Pado).

La chiesa avea, secondo le memorie del convento, [p. 258 modifica]quattro navate con archi gotici e quattordici altari. L’altar maggiore era nella seconda procedendo da penente a levante. Delle due akre navate la più orientale occupava parte del suolo della presente strada d’Italia, resa ancor più angusta dal cimitero che vi si protendeva. Ma dalla visita apostolica di monsignor Sartina, risulta che nel 1584 tre sole erano le navate della chiesa.2

Sul finir del secolo xv la chiesa di San Domenico era ancora a soffitto, come lo sono tuttodì varie chiese antiche di Roma e d’altre città Italiane. Cominciò nel 1497 a costrursi la vôlta. Tommaso Gorzano, i signori Scaravelli, la città ed altri benefattori concorsero a compier l’opera.

La cappella del Rosario fu rifatta ne’ primi anni del secolo xvii. Il 3 d’ottobre del 1610, giorno della festa di Nostra Signora del Rosario, venne dopo il vespro Carlo Emmanuele i co’ principi suoi figliuoli, Vittorio Amedeo, il cardinale Maurizio, il principe Tommaso, ed accompagnò la processione. Al ritorno della medesima si trovarono nella cappella le serenissime infanti donna Maria e donna Catterina, le quali comandarono al padre Dossena loro confessore di scriverle nella compagnia del Rosario.3

Addì 31 ottobre 1762 il fuoco divorò la casa che si trova dietro la cappella del Rosario e s’appiccò alla chiesa, sicchè si giunse appena a tempo a staccare il quadro prezioso del Guercino che già sentiva [p. 259 modifica]il calor delle fiamme. La cappella e parie della nave destra si dovettero rifabbricare, e furono ristrette secondo le regole del novello dirizzamento della strada d’Italia. Nel 1776 i padri fecero rifar di marmo l’altar maggiore della chiesa, e due anni dopo anche quello di S. Vincenzo Ferreri. Nel 1780 Vittorio Amedeo iii costrusse la cappella del beato Amedeo, e là ornò di due medaglioni di marmo raffiguranti la beata Ludovica e la beata Margarita di Savoia, secondo i disegni dell’architetto Bò. L’archi lettura della graziosa cappella del Rosario è disegno di Luigi Barberis. La tavola colla Vergine che avendo in braccio il Bambino porge il Rosario a S, Domenico in presenza di Sta Catterina da Siena, è una delle buone opere di Giovanni Francesco Barbieri da Cento detto il Guercino. Questa cappella già possedeva, prima de’ tempi del Guercino, vale a dire, nel 1584, una tavola molto bella. Monsignor Peruzzi nella sua visita dice che quell’altare era ornato pulcherrima icona, e che una volta al mese vi si faceva una procession generale col concorso di tutto il popolo. I quindici misteri che vedonsi attorno al quadro furono scolpiti in medaglioni di legno da Stefano Maria Clemente.

In altro altare la tavola di S. Vincenzo Ferreri in atto di predicare al popolo, è di Giuseppe Galeotto, figliuolo di Sebastiano, pittore di mediocre bontà, ma inferiore al padre. Sebastiano, pittor [p. 260 modifica]fiorentino celebrato per la facilità del disegno, il colorir gagliardo, la copia dell’invenzione, è particolarmente noto pe’bei freschi della chiesa della Maddalena di Genova. Chiamato in Torino fu direttore dell’accademia di belle arti, e morì nel 1746. Sebastiano dipinse, nel refettorio di S. Domenico, S. Tommaso d’Aquino a mensa col re e colla regina di Francia. La Strage degli Innocenti è di Luigi Brandin, contemporaneo del cavaliere Marino e celebrato ne’suoi versi per una Niobe da lui dipinta.4

Ne’ chiostri di San Domenico cominciò a radunarsi nel 1563 la compagnia di S. Paolo, la quale tanto contribuì a mantener in Torino illibata la fede, e moltiplicò con tanto zelo in opere di beneficenza: noi ne parleremo a suo luogo. Vedevasi in essi chiostri una cappelletta molto scura, dedicata alla Vergine Annunziata ufliziata fino ai nostri tempi da una compagnia di laici, ed ora convertita in sagrestia. Ivi la lunetta colla vision di Giacobbe, il trasporto dell’arca ed il serpente di bronzo sono dipinti dal cavaliere Carlo Delfino, francese, venuto ai servizi della corte di Savoia verso la meta del secolo xvii; pittore, come portava la condizion de’ tempi, fecondo, ricco di fantasia, ma alquanto ammanierato.

Nella sala del capitolo si conservano alcuni quadri antichi degni d’essere ricordati. E prima una Madonna col Bambino dipinta su tela incollala su tavola del secolo xiv. Il Bambino ha pendente dal [p. 261 modifica]collo un pezzetto di corallo non lavoralo. Tiene colla mano destra un cartellone in cui si legge: Beati qui audiunt verbum Dei et eustodiunt illud.

Appiè del quadro sono segnati il nome del pittore e la data così:


† BARNABAS DE MVTINA PINXT MCCCLXX.


Barnaba di Modena era pittor duretto e scorretto anzi che no; pure meritava di trovar luogo fra gli artisti di quel primo periodo della risorta pittura.

Tavole di ben altro valore sono quelle che pur vi si conservano di Macrino d’Alba. Noterò una Pietà con molte figure, fra le quali si distingue una Sta Lucia di gran bellezza, che è evidentemente un ritratto, ed una mirabile testa di vecchio.

Allato al quadro si vedono, secondo l’uso, i ritratti de’ benefattori che l’hanno fatto dipingere, un uomo ed una donna che, all’abito ed al sembiante, appaiono di condizion rilevata.

Non meno bella è un’altra tavola in cui è raffigurata la Famiglia di Maria Santissima, co’ genitori degli apostoli e cogli apostoli stessi bambini. Affatto leonardesca si direbbe la testa della Vergine madre.

Graziosissimi sono i putti, in diversi atteggiamenti, e sopra ogni altro quello che la leggenda annessa indica per Giuseppe il Giusto. [p. 262 modifica]

Dal 1621 il collegio medico dell’università di Torino lenea le sue pubbliche adunanze e conferiva i gradi in una sala di questo convento ed avea per suo protettore S. Tommaso d’Aquino di cui celebrava la festa all’altare proprio di detto santo.

Il che durò circa cent’anni finche l’università ebbe splendida sede da Vittorio Amedeo ii nel palazzo costrutto in via di Po. Prima del 1621 l’altare di S. Tommaso era di patronato degli scolari di filosofìa della nazione italiana.

Fin dal principio poi del secolo xv quando fu fondato lo studio di Torino, v’ebbe quasi sempre qualche lettore di teologia Domenicano che conservò fra noi il prezioso deposito di quella pura e così razionale dottrina di S. Tommaso. Il collegio teologico poi fu per più d’un secolo e mezzo quasi interamente composto di Domenicani e di frati minori, e le adunanze tenevansi ora in San Domenico, ora in San Francesco.5

Molti uomini illustri riposano in questo tempio. Nella nave della cappella del Rosario un famoso guerriero, Giovanni Caracciolo principe di Melfi duca d’Ascoli, maresciallo di Francia, morto il 5 d’agosto del 1550, d’anni 63.

L’iscrizione postagli fu trasferita accanto alla porta grande a sinistra.

Presso all’altare di S. Tommaso fu deposto Filiberto Pingon, uomo grandemente benemerito della [p. 263 modifica]nostra storia, di cui esplorò con somma cura e coscienza i documenti, sebbene non sapesse vantaggiarsene convenientemente, sia per essere l’arte critica a’ suoi tempi ancor bambina, e sia perchè egli era scrittor troppo corrivo, ed infarinato di quella pedanteria belleletteristica de’ cinquecentisti tutti intesi a covare e leccar frasi. Morì di 75 anni il 18 d’aprile 1582. L’iscrizione ostata trasportata allato alla porta grande,6 ov’è pur quella d’Antonio Lobetto, professore di medicina nell’università di Torino ed archiatro di Carlo Emmanuele, il quale morì nel 1602 e fu sepolto presso l’altare del beato Amedeo. Era nato a Racconigi. Scrisse un trattato sulle febbri intermittenti. Nell’università di Torino era almansorista; vale a dir che leggeva la pratica medica dell’arabo Al-Mansour.

Vicino all’ultimo pilastro del coro dalla parte del vangelo è memoria del deposito del beato Pietro Cambiano di Ruffia.

Dopo l’iscrizione che rammenta come là giace il corpo del beato Pietro di Ruffia dell’ordine de’ Predicatori, inquisitor di Torino, che morì per la fede cattolica a Susa, vedesi la data del 1516, la quale è data del collocamento del corpo in quel sito e non della morte. Perchè Pietro di Ruffia fu ucciso ne’ chiostri di San Francesco di Susa nel 1365.

Nel mese d’aprile del 1625 facendosi qualche [p. 264 modifica]riparazione al muro di facciala della chiesa si scoprì un dipinto colla seguente iscrizione:


MONVMENTVM IOANNIS CARGNI DE PERIOMBVS



HIC IACET DOMINVS LAMPINIVS DE PERIONIBVS
EPISCOPVS PALMENSIS. ET HOC OPYS FECIT
IACOBVS ARCONESIVS.


Non v’era data. Il cadavere del vescovo di Maiorica conservatissimo aveva ancora i guanti alle mani. Fu tolto di là, messo in una cassa nuova, e deposto sotto l’altar maggiore.7

In questa chiesa fu ancora sepolto Antonio Biolato, stato prima professore d’astronomia a Bologna, poi medico del duca Emmanuele Filiberto morto nel 1570. Ma l’iscrizione che ne facea memoria è scomparsa.8 Finalmente il corpo del grande Emmanuele Filiberto fu deposto e rimase varii anni nella cappella sotterranea o confessione, dove lo vide monsignor Peruzzi nel 1584.

Nel convento di Torino fiorirono, oltre al beato Pietro Cambiano da Russia, inquisitore nel 1361, ucciso dagli eretici a Susa nel 1365, già mentovato,9 il beato Aimone Tapparelli, che fu confessore e predicatore del beato Amedeo duca di [p. 265 modifica]

Savoia, lesse alcun tempo teologia nell’università di Torino, e fu eletto nel 1467 inquisitore di varie diocesi, e recossi a Savigliano, dove morì nel 1495;10 il padre Antonio Ghislandi di Giaveno, inquisitor di Torino nel 1485, e professore di logica e di teologia in questa regia università, autore dell’Opus aureum super evangeliis totius anni, stampato a Torino nel 1507, dedicato al vescovo d’essa città Gian Ludovico della Rovere; la qual opera ebbe moltissime volte l’onore della ristampa; il padre Pietro Quinzano predicatore d’Emmanuel Filiberto, promotore e primo direttore spirituale della Compagnia di San Paolo instituita ne’ chiostri di questo convento, nella cui aula capitolare cominciò i suoi spirituali esercizi il 25 di gennaio 1563; il padre Tommaso Giacomelli da Pinerolo, inquisitor di Torino nel 1548, vescovo di Tolone nel 1565, che scrisse sull’autorità pontifìcia e contro ai Valdesi; un’altra sua opera: Propugnaculum contra Francisci Medensis calumnias) stampata a Torino nel 1559, è dedicata alla città di Torino; il padre Giambattista Ferrero da Pinerolo, confessore e teologo di Carlo Emmanuele i, nel 1626 eletto arcivescovo di Torino, il quale poco durò in sì elevato ufficio, essendo morto in luglio dell’anno seguente, ed è stato sepolto nel duomo il 15 di detto mese;11 il padre Gian Alessandro Rusca, professore di sagra scrittura, autore di varie opere; Bonifacio Giacinto Truchi [p. 266 modifica]di Savigliano, nominato nel 1669 vescovo d’Ivrea; Carlo Vincenzo Ferrero, vescovo d’Alessandria nel 1727, fatto cardinale due anni dopo e trasferito alla sede di Vercelli; Pietro Gerolamo Caravadossi di Nizza di mare, creato nel 1728 vescovo di Casale; Enrichetto Virginio Natta di Casale, vescovo d’Alba, creato cardinale da Clemente xiii, morto nel 1768; il padre Carlo Innocenzo Ansaldi di Piacenza, professore di teologia nell’università di Cagliari, poi in quella di Torino, autore di molte ed importanti opere, morto nel 1780. Poco prima di morire diede alla luce la consolante operetta: Della speranza di rivedere i nostri cari nell’altra vita.

Fiorirono ancora in questo convento il padre Nicola Agostino Chignoli da Trino, il padre Domenico Tommaso Valfredi da Garessio, il padre Enrico della Porta da Cuneo, tutti e tre professori ed autori d’opere di qualche fama. Finalmente il padre Vittorio Melano di Portula, priore di questo convento, venne nel 1778 nominato arcivescovo di Cagliari, donde fu poi trasferito alla sede di Novara.

Compiute le varie fasi della rivoluzione francese, il convento fu riaperto nel 1822. Il padre Bernardo Sapelli, da Occimiano, fondatore del ritiro del Rosario, che per lutto il tempo della dominazione francese era stato rettore della chiesa, fu eletto provinciale, e morì nel 1829 con gran fama di santa vita. Erano [p. 267 modifica]altresì provinciali il padre Tommaso Pirattoni da Alessandria, quando nel 1851 fu eletto vescovo d’Albenga, ed il padre Tommaso Ghilardi, quando nel 1842 fu eletto vescovo di Mondovì.12


Ecco una serie di bei nomi, dei quali il convento di San Domenico può giustamente onorarsi. Un maggior numero ne registra l’Echard (Scriptores ordinis Praedicatorum) che per brevità abbiam tralasciato, lungo troppo essendo il catalogo di que’ che furono o professori nell’università, o decani, o socii del collegio teologico, o teologico confessori de’ nostri principi.

Quella casetta bassa per cui si ha l’ingresso ne’ chiostri, conteneva il tribunale dell’Inquisizione: nome spaventoso in altri paesi, ma non nel nostro, dove i principi ebber sempre l’occhio e la mano a non permettere che uscisse dei termini del giusto, e che sotto color d’eresia, e in seguito ad accuse di malevoli, inquietasse senza ragion sufficiente i privati. Imperocché la cagion principale dei disordini in cui altrove trascorse, fu l’indole cupa, segretissima del processo, il quale dava ogni facilità agli accusatori di calunniare; senza parlare del pericolo grandissimo in sì spinosa materia di trascorrere a giudicar de’ pensieri e delle tendenze, invece di soffermarsi a fatti positivi, pubblici, scandalosi; del pericolo di adombrare d’una parola imprudente e di confonderla col frutto d’una malizia consumala; [p. 268 modifica]e di lanli altri pericoli in cui inciampano le inquisizioni che si velano fino all’ultimo coll’ombra del più rigoroso mistero, ed in cui perciò la giustizia corre gran rischio di naufragare. Ecco in quali termini scriveva all’Inquisitore circa al 1514 Bianca di Monferrato duchessa vedova di Savoia, virtuosissima principessa:

R.de in xpo pater amice et orator noster carissime. Il castellano nostro de Vigono13 ne ha dato auiso corno voi et il R. Vicario de Susa hauiti comenzato a procedere a la inquisitane de le persone heretiche precipue contra certa femina forestiera in el dicto loco. Et che le R. V. hano assai informatone contra alchuni di epso loco medesimo. Et che vollentieri essendo del nostro piacere procedeiano contra dicti maculati del dicto crimine: sia homo o femina.

Siamo contenta se proceda alla dieta inquisitione. Mediante che per le R. V. o li deputandi per quelle e proceda debitamente come iusticia richiede e non sinistramente ne a peticione di alchuna persona como ut plurimum se sole fare. Perchè accadendo tal cossa oltre che saria contra Dio ne saressimo malcontenta, et facendo le prefate R. V. o per li deputandi di epse il debito de la rasone corno crediamo ferano non sera causa alchuna di querella verso noi ni [p. 269 modifica]verso le prefate R. V. Anche sera nostra laude et di quelle que optime valeant. Scriptum Cargnanioctobris.14


Ducissa Sabaudie.


Rdo in x.po patri amico et oratori nostro carissimo haereticae pravitatis Inquisit.


Qui fu sostenuto in cortese prigione l’abate Valeriano Castiglione istoriografo dei duchi di Savoia, complice in una trama calunniosa ordita contro al presidente Ruffino dal commendator Pasero, ministro del duca di Savoia Vittorio Amedeo i, e della quale mi converrà parlare in altro luogo.

Nel 1697 in giugno, per non so quale accusa, il presidente Benzo era stato arrestato dal maggior Carlino, e condotto alla Porta di Po, prigione onorata dove si custodivano le persone di riguardo. Il 9 d’ottobre, imperversando un gran temporale, Benzo profittò del trambusto, fuggì e riparò nel convento di San Domenico. Un tal Piato che era stato deputato a custodirlo, ebbe tanto spavento dell’ira del duca, che, perduta la ragione, s’uccise. Frattanto Vittorio Amedeo ii, con quella sua natura subita ed assoluta, pensando che non potesse essere il caso [p. 270 modifica]della immunità ecclesiastica, chiedeva la restituzione del prigioniero. E non consentendo i padri, cominciava a far rompere la porta del chiostro, se non che, ai primi segni di violenza, Benzo gli fu renduto. All’indomani per altro, meglio illuminato a discernere i proprii diritti e quei della Chiesa, rendette il prigioniero in luogo immune nel convento della Madonna degli Angioli, donde il 16 novembre fu ricondotto in San Domenico, e, secondo l’accordo, immediatamente riconsegnato nella forza del duca, e condotto nella fortezza di Verrua ond’esservi guardato a nome dell’arcivescovo di Torino, il quale non avea carceri proprie.15

La via di S. Domenico al di là della strada d’Italia piglia il nome di via del Gallo. E qui l’andar tortuoso d’essa via, e le case varie di forma e d’altezza, e i cortili angusti ci avvertono che siamo di nuovo in una parte di Torino che conserva maggior vestigio d’antichità.

Appena fatti pochi passi s’apre a destra una via molto stretta che conduce alla piazza del Palazzo civico (via de’ Pasticcieri).

Sul cominciare di detta strada a manca sorgeva un tempo la chiesa di S. Pietro, de curte ducis, così chiamata perchè non lontana era la corte del duca Longobardo, ma chiamata volgarmente San Pier del Gallo. Fu da tempi mollo rimoti chiesa parrocchiale. Nel secolo xvi era angustissima, con un solo altare, senza [p. 271 modifica]sagrestia. Ma fu alquanto ingentilita, poichè die’ ricetto alla compagnia della Trinità.

Venne la medesima fondata in principio deiranno 1577 da Luigi Canalisio e da altri devoti cittadini ad imitazione di quella che S. Filippo Neri avea fondata nel 1548 a Roma, in San Salvatore in campo per soccorrere i pellegrini; e che sei anni dopo si tolse anche la cura de’ convalescenti. La canonica erezione si fece da monsignor Della Rovere, arcivescovo di Torino, per decreto del 9 d’aprile di quella anno. Ed il 22 dello stesso mese i confratelli ottennero, dal canonico Ludovico Tribù, curato di San Pietro, la facoltà d’uffiziar quella chiesa.

Costrusse la medesima a questo fine un coro dietro l’altar maggiore; acquistò poi in novembre del 1578 da Beatrice Tribù, vedova Cartosio, una casa vicina alla chiesa, coll’annesso giardino, e in quella aprì un ospizio pe’ pellegrini, che albergava per tre giorni. Aveano in una camera quattro letti bellissimi incortinati di drappi rossi, di cui poteasi contentare (diceva monsignor Perruzzi)16 qualunque persona, e non di piccola nazione. In altro piano teneano due letti per donne. Nel 1596 la compagnia, volendo levarsi da quelle angustie di sito, comprò dal seminario la chiesa di Sant’Agnese, e le subentrò in quella di San Pietro la compagnia del Santissimo Sudario; la quale vi durò più d’un secolo fintantoché, avendo nel 1728 cominciala la fabbrica [p. 272 modifica]dell’ospedale de’ pazzi, secondo le intenzioni di Vittorio Amedeo ii, abbandonò la chiesa di San Pietro che venne ridotta ad usi profani. Il decreto con cui fu soppressala parrocchia e divisa tra quella di San Giovanni, Sant’Agostino e San Rocco è del 7 d’aprile di quell’anno.17

Dal 1692 al 1702 fu curato di San Pietro del Gallo Marco Antonio Chenevix, il quale addì 26 di novembre di quest’ultimo anno venne consecrato vescovo di Minorvino, piccola città della Basilicata nel regno di Napoli.18

Sul finire della strada medesima in cui era San Pier del Gallo vedevasi e si vede tuttora l’osteria di San Giorgio, dove usavano anticamente principi e baroni, e che ora è riservata ai carrettieri e ad altra gente d’ugual condizione. Così sfuma l’umana grandezza. In detta osteria pigliò stanza nel 1481 la principessa Chiara Gonzaga che andava sposa al conte delfino di Alvernia.19

Nel 1496 Marco Sanudo, ambasciador di Venezia, Galeazzo Visconti, ambasciador di Milano e gli ambasciadori di Berna e di Friborgo, alloggiavano all’albergo di San Giorgio. Ed il padrone del medesimo, Bastiano di Collet, passeggiava probabilmente con quella burbanza con cui tenevasi a’ nostri giorni messer Bordino di felice memoria.

E per esser giusto anche verso le osterie, dirò che di quell’anno medesimo gli ambasciadori di Firenze [p. 273 modifica]e di Ferrara aveano stanza all’albergo delle Chiavi, non lungi da San Silvestro (lo Spirito Santo), e che il vescovo d’Alba ambasciadore del marchese di Monferrato, dimorava ai Tre Re, antico albergo presso a San Tommaso.20 E poichè siam caduti in cotanta minutezza d’indagini, e che niuna memoria di maggior rilievo ci porge il corso della via del Gallo che sbocca nella piazza di San Giovanni, volgeremo altrove i nostri passi, soggiungendo solamente che la pieciola via la quale s’apre a manca poc’oltre il canto di San Pier del Gallo conteneva le case dell’antica e potente famiglia dei Maschara, ora da gran tempo estinta. E che quindi le derivò per corruttela il nome popolare di strada delle Masche (delle streghe) malamente tradotto per via delle Maschere: quando il suo vero nome sarebbe strada dei Maschara.

La terza strada parallela a Dora Grossa chiamasi in sulle prime via di Sta Chiara, poi via della Basilica.

Poche memorie accenneremo della medesima. Il palazzo de’ marchesi di Spigno, disegno dell’architetto Planteri, ricordala bella marchesa di S. Sebastiano, moglie di Vittorio Amedeo ii, poichè egli abdicò la corona; ed infausta cagione degli affanni che contristarono gli ultimi tempi di sua vita.

In favor di questa dama fu eretto il marchesato di Spigno.

Quel palazzo a cui si ha l’accesso per un vicolo [p. 274 modifica]che s’apre alialo allo spedale di San Maurizio, appartenne ai principi d’Este, marchesi di Lanzo, dei quali Filippo sposò, nel 1570, Maria di Savoia figliuola legittimata d’Emmanuele Filiberto, e Francesco Filippo sposò Margarita figliuola naturale di Carlo Emmanuele i.

Questo palazzo fu nobilitato dell’ospitalità che vi si accordò nel 1578 a Torquato Tasso; il gran poeta scrisse in queste stanze il suo dialogo sulla nobiltà intitolato il Forno, nel quale introdusse per interlocutore Agostino Bucci di Carmagnola, professore di filosofìa nell’università di Torino.

Agostino Bucci, torinese, studiò medicina in Padova dove contrasse amicizia col celebre Girolamo Fracastoro. Fu lettore di filosofia prima a Mondovì poi a Torino. Quattro volte fu mandato, per la singoiar facondia, oratore pel duca di Savoia nelle ambasciate d’obbedienza al nuovo papa, e la prima volta a S. Pio v nel 1566. È autore di molte opere in versi e in prosa oratorie, mediche e filosofiche.21

Questo palazzo fu rifatto dopo quel tempo sui disegni del conte di Castellamonte. Nello scorso secolo apparteneva ai marchesi di Caraglio, ora è proprietà della famiglia Matti rolo.

Pio e felice pensiero fu quello del cavaliere Alessandro Paravia, professore d’eloquenza e di storia nella nostra università, nel ricordare con un monumento perenne, quale e quanto ospite nobilitasse men di tre secoli fa il palagio della linea torinese de’ [p. 275 modifica]principi Estensi,22 meno ingrati de toro congiunti verso il gran cantore che ha reso immortale la corte di Ferrara, ma insiem con essa, e pur troppo, anche l’ospitai di Sant’Anna. Perchè un sì bel esempio non sarà imitato, e perchè un medaglione ed una lapide non contrassegneranno le case ov’ebbero stanza le domestiche nostre glorie, Boterò, Vittozzi, Bellezia, Carlo ed Amedeo Castellamonti, Guarini, Bertola, Tasniere, Juvara, d’Ormea, Bogino, Benedetto Alfieri, Denina, Baretti, La Grange, D’Antoni, Michelotti, Oliviero, Saluzzo, Malacarne, Galliari, Alfieri, Gerdil, Caluso, Porporati, Balbis, Napione, Rolando, Bonelli, Balbo, Boucheron, Diodala Saluzzo ed altri illustri nostri, o per nascita, o per lungo incolato, concittadini? Sul canto di questa strada che guarda la via delie Quattro Pietre, abitava lo storico ed antiquario Filiberto Pingon,23 il quale ha lasciato a Torino una fama popolare, dicendosi proverbialmente d’ogni anticaglia: è un’antichità di monsù Pingon.

Tre stradicciuole rimangono ancora correnti in direzione parallela a Dora Grossa, ma tortuose e brevi; la prima finisce sulla piazzetta della Consolata e non ha ricordi ch’io possa qui registrare. La seconda chiamata dei Fornelletti, lungo l’antico muro di porta Pusterla conteneva nel secolo xv la casa del postribolo, e nel xvi quella pure abitata dall’esecutor di giustizia. Nella terza che finisce all’antica porta Palatina (ora le Torri) s’alzava l’oratorio della confraternita di Sta Croce in principio del secolo xvi.

Note

  1. [p. 280 modifica]Dalle Memorie ms. dell’Archivio del convento di Torino, che si conservano nella biblioteca d’esso convento. Queste notizie ebbi dalla cortesia del chiarissimo padre Tosa, professore di teologia nella R. Università.
  2. [p. 280 modifica]Satis pulchram et amplam cum tribus navibus.
  3. [p. 280 modifica]Memorie, già citate, dell’Archivio del convento di S. Domenico di Torino.
  4. [p. 280 modifica]Galleria del cav. Marino, p. 49.
  5. [p. 280 modifica]Cibrario, Notizie sull’università di Torino ne’ secoli xv e xvi (nel Palmaverde del 1845).
  6. [p. 280 modifica]

    |PHILIBERTO PINGONIO CVSIACENSIVM BARONI
    PRIMISCELLIAE DOMINO
    PRAESIDI INTEGERRIMO
    EMM. PHILIBERTI PATRIS CAROLI EMM. FILII SAB.
    DVCVM
    LIBELLORVM SVPPLICVM IN SVPREMO CONSILIO
    MAGISTRO
    MAGNI CANCELLARII VICES GERENTI
    POETAE FACVNDISSIMO
    HISTORIOGRAPHO GRAVISSIMO
    ET PHILIBERTAE DE BRENT VXORI
    MARGARITAE VALESIAE SAB. ET BITVRICENSIVM DVCISSAE
    ASSECLARVM NOBILIVM CVSTODI
    VIXIT ILLE ANNOS LVII MENSES III
    OBIIT TAVR. MDLXXXII XVIII APRILIS
    ISTA VERO ANN. LIV MENSES IV OBIIT TAVR.
    MDLXXXIX XVI NOVEMBRIS
    BEROLDVS BARO LVDOVICVS AVGVSTVS MILES ET CAR. EMM. EQVES
    FILII MESTISSIMI POSVERVNT.

  7. [p. 281 modifica]Memorie cit. del convento di S. Domenico di Torino.
  8. [p. 281 modifica]Raccolta d’iscrizioni, 2 vol. ms., negli Arch. di corte.
  9. [p. 281 modifica]Arnaud, Vita del bealo Pietro Cambiano. Atti de’ Sauti che fiorirono ne’ dominii della Real Casa di Savoia, pubblicati dall’Accademia degli Unanimi, in continuazione al Gallizia, tom. i.
  10. [p. 281 modifica]Gallizia, Atti de’ Santi che fiorirono ne’ dominii della Real Casa di Savoia. vi, 251.
  11. [p. 281 modifica]Libro de’ morti della metropolitana.
  12. [p. 281 modifica]Debbo queste notizie alla cortesia del già lodato padre maestro Tosa.
  13. [p. 281 modifica]Vigone era una delle terre che Bianca godeva a titolo d’assegnamento vedovile, e che perciò, secondo l’uso di que’ tempi, era da lei governata.
  14. [p. 281 modifica]Dagli Archivi di corte. Registro di lettere della duchessa Bianca.
  15. [p. 281 modifica]Soleri, Diario dei fatti successi in Torino.
  16. [p. 281 modifica]In quibus recipi et hospitari possent quicumque et non levioris conditionis. Visita apostolica del 1584.
  17. [p. 281 modifica]Arch. arcivescovile.
  18. [p. 281 modifica]Libro de’ morti di San Pietro de curie ducis, nell’Archivio della metropolitana.
  19. [p. 281 modifica]Relazione del viaggio fatto in Piemonte e in Savoia l’anno 1481 dalla principessa Chiara Gonzaga. Cibrario, Opuscoli storici e iterarti. Milano, visai 1835, pag. 161.
  20. [p. 281 modifica]Conto di Sebastiano Ferrero, tesorier generale.
  21. [p. 281 modifica]V. Vernazza, Bucci letterati, ms. dell’Arch. di corte.
  22. [p. 281 modifica]L’iscrizione dice così:

    TORQVATO TASSO
    NEL CADERE DELL’ANNO MDLXXVIII
    ABITÒ QVESTA CASA PER POCHI MESI
    E LA CONSACRÒ PER TVTTI I SECOLI.

  23. [p. 281 modifica]Ordinati della città di Torino.