Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XXI
Questo testo è completo. |
◄ | Capitolo XX | Capitolo XXII | ► |
[Anno 1847]
Finalmente quella Consulta di stato ch’era tanto desiderata dai liberali del giusto mezzo, che veniva consigliata al papa Gregorio XVI dai rappresentanti di cinque primarie potenze nel così detto Memorandum del 1831, che fu concessa dal regnante e clementissimo pontefice Pio IX ai suoi stati, annunziata con atto del suo segretario di stato del 19 di aprile decorso, e festeggiata superlativamente in Roma la sera del 22, quella Consulta diciamo, installavasi il 15 novembre dell’anno 1847.
Il Santo Padre presentossi la mattina circa alle ore 8 antimeridiane nella sala del trono del suo palazzo al Quirinale. Attendevanlo ivi il cardinale giacomo Antonelli presidente della Consulta di stato, monsignore Amici vice-presidente, od i ventiquattro consultori ch’erano i seguenti:
1. | Il principe Don Francesco Maria Barberini per Roma. | |
2. | Il principe Don Pietro Odescalchi | per la Comarca. |
3. | L’avvocato Giuseppe Vannutelli | |
4. | L’avvocato Giuseppe Lunati | |
5. | L’avvocato Luigi Santucci per Velletri. | |
6. | L’avvocato Antonio Silvani | per Bologna. |
7. | Marco Minghetti | |
8. | Il conte Gaetano Recchi per Ferrara. | |
9. | Il conte Giuseppe Pasolini per Ravenna. | |
10. | Il marchese Luigi Paolucci per Forlì. | |
11. | Il conte Luigi Mastai per Urbino e Pesaro. | |
12. | Il conte Lauro Lauri per Macerata. | |
13. | Annibale dei principi Simonetti per Ancona. | |
14. | Il conte Pompeo di Campello per Spoleto. | |
15. | L’avvocato Luigi Ciofi per Viterbo. | |
16. | Michele Adriani per Fermo. | |
17. | L’avvocato Pasquale De-Rossi per Frosinone. | |
18. | L’avvocato Giuseppe Piacentini per Rieti. | |
19. | Il conte Ottavio Sgariglia per Ascoli. | |
20. | L’avvocato Francesco Benedetti per Civitavecchia. | |
21. | Il conte Giovanni Battista Peda per Camerino. | |
22. | Monsignor Bartolommeo Pacca per Benevento. | |
23. | Il marchese Ludovico Gualterio per Orvieto. | |
24. | Il conte Luigi Donnini per Perugia. |
Dopo un breve discorso del presidente cardinale Antonelli, col quale in nome di tutti tributavasi al Santo Padre un atto di riconoscenza e sudditanza, prese questi a rispondere nel modo seguente, che abbiam copiato dsl giornale officiale.nota
«Ringraziarli del loro buon volere, e fame assai conto per bene della cosa pubblica. Per procurare questo bene aver fatto dal primo momento della sua elezione, 2 secondo i consigli inspiratigli da Dio, quanto poteva, ed essere disposto col divino aiuto a far tutto per l’avvenire: senza però menomar mai neppur di un apice la sovranità del pontificato, quale avendo egli ricevuta da Dio e da’ suoi antecessori piena ed intera, tale dovea trasmetterne il deposito sacro ai suoi successori. Essergli testimoni tre milioni di sudditi; esserglielo ugualmente tutta l’Europa di quanto egli ha fatto fin qui per accostarsi ai sudditi medesimi, per unirli a se, per conoscerne da vicino i bisogni e per provvedervi A questo fine massimamente di meglio conoscere e provvedere ai bisogni della cosa pubblica averli riuniti in una Consulta permanente, per ascoltarne all’uopo i pareri, per giovarsene nelle sue sovrane deliberazioni consultando la sua coscienza, e conferendone co’ suoi ministri, e col sacro collegio..... Ingannarsi grandemente chiunque credesse esser diverso da questo il loro ufficio: ingannarsi chi nella Consulta di stato da lui instituita vedesse qualche utopia propria, e i semi di una instituzione incompatibile colla sovranità pontificia.
Le quali ultime parole avendo il Santo Padre proferito con alquanto di vivacità e di calore, si è come soffermato un momento, e indi tosto ricomponendosi nella usata sua benignità e dolcezza ha ripreso a dire: «Quella vivacità e quelle parole non riguardare alcuni di loro, cavalieri onorati ed altre simili persone, delle quali fin da quando le elesse conoscendone la educazione sociale, la probità cristiana e civile, gli era.nota ugualmente la lealtà de’ sentimenti e la rettitudine delle intenzioni: non riguardare nemmeno la quasi totalità dei suoi sudditi, della cui fedeltà ed obbedienza esser sicuro, sapendo che i cuori dei suoi sudditi sono uniti al suo nel desiderio dell’ordine e della concordia. Esservi però disgraziatamente alcuni, pochi di numero sì, ma pure esservi, i quali non avendo niente da perdere amano le turbolenze e le sedizioni, abusando delle concessioni medesime. A costoro esser rivolte quelle parole: — Dover costoro intenderne bene il significato. — Nella cooperazione de’ signori deputati egli non vedere che un sostegno ben saldo di persone, le quali, spogliatesi d’ogni privato riguardo, intenderanno insieme con lui coi loro consigli al pubblico bene, nè si ristaranno per vane ciarle di gente dissennata ed inquieta dall’aiutarlo col loro senno in quello ch’e più spediente alla sicurezza del trono e alla vera felicità dei sudditi pontifici.»
Finito ch’ebbe il Santo Padre il suo discorso ammise i deputati al bacio del piede ad uno ad uno. Quindi levatosi da bedere li benedisse, aggiungendo pure poche altre parole: «Che andassero con la benedizione del cielo a intraprendere le lor fatiche: sarebbero state feconde di buoni effetti, e secondo i desideri del suo cuore.»
Non è a credersi che il Santo Padre pronunziasse parole sì risentite senza una ragione, e questa la narrerem noi con tutta franchezza per quanto la memoria ce ne sopperisca le idee, ed i documenti superstiti le prove.
Erasi avveduto in primo luogo il Santo Padre che frammisti ai consultori eranvi certi individui di esagerate opinioni, che come soci del circolo romano dovevano accompagnarli nelle rispettive carrozze, e fra questi avevagli dato sull’occhio massimamente lo Sterbini ad esso ben noto.
Era inoltre bene informata la Santità Sua che la instituzione della Consulta era stata svisata da quegli uomini intemperanti, cui nulla è bastante per accontentarli. La rivoluzione insomma vi si era intromessa, ed erasi impossessata siffattamente della direzione dello spirito pubblico, ch’era pervenuta a far credere alle masse che i consultori erano i deputati del popolo, e che la Consulta era una rappresentanza nazionale bella e buona; cosicchè volea riguardarsi come uno smembramento del potere sovrano, ed un trionfo riportato dal popolo sull’autorità assoluta dei papi.
E siccome dal trionfo della democrazia in Roma altri molti se ne speravano, così si voleva dai capi della preconcertata dimostrazione farne una che avesse il colore di cosmopolitismo, quasi volesse dirsi: Han vinto i Romani. E voi, o popoli dell’Europa, rallegratevi tutti: l’era nostra incomincia. Venite tutti a prender parte al nostro trionfo che è il prennunzio del vostro, associandovi a quella dimostrazione che, sotto forme apparenti di pompa e ringraziamento, veniam celebrando, ma che è per noi significativa, ed asconde i germi del trionfo dei popoli sulle tarlate e da noi minate sovranità dell’Europa.
Nè si creda che ciò sia una esagerazione o un sogno. È la pura verità. Il Ranalli stesso, non espansivo in fatto di rivelazioni a danno del partito del movimento italiano, pure ne dice abbastanza. Ecco alcune sue parole: «Annunziato al pubblico che cittadini di ogni nazione colla propria bandiera seguirebbero il gran cortèo, e acconsentito il segretario di stato, indignò che a un tratto si sapesse revocato l’ordine per querela degli ambasciatori austriaco, francese e russo, e per istanza di coloro che non volevano alcun segno di unione di popoli.3»
Che la mossa venisse piuttosto dagli ambasciatori o dal segretario di stato poco importa. A noi consta positivamente che fu il cardinal Ferretti stesso che avanzò la preghiera gli ambasciatori affinchè interdicessero ai loro connazionali di prender parte alla festa. Ma ciò, come dicemmo, poco interessa. L’essenziale a sapersi è che vi dovevano essere individui di tutte le nazioni nella processione, e conserviamo tuttora il biglietto d’invito per gl’Inglesi che si dovevan recare, per riunirai fra loro, al n. 93 in piazza di Spagna.4
Il Montanelli però ch’era uno degli istigatori delle feste romane dalla sua residenza in Toscana, ed era anche il compilatore del giornale l’Italia, racconta nel modo seguente come si passò l’affare degli esteri e delle bandiere, nel iemale dianzi menzionato.5
Roma, 16 novembre 1847.
«Ecco la storia della festa di ieri. Le bandiere estere, e degli altri stati italiani si dovevano mostrare dietro il corteggio dei deputati della Consulta di stato. Ciò era già convenuto; perchè la commissione incaricata della direzione della festa, nel pubblicare la descrizione della processione, aveva stabilito nel suo programma che quei cittadini degli stati italiani ed esteri i quali avesser voluto far parte del corteggio colle loro bandiere, si dovessero disporre lungo la strada di porta Pia, ove si sarebber trovati due deputati per riceverli e determinare l’ordine da seguirsi. Domenica sera 14, alle ore 9, venne tutto proibito misteriosamente. Subito fu creata una commissione composta di circa venti individui tra Italiani, Prussiani, Inglesi, e Svizzeri, la quale si portò dal segretario di stato per pregarlo a rivocare la proibizione; ma inutilmente. Si seppe poco dopo che Austria, Francia, e Prussia avean dettata la legge alla segreteria di stato. Allora fu un andare e venire dai ministri di Piemonte e di Toscana, e un pregarli e scongiurarli perchè spiegassero la loro influenza presso la segreteria di stato. Questi due buoni e bravi Italiani andaron dal papa e ottennero che le bandiere italiane ed estere potessero intervenire alla festa. Ma poco dopo un dispaccio di segreteria di stato proibiva loro di fare uscire e spiegare nell’indomani le proprie bandiere. Questa proibizione fu la parola d’ordine perchè i Lombardi e i Veneziani s’incamminassero la mattina del 15 verso la porta Pia (cosa che non poteron fare i Toscani e i Piemontesi perchè le loro bandiere eran serbate dai loro ministri, ma seguiron però i Lombardo-Veneti colla rispettiva coccarda). Colà giunti furono invitati da due capitani della civica di portarsi al quartiere di fronte al Quirinale. Ivi furon ricevuti dal generale in capo della civica, dal generale di divisione, e dal segretario di stato: e quest’ultimo prese a dire che li ringraziava e pregava in nome di Pio IX a non portare il loro vessillo al corteggio, perchè per necessari riguardi non desiderava altre bandiere che quelle dello stato .... Ma queste scene avevano indispettito il popolo, e la festa riuscì freddissima, il corteggio sembrava un mortorio.»
Questo è il racconto del corrispondente romano del Montanelli, racconto preziosissimo perchè ci svela appunto quello che desideravamo di conoscere e di provare con documenti, cioè che la festa dovesse avere un carattere di fusione e di affratellamento popolare non solo, ma cosmopolitico. E il Montanelli ce ne somministra pure un’altra prova allorquando ci racconta che al circolo romano, lui presente, si discuteva una sera se, a significazione di nazionale rimescolio, si avessero ad unire le bandiere tutte in un gruppo, e che gli parea di sentire ancora lo Sterbini concitato e tribunesco gridare gruppo gruppo, e gruppo gruppo ripetere in coro i bollenti.6
Lo storico Farini ignorò, o pretermise questo aneddoto importantissimo della storia delle romane vicende; ma a noi sembra fondatamente esser la cosa la più importante a conoscersi in merito allo spirito vero della festa, di cui parliamo, ed è perciò che ci slam dilungati nello svolgerne le circostanze.
8e non vi fosse stato d’altra parte uno scopo nascosto, e se il concorso dei cittadini appartenenti ad estere nazioni non fosse stato che un semplice abbellimento del corteggio, a che tanta insistenza, a che tanta premura di ottenerne il permesso ad ogni costo, creando in ora avanzata una commissione di venti individui, officiando intempestivamente il Santo Padre ed il segretario dì stato, e incomodando e forse compromettendo due ministri esteri?
Il corteggio che mosse dal Quirinale e ohe, passando per la discesa delle tre Cannelle, il Corso e la Fontanella di Borghese, recarsi doveva al Vaticano, era composto nel modo seguente:
Dragoni a cavallo in grande uniforme.
Militi cittadini in uniforme.
Quattro bandiere dei riunì.
Banda di linea.
Carrozze del cardinal presidente, e di monsignor vice-presidente della Consulta di stato, attorniate dal resto delle bandiere dei quattordici rioni di Roma, oltre quella della univeriità.
Banda di capotori.
Insegna di Roma, e targhe contenenti il nome della medesima e quelli dei suoi consultori.
Insegne ed emblemi delle altre provincie.
Ventiquattro carrozze somministrate dalla nobiltà romana coi ventiquattro consultori, e ventiquattro cerimonieri in loro compagnia, ognuno dei quali appartenente al circolo romano.
Due battaglioni civici.
Un distaccamento di dragoni a cavallo.
Giunto il corteggio al Vaticano, tutti coloro che ne facevan parte ascoltarono la santa messa in san Pietro, e quindi furono ricevuti in una sala del palazzo pontificio dal cardinal presidente. Il duca Don Marino Torlonia, capo della deputazione per l’apparecchio della festa, lesse un discorso, dopo di che, accommiatata la deputazione, l’eminentissimo cardinale presidente lesse il discorso di apertura della Consulta di stato.
Il nostro giornale officiale che descrive il corteggio7 dà un cenno in fine, con molta delicatezza però, del non aver voluto il governo che gli esteri vi prendesser parte; ma nulla fa trapelare nè del vero motivo nè del mal umore cui dette luogo; cosicchè gli esteri, leggendo la narrazione, non avrebber potuto formarsi una giusta idea dello spirito che dominò ed informò la dimostrazione.
Parla bensì degli addobbamenti esterni di alcuni palazzi, e dei serici drappi, e degli arazzi, e delle fioriture pendenti dalle finestre e da’ balconi, ma si tace, come si tacquero tutti gli altri giornali, delle iscrizioni che a guisa di stendardi pendenti decoravan tutto lo stradale, e che erano poco distanti l’una dall’altra. Il solo Italico del 18 novembre ne riporta alcune, ma noi, sulla scorta di una lettera stampata in quel tempo e che conserviamo, le riporteremo tutte in fine di questo capitolo.8
I consultori venivano applauditi sul loro passaggio, ma non in ragione della dottrina e della probità, sibbene della fama di liberalismo che li precedeva. Il conte Recchi, per esempio, era di tutti il più applaudito. Un gruppo di giovani, a mezzo la processione, rappresentava il popolo romano. Uno di essi andava gridando: evviva gli amici del popolo, e gli altri in coro rispondevano: evviva. Alcuni pochissimi eeclesiastici si videro al seguito, ma eranvi stati introdotti a forza perchè si vedesse dal pubblico che vi prendeva parte anche l’elemento clericale. Diciamo ciò di certa scienza, poiché toccò al nostro figlio ed al suo precettore, entrambi coll’abito che s’indossa dai Canonici regolari lateranensi di san Pietro in vincoli.
La sera si diè una festa al teatro di Apollo a spese del principe Torlonia, la quale sarebbe potuta riuscire brillante e divertente, ma a cagione dell’andazzo de’ tempi, nei quali si voleva che i circoli dovessero far tutto, riusci fredda ed insipida. 11 generoso principe dava l’ingresso gratis mediante i biglietti d’invito ch’egli stesso avrebbe distribuito, laddove il circolo romano, per mezzo del Tommasoni, lo pregò di sottoporre a prezzo i biglietti d’ingresso, da rivolgersi a profitto degli asili infantili. Così fu alterato tutto, e prese altro colore il trattenimento; non vi furon signore nella platea, e mentre esser doveva una festa di ballo, non si ballò, e tutto limitossi a poche grida di viva l’Italia, viva i consultori di stato, viva Gioberti, e viva Pio IX, ed a prender rinfresehi, de’ quali il principe trattò lautamente gl’intervenuti. E siccome nei palchi ov’erano i consultori, eran pure il principe e la principessa Torlonia, il principe e la principessa Orsini, il duca e la duchessa Torlonia, lor parenti, i quali occupavano sei palchi di fronte; tutti aperti, e fra questi eravi anche lord Minto, s’inteser varie grida di viva la principessa Torlonia, viva lord Minto.
Il Ciceruacchio venne a far visita ai consultori nei palchi, e si vide da tutti intrattenersi a discorrere con lord Minto, come dicemmo nel capitolo precedente.
Volevasi almeno quel ballo romanesco detto il saltarello, danzato dalle più belle popolane. Il Ciceruacchio ebbe l’incarico di riunirle, ma non riuscì; e quindi si videro invece dodici popolane da esso introdotte nella sala, che per età, per forme, e per vestiario, facevan tale mostra di sè, che meglio le cento volte stato sarebbe che fosser rimaste nelle case loro.
La festa in somma per esservisi voluto intromettere il circolo romano, non riuscì quale il principe l’aveva immaginata, e noni corrispose affatto ai desideri del pubblico e all’imponenza dell’altra che aveala provocata.
Dopo di che alcuni giovani recatisi sotto le finestre di lord Minto all’albergo dell’Europa, incominciarono ad applaudirlo, ed egli fattosi al balcone, pronunziò quelle parole da noi riportate parlando della condotta in Roma di lord Minto nel capitolo precedente.
Le particolarità che abbiam narrate ci sembrano sufficienti per dare un’idea della festa della Consulta di stato. Chi poi desiderasse conoscerne anche il di più, non avrà che a leggere gli autori e i documenti che accenniamo a piè di pagina.9
Il giorno 16 fu la seconda seduta della Consulta di stato nella quale si discusse e si formulò l’atto di ringraziamento, cui volevasi dar nome d’indirizzo, riguardandolo siccome il discorso di risposta a quello che nei governi a forme rappresentative chiamasi il discorso della corona. Questo atto fu presentato il giorno 21, e venne inserito nel Giornale officiale.10
Monsignor Morandi governatore di Roma avendo dato la sua rinunzia, vennegli sostituito monsignor Domenico Savelli, il quale ne assunse l’officio il giorno 1711 sotto il titolo di pro-governatore e direttore generale di polizìa.
Ritornò in Roma il 18 novembre il marchese Massimo d’Azeglio.12
Prima di descrivere la festa solenne per l’installazione del municipio romano, che fu delle più interessanti dopo quella della Consulta di stato, dobbiam narrare un fatto gravissimo e scandaloso il quale non lasciò di produrre delle gravi conseguenze. Distribuito il Contemporaneo del giorno 20 novembre, vi si leggeva con sorpresa universale un articolo contenente un attacco ingiurioso contro il principe Alessandro Torlonia, amministratore cointeressato dei sali e tabacchi, firmato da Filippo Paradisi del quondam Tiberio, ove parlavasi di un debito certo e vistosissimo verso la reverenda Camera apostolica, e di rapine, e di appropriazione di milioni dello stato e di sottrazioni e di duplicazioni e di peculato e di massacro della cosa pubblica; aggiungendovi perfino, ad indizio di corruzione dei funzionari del governo, la espressione ingiuriosa di formare tutti una catena di prevaricatori.
Una famiglia come quella dei Torlonia, stata fino allora, come si è conservata sempre nel tempo successivo, l’esempio della onestà: onorate sempre dai sovrani pontefici, dalle corti estere, e dalla eletta di tutti i personaggi più cospicui che recavansi in Roma, in guisa che, senza taccia di esagerazione, aveva per molti e molti anni fatto gli onori del paese; specchio di amore e di concordia, e tipo, tutti i membri che la componevano, di religiosi e benefici sentimenti; famiglia protettrice delle arti belle applicate ad usi sacri e profani, ed il principe in ispeeie dichiarato per comun consenso il mecenate degli artisti, ed il sostegno dei miseri, come fan fede tante e tante opere grandiose che a monumento perenne esistono sotto gli occhi di tutta Roma: vederla ad un tratto fatta segno e ludibrio degli attacchi della plebe insensata e feroce, che tale più o meno se si sbriglia è in tutti i paesi del mondo (sebbene a lode del vero quella di Roma sia da anteporre per buon senso e moderazione a quella di qualunque altra città); vederla, ripetiamo, insultata pubblicamente, in un momento sopratutto in cui il governo perduta la forza di protegger se stesso, tanto meno avrebbe potuto prtegger negli altri l’innocenza e l’onore, non è a dirsi qual trista impressione producesse in tutte le anime oneste. Le quali videro nello attacco dei Contemporaneo, ch’era il giornale della rivoluzione, il segnale e la dichiarazione di guerra degli amministrati contro gli amministratori, dei proletari contro i proprietari, dei poveri e dei deboli contro i ricchi e i potenti.
Gravissimo e desolante apparve a tutti quel caso, giudicandolo come un prenunzio di serissimo e fatali conseguenze.
Nè il Paradisi, che presentavasi in lizza per ispezzar la sua lancia contro al principe Torlonia, era un semplice cittadino privo di qualifica e destituito di mandato; ma il faceva coprendosi sotto il manto legale di redattore della statistica amministrativa presso la Consulta di stato, eletto a tal uopo fin dal 17 novembre con biglietto sottoscritto dal cardinal Ferretti segretario di stato.13
L’attacco poi del Paradidi neppur limitossi alla inserzione dell’articolo nel Contemporaneo, ma l’articolo stesso, stampato a parte, vendevasi per le pubbliche piazze e ne veniva annunziata per un baiocco la vendita dalle luride bocche della più dispregevol canaglia.
E così nella città santa, nella città propugnatrice delle sane dottrine e raccomandatrice di rispetto e di carità verso tutti, videsi gittato nel fango senza remora alcuna, senza riguardo di sorta, la fama e l’onore di una onesta famiglia, postergando i riguardi, la civiltà, e la convenienza ai brutali e selvaggi clamori del trivio e della taverna! E che mancava, dopo di ciò, se non che veder la plebe furente e sdegnata brandire le armi, e dato di piglio alle faci, incendiare nella insania feroce l’aureo palagio del principe romano, designato espilatore della fortuna pubblica?
E il Paradisi, che vedevasi onorato a tal segno, era quel desso che quindici mesi dopo, in benemerenza dell’onore conferitogli, e coerentemente alle proteste di attaccamento pel pontificio governo, il quale (secondo le sue stesse parole) era il più paterno perchè retto da Pio IX, miracolo della Provvidenza, mostrossi uno dei più caldi ed accaniti repubblicani.
Portò subito il principe offeso querela di calunnia e di diffamazione verso il Paradisi avanti il tribunal criminale, onde provasse la sua accusa: ciò che non potè fare per mancanza di prove, e così venne arrestato a forma di legge come autore del libello infamatorio.
Più tardi ottenne il Paradisi di potersi difendere a piede libero, ma gli avvenimenti sopravvenuti fecero sospendere il processo iniziato. Quindi, dopo restaurato il governo pontificio, ritrattò il Paradisi la sua accusa, nei pubblici giornali. Ma successivamente ritornato in Roma, e venuto in campo di nuovo colla sua petulanza e minaccie, offese talmente il principe anzidetto, che, fatto riassumere il processo e chiarito il Paradisi calunniator del Torlonia, venne condannato dal pubblico tribunale a cinque anni di carcere.
Subì il Paradisi un anno di reclusione, e poscia uscì dal carcere, implorato il perdono dal principe il quale, lungi dal nutrire alcun rancore contro di lui, annuì che, permettendolo il governo, fosse restituito alla sua famiglia passeggiasse libero le vie di Roma.
Furon pubblicati in tale occasione articoli di giornale, una biografia del Paradisi, alcuni foglietti pro e contra, due difese dell’amministrazione del Torlonia, una delle quali scritta da Pietro Ruiz, e l’altra dal cavalier Fortunato Lanci; furono inserite nei giornali prima la ritrattazione del Paradisi, e quindi la sentenza del tribunal criminale: tutte le quali cose, senza protrarre più a lungo questo schifoso episodio delle nostre storie, potranno leggersi fra i nostri documenti.14
Non vogliam chiudere il presente capitolo senza dire due parole in difesa del cardinal Ferretti alla cui sorpresa buona fede si dovette in gran parte questo scandaloso avvenimento.
Il cardinal Ferretti aveva la disgrazia di essere fratello del conte Pietro, ed il conte Pietro aveva quella di trovarsi impaniato nella rivoluzione. Ci racconta il Farini che fu ad istanza del conte Pietro Ferretti che potè ottenersi la erezione del circolo popolare.15 Dunque conte Pietro Ferretti e circolo popolare eran la stessa cosa. E siccome il Paradisi venne nominato all’officio sindacatorio dal cardinal Ferretti, il quale specchiatissimo uomo com’egli era, non è a presumersi che avesse la minima tenerezza pel Paradisi, così la illazione più plausibile si è che la sua elezione fosse tutta farina del conte Pietro, e del circolo popolare. E che il circolo popolare prendesse una parte vivissima pel Paradisi ci costa personalmente, perchè a noi lo disse risentitamente lo stesso Sterbini che vive tuttora, ed al quale saremmo sempre pronti a rammentarlo. Ciò accadde quando il Paradisi per ordine del tribunal criminale venne arrestato.
Il Paradisi dunque era il protetto dallo Sterbini e da’ consorti del Contemporaneo, e probabilmente era protetto dal conte Pietro Ferretti e dal circolo popolare. Inoltre era consigliato e spinto a scrivere da un personaggio che lo sedusse promettendogli prove e documenti che poi non gli somministrò, e questo personaggio era un netnico personale del Torlonia, al quale univansi tutti gli altri invidiosi della città. Vuolsi per fino che si associasse a cotestoro un altro personaggio influentissimo in quei tempi, il quale faceva parte della Consulta di stato.
Qual meraviglia pertanto se con tali elementi in moto, in quei tempi di finzione per gli uni, di accecamento per gli altri, che facevan ressa al cardinale, questi, di bonissima fede, abbia creduto di avvantaggiare gl’interessi del governo pontificio, eleggendo a sindacator dei conti, e revisore degli archivi camerali un Filippo Paradisi del quondam Tiberio?
Proseguendo la narrazione delle cose avvenute rammenteremo che lo stesso giorno 20 novembre in conseguenza dell’articolo del Paradisi, quel modello di ogni virtù religiosa e civile Don Carlo commendator Torlonia inviò al Santo Padre la rinunzia al grado di colonnello del secondo battaglione, la quale peraltro non venne accettata da Sua Santità, come si rileva da un articolo speciale dell’ avvocato Carnevalini nella Bilancia. 16
La bandiera che i Ferraresi in segno di fratellanza inviarono ai Romani, giunse in Roma il 23 novembre, ed il conte Recchi ebbe il carico di consegnarla. Era il Recchi in voce di progressista avanzato, e l’appartenere a quella provincia che avea mostrato i denti all’Austria, ne faceva un soggetto benemerito e caro agli uomini del movimento. 17 Chiudiamo con ciò il capitolo XXI, e facciam seguire al medesimo, come promettemmo, le iscrizioni che vidersi il giorno 15 novembre dedicate alla installazione della Consulta di stato.
ISCRIZIONI
che si leggevano lungo il passaggio dei consultori di stato
il giorno 15 novembre 1817.
foste desiderio dei popoli
il principe vi ha chiamati
secondate
le speranze di quelli la fiducia di questo.
sia caldo il vostro cuore
quanto calde le nostre speranze
grandi i vostri consigli
quanto grandi i bisogni dei popoli.
rompete all’opra l’indugio
per le vie ferrate
verrà l’ora del gaudio
i popoli si baceranno come anici
dopo lontananza di esilio.
iddio
special dono all’italia
diè campi feraci
l’agricoltura
prima nudrice a ricchezze di virtù
proteggete onorate.
il biondo tebro
vi rammenta la avite glorie
le ridesti nel regno equoreo
il negletto nome de’ quiriti illustri
per l’alto favore
del municipio italiano
verso gl’intrepidi e gl’industri nepoti.
alle menti ardimentose
. . . . . . . . . . . .
tutte aprite le fonti
delle arti e delle scienze
severi pensate
che intelletto è potere.
il gentile sesso ed il forte
che plaude sincero
ai trionfi vostri
sua salute commenda
al discreto zelo
di savissimi difensori.
come lugubre manto
a roma non più vedova
sono i suoi campi deserti
rendeteli a giardino d’italia
che la delizia è del mondo.
questo popolo
centro delle colte nazioni
rieda per voi
con fortunata usura
al desiato commercio
dell’uno e l’altro emisfero.
figlia d’italia
l’industria manuale
dallo straniero esilio
alla patria terra riconducete
come a suo regno.
filantropico genio
desti nei magnanimi petti
agevoli consigli
perchè alla svariata progenie
di comun genitore
si moltiplichi e dilati il pensiero
a fratellevoli uffici.
giustizia solo e valore
si affida omai nei romani dicasteri
vi unite o forti all’adorato sovrano
che con vindice destra
ne vuole in bando l’ignoranza la frode.
nulla manca ad uno stato
ov’è il consiglio dei migliori
la munificenza
e l’intelletto del principe
ridondante l’erario
di provvide oneste dovizie.
consultori
date lume colla istruzione
pane col commercio
forza colle armi
siate palladio dei diritti
gloria della nazione
odasi vostra favella
dal cittadino
e fama ne scriva sentenza
che non volve e confonde
il turbine eterno degli anni.
chi fa candidi voti
per la romulea grandezza
benedica un giorno le cure ed il senno
dei padri della patria.
porgete aiuto conforto
a chi langue per morbo
a chi per isventura si opprime
le lagrime terse agli infelici
iddio le conta.
create leggi
vere schiette universali
consultate
avi filosofia vangelo.
o voi
cui plaude il popolo
leggete nel suo volto
speranza e preghiera
esauditelo.
tutti rigenerati alla vita
civile e libera
fratelli innanzi alla legge
come innanzi a dio
principio di essa.
consultori
il desiderio dei popoli vi chiama
la fama la speranza vi precedevano
la gloria d’averci fatto felici
sia il vostro comiato da noi.
i.
sei milioni di orecchie vi ascoltano
cm di voi potrà sperare di non essere udito?
II.
voi siete faro
sopra ogni scoglio dove minacci di rompere
la pubblica nave
il faro che l’aiuti ad entrare in porto.
III.
foste collocati in grande altezza
perchè possiam ben vedervi
non isfuggirete alla generale investigazione.
iv.
non vi fidate della vostra sola scienza
mettetevi in sentinella e domandate a chi passa
a’ vecchi i consigli dell’esperienza e del senno
a’ giovani i desideri dell’età nuova.
v.
sovrano e popolo
hanno in voi depositato lor fede
sarà scritto il modo come a quella soddisfaceste
si leggerà il libro della vostra
consulta
e vi si chiederà ragione del deposito.
vi.
comprendete l' ufficio vostro
siate le lucerne del principe
diradate le tenebre delle nostre miserie.
vii.
storia già. scrisse in una tavola di bronzo i vostri nomi
le tavole son vuote
lo stilo però è apparecchiato a scrivere
quel che di voi dovrà narrare
a' posteri e futuri.
viii.
siate quasi ponte sopra fiume
largo e difficile
abbian per voi comunicazione sicura
fra loro il popolo ed il principe.
ix.
lo spirito di superbia in voi non entri
riguardate le due corone
una è se vi studierete di operare il bene
e saprete operarlo
l’altra se anderete per via contraria.
x.
siate specchio
dove il sommo che ci governa riguardi
allorché vuole conoscere l’immagine
delle necessità nostre
e nel quale possiamo inprimere quella
dei nostri voti e delle nostre speranze.
xi.
di qua e di là
da una parte vi aspetta la gloria con rami di palma
dall’altra l’opposto della gloria
vostra è la scelta.
xii.
congiungete gli animi in unità di parere
come le mani di persone
che si congiungono in comune amplesso
del senno di tutti formate un solo senno
che promuova il benessere del paese nostro.
xiii.
siate il fondamento su che sorga il nuovo edifizio
fabbricato dalla man possente del massimo pio
bello fin dal suo cominciamento
suscettivo d’abbellirsi
ogni giorno più col seguitar dei secoli.
xiv.
siate il bel monumento
ma non il solo
che attesti alla posterità quale e quanto
fu per noi questo pio donatoci dal cielo
principale ornamento della città ch’egli rinnova.
xv.
siate l’occhio del sovrano
col quale egli vegga l’utile ed il giusto
un occhio per cui cateratta mai non iscenda
e palpebra non si abbassi.
xvi.
conteranno i voti che avete deposto nell’urna
con essi voi giudicherete i pubblici affari
con essi noi giudicheremo voi stessi
ho veduto un albero giovane robusto
albero di ventiquattro bei rami
le fronde sono verdi i fiori son copiosi
ubertoso il terreno benigno il sole
s’aspettano le frutta
il coltivatore ha preparato la falce
toglierà i rami spenti e li rinnoverà con migliori inserti.
io veggo un campo chiuso e ventiquattro campioni
ciascuno con due scudieri
vengono chiusi in armi e colle lancie in resta
gli avversari sono gli abusi del passato
la mischia sta per attaccarsi
iddio protegga la religione.
Note
- ↑ Quanto raccontiamo sulla riassunzione del processo, ritrattazione e condanna del Paradisi, occorse par verità oltre il periodo di tempo prefissoci per termine delle nostre storie. H facemmo soltanto per far conoscere interamente il principio, il mezzo e il fine di un episodio importante delle nostre storie, il cui cominciamento ebbe luogo nell’epoca e nei limiti assegnatici.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 16 novembre 1847.
- ↑ Vedi Ranalli, vol. I, pag. 300, ediz. di Firenze del 1848.
- ↑ Vedi Documenti, vol. III, n. 90.
- ↑ Vedi l’Italia del 20 novembre 1847, pagina 97.
- ↑ Vedi giuseppe Montanelli Memorie, vol. II, pag. 65.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 16 novembre 1847.
- ↑ Vedi Documenti vol. III, n. 03.
- ↑ Vedi Ranalli vol. I, pag. 300. — Vedi il giornale l’Italia pag. 97. — Vedi il Farini vol. I pag. 274. — Vedi l’Italico del 18 novembre. - Vedi il Contemporaneo del 16 detto. — Vedi la Pallade, n. 99 e 100. — Vedi la Rivista del 20 n. 2. — Vedi la Bilancia, n. 56 e 57. — Vedi Documenti, vol. III, dal n. 87 al n. 94. — Vedi le stampe e litografie, n. 50.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 23 novembre 1817.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 20.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 101.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 103. Vedi vol. III, Documenti, n. 96.
- ↑ Vedi Documenti. vol. II, dal n. 99 al n. 111.
- ↑ Vedi Farini, lo Stato romano, Firenze 1853 vol. I, pag. 276.
- ↑ Vedi la Bilancia del 30 novembre 1847.
- ↑ Vedi la Pallade del 23 novembre, n. 103.