Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo XIX
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[Anno 1849]
Roma col 4 di luglio entrava in una nuova fase. Distrutto era il governo di Mazzini, infranto il suo scettro triumvirale: ma lo spirito repubblicano non si dava per vinto, e la intimidazione teneva tuttora gli animi titubanti e compressi. Le uccisioni del 3 di luglio erano una minaccia ad un tempo ed un avvertimento; e quegli spettacoli atroci non permettendo allo spirito pubblico di manifestarsi liberamente, facevan sì che Roma perseverasse in realtà sotto l’impero del terrore. Tu non sapevi sotto qual regime fosse passata la eterna città: imperocchè se non era più. una Roma repubblicana, tracce tu non vedevi neppure di una Roma clericale; e la chieresia avvilita e sbandeggiata peritavasi nell’ombra, quasi che non avesse coraggio di ricomparire restaurata e fidente.
Eran rimasti in Roma due o tre cardinali nascosti. Entrati i Francesi potevan mostrarsi, eppure non si vedevano affatto. Di preti e frati si aveva sempre lo stesso numero, ma non apparivano in pubblico, perchè di armi, di pugnali, e d’insulti v’era sempre a temere. E per la stessa ragione nè equipaggi vedevansi, nè domestici in livrea, nè alcuno di quei segni o indizi di una società in istato normale. Il malato (che era il governo pontificio) si diceva non esser morto. I medici anzi, ch’erano i Francesi, lo davan per risanato, ma segni di guarigione non iseorgevansi punto. Il triumvirato nel disciogliersi diceva ai Romani: «Una nube sorge oggi tra il vostro avvenimento (avvenire?) e voi. È nube d’un’ora. Durate costanti nella coscienza del vostro diritto e nella fede per la quale morirono, apostoli armàti, molti dei» migliori fra voi…… La vostra non è disfatta; è vittoria dei martiri ai quali il sepolcro è scala di cielo. Quando il cielo splenderà raggiante di risurrezione per voi — quando, tra brev’ora, il prezzo del sacrificio che incontraste lietamente per l’onore, vi sarà pagato — possiate allora ricordarvi degli uomini che vissero per mesi della vostra vita, soffrono oggi dei vostri dolori, e combatteranno, occorrendo, domani, misti nei vostri ranghi, le nuove vostre battaglie.1
Queste parole tremende, allettatrici per migliore avvenire, e promettitrici di future riscosse, risonavano ancora all’orecchio de’ Romani liete per gli uni, agghiacciatrici per gli altri. Esse su i muri della città si leggevan tuttavia in larghi caratteri stampati, e potranno dare un’idea della diffidenza nella quale ancora vivevasi. Erano un addentellato che la rivoluzione cadente lasciava per la rivoluzione futura. I repubblicani parlavan sempre di riscossa e di future battaglie; speravan sempre in Garibaldi e nelle sue future prodezze. I militi che con lui partirono promisero ai rimasti di rivedersi fra tre mesi. Non basta.
Lo stesso giorno 4 un foglietto clandestino fu diffuso, ed era per le mani di tutti. Lo stile era di Mazzini, e se non suo, del suo partito evideutissimamente. Parve gittato là fra le masse siccome il testamento politico del grande agitatore, ed il canone della condotta da seguirsi dai Romani durante la occupazione francese.
Esso diceva così:
«Al popolo romano.
» La sciagura si è aggravata novamente su noi, o fratelli. Ma è prova di breve durata; è pietra di sepolcro la quale gitteremo via dopo tre giorni, sorgendone vittoriosi e rifatti nazione immortale. Poiché con noi sta Dio e la Giustizia — Dio e la Giustizia che non muoiono mai e trionfano sempre: al contrario dei re e dei papi che morti una volta, non risorgono più.
» Intanto come foste grandi nei dì del combattimento dovete esserlo nei dì del dolore: — grandi di contegno civile, di sprezzo generoso, di sublime silenzio. Il silenzio è l’arma colla quale abbiamo a dare l’ultima sconfitta ai Cosacchi di Francia ed ai preti loro padroni, se mai ardissero ricomparire per breve tra noi.
» Per le vie non degnateli di uno sguardo: rispondete loro col silenzio se vi volgessero la parola.
» Nei caffè, nelle trattorie sorgete e allontanatevi alla loro comparsa.
» Le vostre finestre si chiudano sempre sul loro passaggio.
» Le loro feste, le loro parate non vi abbiano mai spettatori.
» L’armonia delle loro bande musicali sia pei vostri orecchi suono di schiavi; e fuggitelo.
» Il soldato liberticida sia condannato allisolamento: sconti nella solitudine e nello sprezzo il delitto di aver servito ai preti ed ai re.
» E voi donne romane — sublime fattura della mano di Dio — non abbiate un guardo, un sorriso mai per questi vili satelliti di un papa abborrito. Maledetta quella di voi che dinanzi agli alleati laidissimi dell’Austria si scordasse di essere italiana! Noi ne pubblicheremmo il nome per consegnarlo inesorabile alla ignominia ed alla esecrazione del popolo. E le meretrici, fino le meretrici sentano amore di patria; si riabilitino a dignità cittadina in faccia a costoro.
» E la nostra parola d’ordine, il nostro grido di rannodamento e di emancipazione sia ora e sempre
» Viva la Repubblica.
» Questo grido incessante che neppure gli schiavi di Francia potranno contenderci, sarà preparazione novella al compimento del legato che ci ponevano sull’animai martiri nostri; sarà rugiada consolatrice alle ossa immacolate e sante che riposano — olocausto sublime di fede e di amore — presso le nostre mura e fanno doppiamente divina l’eterna città. In questo grido ci troveremo sempre fratelli; e vinceremo.
» Viva Roma capitale d’Italia
» Viva l’Italia del popolo
» Viva la Repubblica romana
- » Roma 4 luglio 1849.
» Un Romano .»2
Questo foglietto piccolo di mole sembraci grande di importanza, perchè ci rivela il piano di condotta da tenersi dai Romani secondo la mente del Mazzini e del suo partito. È infine da riguardarsi, siccome dicemmo più sopra, per una specie di testamento politico del grande agitatore. S’intende bene che gli eredi fiduciari erano i pochi ma operosi affigliati rimasti in città, fra i quali senza dubbio taluni più fidi avrebber dovuto costituire un centro direttore.
Importante ancora, perchè oltre al tracciare le norme che ciascuno doveva seguire, ci somministra una spiegazione di quella freddezza che non solo per parte della popolazione romana in genere osservossi verso i Francesi, ma in ispecie ben anco per parte di chi li voleva, gli amava, ed in cuor suo professavasi a loro obbligato. Coll’aver pronunziato il grido di maledizione a chiunque, uomini o donne, gli avesse avvicinati, si veniva a consacrare il principio d’intimidazione che pesava su tutti indistintamente. D’altra parte rincresceva troppo esser segnato a dito e designato siccome satellite de’ tiranni e dei nemici della patria. E quantunque molti si sentissero scevri ed immacolati da questa taccia, e fossero anzi nemici dei tiranni, e della lor patria amantissimi, pur non volevano incontrare dispiaceri, e porsi al cimento di far esercitare su loro i pugnali degli assassini. Eran troppi i fatti in parte veri, in parte esagerati, delle vendette mazziniane. Ognuno temeva quel suo tribunale invisibile, e ciascuno preferiva di adottare per se il partito più sicuro, quello di non mostrarsi propenso ai Francesi. Qualche giorno dopo furon pubblicati altri due foglietti che portavano la sottoscrizione del Mazzini, stampati entrambi. Col primo de’ medesimi si raccomandava ai Romani di far vedere al mondo la loro separazione dagl’invasori. Coll’altro raccomandavasi di respingere le manifatture, i vini, e i libri francesi. Questi due foglietti posson leggersi fra i nostri clandestini.3 Per tal modo i mazziniani raggiunsero il doppio scopo di vendicarsi de’ Francesi e d’ingannare gli esteri, i quali vedendo siccome quasi tutti i Romani si astenessero dall’avvicinarli, ne inferivan logicamente, essere a quelli contrari. E così con un sistema ben combinato di falsità e di terrore, venivasi ingannando il mondo tutto, e si otteneva l’intento.
I mazziniani poi erano di tal tempra, da dire e fare le cose che promettevano. Un esempio ci è somministrato da ciò che ora narreremo e che a noi stessi accadde.
Erasi eretto il Caffè Nuovo in Caffè militare francese, e si era sparso che i Romani dovessero astenersi dall’intervenirvi.
Questo procedere tirannico ed all’esercizio delle libertà cittadine oltraggioso, scosse la suscettibilità di molte signore appartenenti alla borghesia. In una riunione serale se ne teneva proposito, e fra queste era la moglie di me che scrivo, la quale declamando contro il poco coraggio civile di cui avevan fatto prova i Romani lasciandosi imporre sul collo la repubblica che in genere non volevasi, eccitò altre sue amiche a volerla seguire una sera al Caffè Nuovo. Venti signore ed altrettanti uomini vi fecer difatti una sera il loro ingresso, e vi contrassero la conoscenza di qualcuno degli ufficiali francesi di stato maggiore ch’eran per verità il fiore della cavalleria di quella nobilissima nazione.
Bastò questo perchè comparisse dopo pochi giorni un foglietto clandestino, ove tanto falsamente quanto cinicamente rappresentavansi i mariti che accompagnaron le loro signore al Caffè Nuovo, come altrettanti vili che colà si recarono per prostituirvi le loro mogli; e fra questi era pur io. I nomi di tutti e di tutte vi furon fedelmente designati, e quello di mia moglie a capo di lista, in carattere più grande di tutte le altre.
Di questo documento non possiamo somministrare alcuna copia stampata, perchè l’unica che possedevamo venne da noi data al capitano Filippi aiutante di campo del generale Oudinot. Ripetiamo che non possiam produrlo, ma facciamo appello agli uomini di buona fede. Molti l’ebbero o lo lessero, e niuno oserà al certo di negare un fatto che in allora venne conosciuto pubblicamente. Una copia però manoscritta potrà leggersi nel X volume dei Documenti della nostra raccolta sotto il n° 10. Ricordiamo ben anco che avendo dovuto, comandati, recarci a far visita al generale Oudinot, in sui primi di luglio, nel palazzo Rospigliosi, lo facemmo, quantunque di giorno, quasi di soppiatto: tanto era pericoloso il mostrarsi a contatto coi Francesi.
Or ci si dica se con questa sorta di esempi possibil fosse che Roma riacquistasse in un subito la sua naturale fisonomia, e non dovesse in vece assumere un aspetto fallace ed incomprensibile, il quale ti diceva ciò che non era, ed il vero sentimento teneva soffocato e nascosto? Eppure le cose erano in questo stato, ed i repubblicani volendo usufruttarlo, mantenevano abilissimamente la intimidazione, la quale nel caso in discorso e stante le particolarità che abbiamo narrato, serviva mirabilmente al loro scopo.
Non è però da credere che sia questo un artifizio nuovo. I rivoluzionar! usarono ed usan sempre in ogni paese la stessa astuzia. Prima di tutto organizzano il terrore non già manifestamente, ma misteriosamente por segreti messaggi o per lettere anonime o per qualche uccisione proditoria e coperta del più impenetrabil segreto. E quando il terrore è bene organizzato, e niuno per tema zittisce, allora si viene gridando che son tutti di un sentimento, e si ride sulla usata espressione «sono un pugno di faziosi,» volendo con ciò dare ad intendere che sono invece tutti di un colore; e niuno per verità mai non insorge a confutarli. In tal modo si perviene abilissimamente a far passare agli occhi altrui per maggiorità la minorità, cosicchè poi molti sel credono, se ne spaventano, e passan di fatto ad ingrossar le file della minoranza.
Siamo stati diffusi nel narrare questi episodi storici ed a sussidiarli colle nostre osservazioni: ma siccome noi non iscriviamo per prezzo, ma per carità di patria, e specialmente per amor di giustizia e di verità, afferriamo tutto ciò che ci si para dinanzi per metterlo in chiaro, credendo sinceramente con questo di renderci della società benemeriti.
Ora che abbiamo sparso un pochino di luce sullo stato morale di Roma durante la incominciata restaurazione, verremo enumerando quelle disposizioni che i Francesi all’oggetto di ristabilir l’ordine vennero adottando; e per prima cosa riporteremo il proclama emesso dal generale Oudinot il giorno successivo all’ingresso delle truppe. Eccolo:
- «Abitanti di Roma.
» L’armata inviata dalla Repubblica francese sul vostro territorio ha per iscopo di ristabilirvi l’ordine e la sicurezza.
» Una minorità faziosa o traviata ci ha costretti di dare l’assalto alle vostre mura. Siamo padroni della piazza: adempiremo la nostra missione.
» In mezzo alle prove di simpatia che ci hanno accolti, alcune vociferazioni ostili sono scoppiate, e ci hanno forzati ad una immediata repressione.
» I cittadini dabbene ed i veri amici della libertà ripiglino fiducia. I nemici dell’ordine e della società siano bene informati che se delle manifestazioni oppressive, provocate da una fazione straniera, si rinnovassero, sarebbero punite con ogni rigore.
» Per dare alla sicurezza pubblica delle positive garanzie prendo le seguenti disposizioni.
» Provvisoriamente, tutt’i poteri sono concentrati nelle mani dell’autorità militare. Questa domanderà subito il concorso del municipio.
» L’assemblea e il governo, di cui il regno violento ed oppressivo ha cominciato coll’ingratitudine ed ha finito con un grido all’armi contro una nazione amica delle popolazioni romane, non esistono più.
» I circoli politici ed associazioni politiche sono vietati.
» Ogni individuo non militare, arrestato portatore di armi visibili o nascoste, sarà immediatamente tradotto dinanzi al consiglio di guerra.
690 STORIA » Sarà lo stesso per ogni individuo militare che facesse uso delle sue armi.
» Ogni pubblicazione col mezzo della stampa, ogni affisso non permesso dall’autorità militare, sono provvisoriamente vietati.
» I delitti contro le persone e le proprietà saranno giustiziabili dai tribunali militari.
» Il Generale di Divisione Rostolan è nominato a Governatore di Roma.
» Il Generale di Brigata Sauvan è nominato a Comandante della Piazza.
» Il Colonnello Sol è nominato a Maggiore di Piazza.
- » Roma li 4 luglio 1849.
» Il Generale Comandante in Capo |
La sera poi dello stesso giorno 4 il generale anzidetto inviava alcuni soldati all’assemblea costituente. Vi si rinvenne una delle sezioni in permanenza, ed alla medesima intimossi di sciogliersi. Carlo Bonaparte principe di Canino che presiedevala, protestò nel modo seguente:
«In nome di Dio; in nome del popolo degli Stati Romani che liberamente, con suffragio universale ha eletto i suoi rappresentanti; in nome dell’art. 5 della Costituzione Francese; l’Assemblea Costituente Romana protesta in faccia all’Italia, in faccia alla Francia, in faccia al mondo incivilito contro la violenta invasione della sua sede operata dalle forze francesi il giorno 4 di luglio alle ore 6 pomeridiane.
- » Roma, nel Campidoglio, 4 luglio 1849.
» Per l'intera Assemblea |
Il generale Rostolan facendo uso dei poteri conferitigli, emanò il giorno seguente 5 di luglio le opportune disposizioni per lo stato di assedio della città di Roma.
Veniva quindi interdetto ogni assembramento nelle vie pubbliche; e se formatosi, doveva essere sciolto colla forza. La ritirata sarebbesi sonata alle ore 9 pomeridiane. La circolazione nella città doveva cessare alle ore 9 1/2. Potevano percorrerla nella notte soltanto i medici e i pubblici funzionari muniti di un lascia-passare firmato dall’autorità militare. In quella stessa ora i luoghi di riunione dovevan chiudersi. Si diceva che i circoli politici che, non ostante il proclama del generale in capo, non fossero già chiusi lo sarebbero stati con la forza. Minacciavasi infine di punire immediatamente con modo esemplare ogni violenza, ogn’insulto contro i soldati francesi o contro le persone che avevano con loro amichevoli relazioni, ed ogni impedimento recato all’approvigionamento. Terminava con queste parole:
«Abitanti di Roma! Voi volete l’ordine, io saprò garantirvelo. Coloro che sognassero di prolungare la vostra oppressione, troverebbero in me una severità inflessibile.
- » Roma 5 luglio 1849.
» Il Generale di Divisione, |
In seguito di ciò, alle ore 9 tutti ritiravansi in casa: e, quando si sentiva sonar la ritirata dalle stridule e stonate trombe francesi, si sentivan pure ogni sera dalle alture delle case talune grida imitanti quelle de’ galli al levar del sole espresse con un chicchirichì, il quale divenuto poi oggetto di curiosità, di attenzione e d’ilarità, fini coll’essere ascoltato con compiacenza da tutti ed anche dagli aderenti ai Francesi che con quelle grida volevasi porre in ridicolo. E così diveniva un passatempo la sera il sentire da un lato lo squillo assordante e molesto di quelle sguaiatissime trombe guerresche in istrada, e dall’altro risonar l’aere dai tetti delle case per il saporito chicchirichì dei cittadini.
Nello stesso giorno notificavasi dal generale Oudinot che il capitano dello stato maggiore Castelnau, nominato segretario generale del ministero della guerra e marina di Roma, aveva la direzione de’negozi a quello relativi. 7
Emetteva inoltre un ordine generale che conteneva le seguenti disposizioni.
Le truppe romane stanziate in città avendo quasi tutte prestato atto d’intiera sommissione all’autorità militare francese, consideravansi d’allora in poi come truppe alleate, e si lasciavano nella piazza fino a nuovi ordini.
I corpi che non si erano ancora sottomessi venivan sciolti immediatamente.
Il general di brigata Le Vaillant (Giovanni) nominavasi provvisoriamente comandante dell’armata romana, sotto gli ordini superiori del governatore di Roma.
Il tenente colonnello Pontevès si nominava capo di stato maggiore e comandante in secondo della suddetta armata.
Il capo squadrone di artiglieria Devaux era specialmente incaricato della riorganizzazione de’ vari Corpi.
La direzione degli affari amministrativi confidavasi al sotto intendente militare Pagès.
Il generale comandante l’artiglieria francese doveva procedere immediatamente all’inventario delle armi e munizioni d’ogni sorte che si trovasser nella piazza.8
Ugualmente nel dì 5 luglio il governatore di Roma Rostolan diceva in un suo bando che avendo la maggior parte dell’armata romana offerto al generale in capo il suo concorso per la pacificazione così della città come degli stati romani, ed essendo stata accettata la sua cooperazione, si sarebber vedute d’allora in poi le truppe francesi e le romane procedere d’accordo per ottenere il fine dell’ordine e della quiete.9
Nel medesimo giorno in cui queste cose accadevano in Roma, altro atto più solenne compievasi in Gaeta. Fu colà che dimorando tuttora il Santo Padre con la sua corte, il colonnello Niel gli rimetteva le chiavi della città di Roma, accompagnate da una lettera del generale Oudinot al quale il Santo Padre dirigeva in risposta la lettera seguente:
- «Signor Generale Oudinot di Reggio
» Roma.
» Il conosciuto valore delle armi francesi, sostenuto dalla giustizia della causa che tratta, ha raccolto il frutto che a quelle armi era dovuto, la vittoria.
» Accetti, signor Generale, le mie congratulazioni per la parte principale che in così grave avvenimento è a lei dovuta, congratulazioni non pel sangue sparso dal quale abborre il mio cuore, ma pel trionfo dell’ordine sopra l’anarchia, e per la restituita libertà alle persone oneste e cristiane, per le quali non sarà quindi innanzi un delitto o di usufruire i beu. che Dio ha loro dispensati, o di poterlo adorare fra la di vota pompa del culto, senza pericolo di perdere la libertà o la vita.
» Per le gravi difficoltà che dovranno incontrarsi in appresso, confido nella protezione divina.
» Credo che non sarà inutile per le truppe francesi di conoscere la storia degli avvenimenti che si sono succeduti durante il mio pontificato. Questi sono accennati nella mia allocuzione, ch’ella, signor Generale, conosce, ma che non ostante le rimetto in un numero di copie, affinchè possa essere letta da quelli ai quali ella conosca opportuno di far conoscere; si vedrà sempre meglio da quella che il trionfo dell’armata francese è stato riportato sopra i nemici della umana società, e perciò dovrà sempre riscuotere i sentimenti di gratitudine di quanti sono in Europa e nel mondo gli uomini onesti.
» Il signor colonnello Niel che unitamente al suo riverito foglio mi ha presentato le chiavi di una delle porte di Roma, le recherà questa mia: e sono ben contento di valermi di questo mezzo per esternarle i sentimenti paterni del mio affetto, e l’assicurazione delle preghiere che faccio continuamente al Signore per lei, per l’armata, pel governo, e per tutta la Francia.
» Riceva l’apostolica benedizione che di cuore le comparto.
- » Datum Cajetae die 5 Julii 1849.
» PIUS PAPA IX.»10
Roma era inondata in quel tempo (oltre i boni del tesoro dell’anno 1848) dai boni della repubblica di scudi cento, cinquanta, venti, dieci, cinque, due, uno, e di baiocchi quaranta, trentadue, ventiquattro, sedici, e dieci. Fra i detti boni ve n’eran molti falsi. Dispose pertanto il generale Oudinot con atto del 6 che tutti i boni in circolazione venissero entro dieci giorni, dal 10 di luglio, recati alla cassa della depositeria per esservi impresso un nuovo bollo. Si sperava con questa savia disposizione di arrestare la fabbricazione di altri boni falsi a danno del pubblico; e si raggiunse lo scopo.11
In quello stesso giorno l’Oudinot decretava un disarmo generale, e con altro atto scioglieva la guardia civica di Roma promettendo che (sono sue parole) si sarebbe immediatamente riorganizzata secondo le sue basi primitive. La esecuzione di queste due misure veniva affidata al generale Rostolan governatore di Roma.12 E questi con un bando del 7 indicava i luoghi nei quali sarebbonsi dovute consegnare le armi e munizioni, cioè:
- Per i rioni di Monti, Trevi e Colonna, il palazzo di Venezia.
- Per i rioni di Campo Marzo, Ponte e Parione, il palazzo Borghese.
- Pe’ rioni di Regola, Pigna e sant’Eustachio, il palazzo della Sapienza.
- Per il rione di Borgo, il palazzo Torlonia (a san Giacomo Scossa Cavalli).
- Pe’ rioni di Ripa, Campitelli e sant’Angelo, il Campidoglio.
- Per il rione di Trastevere, san Calisto.
Le fazioni francesi poi che erano di guardia alle porte venivano incaricate di visitare minutamente le persone, le vetture e le bestie da soma uscenti dalla città. Comminavansi infine le pene contro i trasgressori.13
Il disarmo ebbe luogo pacificamente. Moltissime armi si raccolsero, quantunque fosse opinione comune che non poche ne rimanesser nascoste.
Ne increbbe però, ed a ragione, la ingannevol promessa del ripristinamento della guardia civica. Noi non crediamo che molti ne fosser vogliosi, sebbene lo dicessero, perchè avvi di molte cose che si dicono o si finge di desiderare in pubblico, e che in privato o nel fondo del cuore si ripudiano. Diciamo bensì che non v’era bisogno alcuno di promettere una cosa se non si aveva la intenzione o non si aveva acquistato la certezza di poterla concedere. La promessa è rimasta registrata negli atti pubblici, la giustificazione del non averla mantenuta ancora si attende. E tanto più doveva sfuggirsi dal generale Oudinot il caso di una promessa non osservata, perchè era ancor fresca la memoria dell’altra di non attaccare Roma prima del 4 di giugno, mentre in fatto l’attaccò il 3: e questa è storia che abbiamo già a suo luogo e tempo narrato.
Ben trista però era la condizione di Roma in quei disastrosi momenti, perchè come suole accadere in tutte le rivoluzioni o restaurazioni incipienti, molti lavoranti mancavan del pane. Ciò suggerì l’idea a vari soldati francesi di aprire una sottoscrizione per raccoglier danaro affine di aiutare gli abitanti del Trastevere, con che peraltro il sussidio avesse il suo correspettivo nel prestare eglino la loro opera a distruggere le barricate tuttora esistenti nella città. Questa determinazione venne significata l’8 luglio alla magistratura di Roma dal generale Oudinot.14
Fu poi soggetto di discussione fra i capi del governo, che in quel momento poteva dirsi acefalo, se ed in qual modo potesse decretarsi la sparizione degli stemmi repubblicani. Il decreto a ciò relativo che si affisse al pubblico era espresso come segue:
«La bandiera e gli stemmi d’un governo che ha cessato la sua esistenza, come pure il berretto rosso, insegne d’anarchia e di terrore, spariranno nelle 24 ore.
» I comandanti de’ vari corpi stanziati ne’ rioni di Roma sono incaricati dell’esecuzione del presente Decreto.
- » Roma li 8 luglio 1849.
» Il Generale in Capo |
Le ruberie che sotto il noma di perquisizioni eransi nei mesi decorsi commesse, incominciarono a scuotere coloro che le avevan sofferte, sicché venne fuori il giorno 8 una ordinanza del prefetto di polizia Francesco Chapuis, colla quale i sacri vasi, gli arredi di chiesa e le campane tolte agli stabilimenti religiosi di Roma, ed esistenti ancora, venivan messi a disposizione dei direttori di quegli stabilimenti ai quali appartenevano. 16
Un atto di ordine e di giustizia si rinvenne nello aver comandato lo stesso prefetto di polizia il dì 8 luglio che tutti gli antichi presidenti dei rioni di Roma riassumessero da quel giorno le loro funzioni. 17
Altro atto di ordine e di giustizia riparatrice fu quello col quale il suindicato prefetto di polizia ingiungeva il 9 a tutti i detentori di oggetti requisiti dal cessato governo di farne la denunzia, entro 3 giorni a datare dall’atto stesso, alla prefettura generale di polizia, e stabiliva che l’infrazione a tale ordine sarebbesi considerata e punita come furto qualificato. 18 Più tardi venne creata una commissione di ricuperamento e restituzione degli oggetti requisiti, la quale si compose dei seguenti:
Prefetto di polizia Presidente | ||
Principe | Don Girolamo Odescalchi | Membri |
Cavaliere | Ferdinando De' Cinque | |
Avvocato | Pietro Bertini | |
» | Francesco Tomassetti | |
Domenico | Farina Segretario. 19 |
Occupossi indefessamente quella commissione nell’esercizio del suo mandato. Gli oggetti ricuperati furono, come altrove ci è occorso di raccontare, nientemeno che 2,954, di cui esistono sedici note che si affissero al pubblico.
Tali oggetti venner quasi tutti restituiti a chi seppe giustificarne la proprietà.20
Con altro atto del generale in capo, del giorno 9, ripristinavasi il principe Massimo nel suo officio di sopraintendente generale delle poste, ed il principe di Campagnano in quello d’ispettore generale delle medesime.21 Due giorni dopo, il giornale la Speranza dell’epoca ch’era il giornale di Mamiani, Farini e consorti, insorse contro detta reintegrazione e la criticò severamente.22 I due principi reintegrati rimasero al posto, ma la Speranza dell’epoca non comparve più. Quell’articolo fu ad un tempo la chiusa del numero 139, e l’addio della Speranza dell’epoca mal veduta dai clericali, esecrata dai repubblicani.
Questo giornale che rappresentava l’opposizione tanto al triregno papale quanto al berretto repubblicano, non si limitò nel numero 139 sopra mentovato a parlare epigrammaticamente dei due principi romani, ma volle rilasciare un po’ troppo le redini, perchè riportò anche una corrispondenza di Francia ad un giornale inglese nella quale si diceva desiderarsi di condurre il papa a scegliere il Mamiani per suo primo ministro.
Un articolo di fondo poi, e perciò non estratto da altri giornali, si pubblicò nelle sue colonne, e parve assai più meritevole di censura, poichè a chiarissime note vi s’insinuava essere impossibile in Roma il ripristinamento del governo dei preti. Esso dopo di aver declamato contro la sottoscrizione di certi fogli per chiedere il ripristinamento del governo di Pio IX, esciva in questa sentenza:
« A non lasciare frattanto indurre in errore uomini di buona fede, o lontani stranieri, a non lasciare insultare il senso comune con simili mistificazioni, noi ripetiamo qui come annunzio di un fatto positivo, e che sfidiamo i più sfrontati a voler smentire — che non un solo grido, una sola voce, in questi sette dì, si levò in favore del Governo di Pio IX: che non un solo scritto che l’invocasse apparve neppure nelle mura, che pure sono lorde di tante altre iscrizioni insultanti, che vorremmo anzi veder sparite.»
E noi risponderemo tutto questo essere stato verissimo. Non grida di gioia, di lodi, di contentezza per l’instauratore governo, qualunque si fosse. Salvo poche sillabe laudatrici, anche le Muse si stetter mute. E se qualche grido sentivasi, forse fu di tutt’altra specie. Ma che perciò? Il non esservi stato nulla o quasi nulla, col dire troppo, non prova niente, o per meglio dire prova troppo limpidamente che nella sola paura può trovarsi la spiegazione di tale silenzio, ovvero nelle speranze quasi sempre fallaci di un migliore avvenire e di un vivere a buon mercato, che ad 8rte si erano insinuate nel popolo per amicarselo e farlo stare zitto. Imperocchè un governo rovesciato e ristabilito conserva sempre i suoi partigiani di qualunque tempra esso sia. Se mite, onesto, moderato e provvidente, avrà per sè i miti, gli onesti e i moderati; se ingiusto, improbo e tirannico, avrà gli uomini di cattiva indole, e per disgrazia nostra la società umana ne abbonda. I soli discacciati poi e le vittime sofferenti del governo rovesciato che si ripristina, bastano per formare un partito, ed un partito esultante alla sua reintegrazione. E nel caso nostro il clero col codazzo de’ suoi aderenti, il clero numerosissimo e influente per moltiplicità di rapporti e per l’impero delle coscienze, che in parte sbandeggiato, in parte nascosto, nella totalità vilipeso ed oppresso, venivasi a liberare dalle catene, non costituiva esso solo una massa importante di popolo che tripudiar doveva al discacciamento dei repubblicani? Eppure nol fece.
E perchè? Al buon senso dei nostri lettori rimettiamo la soluzione di questo problema.
Proseguendo nella narrazione dei fatti diremo che fin dal 7 di luglio il Costituzionale romano, giornale di color clericale, era stato riabilitato a riassumere le sue pubblicazioni. Siccome poi la soppressione della Speranza dell’epoca aveva eccitato alcuni richiami all’autorità francese, questa per ischermirsene, pubblicò il 13 un’avvertenza nella quale diceva che: «Il Consiglio superiore di amministrazione sospendendo quei giornali, la pubblicazione dei quali nelle attuali circostanze gli sembrò pericolosa all’ordine pubblico, non intende rendersi solidale di quelli che ha autorizzato.»23 E per tal modo il governo francese veniva conservando sempre quella natura anfibia che non era nè carne uè pesce, e non si sapeva mai definire con chiarezza nè che desiderasse, nè che intendesse, nè quale reggimento positivamente volesse fondare o ripristinare. Questo difetto però è stato sempre, più o meno, proprio di tutto quello che ci è venuto dal governo di Francia.
E così il Costituzionale ancora, dopo aver sopravissuto due giorni al suo competitore a Speranza dell’epoca, dette il 13 di luglio gli ultimi tratti e requievit in pace.
Il 14 poi venne fuori un decreto del prefetto di polizia Chapuis, col quale si sopprimevano tutt’i giornali ad eccezione del giornale officiale col titolo di Giornale di Roma.24 Questo si era incominciato a pubblicare fin dal 6 di luglio senza lo stemma pontificio in fronte, ma sibbene con una vignetta rappresentante il genio della pace col ramo di olivo in mano, la quale rimase fino al 14 luglio. Il 15, come diremo, venne ripristinato il governo sotto il titolo di pontificio; e da allora in poi ricomparve su quel giornale l’arma di Pio IX col triregno e le chiavi.
Quanto al ministero per reggere provvisoriamente la cosa pubblica ne venne improvvisato uno di elezione francese.
Della grazia e giustizia si nominava commissario straordinario l’avvocato Piacentini; delle finanze l’avvocato Lunati; dei lavori pubblici, dell’agricoltura e del commercio il professor Cavalieri.25 All’interno era stato proposto l’avvocato Pasquale De Rossi, ma avendo esso ricusato, venne invece designato l’avvocato Marc’Antonio Ridolfi; e l’ambasciatore di Francia de Rayneval si recò da me che scrivo i presenti fogli, affinchè gli suggerissi una persona che influir potesse sull’animo del Ridolfi per determinarlo ad accettare. La persona fu trovata, fu parlato all’avvocato, ma esso si ricusò ricisamente. In quella occasione imparammo che il governo di Francia voleva impiantare in Roma un governo sagement libéral. L’avvocato Pietro Tinelli, antico assessore del ministero dell’interno, vi riprese provvisoriamente fin dal 7 di luglio le sue funzioni e fu incaricato di organizzare il servizio di quel ministero; 26 egli però rimase in officio pochi giorni soltanto. Anche il Lunati non restò in officio che pochi giorni, o subito gli sottentrò il computista Angelo Galli.27
Continuando la narrazione delle disposizioni governative, rammenteremo siccome il 9 di luglio venne emessa un’ordinanza di polizia colla quale prima di tutto stabilivasi lo arresto di coloro ai quali si era rilasciato il passaporto ed ingiunto di partire da Roma, se non ne fosser partiti entro le ventiquattr’ore. In secondo luogo si ordinava agli stranieri autorizzati a rimanere in Roma, di presentarsi entro cinque giorni, dall’indimani, agli offici delle presidenze regionarie per ottenere il foglio di sicurezza. Quindi si prescriveva ai forestieri che venivano in Roma di presentarsi entro le ventiquattr’ore alla polizia per fare apporre il visto ai passaporti e ricevere la carta di sicurezza. Gli albergatori infine, gli altri che affittavan case, ed anche coloro che davano alloggio gratuito dovevan denunciare l’arrivo de forestieri ugualmente entro le 24 ore.28
Ordinavasi poi il giorno 10 che il baiocco romano venisse considerato del valore di cinque centesimi, il paolo come cinquanta centesimi, e lo scudo romano eguale a cinque franchi.29
Piacque questa disposizione ai Romani; imperocchè quantunque fosse vero che ai Francesi dovesse valutarsi per dieci paoli la moneta di cinque franchi la quale a ragion di tariffa non vale che nove paoli e tre baiocchi, pure essendo che in quel momento l’oro e l’argento godevan di un aggio dal 20 al 30 per cento, ne veniva che il 7 per cento che doveva pagarsi di più nel prendere il pezzo di cinque franchi era compensato, e con grande utilità de’ cittadini, cambiando tale moneta con la carta.
Nello stesso giorno furono prorogate le scadenze commerciali fino a tutto il 20.30
Il giorno 10 il clero romano rappresentato da una deputazione che componevasi del cardinale Castracane penitenziere maggiore, di monsignor d’Andrea arcivescovo di Mitilene, del generale dei Domenicani, del generale e del procuratore generale dei Bernardini, del procuratore generale dei Trappisti di Francia, di monsignor Santucci decano del capitolo di san Giovanni in Laterano, e di altri prelati e membri illustri del clero anzidetto, si recò al palazzo Rospigliosi per porgere un atto di ossequio e di ringraziamento al generale Oudinot.31
Convenne poi riparare all’inconveniente invalso, che molte persone cioè andasser per la città con uniformi che non avevan diritto d’indossare: a tal effetto fu pubblicata il giorno 12 un’ordinanza del prefetto di polizia con la quale comminavasi la pena dell’arresto e di multe a chi avesse continuato in tale abuso.32
Ed il governatore di Roma generale Rostolan emetteva FU un bando col quale a datare dal giorno 12 veniva concesso alla popolazione di circolare per la città fino alle ore 10 e mezzo di sera. Alle 11 poi ogni circolazione era interdetta e minacciavasi l’arresto a coloro che si fosser trovati per le strade.33
Il 12 si pubblicava un’ordinanza relativa alla nettezza della città.34
Cessato in Roma coll’ingresso dei Francesi il reggimento repubblicano, cessar doveva dalle sue funzioni il municipio che per legge della romana repubblica era stato eletto. Esso però rimase in officio finché il municipio successore gli fu sostituito. Risulta anzi che il giorno 6, cioè tre giorni dopo che i Francesi tenevan la città, emanava un atto che crediamo importante di riportare siccome l’ultimo di quella rappresentanza municipale che in tempi difficilissimi, per operosità, previdenza, e provvidenza, seppe rendersi benemerita del paese.
Diceva quell’atto quanto appresso:
«S. P. Q. R.
- » Romani!
» Il proclama del generale Oudinot, Comandante in capo l’armata francese, annunzia che l’autorità militare dimanderà subito il concorso del Municipio. La vostra Rappresentanza municipale non ebbe parte nelle disposizioni finora pubblicate. Essa però rimane al suo posto a solo fine di non abbandonare la tutela de 1 suoi concittadini in momenti supremi. Essa vi rimane, finché le sia possibile trattare convenientemente gl’interessi municipali, e tutelarvi, per quanto sarà in lei, da più gravi circostanze. Essa ha sempre il proponimento di non demeritare quella fiducia che le accordaste nell’eleggerla. Essa riceverà sempre i vostri reclami; nè risparmierà la sua interposizione presso l’autorità onde vi sia resa giustizia, ed abbiano sempre a diminuirsi le gravezze dell’attuale stato di cose.
» Romani! Anche in questa situazione deve mostrarsi l’indole vostra leale. Noi ci adopereremo perchè questa possa arrecarvi un migliore avvenire.
» Dal Campidoglio li 6 luglio 1849.
» Francesco Sturbinetti Senatore | |
» Lunati Giuseppe | Conservatori |
» Gallieno Giuseppe | |
» Galeotti Federico | |
» De Andreis Antonio | |
» Piacentini Giuseppe | |
» Corboli Curzio | |
» Feliciani Alceo | |
» Tittoni Angelo | |
» Giuseppe Rossi Segretario.»35 |
In segno di gratitudine poi al benemerito senatore Sturbinetti il Consiglio municipale aveva decretato una iscrizione marmorea a sue spese per onorarlo. La iscrizione era già stata composta e scolpita, e non mancava che la formalità del decreto, perchè vedevasi da vari giorni nella sala dei conservatori in Campidoglio appoggiata al muro sul pavimento. L’incastro era già fatto in una delle pareti, e doveva porsi a lato della statua del generale ed ammiraglio Marc’Antonio Colonna. Questa iscrizione potrà leggersi fra i nostri Documenti.36 Essa non venne però collocata nel luogo destinato perchè succeduto un nuovo municipio in senso di ripristinazione, questo non potè permettere che si rendesse di pubblica ragione un monumento glorificante il senato repubblicano. Si disse che fosse stata dettata dal professore Emiliano Sarti. Quella iscrizione non portava l’anno di Cristo 1849, ma sì bene l’anno della fondazione di Roma 2602; ossia
anni | 753 | dalla fondazione di Roma alla venuta di Gesù Cristo, e
|
» | 1849 | dell’era cristiana, in tutto. |
Anni | 2602 | — Ed anche tale episodio storico era bene che si conoscesse. |
Il municipio repubblicano teneva la sua ultima seduta la sera del 13 luglio, ed il generale Oudinot nominava il giorno 14 una commissione provvisoria municipale composta dei seguenti:
Lorenzo dottore Alibrandi
Bartolommeo dottor Belli
Antonio Bianchini
Cavalier Pietro Campana
Marchese Bartolommeo Capranica
Professor Carpi
Marchese Giovanni Battista Guglielmi
Avvocato Filippo Massari
Principe Don Pietro Odescalchi
Vincenzo Pericoli
Professor Pieri
Avvocato Filippo Balli
Marchese Sacchetti
Avvocato Ottavio Scaramucci
Pietro Paolo Spagna
Dottor Tavani.37
qualche giorno dopo vennero aggiunti alla commissione provvisoria municipale dal generale Oudinot i seguenti:
Don Giovanni de’ principi Chigi
Il canonico Don Luigi Gagiotti
L’avvocato Felice Des Jardins
Il cavaliere Giacomo Palazzi architetto
Lorenzo Santini.38
Quantunque la nostra storia debba cessare col 15 luglio, giorno in cui il governo pontificio venne ripristinato, non di meno volendo dire qualche parola di questo municipio provvisorio, che pure sostenne per oltre un anno e mezzo r incarico gelosissimo di tutelare la città e i suoi monumenti, e del quale facemmo parte ancor noi, ci troviamo costretti di oltrepassare quel limite per farne conoscere chiaramente e completamente la costituzione: poichè oltre le persone qui sopra menzionate ed i cui nomi sono nel giornale officiale, altre ne vennero elette in appresso fino a tanto che il loro numero giunse a quello di trenta, sotto la presidenza del principe don Pietro Odescalchi. E siccome de’ membri aggiunti non si trova memoria veruna nel giornale officiale, così riportiamo qui sotto un elenco di tutti i componenti la commissione provvisoria municipale, compresi perciò anche quelli il cui nome non fu riferito dal Giornale di Roma . Questo elenco stampato fa parte della nostra raccolta. Eccolo:
Commissione provvisoria municipale.
Odescalchi principe Don Pietro presidente | |
1 | Albertazzi cavalier Gioacchino |
2 | Alibrandi dottor Lorenzo |
3 | Amici Ignazio |
4 | Belli dottor Bartolommeo. |
5 | Benedetti cavalier Giovanni Battista |
6 | Bolognetti conte Alessandro |
7 | Campana commendatore Giovanni Pietro |
8 | Capranica marchese Bartolommeo |
9 | Cardelli conte Carlo |
10 | Carpi dottor Pietro |
11 | Dall’Olio Luigi |
12 | Dedominicis avvocato Enrico |
13 | Gaggiotti canonico Don Luigi |
14 | Giraud conte Bernardino |
15 | Guglielmi marchese Giovanni Battista |
16 | Marini Paolo |
17 | Massani avvocato Filippo |
18 | Modetti Niccola |
19 | Ostini avvocato Felice |
20 | Palazzi cavalier Giacomo |
21 | Pericoli Vincenzo |
22 | Pulieri avvocato Giuseppe |
23 | Ralli avvocato Filippo |
24 | Scaramucci avvocato Ottavio |
25 | Senni Francesco |
26 | Spagna Pietro Paolo |
27 | Spada Giuseppe |
28 | Tavani dottore Alessandro |
29 | Tonetti Luigi |
30 | Vescovadi Luigi.39 |
Queste persone, meno una o due, accettaron tutte, e figurarono nel municipio che chiamossi provvisorio.
Nulla diremo dell’operato di questa commissione. Il pubblico però la giudicò favorevolmente. Rammentiamo soltanto che il da fare dopo tanto scompiglio fu immenso: perchè alle solite attribuzioni municipali si dovè aggiungere ancor l’altra di provvedere d’alloggio più di 30,000 Francesi, liquidare le occupazioni forzate di tanti locali, e ascoltare interminabili reclami. Gli altri municipi si ebber pure le rose, ma noi non avemmo che spine. Oltre a ciò gloria veruna; niuna rimunerazione onorifica. L’aura popolare di coloro soprattutto che parlano, scrivono, e tiranneggiano a posta loro la pubblica opinione, non poteva essere per noi che ascrivemmo fra’ cittadini romani il generale Oudinot, e tanto a lui quanto al conte di Montalembert decretammo medaglie onorifiche. I nostri amici ci stimavano sì, ma camuffavan la loro stima in un prudente riserbo. Tutto ciò coi tempi che correvano allora, e che corrono adesso, si comprende agevolmente.
Ora passando ad un altro particolare, rammenteremo come sotto la data dei 25 di giugno, nel capitolo XVIII, parlammo della protesta de’ consoli al generale Oudinot per farlo desistere dal bombardamento, e dicemmo quanto ai danni designati, che se pure non ne fu inventata la esistenza, furon per lo meno esagerati, potendo di ciò far fede lo stato delle chiese, de’ monumenti, dei palazzi, e de’ musei.
Ora in comprova del nostro asserto viene una dichiarazione dell’incaricato di affari del regno di Würtemberg commendatore Carlo Kolb. Egli pertanto scrisse il 13 di luglio una lettera al generale Oudinot, ove diceva che durante l’assedio di Roma il partito che dominava in questa città pubblicava che il cannoneggiamento delle batterie francesi aveva prodotto la distruzione irreparabile di monumenti; che la fede prestata a simili asserzioni, la esattezza delle quali non si poteva allora verificare, indusse il corpo consolare a dirigere a lui una lettera ove se ne riproduceva la sostanza; ma che avendo potuto convincersi che il cannone francese non aveva distrutto alcun monumento, e che non aveva danneggiato nell’interno della città se non i muri di qualche abitazione, si faceva un dovere di tornare a parlare di detta lettera che aveva sottoscritta ancor lui, affinchè col tacere non gli si attribuisse il proposito di sostenere un fatto inesatto.40
Da tutto ciò emerge che siccome il promotore di detta lettera, la quale equivalse ad una protesta, fu il vice console o agente consolare di sua maestà britannica in Roma Giovanni Freeborn, e che egli indusse o trascinò gli altri a sottoscriverla, senza esame e senza una previa verifica, così la tenerezza inglese pei monumenti romani non fu in realtà se non la gelosia inglese verso la Francia, ed il desiderio di distruzione del papato romano, unica meta dei protestanti nella mercantessa Albione.
Ora che abbiamo accennato quelle disposizioni governative atte a somministrare una qualche idea del modo col quale venne retta la cosa pubblica in que’ giorni di semi-interregno, o transizione fra il distrutto e il da ricostruirsi, non ci resta che a parlare delle altre che si emanarono per solennizzare il giorno 15, destinato alla ripristinazione del governo pontificio ed all’inalberamento degli stemmi.
A tal effetto pertanto si dirigeva il giorno 14 dal generale Oudinot un proclama ai Romani, nel quale parlava della restaurazione della sovranità temporale del capo della Chiesa nella capitale dei mondo cristiano. A noi per verità sembra che avrebbe dovuto dire in vece cattolico, perchè cristiani sono anche i protestanti, sien luterani, calvinisti, metodisti, o frazione, o parte, o tutto di quella interminabil caterva di dissenzienti che pur si dicono e sono cristiani, perchè credono nel Cristo.
Nondimeno fu questa la prima volta che i Francesi nel 1849 estricatisi dagli arzigogoli e dalle anfibologie di linguaggio ci disser chiaramente che il governo pontificio ristabilivasi, ossia la sovranità temporale del capo della Chiesa.41 Mai non si vide tanto chiara, quanto nel proceder de’ Francesi qui da noi, la verità di quella massima del non potersi cioè servire a due padroni, che erano nel caso nostro il papa e la rivoluzione della quale si volevano (lo diremo con un francesismo) ménager les exigences.
Inoltre lo stesso Oudinot informava il pubblico, con un ordine generale del 14, che l’indomani domenica 15 luglio sarebbesi cantato nella basilica vaticana un Te Deum in rendimento di grazie pel felice esito delle armi francesi, e per lo ristabilimento dell’autorità pontificia. Tutti i corpi di guarnigione in Roma avrebbero assistito a questa cerimonia religiosa che doveva aver luogo alle 4 pomeridiane. Si annunziava una grande rivista dopo il Te Deum. Le truppe romane vi sarebbero state presenti prendendo la sinistra dei corpi francesi di simile arma. Una salva di cento colpi di cannone poi tirati dal castello sant’Angelo avrebbe annunziato alla città l’istante in cui sarebbesi inalberata la bandiera pontificia. Dovevano illuminarsi nella sera gli edifizi pubblici. Terminava dicendo che a nome del governo francese si sarebber distribuiti soccorsi agl’indigenti ne’ loro domicili.42
Ed il prefetto di polizia francese emetteva il 14 un’ordinanza in cui davansi le disposizioni relative alle carrozze stante la pubblica festa militare e religiosa del giorno seguente, e la illuminazione nella sera della cupola di san Pietro.43
Questo fu l’ultimo atto del prefetto di polizia Chapuis, perchè il 15 per motivo di salute si ritirò, e gli venne surrogato capo di battaglione Le Rouxeau.44
La commissione provvisoria municipale poi in un atto che pubblicava in quella occasione, il 15 luglio, faceva noto di avere accettato l’officio di provvedere temporaneamente ai comunali interessi; prometteva di non risparmiare studio e fatica per soddisfare ai bisogni de’ Romani ed apparecchiare a quelli che dovevan succederle una via più spedita di migliorare le loro sorti; dimandava il concorso operoso di tutt’i buoni e la cooperazione sincera di tutte le classi della società; ed annunciando il ristabilimento dell’autorità temporale del sommo pontefice negli stati della Chiesa, diceva ai Romani: «Voi saprete corrispondere all’invito dell’autorità che ci regge, e dimostrare col fatto la vostra riconoscenza a quella nazione generosa, che offrendosi amica vi rassicura in quest’oggi che non sarà delusa la vostra fiducia.»45
In seguito di queste disposizioni si videro fin dal mattino del 15 segnali di gioia in parte vera e sincera, in parte apparente e interessata, mediante i soliti addobbi o parature di finestre e balconi in molte delle vie principali della città. Diciamo in parte vera, in parte apparente, perchè lumi, fiori, parati ed altri segni esterni per gratificarsi il potere non li valutiamo gran cosa. Accade in casi moltiplici, e diremmo nel più dei casi, che l’apparenza non si trova all’unisono con la spontaneità e la sincerità. Onde crediamo che moltissimi attaccati al papa non misero i parati perchè tementi ancora le ire de’ repubblicani, ed altri viceversa di poco netta coscienza lo fecero astutamente, per propiziarsi il potere ripristinato.
Alle 2 pomeridiane mossero le truppe francesi alla volta del Vaticano, e si collocaron sulla piazza. Alcuni distaccamenti di varie armi entrarono nel tempio principale de’ cattolici, ad accrescerne l’ornamento; e vari corpi militari si estesero lungo la via del Borgo Nuovo sino al castel sant’Angelo. Le truppe romane preser posto accanto al colonnato verso la porta Angelica.
Alle 3 1/2 la bandiera pontificia fu inalberata sul castello sant’Angelo e sulla torre del Campidoglio, e fu salutata da 100 colpi di cannone.
Alla sacra funzione il generale Oudinot avea invitato i cardinali presenti in Roma, cioè Tosti, Castracane e Bianchi, il corpo diplomatico (impropriamente così chiamato perchè non avevamo che consoli) ed altri nobili personaggi, fra i quali citeremo il signor di Corcelles che nella sua qualifica d’inviato straordinario della repubblica francese a Roma ed a Gaeta apparteneva alla diplomazia. Si eran preparati in chiesa i banchi pel clero, i palchi dei posti d’onore e le due orchestre. La funzione doveva celebrarsi all’altare della Confessione.
Il generale Oudinot accompagnato dagli altri generali e dallo stato maggiore generale uscì alle 5 dal palazzo Rospigliosi per recarsi a san Pietro. Venne acclamato per via, in ispecie presso il ponte sant’Angelo. Passò a rassegna le truppe tanto francesi, quanto romane: e giunto alla porta della basilica, fuvvi ricevuto dal clero vaticano che aveva alla testa monsignor vicegerente di Sua Santità.
Quivi monsignor Marino Marini segretario del capitolo vaticano pronunciò un discorso che potrà leggersi in Sommario.46 A questo discorso rispose il generale con le parole che riferiamo pure in Sommario.47 Recossi quindi al suo posto di onore avendo a’ lati i generali, lo stato maggior generale ed il signor di Corcelles. I due cardinali Bianchi e Tosti ed il capitolo collocaronsi ne’luoghi consueti; ed assisteron tutti al Te Deum intonato dal cardinale Castracane. Dopo di ciò accostatosi il Cardinal Tosti al palco del generale, pronunziò il discorso che potrà leggersi parimenti in Sommario.48 A questo discorso replicò pure il generale, ed in Sommario troverassi il testo della sua risposta.49
Il cardinale soggiunse alcune poche parole, ed al suo dire: viva la religione, viva il sommo pontefice, viva la Francia, gridaron gli astanti: evviva il Santo Padre, evviva Pio IX, evviva la Francia, evviva il generale Oudinot. Mentre poi il generale avviavasi verso la porta per uscire dal tempio, la moltitudine ivi affollata dettegli alti segni di fervente gratitudine con animatissime grida, sventolar di fazzoletti e lacrime di gioia; e queste non compre o imposte davvero, ma emananti dal cuore. Esse furon tali che a chi vi si trovò presente infusero sensi incancellabili di tenerezza. Non diremo che fossevi tutta Roma. V’erano tutti quelli (ma eran molti) che avevano sofferto, ch’erano stati per tema nascosti, ed avevan pregato piangendo, o fremuto tacendo e rassegnandosi al gastigo di Dio; chè tale agli occhi dei veri cattolici e non altra era la spiegazione de’ lacrimosi avvenimenti che abbiam narrato. Eravi infine se non tutta, una buona parte di quella massa di cittadini (che pure dovrà ammettersi non esser pochi), i quali videro nella rivoluzione una calamità, un segno dello sdegno di Dio, una lezione a’ prepotenti, un ammonimento ai superbi, un rimprovero agl’irrequieti e agli oziosi o infingardi; nel soccorso francese una provvidenza; nel trionfo delle loro armi un’iride di pace; nel ripristinamento del governo pontificio il ritorno dell’ordine manomesso e la prevalenza del diritto e della giustizia sull’inganno sleale e sulla violenza tirannica. Ripetiamo non v’era tutta la popolazione romana, perchè molti per tema si astennero dallo andarvi, tanto più che ad arte erasi sparso che vi sarebbe stato subbuglio. Quel popolo però che vi era potremo esser creduti asserendo che applaudiva con tutto il cuore, con tutta la effusione della gioia che noi stessi vedemmo invader gli animi. Vedemmo, commossi, alcuni appressarsi al generale per baciargli la mano, altri la spada, altri le vesti, ed osservammo con quale ansia e con quale dolce violenza tutto ciò facevasi; talchè fu visibile a tutti la commozione del generale e de’ cittadini che si trovaron presenti a queste manifestazioni.
Ebbe luogo in seguito il difilar della truppa: e la sera una generale illuminazione dava compimento alla gioia del giorno.50
Rialzato lo stemma pontificale, la Francia potè vantarsi di aver compiuto l’opera sua, opera doverosa, logica, tradizionale: e così riparò in parte le ferite cagionate in altri incontri al papato. Le sette peraltro non si dieron per vinte, e gli sforzi del protestantesimo, le cupidigie di uno stato vicino, le speranze di sorte migliore nei bramosi di rivolgimenti, l’incuria di alcuni governi, l’egoismo di molti fra i grandi e la loro passiva indolenza prepararono al papato nuove sventure, ch’è fuori del nostro proposito di narrare.
Noi qui arrestiamo i nostri racconti, di cui i nostri documenti sopperirono i materiali. E con ciò poniam fine al compito che ci eravamo assegnato.
Note
- ↑ Vedi Bollettino delle leggi della Repubblica Romana, pag. 210.
- ↑ Vedi Documenti del 2° semestre 1819, n. 3, A.
- ↑ Vedi la nostra raccolta dei foglietti clandestini, n. 60 e 61.
- ↑ Vedi Raccolta di editti e leggi emanate dal generale Oudinot di Reggio Comandante le truppe francesi, agli abitanti di Roma, in italiano e in francese. Roma, 1849, Ajani, pag. 3.
- ↑ Vedi Torre, vol. II, pap. 281.
- ↑ Vedi Raccolta, ec., pag. 5.
- ↑ Vedi Raccolta ec. pag. 4.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 4.
- ↑ Vedi detta, pag. 5.
- ↑ Vedi Speranza dell’epoca dell’11 luglio. — Vedi il Costituzionale romano del 9 luglio. — Vedi Balleylier, vol. II, pag. 29S.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 7.
- ↑ Vedi detta, pag. 8.
- ↑ Vedi detta, pag. 9.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 10.
- ↑ Vedi detta, pag. 11.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 11.
- ↑ Vedi detta, pag. il.
- ↑ Vedi detta, pag. 13.
- ↑ Vedi il Giornale di Roma del 20 luglio.
- ↑ Vedi le dette 16 note nel volume Atti officiali della restaurazione pontificia ec., della nostra raccolta.
- ↑ Vedi Raccolta di editti e leggi emanate dal generale Oudinot ec, p. 13.
- ↑ Vedi Speranza dell’epoca n. 130, sotto la rubrica Recentissime, dell’11 luglio.
- ↑ Vedi Giornale di Roma del 13 luglio.
- ↑ Vedi detto del 16 luglio.
- ↑ Vedi Giornale di Roma dell’11 luglio.
- ↑ Vedi detto del 13 luglio.
- ↑ Vedi detto del 16 luglio.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 12.
- ↑ Vedi detta, pag. 14.
- ↑ Vedi il Giornale di Roma dell’11.
- ↑ Vedi il Costituzionale dell’11, n. 53.
- ↑ Vedi Raccolta, ec., pag. 14
- ↑ Vedi detta, pag. 15.
- ↑ Vedi detta, pag. 10.
- ↑ Vedi Giornale di Roma, del 7 luglio, pag. 5. — Vedi l’atto originale noi volume in foglio atlantico intitolato Appendice agli atti officiali ec., n. G0. — Vedi Torre, vol. IT, pag. 291.
- ↑ Vedi il vol. X, n. 6 A.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 17. — Vedi Giornale di Roma del 14 luglio.
- ↑ Vedi Giornale di Roma del 10 luglio.
- ↑ Vedi Documenti, vol. X, n 27 A.
- ↑ Vedi il Giornale di Roma del 4 di agosto 1S49.
- ↑ Vedi Sommario, n. 101.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 17.
- ↑ Vedi detta. pag. 19.
- ↑ Vedi Giornale di Roma del 16 luglio.
- ↑ Vedi Raccolta ec., pag. 20. — Vedi il Giornale di Roma del 16 luglio.
- ↑ Vedi Sommario, n. 103, Discorso di monsignor Marino Marini al generale Oudinot. — Vedi il Giornale di Roma, pag. 34.
- ↑ Vedi detto, n. 106, Risposta del generale Oudinot a monsignor Marino Marini. — Vedi il Giornale di Roma, pag. 34.
- ↑ Vedi detto, n. 107, Discorso del Cardinal Tosti al generale Oudinot. — Vedi il Giornale di Roma, pag. 34.
- ↑ Vedi detto, n. 103, Risposta del generale Oudinot al Cardinal Tosti. — Vedi il Giornale di Roma come sopra.
- ↑ Vedi Giornale di Roma del 16 luglio 1849.