Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo III - parte I
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[Anno 1848]
Trattammo nel capitolo II di questo terzo volume esclusivamente della Costituente. Tratteremo in questo di tutte le altre cose meritevoli di ricordanza (e furono moltissime) che nel mese di decembre occorsero, prendendo le mosse dal principio del detto mese.
Incominciando dal primo giorno rammenteremo che il municipio, ottenutone il consenso dall’autorità ecclesiastica, ordinò la protrazione degli spettacoli teatrali durante 14 giorni dell’avvento, cioè a tutto il 14.1
Con atto dello stesso giorno il Consiglio dei ministri, vista la urgenza, ordinava la emissione di tanti boni del tesoro fino all’ammontare di 600,000 scudi ipotecati sui beni camerali, secondo l’elenco presentato dai ministro delle finanze2, ed in seguito dell’atto del Consiglio dei ministri del 22 novembre.
Ma un soggetto di ben più grave importanza ci si presenta sotto la data dei 3, e fu la cognizione in cui si venne in Roma dell’atto del pontefice del 27 novembre dato in Gaeta, e del quale parlammo nel I capitolo di questo 3.° volume. L’esame e la discussione di quest’atto provocarono la convocazione straordinaria del Consiglio dei deputati per la sera del 3 dicembre alle ore 11 ¼ pomeridiane.
Presa dal presidente Sturbinetti la parola, annunciò come si fosse diffusa e circolasse per la città una carta che si diceva sottoscritta da Pio IX, e che egli non avrebbe saputo tener valida, l.° perchè non era firmata da alcun ministro responsabile, contrariamente perciò ai principi costituzionali, 2.° perchè era firmata in paese di altro dominio, in una fortezza, contrariamente quindi alle massime del diritto pubblico giusta le quali il principe non può comandare a’ suoi sudditi fuori del territorio. Soggiunse poi che siccome la detta carta stabiliva che dovesse riguardarsi nullo ed irrito tutto ciò che si era fatto in conseguenza del giorno 16, e precisamente gli atti derivanti da quel giorno, così .il ministero, essendo un atto derivato dai fatti del giorno 16, riteneva di essere destituito, di essere dimesso, di non essere riconosciuto affatto in seguito della protesta di cui si trattava. Altri oratori sursero, e la risoluzione fu che i ministri restar dovessero al loro posto, perchè un governo qualunque era di stretta necessità. Simile discussione si protrasse anche il giorno seguente e venne risoluto d’inviare al Santo Padre tre deputazioni, affine di supplicarlo a ritornare in Roma. Erano esse composte delle seguenti persone:
per l’Alto Consiglio
- Marchese Paolucci de' Calboli
- Monsignor Mertel.
pel Consiglio del deputati
- Carlo Rusconi
- Abate Rezzi.
pel municipio
- Principe Corsini
- Canonico Arrighi
- Avvocato Rossi.3
Esse partirono il 5 alla volta di Gaeta.4
Il Consiglio dei deputati emise una grida ai popoli dello stato pontificio, colla quale gl’informava essersi divulgato uno scritto che dicevasi firmato dal pontefice in Gaeta il 27 novembre, il quale includerebbe protesta di nullità riguardo ad atti del suo governo, e nominerebbe una commissione governativa della quale già alcuni membri, anzichè accettare, si erano allontanati dallo stato. Annunciava inoltre che aveva preso le seguenti quattro risoluzioni, cioè
I. che gli attuali ministri dovessero continuare nell'esercizio di tutti gli atti governativi finchè non fosse altrimenti provveduto.
II. che si mandasse immediatamente una deputazione e Consiglio a Sua Santità per invitarla a tornare in Roma.
III. che s’invitasse l’Alto Consiglio a fare una eguale dichiarazione, e ad unire qualcuno de’ suoi membri alla formazione della deputazione da mandarsi a Sua Santità.
IV. che si facesse un proclama al popolo romano e dello stato per informarlo delle misure prese dal Consiglio dei deputati, ed altro alle guardie civiche per raccomandar loro la tutela dell’ordine pubblico. 5
E l’Alto Consiglio di fatti diresse il 4 ai popoli delio stato pontificio ed alle milizie cittadine i proclami suggeriti dal Consiglio del deputati.6
Il giorno 5 avendo rinunziato il ministro delle finanze avvocato Giuseppe Lunati, ed il ministro di grazia e giustizia avvocato G. B. Sereni, vennero sostituiti al primo interinamente il conte Terenzio Mamiani, ed al secondo monsignor C. E. Muzzarelli. 7
Lo stesso giorno 5 la Gazzetta di Roma dichiarava che essendosi il generale Zucchi dimesso fin dal 27 novembre e avendo deposto il comando delle truppe al generale Latour, le nomine che dicevansi essere state fatte da lui in Bologna, si dovevano considerare per nulle. 8
Nella tornata del 6 del Consiglio dei deputati si parlò della spedizione di 3,500 uomini allestita dal generale Cavaignac in favore del papa. Si votò dal Consiglio medesimo una protesta contro la deliberazione annunciata dal generale all’assemblea francese il 28 di novembre. E il ministero in data dell’8 fece la sua protesta che venne inserita nella Gazzetta di Roma. 9 Il 7 dicembre poi una lunga lista di promozioni leggevasi nelle colonne del nostro giornale officiale, relative alla truppa di linea. 10
Ma intanto che in Roma il ministro della guerra di un piccolo stato come il pontificio esercitava così in grande le sue facoltà ministeriali colle promozioni da una parte, e coll’addizione di un personale immenso dall’altra; e mentre, gratificando ad un sentimento un po’ basso di animosità contro il general Zucchi, diffidava le nomine fatte dal medesimo in Bologna, dirigeva il prode generale una lettera all’avvocato Giuseppe Galletti la cui importanza ci obbliga a riportarla per intiero. Imperocchè il Zucchi all’intento di giustificare la sua condotta nel Bolognese, riassume storicamente le circostanze tutte che ne provocarono gli atti, e ci racconta i tentativi del partito repubblicano, alla testa del quale era il generale Garibaldi, per far piombare il Bolognese in un mare di sciagure. Eccola:
- «Eccellenza!
» Rispondo alla lettera che ella si è compiaciuto scrivermi il 30 dello scorso mese. Siccome mi dice ch’è un Italiano che scrive con franchezza ad un altro Italiano, e tale essendo io sempre stato, così, come è mio costume rispondo con franchezza e lealtà, tale essendo sempre stata la mia guida; quindi ora in tale guisa io le parlerò.
» Secondo i principi ch’ella ha sempre manifestato, io non doveva mai credere, come non ho creduto, ch’ella potesse dividere coi tristi, che bene a ragione così li chiama, dubbi sui miei principi che mai smentii, e ne diedi, io credo, in tutti i tempi ed in tutte le circostanze, prove.
» In quanto alla disapprovazione ch’ella ha diviso con quelli che trovarono dure le misure prese contro Garibaldi, ne attribuisca il motivo chè a lei non eran note le intenzioni di lui e di quelli che lo dirigevano a questa volta, che ora però sono abbastanza palesi, le quali non erano niente meno che di suscitare la rivolta in Bologna, indi unirsi in Comacchio al Masina, passare il Po, mettere in piena insurrezione quei paesi, attaccare i Tedeschi; che ciò accadendo, era certa la invasione di queste provincie dal nemico.
» I speculatori, persuasi di riuscire nelle loro trame, lasciarono qui Garibaldi coi seguaci, di tutto sprovveduti, contando di trovare delle risorse nel saccheggio; per cui fui obbligato di dargli trecento scudi, mantenimento e mezzi di trasporto sino a Ravenna, ove colà arrivato aveva dato la sua parola di onore di subito imbarcarsi per Venezia. E questa parola come fu mantenuta? Si fermò unendosi al Masina, e dopo esservisi fermati alcuni giorni facendosi mantenere dai Comune, si portarono assieme a Forlì, ove rimasti alcun tempo, sempre a carico del paese, cercando di muovere la popolazione alla rivolta, vedendo che la città cominciava a stancarsi della loro presenza, hanno preso la via di Cesena e Rimini, dicendo che andavano in Ancona per trovarsi sicuri ad ogni evento e difendervisi, esigendo sempre nella loro marcia mantenimento e paga.
» Tutto questo, dev’essere a quest’ora noto a vostra eccellenza, avendo ella presentemente l’alta polizia nelle sue mani, sino dal momento che Garibaldi mise piede nello stato pontificio, esistendo su di ciò i rapporti inoltrati al ministero; quindi sono certo, conoscendo quanto le stia a cuore il bene e la tranquillità dello stato, che se si fosse trovato alla mia piazza, avrebbe preso misure più energiche delle mie.
» Ora domando a lei, signor ministro, se uno stato che sia ben governato, possa e debba tollerare degli avventurieri, che altra mira non hanno che il disordine, mettere a contribuzione ovunque vanno, e dirigendosi a loro capriccio. Un governo che soffre tali cose, mostra la sua debolezza e mancanza di coraggio d’impedirle, e sottomano le protegge. Qui non v’è alternativa.
» Esprimendosi che mai potè fare argomento che io volessi pormi in contraddizione col governo, sebbene vi fosse chi lo dicesse c lo scrivesse, e ch’ella non lo credette giammai, pensò giustamente e da pari suo, non però in quanto al pensare che il mio silenzio col governo potesse accreditare simili voci. Come, signor ministro? Cosa doveva io scrivere? Si pretendeva forse che io dovessi applaudire a quanto era accaduto in Roma? Ed anche qui fare partecipare le truppe al disordine, rendendole insubordinate, indegne del nome di militare di onore, come si è fatto in Roma? Se mai questo si aspettava da me, era non conoscermi, quindi altro non avea a fare che aspettare ordini ed istruzioni dal ministero il quale intanto col suo silenzio approvava quanto i fogli di Roma dicevano, tutto ciò che si può dire di più oltraggiante contro la mia persona, e finalmente poi il ministro delle armi mi scrisse il 24 una lettera, sotto la quale mise la sua firma, certo senza leggerla, ciò che non avrebbe fatto se l’avesse letta, a meno che non si avesse il progetto d’insultarmi.
» Scrivendomi poi un’altra lettera poco dopo, in termini molto più convenienti, col pregarmi di rendermi a Roma per meco consultarsi. Vi sono degli uomini i quali, purchè conservino i loro impieghi, si lasciano persuadere, dimenticano gl’insulti, ma io, eccellenza, sono di tempra assai diversa, non curo elogi, impieghi, adulazioni, curo il mio onore, obbligando anche così quelli che non mi amano, come anche quelli che scrivono contro di me, a dovermi stimare. Non posso che ringraziarla col ripregarmi ch’ella fa di rendermi a Roma, ma ritengo che il signor ministro delle armi le avrà fatto conoscere le ragioni per le quali io non vi venga.
» Vostra eccellenza sia però ben certa e persuasa, e seco lei lo siano gli altri ministri, che qui rimanendo non mi metto in contraddizione col governo come si è voluto credere, o fare mostra di crederlo, che tutto quello che faccio lo faccio apertamente e senza mistero, che travaglio con zelo, senza animosità, e cercando tutti i mezzi a mantenere l’ordine, ed obbedire a quanto mi ordina il governo di Sua Santità, senza fare osservazioni salvo quelle che posso credere convenirsi a mantenere l’ordine e la quiete ch’ella mi dice essere la cosa che soprattutto stia a cuore del governo.
» Eccellenza! Non so se tutti quelli coi quali ha trattato, e che seco lei corrispondono, le parlino senza maschera e così schiettamente come le ho fatto io! Questa è la mia maniera nè mai la cambierò.
» Ho l’onore ec.
- » Bologna, 5 decembre 1848.
» Zucchi.
» A sua eccellenza » Il signor ministro Galletti » Roma.» |
Dalla Gazzetta di Genova del 13 decembre 1848.11
La lettera del generale Zucchi chiarisce molti punti di storia, e mentre onora la integrità e l’abilità del generale nello aver raggiunto lo scopo che si era proposto giustifica il ministro Rossi che lo scelse a quest’officio e lo destinò a recarsi sul luogo.
Ora parleremo di altra lettera anche più importante che venne ad attrarre, quantunque in vario senso, l’interesse di tutta l’Europa.
Vogliamo parlare di quella lettera che Luigi Bonaparte, il quale aspirava alla presidenza della repubblica francese, diresse al nunzio pontificio in Parigi e che venne riportata nel Journal des Débats del giorno 9 dicembre. Eccone la traduzione:
- Monsignore!
» Non voglio lasciare accreditare presso di voi le voci che tendono a rendermi complice della condotta che tiene in Roma il principe di Canino.
» Da molto tempo io non ho alcuna specie di rclazione col figlio primogenito di Luciano Bonaparte, ed io deploro con tutta l’anima mia ch’egli non abbia sentito che il mantenimento della sovranità temporale del Capo venerabile della Chiesa sia intimamente legato allo splendore del cattolicismo, come alla libertà e alla indipendenza della Italia.
» Ricevete, monsignore, l’assicurazione de’ miei sentimenti di alta stima.»
(Sottoscritto) Luigi Bonaparte.12 |
Se ben si considera la detta lettera (la quale quantunque breve, accoglie una professione di fede politica e religiosa) si dovrà convenire ch’essa non poco contribuir dovesse a conciliare al Bonaparte il favore dei cattolici di Francia e del clero massimamente, e quindi a spianargli la via per la sua elezione alla presidenza. E difatti il 20 dicembre era proclamato presidente.13
Che se poi si unisca l’effetto incoraggiante della detta lettera pei cattolici in Roma o per quelli che facevan corona al pontefice in Gaeta, colla spedizione allestita dal general Cavaignac a tutela e in difesa del medesimo, dovrà convenirsi che spiravano in quei tempi aure più propizie pel papato nelle regioni d’oltremonti, piuttosto che in quelle della Italia stessa di cui il papato rappresenta una delle sue più veraci e superstiti grandezze.
Ritornando alla nostra Roma, vi si attendeva con ansietà l’effetto delle deputazioni spedite al pontefice, e il giorno 7 furono rimosse le incertezze, poiché si seppe che nou erano state ricevute.
Il Contemporaneo ne dette l’annunzio con queste parole:
«Non vi è più dubbio: il pontefice è prigioniero del Borbone: egli non ha più il potere di conoscere la verità delle cose, la sua volontà non è più libera; la sua Chiesa, la sua Roma stanno in Gaeta.» E dopo di aver detto che le deputazioni giunte ai confini ebbero ordine dalla polizia napoletana di retrocedere, prosegue:
«I deputati sono tornati fra noi, domani si radunano le Camere, e Roma sentirà l’ingiuria fatta ai suoi rappresentanti e al suo senatore ec.»14
Le deputazioni però non furon rimandate senza una risposta. E questa risposta fu fatta in nome di Sua Santità dal cardinale Antonelli al principe Corsini per lui e per gli altri, nel modo seguente:
«Nel motu-proprio del Santo Padre datato da Gaeta il 27 novembre si fanno note a tutti le cause principali che indussero il medesimo Santo Padre ad allontanarsi temporaneamente da Roma. È pur doloroso al suo cuore di non dovere anche per questa ragione ricevere i soggetti che hanno avuto speciale mandato di pregarla a restituirsi nella capitale. Egli però, il Santo Padre, colle sue preghiere dimanda di tutto cuore al Signore che si affretti il momento delle sue misericordie, e sopra Roma, e sopra tutto lo stato.
» Il sottoscritto cardinale, nel partecipare alla eccellenza vostra per espresso comando del Santo Padre quanto sopra, le conferma i sensi della sua stima e considerazione.
» Dell’eccellenza vostra,
- » Gaeta, 6 decembre 1848.
» Devotissimo servo vero » G. C. Antonelli.»15 |
L’impressione che produsse in Roma il rifiuto di ricevere le deputazioni non fu al certo favorevole nè per l’uno nè per l’altro partito. Sdegnò la rivoluzione; intimorì gli aderenti al pontificio governo, cui sembrò di ravvisare uu rigore eccessivo o tale almeno da suscitare serie rappresaglie. Il Don Pirlone, motteggiando su tutto, ritrasse nelle sue colonne Roma che presenta un bel fiasco alle reduci deputazioni.16
In questo stato d’incertezza venne ad aggiungersi, per turbare sempre più le menti, uno scritto virulento dell’avvocato Gabussi, uno dei più pronunziati repubblicani che fossero in Roma. Il medesimo scritto non circolò solamente, ma venne affisso per tutti i cauti della città. Era diretto ai popoli dello stato pontificio, e consigliava i ministri a dimettersi, le Camere a sciogliersi e ad impiantare immediatamente un governo provvisorio.17
E mentre queste complicazioni tenevano agitata la città, in Gaeta si emanava un atto, che per verità ni uno conobbe in allora, e che a cose riordinate soltanto venne a cognizione del pubblico. L’atto di che parliamo diceva quanto appresso:
Ordinanza
» Pius Papa IX.
» Avuto riflesso alla gravezza delle presenti circostanze
» Visto l’articolo XIV dello statuto fondamentale
» Proroghiamo l’attuale sessione dell’Alto Consiglio, e del Consiglio dei deputati, riservandoci di determinare successivamente il giorno della nuova convocazione dei medesimi, ed ordiniamo al cardinale Castracane presidente della temporanea Commissione governativa da noi istituita sotto il giorno 27 novembre decorso, di comunicare ai due Consigli questa nostra sovrana deliberazione.
» Datum Cajetae, die 7 decembris 1846.
» Pius PP. IX.»18
Ebbene, questo atto importante non solo non ebbe pubblicità veruna in Roma, ma neppure circolò riservatamente fra’ privati, e nessuno affatto lo conobbe. Diciamo importante, perchè vi si dichiarava, il 7 dicembre, che lo statuto si considerava in Gaeta come tuttavia vigente. Questa circostanza dice chiaro qual genere di libertà si godesse allora in Roma.
Non dubitiamo che il cardinale Castracane ne abbia ricevuto delle copie da Gaeta e che ne abbia somministrate ai capi del governo. Ma essi avevano troppo interesse di sopprimerne assolutamente la circolazione, e quindi l’atto di Gaeta restò come lettera morta, e noi lo abbiamo riportato per adempiere soltanto al dovere di storici. Si vede però che a Gaeta, o illusi o male informati, eredevan tutt’altro, perchè in un atto posteriore del cardinale Antonelli del 23 si manifestava la meraviglia ed il dispiacere di Sua Santità nel vedere che niun atto avesse avuto luogo per parte della Commissione e neppure, da quanto era dato conoscere dai giornali, la pubblicazione della ordinanza con cui il Santo Padre prorogava i Consigli. 19
Le Camere dunque, ad onta della ordinanza papale, dell’ostracismo cui condannavale il Gabussi, della consunzione che travagliavate, e delle grida di tutti quelli che le volevan giù, proseguirono alla meglio che potevano nelle loro discussioni. Diciamo alla meglio, perchè stante le rinunzie che ad ogni momento succedevansi e che noi per brevità tralasciamo di enumerare, vivevano di una vita incerta, barcollante, ingloriosa.
Il governo romano, siccome abbiamo accennato più sopra, sottoscriveva il giorno 8 una dichiarazione intorno alla deliberazione del generale Cavaignac, annunziata il 28 novembre all’assemblea nazionale, e la rendeva di pubblica ragione inserendola nel giornale officiale. 20
Con questa deliberazione il generale francese, sentito il pericolo che nel novembre correva la persona del pontefice, ordinava l’imbarco a Marsiglia di 3,500 uomini per prenderne le difese, o meglio per tutelare la sua persona.
Infrattanto le Camere legislative discutevano e deliberavano; i ministri eseguivano; il popolo ubbidiva e taceva; ma l’edificio costituzionale difettava nelle sue fondamenta perchè ov’era il terzo potere, ov’era il sovrano?
Fu allora deciso che ad uscire da simile illegalità, fosse creato questo terzo potere, ed il giorno 11 venne proposto un decreto dal Consiglio dei deputati, al quale fece eco altro simile per parte dell’Alto Consiglio, perla nomina di questo terzo potere, ed il Consiglio dei ministri con atto del 12 ne pubblicò la nomina.
I membri eletti furono i seguenti:
- Il principe Don Tommaso Corsini senatore di Roma,
- Il conte Gaetano Zucchini senatore di Bologna,
- Il conte Francesco Camerata gonfaloniere di Ancona.21
E lo stesso giorno una dimostrazione di lavoranti della beneficenza forniti dei loro arnesi rurali, e guidati da Ciceruacchio e consorti, sull’imbrunir del giorno, entrati per la porta del Popolo, percorsero le vie più popolose della città gridando viva Sterbini, viva Mamiani, pane e lavoro. Si noti che pane e lavoro gridaron pure il giorno 11 di aprile, e il nome dello Sterbini anche allora vi fu associato.22 La costernazione e lo spavento degli abitanti giunsero a tal punto, che tutti chiudevano le botteghe al passaggio degli schiamazzanti. La Pallade stessa ne fu scandalizzata e li consigliò a non provarci più, ma non vi riuscì, perchè come raccontammo nel capitolo II di questo terzo volume, parlando della Costituente, percorsero altra volta la città, ma il loro grido fu per oggetto più nobile. I lavoranti di strade di campagna intercedavano per la Costituente!
Annunciammo pure in detto capitolo l’arrivo in Roma del Garibaldi il giorno 12. Dimenticammo però una circostanza e fu, che quando si recò al circolo popolare conobbe ed abbracciò il Ciceruacchio il quale, fra le altre cose, disse al medesimo:
- Un fatto d’armi io vorrei;
- Non più paternostri e giubilei.
Queste parole, tristamente di un assai grave significato, furonci tramandate da un giornale rarissimo, che uno dei tanti Calabresi rifugiatisi in Roma (un tal Domenico Cuzzocrèa) compilava, e che portava per titolo L’Italia libera, di colore ultra repubblicano, aggiungendo che grande simpatia ed amicizia si strinse fra il prode guerriero ed il caldo popolano.23
Anche il circolo romano, che pareva si fosse addormentato, si destò ancor esso all’annunzio che vi fosse qualche pericolo che le provincie volessero distaccarsi dalla capitale, ed esortava con un indirizzo per la pronta convocazione di un’assemblea generale con voto universale.24
Intanto Mazzini se mandava indirizzi e sollecitazioni a Roma (come ne abbiamo ricordato alcuno dopo il 16 di novembre) si adoperava anche colla diplomazia, e secondo il Contemporaneo del 13 pubblicò un indirizzo sottoscritto da esso e dal suo segretario Lizabe Ruffoni in rappresentanza dell’associazione nazionale italiana. Esso era datato dalla Svizzera il 30 novembre, ed era diretto tanto al signor de Tocqueville, quanto a lord Minto, in favore dell’indipendenza e nazionalità italiana.25
Noi abbiamo dato più sopra una lettera del general Zucchi all’avvocato Giuseppe Galletti ministro dell’interno. Ora, in seguito d’uno sfregio fatto allo stesso generale Zucchi dal ministro delle armi Campello, ci è forza pubblicarne un’altra, affinchè connettendole entrambe, e leggendo la risposta del Campello, possiamo identificarci meglio colla situazione di allora, e riconoscere in quali tempi di prostrazione morale eravamo caduti. Ecco il fatto.
Il conte Campello senza dare nè ordini nè istruzioni sia verbali sia scritte al generale Zucchi, il quale era tuttavia in Bologna, gli ritirò il comando della truppa, diffidando i militi a non prestargli più obbedienza. Offeso sommamente il generale, diresse al Campello la lettera seguente:
- «Sig. conte Campello,
» Non vi sono che i vili che osano d’insultare quando sono lontani ed al sicuro. Gli ordini che lei ha mandati a tutti i capi dei corpi diffidandoli d’obbedirmi, non riconoscendo punto quanto io aveva operato, minacciandoli in caso di contravenzione di dichiararli ribelli e traditori, è la cosa più indegna che si possa commettere. Perchè ella non ha avuto il coraggio di serivermi francamente, come fanno gli uomini leali, che io più non comandava, darmi ordini ed istruzioni come io gliele domandava?
» Le scrissi che rinunziavo il comando al generale Latour, in attenzione di ulteriori sue disposizioni. Ma viste le presenti circostanze, credetti necessario di ritenere il comando, e credo che questo sia stato utile avendo fino ad ora conservato la quiete e l’ordine nella città a malgrado di tante provocazioni dei malevoli fatte al popolo, eccitandolo alla rivolta; cosa che pare sia di aggradimento di Sua Santità, e la prova ne sia le di lei istruzioni date ai capi e fatte conoscere ai militari, che ad altro non tendono che a mettere il mal umore nelle truppe autorizzando così la disobbedienza e l’insubordinazione.
» Io le dissi un’altra volta che fra le persone educate, in particolare quelli che occupano posti distinti, v’è una maniera di ordinare, ma sempre con dignità, e fare sentire a chi può avere dispiaciuto al governo, le cose in modo conveniente, senza mai insultare come ha fatto lei, che così facendo si è degradato.
» Io poi la prevengo che spero c’incontreremo qualche giorno, e che a voce mi spiegherò più chiaro di quello che faccia presentemente, e le domanderò conto del modo inconveniente come si è condotto e si conduce verso di me, e che spero che buon grado o malgrado vorrà rispondermi.
» Se mi vuole fare stampare questa lettera lo faccia pure, ma senza cambiare una sillaba.
- » Bologna, 9 decembre 1848.
» (firmato) Zucchi.»
A questa lettera rispose il Campello nel modo seguente:
- » Signor Generale,
» Le sue parole sono indegne di un uomo d’onore: io le compiango e perdono all’età. Vile soltanto chi tradisce l’Italia.
- » Roma, 13 dicembre 1848.
- » Signor Generale Carlo Zucchi
» Bologna.»26
Questa lettera non giunse certamente al Zucchi in Bologna, perchè il 10 di dicembre n’era partito in compagnia del marchese Bevilacqua alla volta di Livorno.
Eglino lasciarono partendo una lettera al senatore di Bologna annunziante che accettavano entrambi l’incarico di Sua Santità di far parte della Giunta di stato.27
Eran le cose a questo termine, è fra le altre attendevasi da un momento all’altro la notizia di un cambiamento del ministero in Torino, perchè da vari giorni le popolari dimostrazioni ed i tumulti di piazza volevano giù ad ogni costo il ministero attuai La piazza difatti vinse ancor là, ed il 15 venne formato il così detto ministero democratico coll'abate Vincenzo Gioberti alla testa.28
Partiva il 16 da Roma l’avvocato Filippo Canuti, uno dei caporioni della rivoluzione italiana, e la Gazzetta di Roma dandone l’annunzio, lo diceva incaricato di una missione straordinaria presso i governi di Parigi e di Londra.29 Il Canuti per verità fin dopo la catastrofe del Rossi, prevedendo l’andamento a precipizio delle cose nostre, manifestò il desiderio di ritirarsi. Uomo spertissimo in politici rivolgimenti, ma dotato di molto buon senso ed ammaestrato dall’esperienza degli anni, quantunque avesse fatto parte in Parigi dell’associazione nazionale italiana (della quale il Mazzini era presidente, ed esso sotto presidente), professò sempre, e lo conoscemmo personalmente sentimenti piuttosto temperati, nè si vide difatti figurare sulla scena, perchè gli uomini moderati non erano tenuti in pregio. E così il Canuti ben informato, se ne partiva e disapprovava tacitamente l’andamento delle cose nostre. E mentre così vedeva le cose il Canuti che di ciò era maestro, i Francesi che avevano il loro circolo in Roma essendo malissimo informati della verità, abbandonavano ai voli delle loro immaginazioni, lodavano con un indirizzo i Romani per la loro condotta, e gl’invitavano a perseverare nella via in cui erano entrati, perchè un successo glorioso avrebbe coronato l’opera loro magnanima.30
Nella notte del 17 al 18 partivan da Roma per Torino i direttori dell’Epoca Michelangelo Pinto e Leopoldo Spini, con una temporanea missione governativa, giusta l’asserzione dell’Epoca stessa. 31 Ma la Gazzetta di Roma fu più esplicita, e ci disse chiaramente che erano accreditati dal ministero come incaricati speciali appo il governo sardo per trattare ed affrettare la Costituente italiana.32
Il comune di Roma poi poneva in atto una soprattassa stata già votata fin dall’aprile scorso, sulla dativa dei fondi rustici da incominciare nel gennaio prossimo, e questa affine di erogare 20 mila scudi nell’offerta fatta dal comune stesso per l’armamento volontario delle milizie dello stato. 33
E l’avvocato Gabussi che fin dal 7 pubblicò un indirizzo, impaziente di veder chiuse le Camere ed impiantato il suo vagheggiato governo provvisorio, e considerando che il suo indirizzo non aveva ancora prodotto l’effetto bramato, replicavane un altro il giorno 18 nel medesimo senso. 34
La creazione intanto della suprema Giunta di stato o terzo potere, che in assenza del sovrano era destinato a farne le veci, non poteva non eccitare la disapprovazione del Santo Padre. E quindi con un atto del 17 dato in Gaeta, riepilogato in parte il già detto con quello precedente del 27 novembre, protestò contro il decreto del 12 mediante il quale veniva costituita la Giunta sudetta in persona del Corsini, del Zucchini e deò Camerata, dicendo:
» Ma questa nostra determinazione lungi dai far rientrare nella via del dovere i perturbatori ed autori delle predette sagrileghe violenze, gli ha anzi spinti ad attentati maggiori arrogandosi quei sovrani diritti che a noi solo appartengono, con avere essi nella capitale istituito per mezzo dei due Consigli un’illegittima rappresentanza governativa sotto il titolo di provvisoria e suprema Giunta di Stato.»35
Nel detto atto poi significava il Santo Padre di avere provveduto coll’aver creato pe’ suoi stati una legittima rappresentanza governativa, senza derogare alle istruzioni da lui date; che è quanto dire ritenersi a tutto quel giorno in Gaeta le concessioni fatte, compreso lo statuto, tuttavia in vigore. E ciò noi troviamo essere in accordo colratto del 7 decembre col quale si prorogavano i Consigli; appoggiandosi all’articolo XIV dello statuto, come già bau veduto i nostri lettori.
Nella sessione del Consiglio dei deputati del giorno 1S annunziaronsi due rinunzie importanti, quella cioè del conte Zucchini uno dei tre membri designati del terzo potere, e quella del ministero.
Al conte Zucchini venne sostituito subito l’avvocato Giuseppe Galletti; e difatti il suo nome, come al capitolo precedente, figurò nell’atto del 20 dicembre sulla Costituente. Al ministero dimissionario venne il giorno 23 sostituito il seguente:
Monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli, presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’istruzione pubblica, ed interino degli affari esteri,
Avvocato Carlo Armellini, ministro dell’interno,
Avvocato Federico Galeotti, ministro di grazia e giustizia,
Livio Mariani, ministro delle finanze,
Dottor Pietro Sterbini, ministro del commercio e dei lavori pubblici,
Conte Pompeo di Campello, ministro dell’armi.36
Si conobbe inoltre in detto giorno la nomina fatta fin dal 19, di
Livio Mariani a prefetto di polizia di Roma e Comarca, e dell’avvocato Michelangelo Accursi (ch’era assessore di polizia) a sostituto del ministero dell’interno.37
Ed il giorno 24 l’avvocato Dionisio Zannini venne eletto segretario della suprema Giunta di stato, e capo d’officio.38
Il 26 poi venne creata una commissione medico-chirurgica composta dei seguenti:
Professor | Giuseppe de Mattheis |
» | Carlo Maggiorani |
» | Paolo Baroni |
Dottor | Luigi Farini |
» | Diomede Pantaleoni |
» | Benedetto Monti |
Professor | Giovanni Battista Fabbri |
Dottor | Sebastiano Fusconi |
» | Gaetano Antonelli |
» | Alceo Feliciani |
» | Giovanni Amadio |
» | Paolo Emilio Appollonj, |
onde migliorare gli attuali metodi dell’istruzione medico-chirurgica.39
Lo stesso giorno veniva pubblicato dalla Gazzetta di Roma l’ordine del Consiglio de’ ministri (in data del 19) per la istituzione di una commissione di soccorso agli esuli o stranieri privi di mezzi, residenti in Roma. Essa era composta come segue:
- Padre don Gioacchino Ventura (siciliano) presidente
- Marchese Filippo Ala Ponzoni (di Milano)
- Domenico Bolasco
- Niccola Carcano
- Alessandro Castellani
- Conte Curzio Corboli
- Vincenzo Cortesi
- Marchese Alberto Quinterio (di Milano)
- Marchese Niccola Sacripante
- Pietro Vallati. 40
Alle molte rinuncie da noi rammentate dobbiamo sggiungere ancora quella del comandante della guardia civica Giuseppe Gallieno.
Si pensò subito (eravamo al 26 di dicembre) di sostituirgli un successore, e si portò la scelta prima sul principe di Piombino il quale non avendo accettato, si consultarono tanto Angelo Tittoni colonnello del 1° battaglione, quanto il maggiore Pietro De Angelis, ma rinunziaron tutti egualmente. 41
In seguito di ciò si portò la scelta sul famoso Luigi Masi segretario del principe di Canino e chiaro poeta e letterato; ed il maggiore Pietro de Angelis venne nominato generale di brigata, capo di stato maggiore della guardia cittadina. 42
Ma per quanto fosse popolare il Masi, per quanto fossero ammirati e lodati i suoi talenti letterari, un grido universale di disapprovazione si sollevò a questa scelta, e colonnelli e maggiori e molti altri officiali superiori fecer sentire che ove avesse accettato il Masi, essi avrebbero mandato le loro rinunzie.
Questa scelta però, quantunque non riuscita, come si dirà in appresso, deve eccitare le più serie riflessioni, perchè qualora il Masi avesse accettato il comando supremo di un corpo sì importante, saremmo a poco a poco andati declinando siffattamente, per elevatezza di grado sociale, che così proseguendo, avremmo potuto terminare anche con un bottegaio. Difatti il primo generale della civica fu il principe Rospigliosi. Rinunziato ch’egli ebbe, gli successe il principe Aldobrandini, ed al medesimo per elezione popolare, il distinto ed onorevole giovane Giuseppe Gallieno. Rinunziato il Gallieno, si pensò al Masi, dopo di aver fatto, è vero, altri tentativi. Ma il Masi non era che un poeta ed un esaltato in politica, e questi non son tali requisiti per potergli affidare col comando della guardia cittadina nientemeno che la vita, le sostanze dei cittadini, e la tutela dell’ordine pubblico. Non è egli forse un breve passo dal comando della civica (in tempo di politiche commozioni) al dittatorato?
Volendo ora esaurire per quanto lo comportano le nostre forze, l’enunciazione delle ulteriori disposizioni governative che ebbero luogo nel decorso del mese, non vogliam tralasciare di ricordare che monsignor Vicegerente emise il giorno 20 una circolare ai superiori delle chiese di Roma, affinchè si prestassero colla commissione eletta dal governo provvisorio alla disamina degli oggetti d’arte meritevoli di riparazione.
La prima edizione o la prima prova della stampa del detto atto portava la espressione di provvido governo. Avendo però qualcuno fatto riflettere a monsignor Vicegerente non esser dicevole di chiamare provvido quel governo che era surto dalla rivoluziono armata contro il palazzo del principe, modificò l’atto in una seconda edizione facendo sparire il provvido. Entrambi questi fogli stampati fan parte della nostra raccolta.43
E ricorderemo che il detto giorno 20 dicembre venne assoluto il capitano Muzzarelli uno degl’imputati nella così detta congiura del 17 luglio 1847.44
E che il 21 con un ordine del Consiglio dei ministri, venne autorizzata la emissione di scudi 600,000 di boni garantiti colla cessione dell’ipoteca sui beni dell’appannaggio. 45
Il ministro dell’armi Campello promulgò due ordinanze una per la formazione di una compagnia scelta di cadetti di fanteria, l’altra per l’apertura dell’arrolamento, onde compiere i quadri dell’esercito.46
Il 23 usci una notificazione del ministro delle finanze Mariani sui biglietti riconosciuti falsi. Essa portava la data del 18.
Ed il ministro dell’armi Campello dava gli ordini e le disposizioni per l’arrolamento.47
Emerge da quanto precede che se la situazione di Roma era delle più anormali, anche quella del Santo Padre, e del sacro collegio in Gaeta esger doveva delle più angustiate e compromettenti.
Avvi nell’andamento delle cose umane taluni momenti nei quali non si sa & chi rivolgersi con sicurezza, nè a quale miglior partito appigliarsi.
Difatti aveva creduto il pontefice di provvedere alle cose di Roma creando una commissione governativa, e questa o non accetta od anche accettando non saprebbe io qual modo farsi obbedire, o semplicemente ascoltare. Avvi fra gli eletti chi è assente, come il Zucchi e il Bevilacqua, e per essi era se non impossibile, per lo meno pericoloso di trasferirsi in Roma. Come poi organizzar potevasi una commissione governativa la quale doveva supplantare gli uomini ch’erano al potere, e che più che della forza pubblica, disponevano a lor talento della stampa, de’ circoli, della piazza? Come costituirsi, se il solo dover fare visita al cardinale Castracane presidente designato della commissione governativa, incontrava mille difficoltà e pericoli?
A Gaeta però sembra che non si persuadessero cosi facilmente che in Roma vivevasi sotto uno stato di pressione violenta. Quando la libertà è manomessa, la pubblica opinione incatenata, e che al solo partito trionfante è lecito di parlare, di gridare e di comandare, non avvi giunte, comitati o commissioni governative cui senza,il sussidio delle baionette sia dato di poter cacciare gl’intrusi dominatori.
Se queste cose si fosser meglio conosciute a Gaeta, noi non dubitiamo di affermare che all’atto del 27 novembre non si sarebbe con tanta facilità fatto succedere l’altro del 7 decembre, per avere la mortificazione e il rincrescimento di vederli restare entrambi come lettera morta! E l’atto del 7 decembre, col quale prorogavansi i Consigli legislativi, non solo non fu obbedito, ma come dicemmo, non fu conosciuto in Roma se non dopo la restaurazione del governo. Egli è certo però che se pure fosse stato conosciuto, non sarebbesi mancato d’invalidarne la forza, perchè sottoscritto dal papa soltanto senza portar le firme dei ministri. Era egli mai possibile che lo avessero rispettato?
All’atto del 7 successe quello del 17 come abbiam narrato, ed a questo Taltro del 23, di cui ora parleremo. 1 Il Santo Padre dopo aver veduto non solo posta in non cale la sua ordinanza del 7 diretta a prorogare le Camere, ma nè pure eseguite le sue disposizioni circa le persone che avrebber dovuto prendere il comando di Roma nella sua assenza, ricevette in vece l’annunzio che coll’atto del Consiglio dei deputati e con quello successivo del Consiglio dei ministri, era stato eletto quel potere che doveva porsi in luogo della rappresentanza e dell’autorità dell’assente sovrano.
Può immaginarsi quindi l’amarezza che dovette produrgli l’apprendere che non una sola delle misure da lui adottate fosse andata pel verso suo, e che in somma nè sulle 48 Camere, nè sul ministero, nè sulla civica, nè sulla linea, nè sui cittadini, addormentati o intimoriti, poteva contare, ma neppure su quella stessa commissione governativa da lui eletta in Gaeta!...
Comunque si voglia, la perpetrazione di questa o disobbedienza, o violenza, o illegalità, o usurpazione che voglia chiamarsi, non si poteva tollerare impunemente o lasciare inavvertita; e quindi per querelarsene avanti tutto il mondo, ordinò al suo pro-segretario di stato cardinale Antonelli di emettere quella circolare che il giorno 23 diresse a tutti i rappresentanti dell’estere potenze presso la Santa Sede, ove riepilogati i fatti passati, conclude protestando contro l’atto delle Camere delll’11 e quello successivo del 12 del Consiglio dei ministri per la nomina del terzo potere. In detta circolare querelasi ben anco della non pubblicata ordinanza del 7 di cui abbiamo ripetutamente discorso. A questa circolare fu risposto qualche tempo dopo dal partito del movimento. E questa risposta può leggersi in Sommario. nota
Questo stato di cose era per altro troppo violento perchè potesse durare, ed il Santo Padre ebbe intanto la soddisfazione di vedere che se nella sua Roma la quale era stata la sede dei suoi effimeri ed ingannevoli trionfi, il potere suo era disconosciuto e calpestato dal partito della rivoluzione che vi signoreggiava trionfante, sopra una piccola città sui lidi del mar Tirreno erasi ringiovanita la sua corte, e molti potenti del mondo accedevan colà, chi per tributargli omaggio, chi per incoraggiarne e lodarne la fermezza, chi in fine per essergli largo di promesse e di appoggio.
Prima dunque di chiudere il presente capitolo narreremo nella sua parte seconda le cose occorse in Gaeta a tutto il mese di decembre, le quali formeranno un contrasto sensibile colle enormezze di Roma, da colpire la immaginazione dei presenti e de’ posteri, e da non andar perdute per coloro, chiunque siano, ai quali le sorti dei popoli verranno dalla Provvidenza commesse.
Note
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 1 decembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 2 decembre 1848.
- ↑ Vedi 1° 2° e 3° Supplemento alla Gazzetta di Roma,
- ↑ Vedi Gazzetta di Roma del 6.
- ↑ Vedi Gazzetta di Roma del 4 di decembre.
- ↑ Vedi detta del 5 detto.
- ↑ Vedi detta del 5 detto.
- ↑ Vedi detta del 5 detto.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 253 della Gazzetta di Roma. — Vedi Documenti vol. VII, n. 90. — Vedi la Gazzetta di Roma dell’11 decembre n. 256.
- ↑ Vedi Gazzetta di Roma del 7 decembre.
- ↑ Vedi Documenti vol. VII, n. 8.
- ↑ Vedi il Journal des Débats del 9 decembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 30 decembre, pag. 1103.
- ↑ Vedi il Contemporaneo dell’8 decembre, pag. 4.
- ↑ Vedi Motu-propri, vol. I, n. 66.
- ↑ Vedi il Don Pirlone dell’8 decembre, n. 81. — Vedi Documenti, tal. VII. n. 90.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 94.
- ↑ Vedi Motu-propri vol. I, n. 68 B e n. 70.
- ↑ Vedi Appendice ai Documenti, n. 26.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma dell’11 decembre. — Vedi Appendice ai Motu-propri vol. I, n. 31. — Vedi Documenti, vol. VII, n. 96.
- ↑ Vedi Gazzetta di Roma del 12. — Vedi Documenti vol. VII, n. 99 A. — Vedi Sommario n. 50.
- ↑ Vedi il Capitolo IX del vol. 2 di qneste storie. — Vedi la Pallade del 12.
- ↑ Vedi L’Italia libera del 15 decembre, n. 4, pagina quarta.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 15 dicembre, pagina terza.
- ↑ Vedi il detto del 13 detto. — Vedi l’Epoca n. 225.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 420.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 420.
- ↑ Vedi detta del 20 decembre.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 16.
- ↑ Vedi l’Epoca n. 226.
- ↑ Vedi l’Epoca n. 227.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 18 decembre. — Vedi la Storia della repubblica romana, pagina 191.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 18 decembre, n. 262.
- ↑ Vedi Documenti vol. VII, n. 106 A.
- ↑ Vedi Motu-propri vol. I, n. 71.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma dei 23 decembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 23 decembre 1848.
- ↑ Vedi detta del 28, ed il Costituzionale del 29, pag. 314.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 26 decembre.
- ↑ Vedi detta del 26 decembre pag. 1077.
- ↑ Vedi la Guardia nazionale, giornale in-4, dal 26 al 29 decembre.
- ↑ Vedi Gazzetta di Roma del 29 decembre 1848.
- ↑ Vedili fra i Documenti del vol. VII, n. 107 A e 107 B. — Vedi pure in Sommario sotto i n. 52 e 53.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 108.
- ↑ Vedi il Supplemento alla Gazzetta di Roma del 21 decembre n. 265. — Vedi l’altra emissione di sc. 600,000 sotto in data del 2.
- ↑ Vedi Atti officiali: vol. I, n. 122 e 128.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 23 decembre 1848.
- ↑ Entrambi questi atti del 17 e del 23, stante la loro importans», si riportano in Sommario sotto i n. 54 e 55.
- ↑ Vedi Sommario n. 56. — Vedi appendice ai Documenti, vol. XII, n. 27.