Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo XII
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[Anno 1849]
Man mano che il fuoco repubblicano spegnevasi in alcune parti d’Italia, che Genova pel trionfo delle armi regie ebbe affogato nel sangue lo sforzo supremo di affrancamento dal Piemonte, che Brescia pagò a caro prezzo il tentativo di riscossa, e che la Sicilia dopo i fatti di Messina e il rifiuto delle proposte regie era sul punto di venire abbandonata al suo fato da Francia e Inghilterra, la vita repubblicana riconcentravasi in Roma precipuamente.
La sola Venezia perdurava costante: e se le cose chiamar si debbono co’ nomi che loro si competono, Venezia soltanto dette saggi di fermezza, di unione, di sacrificî, di eroismo.
Toscana intanto bolliva; orde sfrenate d’incivili Livornesi prepotevano; gli uomini temperati erano offesi, minacciati, espulsi; frementi agitavansi i miti Toscani del contado, i pacifici ed onesti cittadini di Firenze; ed in sui primi di aprile deliberavasi contrariamente alla unione con Roma. Non si comprendeva che cosa volesser quegli ingovernabili Toscani. Non gran duca, non Roma sorella, non più Guerrazzi il quale già era in uggia a chi volea scapestrare senza freno, alla cui vita attentavasi, e che chiamavasi apertamente il tiranno di Firenze.1 A questi estremi erasi giunto, quando stanchi gli onesti e incorrotti contadini e l’onorevole municipio della capitale toscana, reclamarono e ristabilirono il governo gran ducale nella prima quindicina di aprile.
Questo era lo stato delle cose in quel tempo; dal che conseguiva che salvo Venezia resistente tuttora, ma segregata dal resto, la rivoluzione in Roma soltanto proseguiva animosa e incontrastata, e a Roma chiamava gli avanzi delle rivoluzioni debellate nelle altre parti d’Italia.
Propostoci noi di scrivere la storia di Roma soltanto, non tocchiam che di volo queste tristi faccende; e lasciando ai nostri lettori di attingerne le notizie da chi trattolle distesamente, riassumeremo nel presente capitolo la narrazione di ciò che occorse in Roma dal 9 al 20 aprile, giorno in cui il pontefice da Gaeta emise la famosa allocuzione ch’è forse uno dei più gravi documenti che ci ha tramandato la storia.
Incominceremo con un atto poco piacevole, una protesta dei sotto uffiziali dei due reggimenti de’ dragoni contro il ministro della guerra il quale non accordava loro i passaggi o gli avanzamenti di grado. Designamo il fatto senza interloquirvi, ma sembraci che in tempi regolari atti o proteste di corpi armati non dovrebbero essere ammissibili.2
Lo stesso giorno 9 scioglievasi con un decreto lo stato maggiore della guardia nazionale.3 Secondo poi il Monitore, il signor Mercier, di cui parecchie volte abbiam parlato, partiva il giorno 9 per Napoli,4 ma la sua destinazione era Gaeta.
Pubblicavasi pure nei giorno stesso in Roma un indirizzo degli emigrati veneti in detta città residenti, diretto a’ loro fratelli delle Lagune, e spirante caldissimi sensi di amor patrio e di eccitamento a resistere. Esso conchiudeva così:
«L’ancora di salvezza non si presenta due volte, provvidenza che si spreca non ritorna; bisogna scegliere oggi subito, o la gloria eterna, o la eterna vergogna.
» Si combatta da tutti e per tutto, e sempre con amore, impeto, unione, e Venezia viva, e l’Italia sia.»
Quel combattere con amore non ci sembra per verità un concetto molto felice. Concepiamo ancor noi che ciò nella mente dei soscrittori significava: andate alla guerra, prestatevi ai disagi, ai pericoli, alle sofferenze, e fatelo con amore. Ma per combattere bene e’ fa duopo menar le mani, ferire ed uccidere. L’amor adsit non lo vediamo in tutto ciò: la presenza del figlio di Venere noi la riconosciamo in quello che favorisce la nascita e la conservazione, e non già nella distruzione della specie umana. Sì l’amore presiede allo sviluppo, alla concordia della umana specie, e rifugge da tutto ciò che ne porti il disfacimento. L’amore anzi non solo non presiede, ma abborre dalle uccisioni e dalle stragi. Vi affluiscono bensì le furie, l’odio, la vendetta e tutte le ree passioni che abbrutiscono la specie umana, e la morte sola ch’è nemica giurata dell’amore, rotando la falce esterminatrice, se ne compiace ed allieta. Converranno i nostri lettori che è più rattristante ma più veridico il quadro che ritragghiam noi, di quelle parole insensate si combatta con amore riportate di sopra.
Proseguendo diremo che Genova capitolava il 10 e ritornava sotto il governo sardo; il generale Avezzana uno dei capi di quella insurrezione, imbarcavasi per Roma;5 e s’annunziava la resa di Catania iu Sicilia alle truppe regie.6
Mettevansi in quiescenza il giorno 11 diciannove inpiegati al ministero della guerra, ed erano:
N. | 1. | Petrilli. | N. | 11. | Martinelli. |
« | 2. | Viviani Ruggero. | « | 12. | Navona Francesco. |
« | 3. | Battaglia Luigi. | « | 13. | Francois Pietro. |
« | 4. | Brancadoro Alessandro. | « | 14. | Ruffini Vincislao. |
« | 5. | Mosca Salvatore. | « | 15. | Reboa Filippo. |
« | 6. | Pantanelli. | « | 16. | Piselli Pietro. |
« | 7. | Persico Luigi. | « | 17. | Vignola Ferdinando. |
« | 8. | Antonelli Pietro. | « | 18. | Valeri Luigi. |
« | 9. | Gaggiotti Camillo. | « | 19. | Persico Giuseppe.7 |
« | 10. | Iacovilli Paolo. |
Pubblicavasi pure il decreto del 10 contro i renitenti a pagare il prestito forzoso scaduto alla fine del marzo, ed accordavansi loro sette giorni di dilazione.8 Si adottavano inoltre, con decreto, nuove disposizioni sull’officio centrale di statistica.9
Si disse comunemente che in quel giorno il cittadipo Salvati si recasse alla chiesa di san Pietro per rimunerare i chierici che eransi prestati alla cerimonia del giorno di Pasqua, ma che essi ricusassero di ricever danaro, dicendo di essere stati pagati dal capitolo.10
Il 12 venne rimesso in libertà il tenente Ermenegildo Rota che era stato arrestato il 5.11
Il generale Sturbinetti, che come raccontammo sotto la data del 5 corrente era stato eletto generale della guardia nazionale, non fu che il 12 che con ordine del giorno annunciò la sua accettazione. Questo annuncio piacque generalmente nel pubblico, essendo lo Sturbinetti ben visto dal medesimo.12
Ed intanto che queste cose accadevano in Roma, in Toscana venivasi ripristinando il giorno 12 il governo di Leopoldo II.13 Non entriamo su di ciò in altre particolarità, bastandoci di designare cronologicamente questo avvenimento stante la sua importanza.
Ora narreremo un anneddoto storico, il quale non lascia di presentare un certo interesse, per conoscere con qual sorta di faccendieri politici il governo repubblicano si trovasse collegato, e su quali risorse si appoggiasse per rendersi forte.
Egli è a sapere dunque che fin dal 7 di febbraio venne spedito in Francia dall’in allora ministro delle armi Campello un tal Gaetano Ciccarelli rifugiato napolitano, per farvi acquisto d’armi. Furono a tale effetto dal banco Torlonia procurate cambiali sopra Parigi per l’ammontare di circa 200 mila franchi. Altre partite di Parigi vennero per mezzo degli agenti di cambio acquistate in piazza e tutte devolute all’oggetto sopraccennato.
Posteriormente sembra che caduto in diffidenza il Ciccarelli, gli venisse ritirato il mandato, e che i fondi si facesser passare in altre mani; si disse perfino che venissero ricevuti dai due rappresentanti del governo romano in Parigi Beltrami e Pescantini. Comunque si voglia, il Ciccarelli disgustato sen ritornò in Roma, come si dice, colle pive nel sacco, ma senza querelarsi apertamente dell’onta manifesta fatta alla sua onoratezza. Alcuni dissero che mentre il governo adottò un cosiffatto temperamento, aver doveva le sue buone ragioni.14
Or bene questo stesso Ciccarelli prima di restituirsi in Roma, inviò un progetto in data del 19 febbraio da Marsiglia. Questo progetto consisteva nell’arrolamento e ordinamento di una legione di tre mila Spagnuoli del partito repubblicano. Ed il governo romano secondo la Pallade occupavasi dell’attuazione di un simil progetto.15
Il Ciccarelli era stato effettivamente come rifugiato politico in Ispagna, ed erasi trovato in Barcellona quando quel console francese Lesseps si adoperò nel 1842 per restituirvi l’ordine.
Rammenteranno i nostri lettori che, secondo il Torre, volevansi arrolare quattromila Greci. Non ebbero, è vero, luogo tali sussidi; ma servano intanto queste notizie per far toccare con mano che la rivoluzione di Roma era di carattere cosmopolitico, e che i difensori della medesima eran gente di tutti i paesi che venivano ad imporre le loro volontà alla città eterna.
Questo chiodo verrà bene spesso ribadito da noi, perchè vogliano che la verità si conosca in tutta la sua pienezza, e che la resistenza di Roma venga apprezzata in tutta la sua realtà.
Le cose di finanza intanto volgendo sempre di male in peggio, apparecchiavasi il governo romano e spedire fuor dello stato il Manzoni ministro delle finanze perchè cercasse di vendere i certificati dei prestiti romani (e non del consolidato come dice il Farini) contrattati colla casa Rothschild.16 Adottavansi disposizioni circa i piccoli boni di 24 baiocchi ed i cambiavalute che sulla situazione anormale del paese speculavano.17
Pubblicavasi poi il giorno 14 un decreto in data del 12 col quale il fiume Po veniva dichiarato fiume nazionale.18
Essendo stata soppressa la cattedra di teologia e diritto canonico fin dal giorno 12 nella università, comparve una protesta per parte del collegio teologico sotto la data del 14.19
Lo stesso giorno 14 menò gran rumore un atto dell’assemblea costituente romana, col quale dichiarava che la Repubblica romana asilo e propugnacolo della italiana libertà, non cederà nè transigerà giammai, e che i Rappresentanti ed i Triumviri giuravano in some di Dio e del Popolo, che la Patria sarebbe salva.20
Coerenti alle nostre promesse, incominceremo a porre in evidenza il nostro asserto che Roma era fatta nido e ritrovo di repubblicanismo cosmopolitico, ed a narrare quindi quei soccorsi che d’ogni parte le venivano onde resistere all’imminente intervento cattolico. Egli era con ciò che comparir facevasi come resistenza romana quella che era resisteaza precipuamente di persone affluite da tutte le parti d’Europa.
Abbiamo accennato che la insurrezione repubblicana di Genova era stata sedata, e che la città aveva capitolato il 10. Ora possiamo aggiungere che il 15 giungeva in Roma il generale Avezzana che fu a capo della medesima, e con esso cinquecento Genovesi in aiuto della repubblica romana.
Riporteremo il testo dei giornali che ne parlarono.
L'Italia del popolo di Mazzini del 16 dice: «Il generale Avezzana che fino all’estremo ha difeso in Genova l’onore italiano è giunto oggi in Roma; cinquecento Genovesi sono arrivati a Civitavecchia e vengono a difendere in Roma la causa repubblicana.»21
Lo Pallade del 17 riporta quanto appresso:
«È fra noi il bravo generale Avezzana venuto l’altro ieri. Ieri sera fu festeggiato nel Caffè nuovo: nell’entrare e nel sortirne disse generose parole di ringraziamento.»22 Le dette parole posson leggersi nella Italia del popolo.23
La Pallade del 14 inoltre, nel raccontarci i casi di Genova, ci diceva quanto appresso:
«Genova è nelle mani delle truppe del re, le quali entrarono per capitolazione col municipio di quella città. Le condizioni sono: conservazione della guardia nazionale, e amnistia generale, esclusi Avezzana, Reta, Morchio, Cambiaso, Campanella, Gianuè, Borzini, Pellegrini, Albertini, Farina, Niccolò Accame, a cui si dà tempo per ritirarsi.» E quindi soggiunge:
«Tutti questi individui sono diretti per Civitavecchia e Roma sul vapore da guerra americano Alleghnay.»24
Un soccorso di cinquecento individui determinati per sostenere un principio con dodici capi per comandarli, non ci sembra piccola cosa per Roma. Ma questo non è che l’antiguardo; il di più verrà in seguito.
Egli è fra i temperamenti che soglionsi adottare dai governi che vogliono amicarsi il popolo, quello di abbassare tasse e balzelli, e quello precipuamente di diminuire il prezzo del sale e di scemare o abolire del tutto la tassa sul macinato. Noi senza discutere se operino bene o male così facendo codesti governi, diremo che col menomare qualche cespite di rendita pubblica, vengono essi posti nella necessità di accrescere altre tasse o balzelli per sopperire alle spese, e così per esonerare una classe ne colpiscono un’altra. Certamente che fra la classe aggravata e quella esonerata, siamo ancor noi favorevoli al principio che la classe misera e bisognosa venga, per quanto è possibile, protetta ed alleggerita dai pubblici gravami. Avvi però dei casi in cui il governo, adottato un qualche temperamento di questo genere, viene a defraudar l’erario senza favorire il basso popolo, ma sì bene coloro che avendo un qualche scudo in tasca, possono profittare subito della misura del momento.
Questo caso si verificò allorquando il governo repubblicano abolì con decreto del 15 aprile l’appalto dei sali, noto sotto il nome di amministrazione cointeressata, e portò il prezzo del sale ad un baiocco la libbra.25
Applaudì il famoso Paradisi, di cui tanto parlammo sotto la data del 20 novembre 1847, a questa disposizione, e pubblicò un foglietto in apologia del provvido governo, il quale noi riportiamo perchè rarissimo e quindi da non potersi consultare, mentre il decreto del Monitore ognuno può leggerlo a suo bell’agio. Esso foglietto era espresso così:
«Ai cittadini della Repubblica romana.
» Il Triumvirato ha pubblicato una legge colla quale proclama la libertà del commercio dei sali. Ciò significa che chiunque vuol comprare per rivendere il sale è padrone di comprarlo dove vuole, da chi vuole, e lo può rivendere per quel prezzo che vuole.
» Sapete voi che il sale nelle fabbriche di Trapani e di Francia costa perfezionato baiocchi 25 per ogni mille libbre cioè ogni dieci libbre costano un quattrino ed un quarto di quattrino? Sapete voi che costando poco più di questa somma nelle vostre saline vi si rivendeva scudi venti e sc. 25 il migliaio? Questo immenso lucro per chi era? Oh Dio! povero popolo; nè questa è ipocrisia, ma storia, dolorosa storia di evidente verità.
» Dunque la provvida legge della Repubblica ha detto:
Le saline della Repubblica venderanno il sale ai cittadini per un baiocco la libbra e così la Repubblica avrà quel danaro che per lo avanti un appaltatore pagava al governo e che è necessario per sostenere la Repubblica, la quale rimedierà ai grandi sconcerti della finanza colla massima pubblicità nei rendiconti.
» La provvida legge ha detto: Le saline che il governo ha in Ostia ed in Corneto affittate per alcuni anni a due diversi cittadini pagheranno un baiocco per libbra sul sale che produrranno, e poi venderanno a chi vogliano i loro sali per quella somma che vogliano, ma la Repubblica sarà sempre leale e ferma nel vendere ad un baiocco. Nè si dica che questi due signori sono offesi nel loro diritto, perchè la Repubblica potrà comprare 9e vogliono i loro sali, ma i cittadini della Repubblica nelle saline e magazzini della Repubblica lo avranno sempre per un baiocco.
» Dunque la Repubblica non promette per non mantenere ma promette e mantiene.
» Ricordatevi che nel 1831 quando il Papa Gregorio temeva dei popoli diminuì di un baiocco a libbra il dazio del sale. Appena però ebbe qui i Tedeschi si scordò la promessa e pose di nuovo il sale al prezzo antico. Dunque il dazio sul sale sembra il corriere dei tiranni.
» A ciò si aggiunga che coll’articolo 1° della legge si annuncia che una commissione di rappresentanti del popolo farà finalmente quella generale liquidazione di conti che dal 1831 mai si è voluta eseguire, e questa sarà luce e luce di meriggio. I conti al pubblico è una delle vere garanzie di solidità di Repubblica ed il popolo toccherà con mano che quanto scrissi nel 1847 per Dio è vero, nè mi ritiro dal dimostrarlo.
» Cittadini, attivate il vostro commercio, correte a provvedere il sale nelle saline di Comacchio, di Cervia, di Corneto, di Ostia, ed eccovi un modo di vivere libero. Col sudore della fatica, e non con la servile livrea molti di voi potrete dunque procurare alla famiglia vostra il pane. La bandiera della libertà del commercio è innalzata con somma intelligenza in un genere di massimo profitto pel popolo; principia la Repubblica dal genere che Dio ha prodigato come l’acqua come l’aria all’uomo ed i tiranni ne volevano un prezzo.
» Ho taciuto fin qui; in questo momento che leggo la legge riprendo la penna per gridare: Viva la Repubblica.
«Filippo Paradisi qu. Tiberio.»26
Con notificazione poi del 16 aprile firmata dal triumviro Armellini pel ministro delle finanze, l’amministrazione del sale veniva concentrata nella direzione delle dogane, e nomina vasi una commissione, di cui eran membri un Lucas, un Gommi, un Thomasy, incaricata di presentare senza ritardo le ulteriori disposizioni per la completa esecuzione del decreto del 15.27
Con tutte queste belle disposizioni però che cosa accadde in vece? Accadde che tutti coloro i quali potevan disporre di due o tre scudi acquistaronsi due o trecento libbre di sale; mentre alle moltitudini bisognosissime, che raramente fanno uso di carni e alle quali una libbra di sale bastava per lo meno una o due settimane, il pagare un baiocco in luogo di tre ogni dieci o quindici giorni era un ben tenue sollievo, perchè equivaleva ad un alleggerimento insensibile di un quattrino o meno al giorno. Il basso popolo dunque non ne fruì affatto, e solo i più agiati ne profittarono. Tanto è ciò vero, che il sale in pochi giorni era sparito da’ magazzini degli spacciatori, e si dovette adottare il temperamento di non vendere più di dieci libbre di saletta a persona, e qualche giorno dopo la vendita venne sospesa del tutto.28
Che poi lo spaccio del sale nei mesi in cui vigeva l’abbassamento del prezzo fosse estesissimo si desume dal minore incasso o utile che ottenne l’amministrazione ripristinata nell’anno successivo. Di fatto
Nel 1849 si ebbe un sopravanzo depurato di spese di
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sc. | 336,237,97. 8. |
E nel 1850 di | » | 128,140,46. 5. |
soltanto. Questa è dunque una evidenza. |
Cosicché la misura in questione, a parte l’ingiustizia dell’abolizione dell’appalto, a parte l’ingratitudine verso il principe Torlonia che ne venne spogliato dopo aver portato colla sua solerzia questo cespite al massimo grado di retta amministrazione (sui lucri della quale fruiva anche il governo), mentre tendeva in apparenza a favorire il popolo minuto, favori invece la classe più agiata la quale seppe e potè tirarne partito, e il popolo non fu per questo nè più povero nè più ricco, nè per l’alleggerimento di un quattrino al giorno fu abilitato a cibarsi di carni se non aveva i mezzi per altra parte.
Intanto i magazzini e le riserve votaronsi, ed il governo repubblicano dovette ricorrere a Marsiglia per avere il sale; e siccome i negozianti marsigliesi non fidavansi della repubblica romana, se si volle il sale, convenne ricorrere al banco Torlonia (di cui chi scrive era ed è uno dei capi) affinchè garantisse il prezzo dei carichi, senza di che la repubblica una e indivisibile di Roma non avrebbe ottenuto dalla repubblica sorella di Francia il sale necessario per condir le vivande. E il banco Torlonia garantì difatti pel governo, che avea spogliato il suo capo dell’amministrazione dei sali, il prezzo dei carichi di sale che si commisero: e questa è pura storia.
Avemmo poi nello stesso giorno 15 aprile un saggio di attuazione della legge agraria, tanto celebre nella storia dell’antica repubblica romana, perchè con decreto del triumvirato ordinavasi la ripartizione ’a favore delle famiglie del popolo sfornite di mezzi, di una grande quantità.
di beni rustici provenienti dalle corporazioni religiose, e questi in enfiteusi perpetua contro la corrisposta di un discreto canone; ferme bensì rimanendo (aggiungeva il decreto) le disposizioni annunciate sulla congrua dotazione del culto, del ministero pastorale dei parrochi, e degli stabilimenti di pubblico interesse.29
Doveva ancora aver luogo il giorno 15 di aprile la votazione per eleggere la nuova municipalità, ma non essendosi presentato un numero sufficiente di elettori ai collegi, convenne protrarla al giorno 19.30 Di ciò per altro parleremo meglio a suo luogo.
Nella mattina poi di detto giorno si trovò affisso per le vie di Roma un indirizzo manoscritto e diretto ai cittadini, col quale si declamava contro l’inerzia loro, dicendo:
«che volevasi distruggere Roma, e che lo sarebbe, se l’apatico contegno non si cangiasse in attiva e coscienziosa vigilanza. La vita, l’onore, e le sostanze degli onesti cittadini, e la distruzione dei migliori monumenti, essere destinati (dicevasi) a sfogo della ferocia di pochi disperati e perversi, non però Romani.» Finiva collo eccitare a mantenere l’ordine, che assicurava vita, sostanze, e onore.
Questo foglietto fu letto e poi stracciato, e non ebbe altro seguito.31
Ma il Monitore del detto giorno pubblicò, e per le vie di Roma leggevasi, un proclama del triumvirato, col quale invitavansi i cittadini italiani a recarsi in Roma per riconcentrarvi la vita repubblicana; e ciò riferiamo in prova ulteriore di quanto dicemmo in principio di questo capitolo.
Il proclama incominciava così:
«Tradito il Piemonte, caduta Genova, turbata da tentativi di reazione colpevole la Toscana, la vita, la vera vita italiana si concentra in Roma. Sia Roma il core d’Italia. Si susciti a generosi pensieri, a forti fatti degni dei padri. Da Roma, colla virtù dell’esempio, rifluirà la vita alle membra sparte della grande famiglia italiana. E il nome di Roma, della Roma del Popolo, della Roma repubblicana, sarà benedetto in Italia e lungamente glorioso in Europa.
»Ai Lombardi, ai Genovesi, ai Toscani, a quanti ci sono fratelli di patria e di fede, Roma apre braccia di madre. Gli armati troveranno qui un campo italiano, gli inermi, italiana ospitalità.» 32
Niuno contesterà dopo di ciò che con un appello di questa natura, e colla favorevole disposizione che già doveva esistere in tutti i repubblicani di riconcentrarsi in Roma, divenisse ella difatti il ritrovo ed il quartier generale di tutti quegli esaltati che esercitarono una pressura tirannica sulla città eterna, e provocaron quella resistenza che figurò come romana, ma che fu essenzialmente cosmopolitica. Basta il buon senso per convenirne. Quanti e quali furono tanti uomini, oscuri per la massima parte, che vi convennero, niuno potrà calcolarlo. Dei più cogniti e chiari parleremo man mano. Solo diremo che incominciò a divenire da quel momento, stante la differenza degli accenti che udivansi, una vera torre di Babele.
Partito da Roma il Manzoni ministro delle finanze, si formò una commissione di finanza ch’era composta dei cittadini Valentini, Costabili, e Brambilla, e questa commissione prescriveva il giorno 16 alcune norme relative al pagamento della dativa. 33
E nominavansi:
Il cittadino Ricci già preside di Orvieto, a preside di Viterbo.
Il cittadino dottor Manlio De Angelis a preside di Orvieto.34
Il giorno 18 il generale Avezzana era nominato ministro di guerra e marina;35 si ha del detto generale una biografia.36
Il maggior Carlo Pisacane veniva nominato sostituto al ministro di guerra e marina.37
Ed il cittadino Felice Foresti fu creato agente della repubblica romana a Nuova-York.38
La repubblica intanto sentendosi minacciata da una prossima invasione, decretava lo stesso giorno 16 che il suo esercito fosse portato dai 45 ai 50 mila uomini.39 Le armate però non s’improvvisano sì facilmente, ed i decreti non bastano per farle scaturire. Difatti anche nell’epoca della maggiore affluenza di volontari da tutte le parti, mai Roma non potè accozzare oltre un 23 o 25 mila uomini, come meglio a suo luogo e tempo dimostreremo.
Al difetto però dei combattenti suppliva l’abbondanza di armi, perchè 4,000 fucili arrivavano dalla Francia in Civitavecchia il giorno 18, ed altri 5,000 fino dal 12 o 13 vi eran giunti.40 Erano stati acquistati in Francia dal capitano Moroni colà spedito dal ministro Campello. Ciò si accorda con quanto scriveva il Beltrami, inviato della repubblica romana, il quale, come dal Monitore del 17,41 prometteva 10 o 11 mila fucili pel giorno 21. Ciò è in prova di quanto noi avevamo accennato, dello essere cioè passati nelle sue mani i fondi consegnati al Ciccarelli.
Fra le disposizioni relative a materie di finanza troviamo che oltre a quella sulla dativa, annunciata sotto il giorno 16, decretavasi il 17 la emissione di 200 mila scudi di moneta erosa in pezzi da 16 e da 40 baiocchi colla proporzione di 4/10 del valor nominale;42 e con altro decreto del giorno stesso autorizzavasi la banca romana ad omettere altri 200 mila scudi di biglietti a corso coattivo come gli altri già in circolazione, e darli al governo contro tanto consolidato al portatore, che le si cederebbe al corso dell’81 per cento.43 E finalmente con altro decreto del 19 autorizzavansi le zecche di Roma e di Bologna ad acquistare oro e argento per coniar moneta col premio del 10 per cento.44
Alle beatitudini delle provincie già da noi indicate nel capitolo precedente, sono da aggiungere ancor queste. Il vescovo di Camerino ed il suo vicario furono costretti di fuggire dalla diocesi, ed al vicario erasi tirata una schioppettata.45
E in Roma tra il 18 e il 19 nuovi insulti e percosse si ebbe il curato di san Giovanni in Laterano, mentre trovavasi rifuggito in casa Werstappen alle sette Sale vicino a san Pietro in Vinculis, da una turba di civici e tiragliori condotti da Ciceruacchio padre e figlio.46
Fu poi soggetto di soddisfazione pel governo romano lo essere riconosciuto da quello di Sicilia; ciò che veniva annunciato dal Monitore del 19, aggiungendo che il padre Gioacchino Ventura era stato nominato rappresentante di quel governo presso il romano.47
In proseguimento del racconto degli invii di sussidi armati per sostenere Roma repubblicana, diremo che pure i Lombardi ch’eransi costituiti in legione, e che per la causa della indipendenza italiana avean combattuto contro gli Austriaci, marciavano alla sua volta immemori o forviati siffattamente, da non avvedersi che portandosi a combattere in Roma contro le potenze cattoliche (le quali si apparecchiavano ad assalirla per isnidarne i repubblicani e ricondurvi il pontefice), non già il barbaro venivano a combattere, ma il papa stesso, lo stesso Pio IX, quello in nome del quale si sollevarono e sotto i cui auspici combatterono fra le barricate di Milano. Essi eran d’altra parte giovani generosi, appartenenti quasi tutti a famiglie ragguardevoli o civili della Lombardia, temperati ed onesti, ma forviati e inesperti. E lo stesso conte Dandolo che ne fece la storia ce lo confessa.48
Il loro arrivo rendevasi noto da un proclama del direttore di polizia Meucci, il quale pronunziando ai Romani l’arrivo dei Lombardi, gli eccitava ad astenersi da qualunque dimostrazione o popolare movimento. Degnateli (ei diceva) della vostra ospitalità, additate loro i venerandi monumenti di questa immortale città, e li vedrete curvar le fronti solcate dalla mano del dolore e baciar questa terra, tomba di gloriose ceneri.49
Anche il Beltrami nel porgere avviso dell’invio dei fucili, come abbiamo detto di sopra, annunciaya l’arrolamento e l’arrivo di 500 volontari francesi. Non potremmo dire se giungessero o no a Roma. A noi basta designare il fatto come significativo, perchè tendente a provare che genti non solo non romane, ma estranee perfino alla stessa Italia, come Greci, Spagnuoli e Francesi, intendeva la rivoluzione di condurre in Roma da ogni parte. Di tutti questi soccorsi faremo poi un generale recensimento, per enumerare le forze agglomerate.
Nè a questo limitavansi gl’incoraggiamenti e i sostegni per la repubblica; eranvi pur quelli meramente morali, che servivano se non altro a infondere lena e coraggio.
Fra questi citeremo l’indirizzo che il comitato centrale democratico della Germania dirigeva all’associazione nazionale italiana in Roma. Taluni brani del medesimo meritano di essere riportati. Eccoli:
«Fratelli d’Italia! — Sappiate che sono in Germania anime generose che ardentemente desiderano vittoria delle armi vostre, maledicendo alla austriaca tirannide che vi opprime; anime le quali hanno in dispregio, in abbominio, un impero che congiunge per forza e non per diritto diverse nazioni, e manda eserciti a depredare la vostra bellissima terra.
. . . . . . . . . . . . . .
» Fratelli d’Italia! — Il secondo congresso democratico di Germania ci diè uffizio di manifestare a voi l’affetto in che vi tiene ogni libera anima di Germania. Non potemmo rispondere prima alla vostra lettera dell’anno scorso perchè troppo ci affaticava ed occupava la prepotente contro-rivoluzione — Ma oggi mutarono faccia le cose; risorge oggi l’italiana democrazia; e molto speriamo da voi.
» Accogliete, o fratelli d’Italia, il fraterno saluto dei democratici di Germania —
» Evviva l’Italia democratica! — Evviva la Germania democratica! — Evviva la fratellanza delle nazioni.
- Berlino, ai 24 di febbraio 1849.
» Il Comitato centrale della Democrazia tedesca
» C. D’Ester. |
Rispondeva ad esso l’associazione nazionale italiana dirigendo il suo simpatico ringraziamento alla Democrazia tedesca con altro indirizzo che può leggersi in Sommario e che venne sottoscritto da
Paolo Bonetti. |
Ora è debito nostro il parlare dell’elezione del municipio repubblicano il quale recitò una parte importante nella storia di Roma, e specialmente durante l’assedio.
Come abbiamo detto di sopra, sotto la data del 15, il giorno 19 era destinato alla elezione, e in detto giorno ebbe luogo difatti e si raccolsero i voti.
Noi riporteremo sotto questo giorno i nomi degli eletti, quantunque lo spoglio delle schede e la pubblicazione de’ nomi stessi si facessero il giorno 25.
I nomi che riferiamo sono estratti tanto dal Monitore, quanto da altri documenti che conserviamo nella nostra raccolta.52
N. | 1. | Sturbinetti Francesco. | » | 11. | Galeotti Federico. |
» | 2. | Lunati Giuseppe. | » | 12. | Maggiorani Carlo. |
» | 3. | Armellini Carlo. | » | 13. | Romiti Guido. |
» | 4. | Corboli Curzio. | » | 14. | Salvati Luigi. |
» | 5. | Muzzarelli Carlo Emm.le | » | 15. | Polverosi Bartolommeo. |
» | 6. | Tittoni Angelo. | » | 16. | Belli Vincenzo. |
» | 7. | Cortesi Vincenzo. | » | 17. | Ponzi Salvatore. |
» | 8. | Poggi Enrico. | » | 18. | Narducci Crispino. |
» | 9. | Sarti Emiliano. | » | 19. | Feliciani Alceo. |
» | 10. | Sterbini Pietro. | » | 20. | Principe di Piombino. |
N. 21. Alatri Samuele. |
N. 57. Grandoni Luigi. |
» | 93. | Belloni Michele. | » | 96. | Agostini Cesare. |
» | 94. | Folchi Giacomo. | » | 97. | Silvagni Giovanni.» |
» | 95. | Leonardi Giuseppe. |
Dette elezioni si fecero come dicemmo nei 12 collegi elettorali designati dalla commissione municipale provvisoria per le elezioni. Prima però che esse avesser luogo circolarono varie note stampate dei candidati che si proponevano, due delle quali erano del circolo popolare; una di esse portava 153, l’altra 109 nomi.
Altre tre ne circolarono per parte del partito moderato.
Di esse | una | portava | 97 | nomi | |
altra | » | 104 | » | ||
» | » | 107 | » | 53 |
Istallato che fu il municipio, spiegò com’era da attendersi, la più grande operosità: ed a lode del vero prese una cura speciale degl’interessi del popolo, provvide a tutti i suoi bisogni nei momenti più critici del paese, e senza esagerazione può dirsi che da questo lato se ne rese benemerito.
Vediamo ora quali progressi fece la libertà.
Allorquando Roma si teneva schiava (come dicevasi) era lecito a tutti di pensare e parlare come loro aggradiva meglio, e sarebbe una falsità il dire che per parte del governo si fosse inferita per ciò a’ cittadini molestia veruna. Questo sia detto inclusive pel pontificato di Gregorio XVI, durante il quale Roma godette di una prosperità non solo, ma di una libertà di fatto estesissima.
Roma però divenuta libera, ei convenne a poco a poco pensare, parlare ed agire alla mercè del partito prevalente.
Questo era il dettato della prudenza. Il non farlo avrebbe esposto per lo meno a molestie ed insulti; e bastavano gli articoli burleschi o minacciosi della Pallade esposti alla pubblica vista per contenere gli avversi al nuov’ordine di cose, e prefigger loro cautela e simulazione. Oltre la polizia vigilantissima, eranvi i circoli politici equivalenti ad altrettante succursali della medesima. Ma oltre la polizia ed i circoli, eranvi pure il comitato dei circoli e quello di sorveglianza pubblica.
Or bene questi due comitati il 19 di aprile si fusero in uno sotto il titolo di Comitato dei circoli romani di pubblica sorveglianza, e con un foglio stampato che si diffuse al pubblico fecesi conoscere la nuova trasformazione: e così servì ad un tempo di avviso e di minaccia.
Fu sottoscritto il detto atto dai seguenti:
P. 8terbini | presidente |
G. B. Niccolini | vice presidente |
G. B. Luciani | segretari54 |
G. B. Polidori | |
C. de Poveda |
Lasciamo che i nostri lettori giudichino da per loro se con una sorveglianza di questa guisa organizzata, la parola libertà fosse per gli onesti cittadini una verità, oppure una derisione e uno scherno.
Ed in comprova di ciò citeremo subito un esempio, che ci si presentò il giorno seguente. Avendo, come dicemmo nel precedente capitolo, il Costituzionale romano insinuato, mediante un articolo intitolato Scandali in Roma (nel suo numero del 9 aprile), che la illuminazione della sera del venerdì santo nella chiesa di san Pietro erasi convertita in una profanazione scandalosa, il circolo popolare cui era sommamente a cuore che il mondo non venisse scandalizzato da questa accusa calunniosa, domandò ed ottenne dal governo la soppressione del surriferito giornale. Proseguì esso a pubblicarsi fino al giorno 25 aprile e poi si tacque.
La petizione al governo ebbe tutti i caratteri di pubblicità perchè sottoscritta da 53 individui i cui nomi vennero inseriti non solo nel Monitore ma nello stesso Costituzionale.55 E siccome noi riputiamo di grave momento questo atto perchè attentatorio non solo, ma distruggitore della libertà della stampa, crediamo doverlo riportare in Sommario.56 Basti su ciò e passiamo ad altro.
Il giorno 20 di aprile, col quale chiudiamo il presente capitolo, è memorabile per essersi sottoscritta dal Santo Padre in Gaeta quell’allocuzione famosa che di poco precedette l’intervento armato delle potenze cattoliche.
Questo atto nel quale il pontefice riassunse tutti gli avvenimenti ab origine, può considerarsi come uno dei documenti storici da doversi consultare non solo, ma da aversi costantemente presente, essendochè è la riassunzione o il compendio non solo di tutti gli avvenimenti più importanti del suo pontificato, ma è la enunciazione perfino delle intenzioni primitive che lo dominarono, e degl’inganni subiti per parte di quel partito ch’egli credette col perdono di correggere e di ammansare. Le allocuzioni precedenti (ci sia permesso il confronto) potrebbon paragonarsi alle confessioni che si riferiscono ad un dato periodo della vita umana, ma l’allocuzione del 20 aprile è incerto modo la confessione generale.
Noi la riporteremo per intero in Sommario, ma intanto ne indicheremo per sommi capi il contenuto onde richiamarne le parti più essenziali alla memoria de’ nostri lettori.57
Incomincia col rammentare l’atto memorabile del perdono amplissimo che concedette (16 luglio 1846), e come molti dei perdonati non solo non mutasser pensiero, ma continuassero con ogni sorta d’artifizi a cospirare ed ingannare le moltitudini per rovesciare il civil principato del romano pontefice.
Rammenta le prime concessioni, e le agglomerazioni di popolo consigliate e preordinate dal partito avverso sotto il pretesto di rendimento di grazie, e gl’inutili sforzi per impedirle. Enumera inoltre alcuno degli atti governativi a questo effetto emanati. Rammenta come le concessioni dei primordi del suo pontificato mai non potessero mettere radice, e farne assaporare i frutti ai beneficati, perchè gli spertissimi artefici di frodi abusavano delle stesse concessioni per suscitare nuovi torbidi.
Parla della immaginaria congiura contro il suo governo e contro i liberali (15 luglio 1847); come servironsi di essa a pretesto per attuare ed armare la guardia civica; e come fosse scelto appunto quel moto tumultuario di comporla e raffazzonarla, affine di potervi incastrare que’ torbidi elementi che volevansi escludere, e rendere così impossibile di provvedere alla sua retta istituzione e disciplina.
Ricorda la concessione della Consulta di stato; come si spargesse ad arte ch’essa fosse tale istituzione da far cangiare l’indole e la natura del governo pontificio; e che appunto nell’intendimento di distruggere in sul nascere sì erronea dottrina, pronunziasse parole assai chiare (il 15 novembre 1847) al cospetto di taluni che accompagnavano i Consultori, ed a’ quali credette dover dare un cosiffatto avvertimento.
Rammenta gli allarmi immaginari di una guerra esterna suscitati nel gennaio 1848, il terrore degl’incanti, e le insinuazioni degli insidiatori i quali spargevano che per la maliziosa inerzia dei governanti si fomentasse e sarebbesi sostenuta una guerra siffatta: come ancora per tranquillare gli animi emettesse il motu-proprio del 10 febbraio, che ne dichiarava l’assurdità, ed assicurava i popoli che in tal caso innumerevoli figli sarebber volati a difendere la casa del padre comune.
Accennava poi al furore popolare concitatosi ad artè contro i Gesuiti ed altri religiosi, nel marzo; ed il niun effetto prodotto dalle parole che indirizzò al popolo per impedire la loro dispersione.
Rammentava T atto del 30 marzo col quale, in seguito ai ben noti commovimenti d’Italia e d’Europa, esortava i popoli a rispettare le libertà della Chiesa cattolica, e tenere per certo che Dio darebbe a conoscere essere Lui solo il dominatore dei popoli.
Parlava dello Statuto costituzionale accordato il 14 di marzo; ed ognuno di voi ben sa (diceva ai cardinali) come in Italia sia stata introdotta la forma di governo costituzionale, e come sia venuto alla luce nel giorno 14 marzo dello scorso anno lo Statuto da Noi concesso ai nostri sudditi.
Intanto il governo calunnia vasi sempre, e rappresentavanlo siccome inerte, ingannatore e fraudolento; e racconta perfino il Santo Padre come in una notte se gli proponesse la proclamazione della repubblica.
Parla poi della guerra, e del desiderio dei novatori di trascinarlo a prendervi parte, sebbene esso avesse da Dio autore di pace e di carità la missione di amare con paterno affetto indistintamente tutti i popoli, tutte le genti e nazioni, e di procurare per quanto è da Noi (diceva) la loro salvezza, non già di spingerli alle stragi e alla morte. Richiama quindi alla memoria la sua allocuzione del 29 di aprile, ed il suo rifiuto alla offerta fattagli in voce e in iscritto di presiedere al governo di una certa repubblica italiana.
Rammenta poscia i commovimenti che ne seguirono, e la imposizione di un civil ministero (quello del Mamiani), ed il progetto di separazione del civil principato dal potere spirituale.
Rammemorava inoltre il ministero che succedette (quello del conte Fabbri) e poi l’altro (del Rossi), gli sconcerti seguiti fino alla tentata invasione del Quirinale (16 novembre), e la necessità in cui trovossi di allontanarsi da Roma. Parlava quindi della Giunta di stato formatasi, e dell’assemblea che sotto il nome di Costituente adunossi. Lodava le magistrature dello stato che rettamente comportaronsi in quella occasione. Ricordava perfino coste gli uomini che componevano quell’assemblea non mirando già nè ad avere istituzioni più libere, nè riforme più conducenti al bene della pubblica amministrazione, nuli’altro volevano che invadere, scuotere, distruggere il temporale dominio della Sede apostolica, e questo lor divisamente aver ridotto ad atto col proclamare, la nòtte del 9 febbraio, la decadenza del papato e la introduzione della repubblica. Gravargli bensì che Roma apparisse autrice di tanti mali.
Veniva poi raccontando come per ricomporre a ordine 10 stato richiamasse da Bologna i reggimenti svizzeri anche prima del novembre 1848, ma essere stato contrariato in ciò dal ministero del maggio (Mamiani); e diceva delle reiterate pratiche nel gennaio del 1849 per l’oggetto stesso, riuscite, per le altrui macchinazioni, del tutto frustranee.
Enumerava in seguito i doveri che gl’incombevano di salvare la Chiesa, lo stato, le sostanze e le vite dei propri figli, e di porre un fine alle profanazioni e allo strazio che facevasi delle cose tutte che alla religione santissima, di cui era capo, riferivansi, la occupazione cioè dei beni ecclesiastici e delle proprietà della Chiesa, lo spoglio dei templi, la conversione in usi profani delle case religiose, malmenate la sacre vergini, perseguitati, imprigionati, uccisi ecclesiastici venerandi, strappati dal gregge e imprigionati perfino i vescovi: e rammemorando dissipato il tesoro pubblico, messe a’ proprietari di beni imposizioni gravissime, turbata la libertà dei cittadini, e mille altre nefandità, annunciava di essersi trovato costretto d’implorare dai principi e dalle nazioni aiuto e soccorso, e di essersi perciò diretto in ispecie all’Austria, alla Francia, alla Spagna, ed a Napoli. Nudrire quindi speranza che quelle potenze cattoliche si sarebbero affrettate di correre quanto prima per difendere e rivendicare il civil principato della Sede apostolica, e ridonare ai sudditi la perduta pace e tranquillità, allontanati da Roma e dallo stato i nemici della religione e della civile società.
Detta allocuzione venne pubblicata nel Monitore,58 e si divulgò pure una risposta alla medesima, della quale non si conosce positivamente l’autore.59
Sul merito e sulla importanza di quest’atto solenne non ci permettiamo di far parola. Solo dobbiamo pel nostro officio di storici rilevare tre piccole sviste di cronologia in cui si è incorso, e sono le seguenti:
1° L’atto del segretario di stato contro le dimostrazioni, che si dice dell’aprile 1847, doveva dirsi in vece del 22 giugno del detto anno.
2° Parlando della famosa inventata congiura, si afferma ch’essa provocò o dette luogo alla istituzione della guardia civica; ciò non è esatto. La famosa congiura fu il giorno 15 luglio, e la guardia civica era stata istituita con atto solenne fin dal 5. L’inventata congiura servì bensì per ottenerne l’immediato e tumultuario armamento.
3° Allorché sotto il n. 5 si parla della espulsione dei Gesuiti, e si fa menzione di un atto di Sua Santità del 10 marzo 1848, avvertasi che questo atto porta invece la data del 14.
Così chiudiamo con un’allocuzione pontificia il presente capitolo. Chiuderassi il seguente coll’attacco dei Francesi su Roma il giorno 30 aprile in adempimento del richiesto intervento delle potenze cattoliche dalla medesima allocuzione annunciato.
Note
- ↑ Vedi Farini, vol. III, pag. 333.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 516.
- ↑ Vedi il Monitore del 9, pag. 312.
- ↑ Vedi il Monitore del 16 in fine della quarta pagina.
- ↑ Vedi il Monitore del 14, pag. 328, e Le memorie ec. di un veterano austriaco, vol. II, pag. 270.
- ↑ Vedi detto, pag. 330.
- ↑ Vedi detto del 12, pag. 321.
- ↑ Vedi il Monitore dell’11, pag. 317.
- ↑ Vedi detto come sopra.
- ↑ Vedi il Costituzionale dell’11.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 321.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 321.
- ↑ Vedi detto, pag. 334 e 338.
- ↑ Vedi la Pallade del 27 marzo, p. 505. — Vedi la Speranza dell’epoca del 28 marzo, pagina quarta.
- ↑ Vedi la Pallade del 13 aprile, n 520, pagina seconda
- ↑ Vedi Farini, vol. III, pag. 342.
- ↑ Vedi il Monitore del 13, pag. 323, e del 14.
- ↑ Vedi detto del 14, pag. 327.
- ↑ Vedi il Costituzionale, del 20.
- ↑ Vedi Monitore del 15, Documenti, vol. IX, n. 16.
- ↑ Vedi L’Italia del popolo del 16 aprile n. 2, pag. 1.
- ↑ Vedi la Pallade del 17, n. 523. — Vedi il ritratto del generale Avezzana fra le Stampe e litografa il 78 A.
- ↑ Vedi l’Italia del popolo del 16 aprile n. 3.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 521, pag. 3.
- ↑ Vedi il Monitore del 15, pag. 331.
- ↑ Vedi Documenti, vol. IX, n. 19 A.
- ↑ Vedi il Monitore del 17, pag. 340.
- ↑ Vedi detto del 23, pag. 366.
- ↑ Vedi il Monitore del 15 aprile 1849, pag. 333. — Vedi Documenti, vol. IX, n. 19. — Vedi Sommario, n. 81.
- ↑ Vedi 1» Pallade del 18, n. 524, pag. 3. — Vedi il Monitore, pag. 340.
- ↑ Vedilo fra i Documenti, vol. IX, n. 17.
- ↑ Vedi il Monitore del 15 aprile, pag. 331.
- ↑ Vedi detto del 18, pag. 345.
- ↑ Vedi il Monitore del 16, pag. 335.
- ↑ Vedi detto del 18, pag. 345.
- ↑ Vedila fra i Documenti, vol. IX, n. 19 B.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 345.
- ↑ Vedi detto, pag. 345.
- ↑ Vedi detto, del 17, pag. 339.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 520 e 524.
- ↑ Vedi il Monitore del 17, pag. 340.
- ↑ Vedi il Monitore del 199, n. 77.
- ↑ Vedi detto, pag. 351.
- ↑ Vedi detto del 20, pag. 355.
- ↑ Vedi il Costituzionale del 18 aprile.
- ↑ Vedi la Riunione del circolo popolare, pag. 295.
- ↑ Vedi il Monitore del 19, pag. 354.
- ↑ Vedi Dandolo, I volontarii ed i bersaglieri lombardi — annotazioni storiche, pag. 35, 36, 67, 70, 78, 82, 94, 102, 128, 129.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 525.
- ↑ Vedi l’Italia del popolo, del 19 aprile, n. 5.
- ↑ Vedi nel Sommario, n. 82, il detto indirizzo del 19 aprile 1849. — Vedi l’Italia del popolo del 19 aprile, n. 5.
- ↑ Vedi il Monitore, pag 879. — Vedi Documenti, vol. IX, n. 23.
- ↑ Vedi Documenti, vol. IX, n. 18, e 18 A, e dal 24 al 29.
- ↑ Vedi Documenti, vol. IX, n. 20.
- ↑ Vedi il Monitore del 20 aprile, pag. 355. — Vedi il Costituzionale del 23 detto.
- ↑ Vedi il Sommario, n. 83.
- ↑ Vedi Sommario, n. 84.
- ↑ Vedi Supplemento al n. 126 del Monitore, e Documenti, n. 31 del IX volume.
- ↑ Vedi Documenti n. 32. — Vedi poi tanto l’allocuzione quanto l’articolo della Reforme in risposta alla medesima nei Documenti, vol. IX, n. 33. — Vedila pure fra i Motu—Proprî n. 44, e nel n. 7 del volume X delle Miscellanee.