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A Gaeta però sembra che non si persuadessero cosi facilmente che in Roma vivevasi sotto uno stato di pressione violenta. Quando la libertà è manomessa, la pubblica opinione incatenata, e che al solo partito trionfante è lecito di parlare, di gridare e di comandare, non avvi giunte, comitati o commissioni governative cui senza,il sussidio delle baionette sia dato di poter cacciare gl’intrusi dominatori.

Se queste cose si fosser meglio conosciute a Gaeta, noi non dubitiamo di affermare che all’atto del 27 novembre non si sarebbe con tanta facilità fatto succedere l’altro del 7 decembre, per avere la mortificazione e il rincrescimento di vederli restare entrambi come lettera morta! E l’atto del 7 decembre, col quale prorogavansi i Consigli legislativi, non solo non fu obbedito, ma come dicemmo, non fu conosciuto in Roma se non dopo la restaurazione del governo. Egli è certo però che se pure fosse stato conosciuto, non sarebbesi mancato d’invalidarne la forza, perchè sottoscritto dal papa soltanto senza portar le firme dei ministri. Era egli mai possibile che lo avessero rispettato?

All’atto del 7 successe quello del 17 come abbiam narrato, ed a questo Taltro del 23, di cui ora parleremo. 1 Il Santo Padre dopo aver veduto non solo posta in non cale la sua ordinanza del 7 diretta a prorogare le Camere, ma nè pure eseguite le sue disposizioni circa le persone che avrebber dovuto prendere il comando di Roma nella sua assenza, ricevette in vece l’annunzio che coll’atto del Consiglio dei deputati e con quello successivo del Consiglio dei ministri, era stato eletto quel potere che doveva porsi in luogo della rappresentanza e dell’autorità dell’assente sovrano.

Può immaginarsi quindi l’amarezza che dovette produrgli l’apprendere che non una sola delle misure da lui adottate fosse andata pel verso suo, e che in somma nè sulle Ca- 1

  1. Entrambi questi atti del 17 e del 23, stante la loro importans», si riportano in Sommario sotto i n. 54 e 55.