Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo I
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Capitolo II | ► |
[Anno 1848]
L’anno 1848 di cui intraprendiamo la narrazione, fu l’anno rivoluzionario per eccellenza. In quell’anno tutti i sognatori politici in Europa misero in moto i loro progetti. Le teorie più strane, le più ridicole utopie, i sogni e i vaneggiamenti per anco della mente in delirio ebbero i loro vagheggiatori. Era un affaccendarsi continuo per tutta Europa degli agitatori di vecchio e nuovo conio. Un desiderio poi rilevavasi nei più turbolenti, ed era quello di scassinare dalle fondamenta il mal fermo trono di Luigi Filippo, che, ne fosser causa o pretesto i matrimoni spagnuoli, già da qualche tempo veniasi minando apertamente.
Il punto centrale di ricovero era assicurato, mediante il trionfo dei radicali in Isvizzera. Tutte le prove quindi doversi fare in Parigi per ribellarla e rovesciare dal trono il Napoleone della pace, l’eroe della quasi legittimità, il campione del giusto mezzo.
La tribuna francese era la palestra designata ove combatter doveasi non solo per gl’interessi della Francia, ma per quelli della umanità tutta intiera. I banchetti patriottici poi, organati su tutta la superficie del suolo francese, esser dovevano le officine ed il mezzo destinato a riscaldare prima le teste, onde venire più agevolmente all’esecuzione dei piani preconcertati.
Il Ministro di Luigi Filippo, Guizot, contro il quale la rivoluzione europea lanciava i suoi dardi incendiari da vario tempo, era l’antesignano dei conservatori e il campione della resistenza, e quindi contro di esso i più gagliardi colpi necessariamente vibravansi.
Noi mostreremo, quando terremo ragionamento dello scoppio della rivoluzione in Parigi, come tutte queste cose si verificassero a capello, e mostreremo che mentre nei banchetti facevansi dei brindisi al redentore1, fuvvi nel senato francese chi prendendo a difendere le cose romane non si peritava di far pubblica professione della più sfacciata empietà.2
Abbiamo voluto premettere queste considerazioni affinchè col richiamare alla memoria le tristi circostanze in cui travagliavasi l’Europa, meglio si possa apprezzare qual era e quale esser doveva lo spirito che informava gli atti dei rivoluzionari in Roma, i quali eran d’accordo con quei d’oltremonti sull’incominciare dell’anno 1848.
È consacrato presso i popoli civili il primo dell’anno alle visite ed agli augurî di felicità, e la rivoluzione avea divisato di augurare il suo buon capo d’anno al Santo Padre con una dimostrazione popolare il primo dell’anno 1848.
Dicemmo già nel ventitreesimo capitolo del primo volume di quale sinistro aspetto fosse quella del 27 decembre 1847, e ciò che sarebbe stato se si fosse permesso a quella lurida accozzaglia di mascalzoni che v’intervennero processionalmente, di recar con loro quei tali cartelli ch’eran preparati.
Avranno veduto i nostri leggitori come quelle ragunate, che dagli agitatori eran promosse, fossero cadute poco men che nel fango, e che la parte civile e onesta della romana popolazione avea incominciato a disertarle. Rammenteranno infine che ormai la rivoluzione co’ moti eccitati in tanti punti diversi dell’italiana penisola si era generalizzata non pure, ma erasi tolta la maschera; e il passaggio del viva Pio IX al viva l’Italia diceva chiaramente che non volevansi solo le riforme del pontefice pei suoi stati, ma quelle in tutta l’Italia che assicurarle potessero nazionalità, libertà, indipendenza. Ci spiegheremo anche meglio dicendo senza tanti preamboli, che volevasi operare una completa rivoluzione.
Dietro queste premesse nulla di buono era a sperare dalla dimostrazione che preparavasi, e l’autorità era venuta nella determinaziane decisa di non permetterla. Erano stati a tal uopo dati degli ordini rigorosissimi, nel palazzo pontificio, alla truppa e all’arma politica d’impedirla. La stessa ufficialità civica era stata nella notte chiamata ad urgenza nei rispettivi quartieri. Da ciò una incertezza, e un allarme indicibile. Avresti detto essersi scoperta una vasta congiura per assaltare il Quirinale, essendochè le misure prese avean l’aspetto di volersi porre in sulle difese. Il Quirinale in somma sembrava poco meno che posto in istato d’assedio. Trista condizione dei governi quando sono trascinati ad amoreggiare coi popoli! I popoli sì, devono amarsi, educarsi, proteggersi, e far loro tutto il bene possibile; ma non ci si deve prendere troppa confidenza, nè farci all’amore: e con buona licenza del padre Ventura, dobbiam rammentare che tutti quelli che ci fecero all’amore, ebbero a pentirsene. Dal che consegue che al punto in cui erano spinte le cose, se si ammetteva la dimostrazione in discorso, si correva un rischio, una compromessa, e forse uno scandalo; non ammettendola, era necessità il premunirsi gagliardamente. E dato il caso che non ostante il divieto, la dimostrazione si fosse organata e avesse voluto forzare il passaggio, che cosa non sarebbe accaduto? Rifugge il pensiero dall’esprimerlo, ma un conflitto era certo, e in tal caso sariasi detto che i retrogradi avevan fatto spargere il sangue dei Romani per aver voluto impedire loro di augurare il buon capo d’anno all’amato sovrano. Il mondo tutto lo avrebbe creduto, e non un solo avrebbe approvato la determinazione del governo. E tutto ciò perchè il governo non ebbe la forza d’impedire le prime dimostrazioni.
Intanto i capi del movimento sgomentati e sorpresi da una misura sì insolita per parte del governo, e sentitane tutta la gravità, si venivano raggranellando e comunicando le idee sul da farsi, per dare lo scacco al potere, e assicurare il trionfo come dicevasi del popolo offeso. Sentivan ben essi ch’era ormai questione di vita o di morte, perchè, ove fosse riuscito una volta d’impedire le dimostrazioni, la rivoluzione era bella e spacciata.
Accostumati per quasi due anni a fare tutto ciò che avean voluto, non potevano rassegnarsi in un subito, e cedere l’impero della piazza (retto dal tribuno Ciceruacchio) ripristinando quello dell’autorità. Ad esasperare gli animi viemaggiormente, erasi sparso che le misure adottate dal governo eran non di difesa ma di offesa. Si diffuse allora un grido: al senatore Corsini, e molti recaronsi dal principe ottantenne, pregandolo a volersi presentare al pontefice e farsi interprete e mediatore dei voti del popolo, esponendogli la sua mortificazione nel vedersi posto in cattiva vista dell’amato sovrano. Non mancaron le consuete proteste di voler dare la vita e spargere il sangue per lui. Soliti colpi di scena che per chi conosce la storia e le umane malizie, non riescon cose nuove.
Acconsentì il senatore, e avendo al fianco il solito Luigi Masi, disse parole confortatrici dal balcone del suo palazzo al popolo sottoposto, il quale, fidato nelle parole del principe, tranquillamente si disperse. La presenza del Masi dice però chiaro qual fosse il colore della progettata dimostrazione, imperocchè egli era il capo degli agitatori amorosi tanto vagheggiati dal padre Ventura, e di tale efficacia ed abilità, che a lui fu ascritto il merito dal Montanelli di avere ottenuto la guardia civica, e di aver capitanato le passate dimostrazioni, delle quali questi ci dette perfino le relazioni dal Masi stesso inviategli.3 Ed è da ascriversi a merito di questo abilissimo agitatore, se stante la gentilezza de’ suoi modi e la sua affascinante eloquenza, la rivoluzione pacifica non trasmodasse, e il popolo non desse in eccessi.
Recatosi il Corsini dal Santo Padre, esponevagli la innocuità della dimostrazione, l’amore del popolo, il mal umore profondo in lui suscitato nel vedersi posto in cattiva vista, e quasi calunniato sulla sincerità dei suoi sentimenti di devozione e d’affetto: nè dissimulavagli il principe i pericoli cui andavasi incontro, perchè il popolo esasperato avrebbe potuto prendersela contro i consiglieri presunti delle adottate misure di resistenza.
Condiscese benignamente il pontefice alle preghiere del senatore, ed a provare ch’eran salde in lui l’affezione e la fiducia nel popolo, promise che l’indomani sarebbe uscito dal Quirinale espressamente per mostrarsi al buon popolo di Roma.
Mentre però attendevasi il risultato degli officî del Corsini e la risposta del papa, gli agitatori erano in continuo moto, ed i circoli non si restavano dal preparare il trionfo pel popolo. Era in tutti una smania, un’ansietà, una trepidazione indicibile, perchè si ragionava così: ricusandosi il pontefice, esser segno che il partito della resistenza prepoteva; cedendo poi alle domande essere indizio di debolezza nel governo e preludio di trionfo del popolo calunniato. Attendevasi insomma la risoluzione del problema, se fosse più forte il potere che resisteva, o la rivoluzione che l’attaccava.
L’indomani 2 di gennaio si conobbe, in genere, che il papa sarebbe uscito dal Quirinale per mostrarsi al popolo, ma ignoravasi l’ora. Intanto, verso le due pomeridiane, gremite essendo di gente le falde del Quirinale, ma in ispecie degli aggregati ai circoli, giunse l’annunzio che il pontefice sarebbe uscito in carrozza e senza scorta alle tre pomeridiane, per appagare (come dicevasi) i voti della popolazione. Dipingere con giusti colorì l’effetto di questo annunzio, non è da noi. Questo sì rammentiamo, che la notizia come lampo si diffuse per tutta la città. Fu allora un correre di tutti in tutti i sensi, lungo lo stradale che doveva percorrere il pontefice, ed un affaccendarsi per guarnire dì addobbi le finestre e i balconi. È da notare che prescindendo dai rivoluzionari, eranvi moltissimi i quali amavano e rispettavano il papa davvero, e che dispiacenti dello essere stati posti in cattiva vista (come credevano), desideravano ardentemente di esserne ribenedetti e ardevan dal desiderio di provargli cogli applausi ch’essi, quantunque sempre a lui devoti ed ossequenti, erano stati ingiustamente calunniati.
Alle tre difatti il Santo Padre uscì dal Quirinale, e passando per la via del Gesù, san Luigi de’ Francesi e la Fontanella di Borghese, entrò nel Corso. Gli applausi e le grida farnetiche non mai per l’innanzi eransi sentite sì forti al suo passare. Viva Pio IX gridavasi, ma gridavasi pure: abbasso Savelli (che era il governatore di Roma), abbasso la polizia, abbasso i carabinieri, morte ai neri, e morte ai Gesuiti. Ciceruacchio vedevasi trionfante sopra un cocchio dietro a quello del pontefice sventolando nelle mani un cartello ov’era scritto: Santo Padre giustizia: il popolo è con voi; e riceveva i saluti e le ovazioni di un popolo spinto al più alto grado di esaltamento. Il Santo Padre nel ritornare al Quirinale, come giunse alla salita delle Tre cannelle, fu preso da una specie di deliquio. Gli uni dissero cagionato da tenerezza e da commozione per gli applausi: gli altri, e più giustamente, per l’orrore che quelle grida insensate e feroci nell’animo suo dolcissimo produssero.
Fu accagionato da alcuni il Santo Padre di troppa condiscendenza per essersi mostrato in quel giorno al popolo romano, ma fu accagionato a torto. Avrebbe mal fatto è vero ad usare questa condiscendenza ove fosse stato perfettamente libero, ma non lo era, perchè la rivoluzione colla sua vasta rete abbracciava pure il Quirinale. Non diremo dunque che fu un bene l’uscire, ma al punto in cui eran le cose, non uscendo s’arrischiava molto, e si comprometteva quasi di certo la quiete della città e la sicurezza delle persone invise ai motori di cosiffatti disordini.
Questi sono i fatti dell’1 e del 2 di gennaio coi quali si disse essersi iniziato il regno dell’anarchia.
Volendo noi dare una spiegazione della condotta del governo in quest’emergente diremo ch’esso, un po’ tardi è vero, erasi avveduto dello sdrucciolo in cui versava.
Esso non voleva più dimostrazioni, nè i buoni Romani curavansene affatto, perchè eran divenute ormai un insulto alla morale, ed un’offesa alla buona fede del popolo romano. Il governo pertanto sia perr convinzione propria, sia perchè ammonito da estere corti a stare in guardia, volle far la prova d’impedire quella che sotto colore di complimento erasi organata, e di respingere i dimostranti occorrendo anche colla forza.
Ma la prova non riuscì, poichè sebbene non avesse luogo quella dimostrazione che il governo impedì, ebbe luogo una che fu assai più vitanda, in quanto che costituì il trionfo di quel partito che voleva abbattersi. Tanto è difficile di governare in tempo di rivoluzione, e di rivoluzione larvata come quella di cui tessiamo la storia!....
Che poi il governo avesse voluto por fine alle dimostrazioni ed attuare finalmente il prescritto dalla notificazione del cardinal Ferretti del 22 giugno decorso, chiaro rilevasi da un articolo che venne inserito sui fatti del 1° e 2 di gennaio nel giornale officiale4.
In detto articolo richiamando in vigore le leggi antecedenti sulle dimostrazioni pubbliche, se ne inculca assolutamente l’osservanza, come volontà governativa, aggiungendo che il popolo non ha più bisogno di ricorrere a queste manifestazioni irregolari, ora soprattutto che ha un suo degno rappresentante nel senato e consiglio di Roma.5
Queste ultime parole ci chiamano ad osservare che se le dimostrazioni popolari, fino a tanto che non vi era un municipio ed una comunale rappresentanza, organavansi in piazza, appena instituita quella che ha per motto Senatus Populusque Romanus, la piazza le doveva cedere il primato e la direzione, altrimenti, come abbiam detto che i circoli costituivano un governo dentro al governo, così dir potremmo che vi eran due popoli un dentro l’altro, l’uno rappresentato dall’autorità municipale, l’altro da Masi, Ciceruacchio e consorti.
Che poi la legale rappresentanza fosse tenuta in non cale da cotestoro, lo prova il fatto che il 1° e il 2° di gennaio il municipio non solo esisteva, ma aveva pubblicato un indirizzo al popolo romano col quale invitavalo in certo modo a porsi sotto la sua tutela, e pure nol fece.6 Che se per un momento si ricorse al senatore, non fu già perchè prendesse l’iniziativa della festa, ma per costituirlo il porta voce del così detto popolo offeso, e per fargli ottenere la rivincita sul potere: rivincita che pur troppo ottenne, con quanto abbiamo più sopra narrato.
Dicemmo in principio di questo capitolo che l’anno 1848 fu l’anno rivoluzionario per eccellenza, e ben ci apponemmo perchè i fatti del 1° e del 2° di gennaio ci han detto quale ne fosse l’inizio, i fatti che leggeremo ci diranno quale ne fosse la fine, perchè con atto solenne del governo provvisorio il 29 dicembre dell’anno 1848 proclamossi in Roma la costituente.
Ci siamo diffusi è vero su questo, episodio delle nostre storie, ma a noi parve soprammodo importante di svolgerne minutamente le particolarità, affinchè si conoscesse nel miglior modo possibile insieme colle cause, coi moventi, e coi segreti intendimenti di chi ne fu l’autore.
Potranno i nostri leggitori rinvenire alcuni cenni su questi fatti nel Ranalli7 e nel Farini.8 Poco esatti e veridici quelli del primo, migliori assai quelli del secondo. In quanto al resto potranno consultarsi i nostri documenti.9
Lo stesso giorno 2 gennaio in cui si disse che il regno dell’anarchia venne iniziato in Roma, davasi un banchetto di ottanta coperti al circolo romano ove si fecer dei brindisi alla principessa di Belgioioso che ne faceva parte, ed al generale inglese sir Frederick Adam.10
Il giorno 4 il cardinale Altieri trattò di lauto banchetto il senato ed il consiglio municipale di Roma. Esso come presidente di Roma e Comarca, rappresentava l’autorità tutoria del municipio.11
Le grida del 2 gennaio contro la polizia produr dovevano un qualche effetto e lo produssero, perchè l’assessore Dandini parente del cardinale Antonelli si dimise il giorno 4, e vennegli sostituito subito Francesco Perfetti di Pesaro che aveva già ricoperto un simile officio sotto il regno italico. Era il Perfetti accetto in sommo grado ai liberali che ne fecer l’elogio.12 Viene pure lodato per la sua fede sincera e pei suoi spiriti liberali dallo storico Farini. E convien dire che questi spiriti liberali fossero assai pronunziati, perchè secondo il Gigliucci era stato pei fatti del 1831 condannato, sotto il governo di Gregorio XVI, nientemeno che all’ergastolo in vita.13
La stessa sera del 4 gennaio si vide una di quelle scene che dicevansi figlie dell’amore di libertà e di patria. Era la principessa di Belgioioso la quale dopo essersi trattenuta in compagnia di molta gioventù al caffè delle Belle Arti, recavasi a piedi al circolo romano, e veniva lungo la strada ricevuta con una ovazione dal pubblico, in guisa che, giunta al circolo, trovossi costretta di affacciarsi al balcone, e ringraziare con affettuose parole il popolo sottostante.14
Intanto che questa scena semi-comica accadeva in una parte del Corso, altra e di ben altro genere vedevasene sul Corso stesso, la quale non si diceva a parole, ma era figlia in realtà dell’amore, del rispetto e della riconoscenza.
Era il cadavere del commendatore Don Carlo Torlonia rapito ai viventi il 31 del passato dicembre, che con pompa funebre, ma solennissima, dal suo palazzo in piazza di Venezia difilando pel Corso compieva il suo giro prima di essere depositato nella sua chiesa parrocchiale dei SS. XII Apostoli.
La popolazione tutta di Roma compresa da profondo dolore prese parte o come attrice o come spettatrice, pregando pace e riposo all’anima di quel giusto la cui perdita fu tanto sentita e compianta da ognuno.
Vi preser parte attiva la civica di cui era colonnello, la linea, tutta la officialità, lo stato maggiore, e anche buon numero di artisti, di servi, di beneficati, di amici. Chiudevano il funebre cortèo quelle povere ragazze orfane di padre e di madre, ch’egli faceva educare e manteneva a sue spese nel conservatorio che aveva a questo fine eretto in via sant’Onofrio.
Dopo la pompa funebre per la principessa Guendalina Borghese altra non erasi veduta in Roma così commovente e così numerosa, come questa pel commendatore Don Carlo Torlonia.15
Il giorno seguente poi ebbe luogo la messa funebre nella chiesa suddetta dei santi XII Apostoli, ed il giorno 8 un altro funerale nella stessa chiesa in suffragio dell’anima sua benedetta venne fatto celebrare a proprie spese dal battaglione secondo della guardia civica, del quale come dicemmo, era colonnello.16
Intanto giungevano avvisi in Roma che il giorno 3 avevano avuto luogo scene sanguinose in Milano fra il popolo e la soldatesca. Il popolo milanese aveva fino dal 1.° incominciato una dimostrazione anti-austriaca astenendosi dal fumare i sigari. Con ciò voleva dare un segno dell’odio che portava ai suoi dominatori, e produceva in pari tempo una diminuzione alle rendite di quell’esoso governo. Le soldatesche continuando a fumare irritarono siffattamente il popolo, che le prese a fischi, onde nacquero quei conflitti che cagionarono disgraziatamente non poche vittime nel popolo. Si sapevano le proteste delle congregazioni provinciali e di quei cittadini che aveanle firmate, come i Nazzarri, i Mancini, i Tommasèo; portati al cielo i loro nomi; esecrato ovunque il nome austriaco. Dominava per la intera città di Milano squallore ed incertezza sulle future sorti dello stato lombardo-veneto.
Queste eran le cose di cui parlavasi in Roma e che attraevano il vivo interesse di quei Romani che per più caldo sentire, sì occupavano delle cose pubbliche.
Non farà d’uopo di molte parole per persuadere che allo stato di effervescenza in cui già si era, aggiungendosi queste notizie, l’eccitamento toccò il suo colmo, massime nei circoli.
Fu allora che nel circolo romano si discusse e si compilò un indirizzo, il quale venne recato il 10 da una deputazione del circolo stesso alla Consulta di stato.17
Questo indirizzo redatto in nome del popolo romano e stampato come suol dirsi alla macchia in pessimo carattere, avea per iscopo di chiedere armi, armamento ed officiali esperimentati per ammaestrare le soldatesche, non che di dimandare altri apparecchi guerreschi, quasi che il governo pontificio fosse costretto a porsi in istato di guerra.
Riportiamo il detto indirizzo in sommario, e i nostri lettori possono rinvenirlo per intiero nella storia del Farini.18
Ci presenta il medesimo da principio a fine una catilinaria contro l’Austria, ed in ispecial modo contro le barbarie e le prepotenze di recente commesse dall’austriaco governo, e chiudesi con una caldissima perorazione, foggiata alla guisa di quelle del greco Tirteo, per chiamare enfaticamente il popolo alle armi.
Certamente chi lo considera ora con mente riposata, dovrà pur convenire che ciò che in allora chiamavasi un capo d’opera, ora sente d’insensatezza a tal segno da fare sbalordire come mai atti simili si elaborasser nelle sale del circolo, come una deputazione li presentasse, e come i consultori da senno accogliessero siffatte dimando. E ciò nello stato pontificio non solo, ma in Roma, e regnante un papa che a voce e in iscritto, sia come sovrano, sia come pontefice, cogli atti pubblici sotto forma di editti, notificazioni, circolari di segreteria di stato, encicliche ed allocuzioni, in tutti gli atti finalmente esprimenti la sua volontà, erasi sempre mostrato contrario alle armi, alla guerra, allo spargimento del sangue.
Questa mossa però non fu isolata, non fu per capriccio del circolo, ma fu collegata con quello che ordivasi negli stati limitrofi allo stato pontificio. Sapevasi già per segrete corrispondenze che Napoli era prossima a levarsi a romore, e che in Lombardia si anelava di venire alle mani. Cosi sarebbesi voluto compromettere il papa impegnandolo suo malgrado in preparamenti guerreschi.
Sembra che il Farini dimenticasse questo atto del circolo romano, altrimenti non avrebbe profuso, siccome lece, tanti elogi alla moderanza ed alla innocuità dei suoi atti.19
Accadde il giorno 11 la morte del cardinal Massimo, ministro dei lavori pubblici. Apparteneva egli ad una delle più antiche ed illustri famiglie romane, e delle più notevoli per attaccamento alla Santa Sede. Ma il cardinale sentendo troppo aristocraticamente, e poco o nulla ritenendosi amico delle riforme, non produsse compianto la sua perdita e se ne parlò appena per un momento come di cosa accaduta e nulla più.
Altra prova si ebbe in quei giorni che le teste erano riscaldate a segno da far cose che in tutt’altro tempo sarebbersi reputate ridicole, o per lo meno censurabili; imperocchè si videro pure alcuni ecclesiastici spettabili per dottrina e per intemerata condotta, partecipare alla malattia del giorno, che era la passione pei circoli.
Secondo la nostra opinione, coi circoli si corrompe la società, e secondo il pensare di que’ tempi, coi circoli tutto si acconciava. In prova di che la sera dell’11 gennaio in casa del canonico Tommaso Mazzani esimio professore di matematiche, si tenne da alcuni ecclesiastici che furon poi i fondatori del giornale il Labaro, la prima riunione del circolo degli ecclesiastici, e vi si lessero perfino gli statuti. Abbiamo però ragione di credere che poche riunioni avesser luogo, e che quindi il circolo ecclesiastico se ne andasse a poco a poco svaporando.20
I fatti di Milano del 3 di cui demmo un semplice cenno, eccitarono tale un sentimento di tristezza e di sdegno in presso che tutti i Romani, da non potersi descrivere. Va di per se che questi sentimenti venissero provocati e rinvigoriti dalla stampa da un lato, dal linguaggio dei circoli dall’altro.
A manifestare quindi i sentimenti di simpatia pei Milanesi, e quelli di avversione per gli Austriaci, si divisò di celebrare un funerale nella chiesa di san Carlo al Corso ch’è la chiesa nazionale dei Lombardi. Si era in tempi in cui tutto doveva farsi per dimostrazioni, e quindi anche le cerimonie ecclesiastiche servir dovevano a questo scopo. Ciò ebbe luogo il giorno 12. Non vi erano epigrafi allusive ai fatti occorsi. Ad onta del pessimo tempo il concorso fu grande. I promotori di questo funerale per verità non furon Romani, ma alcuni Lombardi che a Roma in quel tempo trovavansi. Riportiamo le parole del Contemporaneo per conoscere le persone che vi furon presenti.
«Molte signore pur vestite a lutto intervennero, e tra quelle di Milano in distinto posto collocate si notava la italiana e riverita principessa di Belgioioso, la marchesa D’Adda, la contessa Visconti, la contessa Pasolini, la marchesa Spinola, la vedova di Federico Confalonieri, e la marchesa Pallavicino di Genova. E tra i Milanesi i signori G. Litta, e G. T. D’Adda promotori, il conte Passalacqua, il marchese commendatore Guerrieri Gonzaga, A. Isimbardi, G. Poldi, il veneziano poeta dall’Ongaro, e quanti altri Lombardo-veneti hanno in Roma dimoranza. Vi assistevano numerosamente rappresentati tutti i casini di Roma, il circolo romano, gli artisti principalmente i Lombardo-veneti, i giovani dell’università con velo nero anch’essi e ramo di cipresso, alcuni consultori di stato, la civica, e il battaglione della speranza.
Cantò la messa monsignor don Francesco Morelli, che molto si adoperò. A questo solenne rito diedero carattere significativo la presenza di monsignor Borromeo cameriere segreto di Sua Santità Pio IX, dell’inglese generale Adam e del marchese Pareto ministro del re di Sardegna21.»
Trattandosi di suffragare gli estinti troviamo che fecer bene d’intervenire alla messa funebre tutti quelli che vollero prender parte alla pia cerimonia, poiché le sventure patite dai loro fratelli italiani commossero al vivo ogni ceto di persone; ma è cosa singolare che, mentre coll’articolo inserito nel giornale officiale del giorno 8 si manifestava il desiderio del governo di non voler più dimostrazioni, colla messa in san Carlo al Corso se ne dette una delle più significative.22
Mentre in Lombardia covavansi le ire che poi nel marzo eromper dovevano in aperta rivolta contro gli Austriaci, la città di Palermo si ribellava contro la dominazione dei Borboni. Noi non vogliamo qui discutere la questione di diritto che venne trattata estesamente dal padre Ventura,23 non che da altri scrittori che ne hanno parlato, e dei quali per norma dei nostri lettori sottoponiamo i nomi ed il titolo delle opere che ci hanno lasciato.24 Solamente ci contentiamo di porre in chiaro i moventi della insurrezione affinchè vedano tutti se fosse spontanea o organizzata ancor essa da lungo tempo in estere officine, le quali a tutto ciò che in Italia facevasi davano il loro impulso.
Dall’esame pertanto dei documenti che porremo in evidenza risulterà ch’essa non fu spontanea ma concertata preventivamente.
Racconta Felice Orsini nelle sue Memorie25 che «nell’inverno del 1847 partì per la Sicilia Giuseppe La Masa coll’intento di dare indirizzo alla insurrezione. Da Palermo scrisse che la merce sarebbe stata venduta il giorno 12 di gennaio; e lo fu. La rivoluzione scoppiò nel giorno indicato.»
È dunque evidente che si costituì un direttorato per la rivoluzione che si volea suscitare, e questo direttorato emise le sue istruzioni stampate al popolo per farlo insorgere, mediante un foglietto ove si assegna il giorno l’ora, il luogo, ed il modo. Questo documento importantissimo che possediamo nella nostra raccolta, merita di essere qui da noi trascritto per intiero. Eccolo:
Dichiarazione.
«Le masse armate che dall’interno del regno corrono a prestare man forte alla causa nazionale prenderanno posizione nei vari punti delle nostre campagne indicati dai rispettivi condottieri. Costoro dipenderanno dagli ordini del comitato direttore composto dei migliori cittadini di ogni rango.
» La popolazione di Palermo uscirà armata di fucili all’alba del 12 di gennaio, mantenendo il più imponente contegno, e si fermerà nelle parti centrali, aspettando i capi che si faranno conoscere e la dirigeranno. Non si tirerà sulla truppa se non dopo serie provocazioni ed aperte ostilità.
» In questo intervallo nessuno ardisca di criticare gli ordini ed i provvedimenti del comitato. Ciò è del massimo interesse, perchè non si alteri la esecuzione del piano generale diretto ad assicurare i destini della nazione e la salute pubblica.
» Qualunque movimento che sarà suscitato in Palermo e fuori prima del giorno 12, si avverte essere manovra di quella polizia che cerca di aggravare le pubbliche catene.
» Non si domanderanno contribuzioni ai proprietari quando non siano volontarie, e spontaneamente esibite. Ciò serva a smentire quanto la polizia va indegnamente praticando per discreditare il comitato, incapace di esercitare concussioni di migliaia di onze a carico dei negozianti e proprietari.»
- Palermo, 10 gennaio 1848.
Il Comitato Direttore.26
Il Ranalli riporta nella sua storia un brano del detto documento27, e parla diffusamente sul come passaronsi le cose nel momento della insurrezione. La Pallade pure annunziò la tanto desiderata rivoluzione di Palermo in due articoli, uno dei quali è intitolato L’Etna ha scoppiato.28 Ne parla pure distesamente il Farini.29
Noi non neghiamo che vi fossero in Sicilia molte disposizioni per insorgere, e molti individui già pronti a prendervi parte; solo affermiamo, perchè lo rileviamo da documenti storici, che la insurrezione di Palermo era stata tramata all’estero dai caporioni del partito, e che il modo di effettuarla era stato concertato preventivamente.
Racconta a questo proposito Pier Silvestro Leopardi, che fu poi ministro di Napoli presso Carlo Alberto, che: «i liberali napoletani se la sentivano da gran tempo co’ liberali siciliani; e cercando d’accordo i mezzi di sottrarsi alla comune oppressione, s’erano scambiati incoraggiamenti d’ogni specie, pegni segreti di fratellanza, e persino pubblici indirizzi co’ quali facevasi reciproca abnegazione d’ogni mal intesa boria municipale. Se non che alcuni potenti Palermitani, di coloro cui sembra mesta e sconsolata la vita senza gli splendori e le burbanze d’una regia corte, covavano ancora l’antica brama, sì poco nazionale, di una compiuta separazione dell’isola dal continente, e offerivano di voler prendere l’iniziativa della rivoluzione in Palermo qualora si consentisse alla indipendenza della Sicilia.» E poi aggiunge che Francesco Paolo Bozzelli, allora ministro in Napoli, accoglieva quell’offerta.30
Sia dunque che la mossa di Palermo fosse l’effetto di quest’accordo fra i liberali napoletani ed i potenti Palermitani, sia che vi fosse associato l’elemento mazziniano, di che sarebbe indizio il vedervi mischiati o consapevoli un avvocato Felice Orsini ed un colonnello La Masa, sia che scaturisse dall’azione congiunta di questi elementi, egli è certo che il movimento fu concertato preventivamente, e questo a noi basta di porre in chiaro.
I fatti di Palermo non si conobbero in Roma con positiva certezza, e polle desiderate particolarità che verso il 20 di gennaio; e quando si seppero, non è a dirsi l’eccitamento che produssero e le speranze che ravvivarono in lutti coloro che costituivano la parte attiva del movimento italiano.
Volendo parlare di alcune misure che si presero sulla stampa nel mese di gennaio diremo che fin dal giorno 8, furono eletti i nuovi censori ed erano:
- Boero padre Domenicano.
- De Crollis dottore Domenico.
- Carnevalini avvocato Angelo.
- Sorgenti abate Don Fabio.31
Erano tutti uomini dotti e di buon senso, e parvero adattati ai tempi. La scelta del Sorgenti piacque meno delle altre.
Il 13 mediante una circolare di monsignor Amici, il giornale officiale veniva posto sotto la direzione suprema del ministro dell’interno.32
Il 15 gennaio venne eletto il commendatore Francesco De Rossi a colonnello del secondo battaglione civico in luogo del defunto commendatore Don Carlo Torlonia.33
Il 17 venne assunto dal nostro giornale officiale il titolo di Gazzetta di Roma.34 Nel primo numero di detta gazzetta si lesse la elezione di monsignor Giovanni Rusconi a ministro dei lavori pubblici35 e del commendatore Don Pompeo dei principi Gabrielli a ministro delle armi.36
I tempi erano gravidi di avvenimenti e desiderio di libertà ognor crescente; fu quindi forza all’autorità di condiscendere all’esigenze del momento permettendo che si desse in teatro la Virginia di Alfieri, la quale mai per lo innanzi era stata rappresentata sulle pubbliche scene in Roma. Ciò accadde nel teatro Valle la séra del 17 gennaio,37 Nel detto giorno il Santo Padre tenne concistoro segreto ove pronunziò l’allocuzione. «Non dubitamus profecto.» Provvide a due chiese arcivescovili e sei vescovili, e pubblicò cardinale monsignor Carlo Vizzardelli di Monte san Giovanni.38
Tornò in quel tempo di molto gradimento al Santo Padre il bel presente di un ostensorio d’argento dorato, guernito di perle e pietre preziose, inviatagli dal re dei Francesi Luigi Filippo. Ne parlò la gazzetta officiale.39
Registreremo pure per memoria delle cose occorse nel mese di gennaio la elezione a segretario del municipio di Giuseppe Rossi accaduta il 19. Ottenne egli la preferenza sopra un numero immenso di competitori, dei quali si pubblicarono non solo i nomi, ma eziandio una corta biografia.40
Il giorno 20 gennaio venne aperto in Roma il primo asilo infantile nel rione Trastevere.41
Il 21 partì per la sua destinazione come legato di Ravenna il cardinal Gabriele Ferretti, ed il Santo Padre elesse a suo successore nel carico di segretario di stato il cardinale Giuseppe Bofondi forlivese.42
Il 22 poi nella chiesa universitaria si celebrò una messa funebre per gli studenti di Pavia, uccisi in un conflitto coi soldati austriaci. L’abate Mazzani ed il padre Gavazzi predicarono43, e la predica del Gavazzi fu consegnata alle stampe.44
La tristezza dei fatti del 3 in Milano, dei più recenti di Pavia, ed i lutti di Palermo per i conflitti colle truppe regie, ispirarono alla Pallade un articolo contro i divertimeati del carnevale, cui prepose per titolo-: Cannoni e non maschere.45
Lo stesso giornale la Pallade ci dette i nomi di ventiquattro giovani che concorsero all’uditorato della Consulta di stato, che messi allo scrutinio con molti altri concorrenti, riportarono il maggior numero di voti. Furono essi i seguenti:
Amedei Luigi |
Natalucci Vincenzo. |
Chiudevasi il mese di gennaio colle prime notizie che a Roma pervenivano dei moti di Napoli e delle conseguenti concessioni del re. Di ciò peraltro si terrà proposito nel seguente capitolo che sarà il secondo del secondo volume.
Note
- ↑ Vedi il Journal des débats dell’8 gennaio 1848.
- ↑ Vedi il detto giornale dell’11 detto alla terza pagina.
- ↑ Vedi Montanelli, vol. I, da pag. 144 a pag. 147.
- ↑ Vedi il Diario di Roma dell’8 gennaio 1848.
- ↑ Vedi il Diario di Roma dello stesso giorno.
- ↑ Vedilo nel IV vol. Documenti al num. 1. — Vedilo per extensum in sommario sotto il num. 12.
- ↑ Vedi Ranalli, vol. I, pag. 169.
- ↑ Vedi Farini, vol. I, pag. 316.
- ↑ Vedi i Documenti del IV vol. dal n. 1 al n. 4. — Vedi pure il Roman Advertiser dell’8 gennaio 1848.
- ↑ Vedi l'Italico del 2 gennaio 1848. — Vedi il Contemporaneo del 4 detto.
- ↑ Vedi l’Italico del 6 gennaio 1848.
- ↑ Vedi la Pallade del 7 gennaio. — Vedi il Contemporaneo dell’11 detto.
- ↑ Vedi Gigliucci, vol. II, pag. 55.
- ↑ Vedi l’Italico del 5 gennaio 1848.
- ↑ Vedi le Notizie del giorno del 3 gennaio 1848. — Vedi la Pallade del 5 detto. — Vedi l’Italico del 5 detto. — Vedi il Contemporaneo del 6. —
- ↑ Vedi il Contemporaneo dell’11 detto.
- ↑ Vedi il giornale la Speranza del 15 gennaio 1848.
- ↑ Vedi il sommario n. 13. — La Pallade del 17 — la Speranza del 15 e il Documento n. 6 del IV vol. Documenti.
- ↑ Vedansi le nostre osservazioni sul circolo romano nel capitolo XVI del vol. I.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 13 gennaio 1848, pagine 22.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 13 gennaio 1848 seconda pagina.
- ↑ Vedi la Pallade n. 140.
- ↑ Vedi padre Ventura, Memoria pel riconoscimento della Sicilia. Roma 184S in-fog. picc. — Vedi padre Ventura, Questione sicula nel 1848. Miscellanee volume LXIII n. 6. — Vedi padre Ventura, Menzogne diplomatiche Roma 1849 in-12.
- ↑ Vedi Castiglia, La questione sicula nel vol. XXXII delle Miscellanee n. 1. — Vedi Palmieri Niccolò, Saggio storico politico sulla costituzione del regno di Sicilia. Losanna 1847 in-8. — Vedi Hervas de Saint-Denis, Histoire de la revolution dans les deux Siciles. Paris 1856 in-8. — Ruggero Settimo e la Sicilia. Palermo 1848 in-12. — Vedi La Sicilia nel marzo 1849. Miscellanee vol. XXXIX n. 5. — Archivio triennale delle cose d’Italia, Capolago 1850 e 1855 vol. III in-8. — Vedi baron Malvica, Consigli a mia figlia. Palermo 1856 in-8.
- ↑ Pagina 58.
- ↑ Vedi il detto foglietto nel vol. IV. Documenti n. 6 A. — Vedilo in padre Ventura, Menzogne diplomatiche, pag. 156.
- ↑ Vedi Ranalli vol. II dalla pag. 66 alla pag. 75. Il brano del documento è alla pag. 68.
- ↑ Vedi la Pallade del 15 e del 17 gennaio 1848,
- ↑ Vedi Farini, Lo Stato Pomano, vol. II, pag. 330 terza edizione.
- ↑ Vedi Narrazioni Storiche di Pier Silvestro Leopardi, Torino 1856 pagine 73.
- ↑ Vedi il Contemporaneo dell’8 gennaio alla pag. 9.
- ↑ Vedi Motu-proprî ecc. vol. I num. 28.
- ↑ Vedi la Pallade del 17 gennaio.
- ↑ Vedi la circolare del ministro dell’interno nel I vol. Motu-proprî num. 28.
- ↑ Vedi il suo ordine del giorno nei I vol. Motu-proprî num. 30.
- ↑ Vedi il suo ordine del giorno in detto vol. num. 31.
- ↑ Vedi la Rivista num. 8 — Vedi il IV vol. Documenti num. 15.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 18 gennaio 1848.
- ↑ Vedi la detta Gazzetta di Roma del 21 detto.
- ↑ Vedi la lista dei nomi nel IV vol. documenti num. 12.
- ↑ Vedi il Contemporaneo pag 35 e 41 dell’anno 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 21 gennaio 1848.
- ↑ Vedi la Pallade del 22 gennaio e il Contemporaneo di detto giorno.
- ↑ Vedila fra i documenti del IV vol. num. 16.
- ↑ Vedi la Pallade, num. 149.
- ↑ Vedi la Pallade, del 24 gennaio 1848, num. 150.