Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XXII
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[Anno 1847]
La istituzione di una rappresentanza municipale, per istudiare e propor la quale fu eletta una commissione dal Santo Padre fin dal primo marzo 1847, e di cui demmo in ristretto il motu-proprio che il sovrano sottoscrisse il 1 di ottobre, e che il popolo festeggiò il giorno seguente, ebbe finalmente il suo compimento mediante la installazione solenne che se ne fece il giorno 24 novembre.
Diremo pertanto che questa fra tutte le istituzioni di Pio IX fu quella che riuscì la più popolare, perchè compresa dalla moltitudine la quale quando parlasi di consulte, costituzioni e costituenti poco o nulla se ne interessa, non comprendendone il significato. Associasi alle feste, e con segni esteriori applaudisce ancor essa, ma poi si domandan l’un l’altro di che si tratti. Non fu così del municipio. Toccava esso da vicino i Romani che ne conoscevan l’importanza: ed il solo numero dei consiglieri eletti, ch’eran cento, portò di necessità la cognizione della cosa e l’interesse di sostenerla in cento famiglie delle più cognite ed influenti. La dimostrazione pertanto di cui daremo un cenno fu una delle più sincere e popolari, poichè in essa, meno delle altre, si manifestò lo inframmettente spirito rivoluzionario.
Ecco i nomi dei quindici consiglieri che soddisfanno le condizioni richieste nella prima parte dell’articolo quinto del motu-proprio.
1. Altieri principe Don Clemente.
2. Boncompagni Ludovisi Don Antonio principe di Piombino.
3. Borghese principe Don Marc’Antonio.
4. Braschi Onesti duca Don Pio.
5. Colonna Doria principe Don Giovanni Andrea.
6. Corsini principe Don Tommaso.
7. Doria Pamphily principe Don Filippo Andrea.
8. Falconieri Mellini Don Orazio.
10. Odescalchi principe Don Livio.
11. Orsini principe Don Domenico.
12. Patrizi marchese Filippo.
13. Rospigliosi principe Don Giulio Cesare.
14. Ruspoli principe Don Giovanni.
Nomi dei trentaquattro consiglieri che soddisfanno alle condizioni richieste nella seconda parte del detto articolo quinto.
1. Alborghetti conte Giuseppe.
2. Amici Ignazio.
3. Antici marchese Carlo.
4. Armellini cavalier Carlo avvocato concistoriale.
5. Bernini cavalier Prospero.
6. Bolognetti Cenci Petroni conte Alessandro.
7. Bontadosi avvocato Annibale.
8. Capranica marchese Bartolommeo.
9. Cardelli conte Carlo.
10. Castellacci canonico Don Pietro.
11. Cavalletti marchese Ermete.
12. Cini conte Filippo.
13. Colonna cavalier Don Vincenzo.
14. Conti principe Don Cosimo.
15. Cortesi Vincenzo.
16. D'Antoni Giovanni.
17. Dall'Olio cavalier Luigi.
18. Del Bufalo marchese Ottavio.
19. De Dominicis cavaliere avvocato Enrico.
20. Della Fargna marchese Clemente.
21. De Rossi commendatore Francesco.
22. Ferrajoli marchese Giuseppe.
23. Graziosi Giovanni.
24. Guglielmi marchese Giovanni Battista.
25. Lante duca Don Giulio.
26. Muti Papazzurri marchese Alessandro.
27. Pianciani conte commendator Vincenzo.
28. Potenziani marchese Ludovico.
30. Sacchetti marchese Girolamo.
31. Sala cavalier Pietro.
32. Senni Francesco.
33. Truzzi Giuseppe.
34. Valentini monsignor Giovanni Domenico.
Nomi dei quindici consiglieri che soddisfanno alle condizioni richieste dalla terza parte dell' articolo quinto del motu-proprio già menzionato.
1. Albertazzi Gioachino.
2. Bianchini Antonio.
3. Borgognoni cavalier Francesco.
4. Cappello cavalier Scipione.
6. Garetti Andrea.
7. Folchi professore cavalier Clemente.
8. Ghirelli dottor Giovanni Battista.
9. Massani Filippo.
10. Morichini Gaetano.
11. Ostini avvocato Felice.
12. Rossi avvocato Pietro.
13. Scaramucci avvocato Ottavio.
14. Tosi avvocato Gaetano.
15. Villani professore avvocato Carlo Giovanni.
Nomi dei trentadue consiglieri scelti, giusta l’articolo undecimo, fra gli scienziati, i letterati, gli artisti, i negozianti ec.
1. Alibrandi dottor Lorenzo.
2. Baroni professore Paolo.
3. Boli dottor Bartolommeo.
4. Benedetti cavalier Giovanni Battista.
5. Borghi dottor Raffaele.
6. Bucci professor Francesco.
7. Canina professore cavalier Luigi.
8. Cardinali cavalier Luigi.
9. Coghetti professor Francesco.
10. Coppi abate Antonio.
11. De Crollis dottor Domenico.
12. De Mattheis cavalier dottor Giuseppe.
13. De Sanctis dottor Ponziano.
14. Durante Valentini avvocato Girolamo.
15. Finelli professore cavalier Carlo.
16. Forti Giuseppe.
17. Girometti Giuseppe.
18. Luswerg Luigi.
19. Minardi professore cavalier Tommaso.
20. Molza monsignore Andrea.
22. Pieri professor Giuliano.
23. Podesti professore cavalier Francesco.
24. Proia dottor Pietro.
25. Sarti professor Emiliano.
20. Sereni professor Carlo.
27. Sturbinetti avvocato Francesco.
28. Tenerani professore commendator Pietro.
29. Uber Salvatore.
30. Vescovali cavalier Luigi.
31. Vaselli dottore Antonio.
32. Zaccaleoni avvocato Agostino.
Nomi dei due consiglieri eletti dall’eminentissimo vicario, secondo l’articolo dodici del motu-proprio.
1. Alessandrini Don Luigi parroco di santa Maria in Aquiro.
2. Caggiotti canonico Don Laigi.
Nomi dei due consiglieri scelti dall’eminentissimo presidente di Roma e Comarca, a tenore del medesimo articolo dodici.
1. Arrighi professore Don Giacomo.
2. Rezzi professore Don Luigi Maria.
Sono in tutto cento consiglieri, cioè:
1.ª | Categoria | N. | 15 | |
2.ª | detta | » | 34 | |
3.ª | detta | » | 15 | |
4.ª | detta | » | 32 | |
5.ª | detta | » | 2 | |
6.ª | detta | » | 2 | |
In tutto | N. | 100 | ||
|
Esiste stampata una breve biografia di ciascun consigliere.
Di pochissimi vi si dice bene, e sembran fatte alla stregua del liberalismo individuale di ciascuno.1
Radunatisi i consiglieri eletti presso Sua Santità nel palazzo pontificio al Quirinale, furono presentati alla medesima dal cardinale Altieri presidente di Roma e Comarca, pronunziando un discorso allusivo all’occasione.
Replicò il Santo Padre con quella eloquenza spontanea di che è stato dotato, nel modo seguente:
«Esser grato ai sentimenti che per mezzo della eminenza sua manifestavangli i consiglieri.
» Compiacersi delle molte dimostrazioni di esultanza verso la Santa Sede, che dappoi il suo innalzamento al pontificato avevano avuto luogo in Roma.
» Colla istituzione del municipio aver dato ai Romani un attestato speciale delle sue sollecitudini pel loro verace vantaggio. » Non dubitare (come diceva egli) che i consiglieri fossero animati da spirito di concordia; sperare che fra le spinose cure di governo la nuova istituzione gli sarebbe stata di conforto e di appoggio; ed esser persuaso della moderazione e della calma nelle loro deliberazioni affinchè fornasse ad esempio degli altri comuni. Raccomandava la scelta di buoni magistrati, e benedicendoli gli accomiatava.2»
Presentavasi il corteggio preceduto da un drappello di dragoni e di guardie civiche.
Venticinque carrozze di gala gentilmente offerte dalla romana nobiltà accoglievano i consiglieri. Eran precedute da quelle dell’eminentissimo Altieri.
Venivan quindi due vessilliferi colle bandiere di Roma e Ferrara.
Seguiva appresso immediatamente un drappello di cittadini.
Le quattordici bandiere dei rioni di Roma e quella di Bologna vedevansi frammiste alle carrozze del cardinale e dei consiglieri municipali.
Chiudeva il cortèo un altro drappello di guardie cittadine.
I balconi e le finestre eran parati a festa lungo la strada dal Quirinale alle quattro fontane, piazza Barberini, via del Tritone, via dei due Macelli, piazza di Spagna, vìa de’ Condotti, via del Corso, piazza di Venezia, piazza del Gesù, e piazza dell’Ara-coeli, per dove passò il corteggio.
Raccoltisi tutti nel sovrastante tempio, già un tempo sacro a Giove Capitolino ed ora alla Vergine santissima dedicato, assisterono alla messa e alle altre preci, alle quali faceva eco un popolo numerosissimo che a tanta festa era ivi accorso.
Discesi che furon dal tempio, il cardinale presidente insieme ai consiglieri, con la civica, la linea, ed una gran parte di popolo festoso, si recarono nel palazzo dei conservatori sul Campidoglio. Ed in vero quel luogo è tale, che non può a meno di non ridestare alla memoria di ehi sente scorrersi nelle vene il sangue romano quel sublime verso del poeta Marone, nel quale non potea meglio esprimersi la romana grandezza, dicendo: «Tu regere imperio populos, Romane, memento.»
E comechè a nostri giorni la grandezza di Roma sia passata dal Campidoglio al Vaticano, e quel regere imperio populos non s’intenda più della forza materiale, ma di quella morale che il vicario di Cristo esercita su tutto il mondo cattolico, tuttavia ancor noi abbiamo in retaggio una tale grandezza di che pur noi, come i nostri maggiori, possiamo andare superbi.
Nel palazzo Capitolino in quella solennità, dopo un discorso del cardinale presidente acconcio alla festa, venne offerta la bandiera di Ferrara al municipio romano per mezzo del suo consultore conte Gaetano Recchi.
E qui per rigore di storica verità dobbiam notare una malizia usata; poichè la ferrarese bandiera si fece prima figurare in processione onde riscotesse speciali applausi dalle moltitudini, e poscia si fece presentare formalmente. Si volle in somma farla nascere dopo che aveva vissuto e funzionato.
Si formò la terna per la elezione del senatore coll’intendimento di sottoporla al Santo Padre per la scelta. Ella presentava i nomi illustri di un
Principe Corsini. | Nomi tutti cui vanno associate le idee di splendore e magnificenza del patriziato romano. | |
Principe Borghese. | ||
Principe Doria. |
Elesse il Santo Padre il principe Don Tommaso Corsini a senatore di Roma, ed il giorno 25 con plauso universale venne proclamato.
In far ciò il Papa fece mostra della squisita gentilezza dell’animo suo, ed insieme del più fino accorgimento; imperocchè secondo le brame dei Romani che apertamente desideravano il Corsini, e scelse in lui l’uomo che poi tempi che correvano pareva di tutti il più atto a sostenere il carico di senatore di Roma.
Uomo colto e gentile in sommo grado, amico del civile progresso, attivo ed energico nell’operare, affabile quanto mai, disinvolto, ma nello stesso tempo dignitoso, e di tal vigoria di animo e di corpo, da disgradarne, benchè vecchio, qualsivoglia più vispo giovane.
Rammentavano i Romani con sommo lor gradimento la elezione del principe Corsini a senatore di Roma nell’anno 1818, poichè egli allora sentendo l’altezza del carico a cui era per sobbarcarsi, ne avea voluto prendere il possesso con tutti gli onori propri di tal dignità. Se non che avvedutosi poco dopo che li autorità pontificie, oltre al soffrire di malincuore quella troppo dignitosa pompa, gli diniegavano certe prerogative (delle quali si riteneva che fossero stati investiti nei trascorsi tempi i senatori di Roma), con romano orgoglio diè di quel carico una formale rinunzia. Fu pubblicato in quella occasione per le stampe un foglietto, che può leggersi fra i nostri documenti.3 Le particolarità tutte relative alla istallazione del municipio, alle feste, ai discorsi, alle iscrizioni, all’ordine del corteggio ec., si rinverranno negli stampati che indichiamo a piè di pagina.4
Si lesse da tutti con interesse il discorso che la comunale rappresentanza eletta subito dal Consiglio pronunziò il 29 novembre al cospetto di Sua Santità, non che le parole di replica della stessa Santità Sua, fra le quali son da ricordare le seguenti:
«Iddio mantenga questa concordia, e faccia brillar la pace nella Italia tutta, mentre nulla è più necessario della pace per far fiorire la produzione, il commercio, le arti, la felicità pubblica. 5
Si noti che il papa in quella occasione solenne quale fu la istallazione del municipio, alludendo alla ricchezza pubblica ed alla pubblica felicità, non parlò di nazionalità, di unità, d’indipendenza, e di armamenti per cacciar gli Austriaci; non parlò che della pace: ed in questo il Santo Padre, fin dal principio del suo pontificato, lo trovammo sempre, sempre, coerente.
Finora le dimostrazioni di cui demmo contezza, furon tutte nel senso cattolico, perchè tendenti ad onorare, ringraziare e glorificare il papa sia come capo supremo del cattolicismo, sia come sovrano di Roma e degli stati pontifici.
Ma una dimostrazione così anti-sociale ed anti-cattolica come quella che fecesi allorquando si festeggiò la rotta e l’eccidio dei cattolici, che nella Svizzera formavano la lega chiamata il Sonderbund, non si era ancor veduta, nè dopo tante iterate proteste di attaccamento al papa e di rispetto alla religione era mai da aspettarsi in Roma.
Così grave ci sembra l’enormità dell’avvenuto, che la nostra pochezza non ci somministra parole bastevoli a descriverla; pur tuttavia ci studieremo di darne qualche cenno, aggiungendovi delle opportune considerazioni.
Egli è a sapere dunque che, conosciutasi appena la vittoria dei radicali svizzeri contro i Cantoni cattolici, si fece una dimostrazione, benchè non numerosa, la sera del 3 dicembre. Si adunò una turba di giovinastri la quale movendo dalla piazza del Popolo, passò per quella di sant’Ignazio ove imprecò ai Gesuiti, e poscia recossi al palazzo Giustiniani vicino al Pantheon, ov’era in un piano la residenza del console svizzero Begrè, e nell’altro quella del ministro russo de Boutenir il quale dava in quella sera stessa una lista da ballo. E là sotto il palazzo Giustiniani soffermandosi, dierono un saggio delle lor prodezze, ripetendo a tutti gola le grida insensate e feroci, ed esultando degl’infelici Svizzeri che per difendere religione, libertà a patria, avevano coraggiosamente incontrato la morte.
Egli è inutile il dire qual effetto sinistro dovessero produrre le grida incomposto che quella turba di giovani furibondi metteva sotto il palazzo, prima che se ne potesse conoscer la vera cagione.
Nou isfuggì al Farini la esorbitanza del fatto per noi rammemorato, e con risentite ed assennate parole vituperullo nel 1.° volume delle sue storie.6 Solo esso pone sitto la data del 30 novembre ciò che accadde la sen del 3 dicembre.
Informato il governo pontificio dell’accaduto, o stimolato forse da qualche giusto richiamo della diplomazia, consacrò il primo articolo del Giornale officiale del giorno 4, cui ne succedette un altro il giorno 7, per manifestarne in brevissime parole la sua disapprovazione, promettendo vigilanza, e minacciando rigore.7
Ma qual rigore poteva esercitare nello stato di debolezza morale in cui ora caduto, ad onta delle apparente in contrario? Sterili parole e nulla più. Ciò venne già da noi accennato nel capitolo precedente, ove parlammo del Paradisi, ed ora ci cade in acconcio di somministrarne altra prova che la seguente.
La sera del 10 decembre erasi consegnato alle stampe e vendevasi per la via del Corso (ad un baiocco come al solito) un breve scritto di un tale Geraldi, col quale di sapprovavasi il fatto scandaloso accaduto la sera del 3, e raccomandavasi tolleranza, carità, moderasione. Questo scritto portava per titolo: «Discorso ai Romani per i fatti dilla Svizzera,» ed era firmato da Pietro Geraldi.8
Gli agitatori allora ch’eran sempre in sull’avviso, ed eran fatti ognor più audaci dalla impunità che incontravano e che gl’inanimiva ad osar tutto, sfacciatamente presero ad insultare e schiaffeggiare villanamente alcuni ragazzi che portavano in vendita gli stampati. Fattisi quindi a discoprire lo stampatore ch’era nel palazzo de’ Sabini, ivi recaronsi furiosamente per manomettere e distruggere i torchi, la qual cosa avrebbero potuto agevolmente eseguire, se la civica non fosse sopravvenuta prontamente per proteggere la tipografia.
Ed ecco il Giornale officiale del giorno 11 che nuovamente ci racconta l’avvenuto allo scritto del Geraldi, e le improntitudini che provocò, facendone le querimonie e minacciando di far uso del rigore e della forza, onde non si rinnovino siffatti disordini.9
Quanto alla forza crediamo che non l’avesse, perchè il male erasi talmente aggravato in quel tempo che il governo, al di là della minaccia, null’altro avrebbe potuto fare.
Intanto di queste più che irregolarità, indegnità incontestabili, niun giornale parlò, salvo che il Diario di Roma ch’era il foglio del governo. Il solo padre Geramb abate generale della Trappa, commosso dagli avvenimenti della Svizzera, inserì una sua lettera nel Diario di Roma del 18 per aprire una sottoscrizione in favor delle vedove, degli orfani, e dei feriti nella guerra sostenuta dai Cantoni cattolici. E perchè questo silenzio sopra tali fatti che dovevansi da tutti riprovare apertamente e coraggiosamente? La risposta è semplice e chiara. I giornali politici che avevansi in allora, furon tutti fondati nel senso di favorire o di guidar la rivoluzione,. e non già di avversarla.
Nè per ciò è da stupire; imperocchè la questione svizzera ed il trionfo dei radicali colà essendo cosa di grave momento per la rivoluzione italiana, il far reticenze o astenersi dii commenti su ciò che avesse potuto, non che vulnerarla ottenebrarla soltanto, esser doveva pe’ suoi fautori una politica necessità.
La guerra ai Gesuiti, al cattolicismo, ed all’ordine di cose esistente in Italia, aveva nella Svizzera il fomite, la sede, ed il centro direttore. Di là traevansi la ispirazioni, di là i consigli, di là gli emissari, e colà stampavansi e divulgavansi tanti scritti che tuttavia ci rimangono, e che portan le date di Capolago, di Losanna, e di Lugano.
Dissero alcuni allora che non conveniva al papa di mostrarsi in quei momenti apertamente tenero pel Sonderbund, conoscendo bene che tutte le potenze, meno l’Inghilterra, erano avverse ai radicali svizzeri, e sapendo inoltre che quello stesso lord Minto ch’era stato colà per incoraggiare i rivoluzionari, trovavasi in Roma appunto quando gli sconci di cui parlammo accadevano. Il Santo Padre però ikui mancò al suo dovere parlandone nel concistoro del 17 e vituperando come convenivasi quegli atti riprovevolissimi, il che potrà leggersi nel capitolo seguente.
Fra le dimostrazioni funebri annovereremo quella ch’ebbe luogo il 5 dicembre per la morte avvenuta il 4 dell’avvocato Antonio Silvani consultore per Bologna, ed uno dei più chiari giureconsulti, chiamato in Roma dal Santo Padre per la riforma dei codici.
Mosse la pompa, che riuscì imponentissima, dal suo domicilio, e recossi alla chiesa degli Orfanelli. Ne seguivano il feretro, oltre i membri del circolo romano10 la guardia civica, i consultori di stato, la romana curia, gli universitari, i giornalisti, il senatore principe Corsini, ed in rappresentanza del popolo romano il famoso Angelo Brunetti detto Ciceruacchio.
Ecco come si esprimeva la Pallade, dopo aver descritto il funebre cortèo.
«Il principato e la nobiltà romana concorsero ancor essi doppiamente alla pompa funebre, primo colla persona, quindi colle lor carrozze di gala in treno di lutto. Esse seguitavano le file militari, e con regolarissimo ordine accompagnarono alla chiesa il convoglio funerale.
» Roma che si mostrò grande, eloquente e saggia in tante giulive popolari dimostrazioni, Roma apparve sommamente sensitiva, intelligente e civile innanzi alla lugubre solennità, a cui la costrinse il prematuro tristissimo caso dell’illustre italiano Silvani.»
» L’ordine, il silenzio, la quiete, il rispetto, l’atteggiamento al dolore, e la composta reverenza nel numeroso funerale cortèo e nell’affollato popolo, fra il quale gravemente s’innoltrava, fu espressione eloquentissima di squisita civiltà di popolo educato nel cuore e nella mente. Tutti, come ciascuno, sentivano profondamente nell’animo che l’uomo che ploravasi spento, era danno di un popolo intero, e la cui perdita dispera di riparare.
» Quel funerale è grande lezione a principi e popoli per ben meritare della patria loro: è potente argomento del cuore e della mente di un popolo degno di alti destini ...»11
Fra le dimostrazioni festose ricorderemo una cantata pel Santo Padre scritta dal maestro Pacini sulle parole del commendator Visconti, ed eseguita il 15 decembre, ma con poco concorso, nel salone del Campidoglio.12
Fra le bellicose poi merita menzione speciale quella che si fece il giorno 10 sul Gianicolo per festeggiar la vittoria di Balilla, riportata sugli Austriaci in Genova il 5 decembre 1746.13
Lo stesso giorno però in Genova facevasi con pompa maggiore la stessa dimostrazione, secondo che ci racconta il Ranalli.14
Volgeva l’anno 1847 verso il suo termine, ed era quell’anno nel quale sembrava che Roma avesse raggiunto la meta dei suoi desideri, e fosse l’oggetto dell’invidia e dell’ammirazione di tutto il mondo.
A giudicar difatti da quel tuono di festa costante in che versavasi e che aveale fatto perdere del tutto la sua natural fisonomia, dalle continue dimostrazioni di gioia o di ringraziamento, dai banchetti, dalle musiche, dalle poesie, dalle luminarie (di cui tante ne abbiam memorate), ci pareva che Roma fosse all’apice delle sue beatitudini, e che vi regnassero il rispetto e l’amore scambievole fra sovrano e popolo.
Sarebbesi dovuto credere inoltre che, inauguratosi il regno di un’equa libertà, fossero state rispettate per prima cosa la vita, l’onore, o la libertà personale di tutti, e che il governo nei suoi atti, ed i cittadini nelle loro azioni goduto avessero della loro più illimitata indipendenza. E pure tutt’altro era il vero stato di Roma.
Si rammentino i nostri lettori quanti inconvenienti accaddero nei pochi mesi decorsi dal maggio al decembre dell’anno 1847, ed in
1.° luogo — Le improntitudini degli esorbitanti per il tentato allontanamento del Dragonetti.
2.° — La invenzione della congiura nel luglio per aver le armi nelle mani e rovesciare la polizia esistente; dal che seguirono la costernazione della città intera, le liste di proscrizione, le diffamazioni, gli arresti, le fughe, e gli spaventi.
3.° — La stampa clandestina introdottasi a dispetto dell’autorità e degli uomini saviamente liberali per gittar nel disprezzo molte persone oneste, perchè accusate come nemiche allo iniziato movimento.
4.° — La festa ai prati della Farnesina il 7 di ottobre, l’affratellamento dei corpi armati, e la infrazione flagrante della militar disciplina.
5.° — I clamori di piazza per la destituzione del Betti dall’ufficio di censore politico sulla stampa pubblica onde costringere in certo modo il Santo Padre a ribenedirlo.
6.° — Le scene ridicole e disgustose al caffè del Bagnoli il 21 di ottobre, e la multa impostagli di scudi cinquanta ond’esser riabilitato alla continuazione del suo traffico.
7.° — L’attacco quanto scandaloso altrettanto veiognoso del Paradisi contro l’onore del principe Torlonia nel novembre del disgraziatissimo anno 1847.
8.° — La dimostrazione del 3 decembre contro il Sonderbund.
9.° — Quella infine del 10 contro lo stampatore dello scritto del Geraldi.
Si rammentino, ripetiamo, tutti questi sconci: e poi ci si dica se abbiamo a lodarci della rivoluzione e de’ suoi fautori, che coll’essersi frammischiati nel movimento di un equo e verace progresso iniziato dal Santo Padre, ne viziaron lo spirito, e ne adulterarono le conseguenze, arrestando altresì quelle ulteriori riforme che nella sua gran mente andava maturando per farcene un dono.
Se gli esorbitanti non si fosser mischiati nelle nostre faccende, noi fruiremmo già delle migliorie accordate; e invece, dopo un anno e mezzo di chiassi stucchevoli, e di esagerate baldorie, niun bene reale venne a confortarci, ma sì molti mali ci vennero ad aggravare.
Questo per ora: ma ben altre cose più forti e più lagrimevoli avrem da dire in seguito. E con ciò terminiamo il capitolo XXII.
Note
- ↑ Vedi il n. 117 fra i documenti del vol. III.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 27 novembre 1847.
- ↑ Vedi Documenti, vol. III. n. 119.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 27 novembre 1847. — il Contemporaneo n. 44 – l’Italico del 25 novembre detto. - la Pallade n. 107 del detto giorno. la Bilancia del 26 detto. il vol. III documenti dal n. 113 al 118. — Vedi il vol. stampe e litografie n. 51 e 51 A, ore è in litografia l’ordine del corteggio, ed il ritratto del principe Corsini.
- ↑ Vedi le Notizie del giorno del 2 dicembre 1847, e la Bilancia del 3.
- ↑ Vedi Farini Lo Stato romano, vol. I, pag. 278.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 4 decembre 1847 n. 97, dell’11 n. 99. - Documenti, vol. III. n. 124 e 127.
- ↑ Vedilo insieme con altro opuscoletto nei Documenti vol. III, n. 126 e 127 A.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, dell’11 decembro 1847 prima pagina.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 7 decembre 1847. — il Contemporaneo di detto giorno n. 10. — il Mondo illustrato pag. 821. — Dacamentì vol. III n. 125 e 125 A.
- ↑ Vedi la Pallade n. 115 del 5 e 6 decembre 1847.
- ↑ Vedi la Pallade del 16 n. 123.
- ↑ Vedi la Pallade dell’11, terza pagina.
- ↑ Vedi Ranalli vol. I. pag. 394. - il Corriere livornese dei 14 e 21.