Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo II

Capitolo II

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CAPITOLO II.

[Anno 1848]


Moti nel regno di Napoli. — Decreto del re del 18 gennaio, e decreto successivo del 29 per accordare la costituzione. — Effetto prodotto in Roma. — Feste che ne seguirono il 31 gennaio e 3 febbraio. — Proposte del commendator Feoli per rialzare la valuta di alcune monete. — Arrivo in Roma del cardinale Bofondi, nuovo segretario di stato. — Scioglimento della società fra il marchese Banzi e Leopoldo Fabbri per la linea di strade ferrate da Roma al confine di Modena per Ancona e Bologna. — Partenza per Napoli del marchese Dragonetti e della principessa di Beigioioso.


Raccontammo nelle pagine precedenti che Messina erasi levata a rumore; facemmo menzione dell’indirizzo dei Piemontesi al re di Napoli, indirizzo al quale una parte dei membri del circolo romano apposero la loro adesione; e ricordammo infine la insurrezione di Palermo accaduta il giorno 12 gennaio.

Queste cose riunite bastavan già di per se stesse a porre in iscompiglio la reggia di Ferdinando II. Aggiungasi a questo l’eccitamento costante che le larghezze di Roma producevano nelle fervide menti dei Napolitani, la pubblicazione puranco di uno scritto virulento contro il governo del re, e le condizioni presenti dei popoli di quel reame.

Questo scritto al quale venne apposto il titolo di Protesta del popolo delle Due Sicilie, e che si attribuì all’avvocato Settembrini, ebbe un successo indescrivibile, e parve creato per colmare la misura; cosicché, a prevenire quella esplosione che ormai ritenevasi certa (tanto più che in Palermo erasi già palesato del movimento), fa indotto il re ad entrare nella via delle riforme, ed il 18 di gennaio [p. 27 modifica]apparvero vari decreti sulla stampa, sulla consulta di stato e sull’amministrazione particolare della Sicilia. Anche gli accusati per delitto di lesa maestà ottennero un decreto di amnistia, ma il partito anti-regio che già dominava, non solo non ne mostrò gradimento, ma respinse disdegnosamente le reali concessioni, pronunziando il famoso in quei tempi è troppo tardi. Fu in pari tempo allontanato dalla corte il confessore del re monsignor Cocle, e mandato bruscamente in bando il fino allora onnipotente Del Carretto.

Produssero queste riforme, quantunque non fossero di gran rilievo ed emananti non tanto dalla libera volontà, quanto dall’incipiente timore di futura ed imminente esplosione, una sensazioni piacevole nell’animo degli agitatori in Roma il cui numero andavasi giornalmente ingrossando; quando sul finire di gennaio si venne a conoscere che in seguito di una dimostrazione accaduta il giorno 27, il re si era indotto il 29 a promulgare un decreto col quale prometteva ai suoi popoli la costituzione.1

Detto decreto era concepito nei termini seguenti:


FERDINANDO II

per la grazia di dio

re del regno delle due sicilie e di gerusalemme

duca di parma piacenza castro

gran principe ereditario di toscana.


«Avendo inteso il voto generale de’ nostri amatissimi sudditi di avere delle guarentigie e delle istituzioni eonformi all’attuale incivilimento, dichiariamo di esser nostra volontà di condiscendere a’ desideri manifestatici concedendo una costituzione; e perciò abbiamo incaricato il nuovo nostro ministro di stato di presentarci [p. 28 modifica]non più tardi di dieci giorni, un progetto per esser da noi approvato sulle seguenti basi:

» Il potere legislativo sarà esercitato da noi e due camere, cioè una di pari, e l’altra di deputati: la prima sarà composta d’individui da noi nominati, la seconda lo sarà di deputati da scegliersi dagli elettori sulle basi di un censo che verrà fissato.

» L’unica religione dominante dello stato sarà la cattolica apostolica romana, e non vi sarà tolleranza di altri culti.

» La persona del re sarà sempre sacra, inviolabile, e non soggetta a responsabilità.

» I ministri saranno sempre responsabili di tutti gli atti del governo.

» Le forze di terra e di mare saranno sempre dipendenti dai re.

» La guardia nazionale sarà organizzata in modo uniforme in tutto il regno, analogamente a quella della capitale.

» La stampa sarà libera e soggetta solo ad una legge repressiva per tutto ciò che può offendere la religione, la morale, l’ordine pubblico, il re, la famiglia reale, i sovrani esteri e loro famiglie, non che l’onore e gli interessi de’ particolari.

» Facciamo noto al pubblico questa nostra sovrana e, libera risoluzione, e confidiamo nella lealtà e rettitudine de’ nostri popoli per veder mantenuto l’ordine e il rispetto dovuto alle leggi ed alle autorità costituite.»

» Napoli, il dì 29 di gennaio 1848.


(firmato) FERDINANDO


Il Ministro Segretario di Stato

Presidente del Consiglio de’ Ministri.

(firmato) Duca di Serra Capriola.2


[p. 29 modifica]Questo decreto imprevisto, questo muoversi del re di Napoli, non come gli altri sovrani d’Italia gradatamente con qualche riforma, ma promulgando repentinamente la costituzione, riempiè gli animi in Roma, agli uni di contento inenarrabile, agli altri, e furono i più, di sorpresa e timore.

Riusciva inesplicabile per tutti come quest’uomo, il quale aveva resistito fino allora, più che agli eccitamenti, all’esempio di uno stato vicino, ricusandosi d’introdurre riforma di sorta alcuna, consentisse di. accordare una costituzione ex abrupto, amando meglio di fare un salto pericoloso, piuttostochè pochi passi misurati!

Sembrò di ravvisare in lui l’esempio di quei destrieri avviziati cui non vale nè sprone nè sferza per muovere, e che poi, con un subito slancio, si abbandonano ad immoderata carriera.

Si disse quindi da molti, ed appunto perchè si disse, noi per dovere di cronisti dobbiamo tramandarlo ai nostri posteri, ch’egli, stanco e annoiato dalle sollecitazioni e vessazioni che violentavan la sua volontà, vedendosi esposto solo alle odiosità della resistenza, dicesse agli altri sovrani della penisola presso a poco cosi: «Or bene, voi che fino ad ora per la vostra fiacchezza cedendo, avete voluto pormi nell’imbarazzò, accendendo prima il fuoco in casa vostra per quindi appiccarlo in casa mia, abbiatevi ora il guiderdone meritato con una misura di governo, che, mentre porrà voi in quell’imbarazzo nel quale avete posto me, vi obbligherà ad imitare il mio esempio. Abbiatevi dunque questo guiderdone, il quale varrà per me come un giusto sfogo di vendetta. Al punto in cui avete condotto le cose presto o tardi si sarebbe dovuto venire a questo passo, ed io prima che mi vi si spinga colla violenza, vuo’ farlo prendendone io stesso la iniziativa.»

Si disse, ripetiamo, che se il re di Napoli pur non facesse apertamente questo discorso, in cuor suo dicesse a un dipresso così.

[p. 30 modifica]Non è a dire quale impressione producessero i fatti sovraccennati, che accaduti il 29 in Napoli si riseppero in Roma il giorno 31. E tale fu il desiderio di mostrarne il tripudio che senza consultare il municipio (ch’era l’autorità tutrice del popolo), si detter subito segni di pubblica esultanza.

Difatti la stessa sera del 31 i casini posero i lumi alle finestre. Una dimostrazione ebbe luogo sotto quelle del ministro sardo. Al teatro di Apollo si cantò il così detto inno di Pio IX (ch’era inno poco men che repubblicano), e rannodaronsi dai palchi i fazzoletti, come segno di unione e fratellanza.3

In seguito di che il municipio romano, conscio dei preparamenti che facevansi per solennizzare un sì strepitoso avvenimento, qual era la subita trasformazione del reame di Napoli da governo assoluto a governo costituzionale, ordinò che si celebrasse una festa il giorno 3. Il municipio intendeva con ciò di non farsi (come sogliono dire) rubar la mano, perchè era più che persuaso che, pure non ordinando egli la festa, essa avrebbe avuto luogo non ostante che non vi fosse la licenza de’ superiori.

L’invito del municipio, quantunque porti la data del primo febbraio, non fu inserito in gazzetta che il giorno 3.4 Considerandolo come un atto importante perchè racchiude un principio politico, crediamo di riportarlo. Esso è del seguente tenore:

il senato al popolo romano.


«Il grande avvenimento che in un regno a noi vicino fece cessare gli orrori della guerra civile, e l’agitazione che ne proveniva nella intiera penisola, ha giustamente [p. 31 modifica]eccitato in tutti i cuori la gioia per la pacificazione di una parte così bella ed importante d’Italia.»

«Romani!

» L’augusto nostro sovrano è quegli a cui si debbono principalmente questi successi, che gli uni dopo gli altri hanno operato il felice accordo dei regnanti coi popoli nel sistema del progresso civile, asciugate tante lacrime, e risparmiato tanto sangue. Ogni dimostrazione di giubilo in tali eventi, come è segno di compiacenza per la fausta sorte di tanti nostri fratelli, così è un doveroso attestato di ringraziamento a colui il quale diede spontanéamente riforme analoghe a’ voti ed alle speranze comuni, che diverranno più stabili di quelle rese altrove necessarie da speciali circostanze, e che perfezionate dalla sua gran mente, saranno eterne come il suo nome.

» Il senato v’invita a festeggiare nel giorno 3 di febbraio la pace del regno delle due Sicilie con una generale illuminazione.

   » Dal Campidoglio.
» Il primo febbraio 1848.


» Tommaso Corsini senatore,
Conservatori

» Marc’Antonio Borghese,
» Filippo Andrea Doria,
» Clemente Laval della Fargna,
» Carlo Armellini,
» Vincenzo Colonna,
» Francesco Sturbinetti,
» Antonio Bianchini,
» Ottavio Scaramucci,

» Giuseppe Rossi segretario.nota»

5 [p. 32 modifica]Allietavasi il municipio per un avvenimento che riteneva foriero di felicità pel reame di Napoli. Forse in quel punto dimenticando la storia della costituzione dell’anno 1820 e delle sue conseguenze, e simpatizzando tuttavia pel nuovo ordine di cose che in quel regno venivasi svolgendo, gli parve di sentire l’olezzo soave delle rose napoletane. È a credersi pertanto che, dotato il romano municipio di un olfato più squisito di quello degli altri, sentisse da lunge odore di felicità là ove dal tradimento venivansi spargendo i germi di lutti lacrimevoli e di future perturbazioni.

Comunque si voglia, siccome, ad onta dei divieti del Quirinale, una dimostrazione avrebbe avuto luogo inevitabilmente, operò con saviezza il municipio, facendo apparire che concedeva ciò che certo si sarebber preso.

La festa dunque ebbe luogo il 3 mediante una processione numerosissima, prima al Campidoglio e quindi al Foro romano. Nella destra della statua equestre di Marc’Aurelio, ch’è sul piazzale del Campidoglio, si pose una bandiera tricolore. Si cantò dal popolo l’inno siciliano di Sterbini, posto in musica dal maestro Magazzari.6

Detto inno diceva cosi:

Viva viva l’invitta Palermo,
Viva viva Partenope bella,
Viva viva d’Italia la stella
Che a risplendere in cielo tornò.

Anche il Meucci in quella occasione compose un inno 7 ed il Friulano dall’Ongaro uno stornello su Marc’Aurelio colla bandiera tricolore in mano.8 La sera vi fu luminaria in città.

[p. 33 modifica]Si videro in quel giorno, ed in gran numero, le prime coccarde coi tre colori italiani, segno che ormai la rivoluzione avvicinava» al suo compimento.

Possono leggersi a piè di pagina i nomi dei giornali che parlarono della festa del 3 febbraio 1848.9

Lo stesso, giorno 3 febbraio il principe di Piombino colonnello del terzo battaglione civico, dovette recarsi alle carceri nuove per togliere uri civico che vi em stato condotto perchè imputato di qualche delitto, e con ordine superiore consegnarlo nel forte di castel S. Angelo. Si attribuì il motivo di questa traslazione a pretesi oltraggi fattigli dagli altri carcerati. Fosse o non fosse ciò la verità, fu savio divisamento il toglierlo di colà onde far cessare un principio di effervescenza che si andava manifestando, tanto più che il carceramento aveva avuto luogo per ordine del Cardinal vicario.10 Ne parla anche il Farini nella sua storia.11

Ed in quel giorno stesso partì per Napoli lord Minto, del quale abbiam parlato lungamente sotto la data del 3 novembre 1847.

Facemmo menzione in fine del capitolo XXIII del primo volume di un rapporto di monsignor Morichini ministro delle finanze, sullo stato presente e futuro di questo ramo importantissimo dell’amministrazione della cosa pubblica.

Non era lusinghiero, secondo quel rapporto, lo stato presente, risultando dal medesimo un deficit di oltre un milione di scudi romani, il quale poteva però essere alleggerito in futuro mediante la proposta che faceva di alcuni miglioramenti.

[p. 34 modifica] Intanto, la necessità di provvedere all’esercizio dell’anno 1848 prima che potesse farsi ragione pratica dei miglioramenti proposti, obbligò il Morichini a contrarre un prestito di un milione di scudi colla casa de la Hante e Compagnia di Parigi. Il prestito fu contrattato il 12 gennaio al saggio del novantaquattro per cento, con frutti al cinque per cento ogni anno, ed un per cento annualmente per l’ammortizzazione.

Venne annunciato e magnificato il detto affare in un articolo che vide la luce nella Gazzetta di Roma del 31 gennaio12, e nel quale, senza dirlo chiaramente, si professa il principio che a cose nuove vi vogliono uomini nuovi; perchè si volle uscire dalla dipendenza, o meglio emanciparsi dalla casa Rothschild di Parigi colla quale (meno il prestito di Genova, che fu negoziato col Torlonia) erano stati contrattati tutti i prestiti dal 1831 in poi. Egli è chiaro che in quel momento non si voleva più nè del Torlonia, nè de’ Rothschild.

Le condizioni al certo non furon cattive. Restava soltanto a vedere se la casa contraente presentasse tali elementi di solidità da somministrare una garanzia per la esecuzione del contratto, cosa che col Rothschild o col Torlonia non avrebbe al certo mancato. Ci dispensiamo dunque dall’investigare sulla solidità del de la Hante.

Questo si sappiamo che al primo soffio della francese rivoluzione del febbraio sospese i suoi pagamenti, e convenne più tardi al governo pontificio restituirgli i centomila scudi che aveva pagato in anticipazione. Non fu dunque da glorificarsi gran fatto di questa operazione finanziaria conclusa dal pontificio governo sotto il tesorierato di monsignor Morichini.

Altra misura di finanza, opportunamente immaginata dal commendatore Agostino Feoli governatore della banca romana, proponeva al Santo Padre in sullo scorcio del mese [p. 35 modifica]di gennaio di portare il pezzo di cinque franchi da novantatre baiocchi a novantatre baiocchi e mezzo, il francescone da sc. 1,02 ½ a sc. 1,04, e la pezza napolitana da baiocchi novantatre a baiocchi novantaquattro. Proponevasi il Feoli mediante questo aumento di chiamare in Roma l’argento effettivo in un momento in cui incominciava a scarseggiare. La proposta però non venne accettata. Rimandiamo i nostri lettori al documento che indichiamo a piè di pagina, ov’è la esposizione dei considerando che suggerirono siffatta misura.13

Nella notte del 31 gennaio giunse in Roma il Cardinal Giuseppe Bofondi nuovo segretario di stato, ed il primo di febbraio assistè subito al Consiglio de’ ministri.14

Il 4 di febbraio ci annunziò la Gazzetta di Roma che il marchese Annibale Banzi e Leopoldo Fabbri non avendo adempiuto alle condizioni stipulate per la linea di strade ferrate da Roma al confine di Modena per Bologna e Ancona, la società fra i medesimi veniva di sciolta.15

E sotto lo stesso giorno dobbiam pure registrare la partenza per Napoli del marchese Dragonetti e della principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso.16




Note

  1. Vedi nel vol. IV, dei Documenti i numeri 25, 26 e 27.
  2. Vedi Farini, vol. I, pag. 334.
  3. Vedi la Pallade num. 156 e 157. — Vedi la Rivista del 10 febbraio 1848.
  4. Vedi la Gazzetta di Roma del 3 febbraio 1848.
  5. Vedi la Gazzetta di Roma del 3 febbraio 1848.
  6. Vedi Documento num. 28 del vol. IV.
  7. Vedi Documento num. 29 del vol. IV.
  8. Vedi la Pallade num. 159 terza pagina.
  9. Vedi la Gazzetta di Roma del 4 febbraio 1848. — Il Contemporaneo del 5 detto pag. 57 e 58. — La Rivista del 10 pag. 10. — La Pallade num. 159.
  10. Vedi la Pallade num. 158 in un articolo intitolato l'Umanità riscattata.
  11. Vedi Farini nel vol. I, pag. 335.
  12. Vedi la Gazzetta di Roma del 31 gennaio 1848, prima pagina.
  13. Vedi il rapporto del commendator Feoli sotto il nnm. 22 del vol. IV Documenti.
  14. Vedi la Gazzetta di Roma del 3 febbraio 1848.
  15. Vedi la Gazzetta di Roma del 4 febbraio 1848.
  16. Vedi la Pallade num. 159.