Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XX

Capitolo XX

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CAPITOLO XX.

[Anno 1847]


Arrivo di lord Minto in Roma il 8 novembre 1847. — Cenni su questo personaggio.1 — Il Santo Padre a san Carlo al Corso il 4 di novembre. — Riapertura dello scuole dei Gesuiti. — Il principe Giorgio di Prussia e il principe Massimiliano di Baviera in Roma. — Conclusione della lega commercialo e doganale fra il Piemonte, la Toscana e Roma, mediatore por Roma monsignor Corboli Bussi. — Monsignor Camillo Amici eletto vice presidente della Consulta di stato l’11 novembre.


Narra il Farini che lord Minto, preceduto da fama di animo nobile e di mente perspicace, giungeva a Roma nell’ autunno dell’anno 1847. Quindi aggiunge: Ei fu segno ad accuse stolide che la storia disdegna, siccome quella che fa fondamento ai giudizî non sulle passioni e le insanie dei partiti, ma sui documenti e sulla scienza dei fatti. Prende quindi le difese di lord Minto, e loda il governo inglese per l’operato di quei tempi.2

Il nostro turibolo però non ha incenso nè per l’uno nè per l’altro, e narreremo le cose in guisa, che a chi cercasse elogio per l’uno di essi o per entrambi non consiglieremmo di leggere le presenti carte.

Giunse lord Minto in Roma colla sua famiglia la sera [p. 380 modifica]del 3 novembre.3 Omettiamo le sue precedenti missioni nella Svizzera, in Piemonte, in Toscana. Le racconti ognun come crede. Parliamo di quella in Roma.

Il suo arrivo era già preconizzato da vari giorni. Ne parlavano le gazzette, ne parlavano i circoli, e il corpo degli agitatori festosi attendevalo ansiosamente.4 Difatti, secondo che ci racconta la Bilancia, le visite dei giornalisti furon le prime che ricevette.5 Gli si fecer trovare al suo arrivo (sapendo che gli piaceva la musica) dei concerti musicali avanti l’albergo d’Europa in sulla piazza di Spagna ove alloggiò.

Sembra che spiegasse istantaneamente le sue credenziali pel circolo romano, poichè il vedemmo tutti il giorno 4 sul balcone del circolo anzidetto per osservare il passaggio del Santo Padre, che secondo il solito recavasi nella chiesa di san Carlo al Corso. L’esser giunto in Roma la sera del 3, e la mattina del 4 già trovarsi nelle sale del circolo indica o grande ansietà negli uni di averlo o grande premura nell’altro di conoscerne i membri che lo componevano. Fu appunto in detta occasione che il Ciceruacchio, quasi che fosse una delle autorità costituite, gli venne presentato.

E siccome del Ciceruacchio esisteva una statuetta in terra cotta che rappresentavalo colla bandiera in mano, così si vide talvolta nelle sere successive la statuetta del romano tribuno in uno dei pianterreni di quell’albergo fra due doppieri accesi. Altre volte poi videsi il busto di Pio IX, cosicchè alternativamente ora l’uno ora l’altra attiravano gli sguardi del pubblico, e sta bene; perchè il primo rappresentava il sovrano beneficatore, la seconda l’emblema del popolo beneficato.

Rimase lord Minto in Roma per tre mesi compiuti, ed [p. 381 modifica]il 3 febbraio 1848, conosciutisi appena i cambiamenti politici nel reame di Napoli, partì a quella volta per ivi far gustare gli effetti della sviscerata protezione dell’Inghilterra.

Fu ricevuto durante la sua permanenza in Roma più di una volta dal Santo Padre, con molta distinzione ed amorevolezza. Non dette però consigli, perchè il Santo Padre non ne abbisognava e non gli avrebbe ricevuti giammai da un messaggiero inviato dal governo inglese. D’altra parte la sua qualifica non officiale, ma semplicemente officiosa, noi comportava. Le miserie degl’Irlandesi si disse, ed il desiderio di alleviarne le sorti, essere stato il tema dei discorsi fra il Santo Padre e l’anfibio rappresentante della Gran Brettagna.

L’alta società lo conobbe nelle conversazioni serali. In un’accademia che davasi al teatro di Apollo dal principe Torlonia per onorare lo installamento della Consulta di stato il 15 novembre 1847, lord Minto, invitato nei palchi riservati pei consultori, vi fece la sua comparsa, Ci intervenutovi per alcuni istanti anche il Ciceruacchio, questi confabulò col lord inglese, il quale usò tale affabilità di modi, quasi che si trattasse fra potenza e potenza. Il nobile lord edificò tutti, perchè dette a conoscere che l’inglese aristocrazia, superba coi superbi, non isdegnava d’intrattenersi famigliarmente cogli umili, simile in questo agli antichi Romani che professavano il principio del parcere subjectis et debellare superbos.

La sera al tardi, ritornato a casa il milord, ebbe dal solito popolo una dimostrazione sotto alle sue finestre. Ed egli presentatosi al balcone, applaudì al Sommo Pio, alla patria nostra, alla indipendenza italiana, come ci raccontò la Pallade.6

Fra gl’individui che più di frequente lo avvicinavano erano, oltre il prediletto Ciceruacchio, il principe di Canino, il Masi, lo Sterbini, e il d’Azeglio; il suo ritrovo [p. 382 modifica]favorito era il circolo romano. In una parola deliziavasi di far parte e numero nelle baldorie festive di que’ tempi, che chiamavansi dimostrazioni, ed alle quali, stante la sua posizione sociale ed il carattere di cui era rivestito, non poteva non dare un impulso efficace e potente.

E se dicemmo che lord Minto mostrò sempre una costante predilezione per Ciceruacchio, avemmo ben ragione, perchè credendo di ravvisare in esso il degno rappresentante del popolo romano, non solo veniva onorandolo aristocraticamente col discendere fino a lui in benevoli colloqui, ma volle prima di partire per Napoli, lasciare alla sua famiglia una memoria non peritura della sua affezione regalando al suo figlio Lorenzo una copia del libro pubblicato dallo scozzese Macaulay e intitolato Lays of ancient Rome (canti dell’antica Roma), ed inscrivere sul margine del medesimo i versi seguenti in lode del padre:


(Presented by Lord Minto to Lorenzo Brunetti)
» These be but tales of the olden days.
» The patriot Bard shall now his lays
» Of charming freedom pour;
» And Rome's fair annals bid the fame
» Of Ciceruacchio's humble name
» In deathless honor soar.»


» Minto


i quali versi, voltati nell’idioma italiano dal marchese Massimo d’Azeglio, dicevano cosi:

«Sono soltanto racconti di un’età passata. Ora il poeta patriota può salutare la libertà che risorge: e gli annali di Roma spargeranno la fama dell’umile nome di Ciceruacchio cinto di gloria immortale.»

Massimo d’Azeglio.7

[p. 383 modifica]Non mancarono molti, è vero, di criticarlo per questa predilezione verso il carrettiere romano, e furonvi alcuni più maligni che andavan buccinando aver desiderato il nobile lord che un qualche frenologo versato nel sistema di Gall esaminasse la testa del popolano romano per riconoscervi, la bozza o protuberanza della politica, ch’esser doveva in esso visibilmente pronunziata.

Mentre trovavasi in Napoli ove come tutti sanno erasi recato per comporre le cose della Sicilia, e ove invece, stante la difficoltà dei tempi, non solo non raggiunse il suo intento, ma le venne scompigliando sempre di più, volle conoscere il popolano napolitano per eccellenza che nomavasi Michele Viscusi. Egli aveva conosciuto il Ciceruacchio di Roma; volle dunque conoscere il Ciceruacchio di Napoli, e vi riuscì. Anzi un giorno, trattenendosi in Napoli in compagnia del Viscusi, lo incaricò de’ suoi sa- luti pel Ciceruacchio di Roma. Che se a taluno sembrasse incredibile la nostra asserzione, apra il numero 192 della Pallade e vi troverà la genuina esposizione del fatto.8

Ed affinchè possano averne cognizione tutti quelli ai quali non riuscisse agevole il rinvenire detto giornale, ne trascriviamo l’intero articolo, che dice cosi:

L' amicizia dei veri popolani.


«Potrebbe Pallade trascurare la pubblicazione di una lettera del Ciceruacchio di Napoli al Ciceruacchio dì Roma? No davvero.»

«Dilettissimo Fratello,

» È ora dovere troppo sentito di ogni cittadino caldo di amor di patria l’abbracciare e stringere al cuore un italiano fratello della terra del dolore. Pieno di questo sacro pensiero, che di certo sta scritto nel vostro [p. 384 modifica]patriottico cuore, mi fo un pregio indirizzarvi un nostro fratello lombardo, dimandato F. Manaretti, il quale è uscito dalle carceri di questa capitale, ove era sostenuto per la causa della libertà italiana; desso ha ricevuto di me quei conforti che i miei discreti mezzi han potato somministrargli. Ora parte da qui per recarsi in cotesta vostra dilettissima Roma. Accoglietelo dunque, giovatelo, e la gratitudine dell’universale sarà per vol.

» Quali e quante cose io sentissi per voi la mano non sa esprimerlo, il solo cuore lo sente; perciocchè visto voi all’apogèo delle patriottiche affezioni di tutto un popolo, fui spinto dalla generosa gara d’imitarvi... Fortuna fosse stata o santità della causa, al certo io ho toccato la meta; la buona popolazione napolitana mi ama.

» Ho vissuto abbastanza, io son felice. Appena sentirò la Costituzione in Roma, come si spera da tutta l’Italia, verrò ad abbracciarvi. Il conte Ferretti mi ha incaricato di salutarvi, e questa mattina lord Minto mi ha incaricato del pari: finisco perchè parte il vapore.

» Vi rimetto diversi ritratti che mi hanno regalato, mentre il primo che arrivò in Roma, si fece in caricatura.9

» Vi abbraccio al cuore.

» 1 marzo 1846

Vostro affezionatissimo fratello

Michele Viscusi

detto Ciceruacchio napolitano.


Ritornato lord Minto il 9 aprile in Roma, dopo essere riuscita a vuoto la sua missione in Napoli, fu ricevuto di nuovo dal Santo Padre. Si disse anzi che un giorno essendosi presentato al palazzo pontificio in abito più da caccia o da cavallerizzo che da udienza, monsignor maestro di camera fosse rimasto in forse sul farlo passare o no. Ma eran quelli tempi così eccezionali, da non guardare tanto pel sottile [p. 385 modifica]al formulario ed all’etichetta, e fu quindi ammesso all’udienza. Qualche giorno dopo, il 15 cioè, riparti da Roma, avendo lasciato di sè un nome non al certo molto favorevole. 10

Non ci sembra pertanto che si debbano tessere elogi di un uomo, che non pure non seppe sostener la sua dignità, ma che rabbassò e prostituì del tutto per accattarsi l’aura popolare soltanto in modo sì poco decoroso.

Ciò in quanto a lord Minto. Ora passiamo a parlare dell’Inghilterra, sulla cui condotta ha tessuto il Farini un serto di elogi. Riporta egli la lettera d’istruzione che lord Palmerston gli comunicò, e della quale ecco le parole:

«Il papa attuale ha cominciato ad entrare in un sistema di miglioramenti amministrativi, e sembra al governo di Sua Maestà che in ciò mariti le lodi, e l’incoraggiamento di tutti coloro i quali prendono interesse al benessere degl’Italiani. Nel 1831 e nel 1832 una speciale combinazione di circostanze politiche indusse i governi d’Austria, Francia, Inghilterra, Prussia e Russia a consigliare al papa allora regnante di fare ne’ suoi stati grandi mutazioni o miglioramenti, sì organici come amministrativi, e le principali riforme consigliate venner notate in un Memorandum presentato al governo romano dal conte Lutzow ambasciatore austriaco a Roma, e da lui raccomandato vivamente in nome delle cinque Potenze. Però queste raccomandazioni non produssero alcun risultato, e vennero poste in non cale dal governo del morto papa. Il governo di Sua Maestà non sa che le riforme e miglioramenti effettuati ed annunziati dal presente papa abbiano raggiunto la piena estensione di quelli raccomandati nel Memorandum del 1831, e quindi crede che le Potenze le quali concorsero a quel Memorandum, sien pronte ad incoraggiare ad aiutire il papa, ove dimandi incoraggiamenti ed aiuti da esse alla piena attuazione delle [p. 386 modifica]riforme suggerite dalle cinque Potenze al suo predecessore. In ogni evento il governo britannico è preparato a tenere una tale condotta: e voi siete incaricato a rassicurare in proposito il governo romano, e dirgli che il governo di Sua Maestà non vedrebbe con indifferenza un’aggressione contro il territorio romano diretta ad impedire al governo pontificio l’attuazione di tutte quelle interne riforme ch’ei possa credere convenienti.»

Furon queste le istruzioni date da lord Palmerston a lord Minto, ed il Farini cui siam debitori di avercene data comunicazione, dopo di aver fatto l’apologia del governo inglese, prende a tracciare il confiteor tanto per i rivoluzionari italiani, quanto per gli altri, colle seguenti parole:

«Cessino i percossi dal nembo della rivoluzione, cessino i caduti risorti, ed i caduti sopravvinti dal rendere in colpi lord Minto, l’Inghilterra, o qualsivoglia altra fantastica cagione delle battiture sofferte e degli strazi della patria. Ne incolpi ognuno la poca propria nobiltà e virtù dell’animo, i propri errori, le proprie colpe, che ognuno ha ben d’onde.»

Poi parla del Rossi e lo porta alle stelle, perchè ancora esso incoraggiava il papa alle riforme, dicendo così:

«Anche del Rossi ambasciadore per Francia si mormorava con quel senno e quella giustizia che aogliono i politici d’occasione, e gli ebbri partiti.... E balbettavano francescamente contro il re ed i ministri di Francia le francesi contumelie, ed il Rossi ambasciadore in Roma era l’incubo dei sagacissimi liberali di piazza. E Rossi aveva dal suo governo, aveva anch’esso il Rossi lo incarico d’inanimire il papa a procedere franco e spedito nelle riforme sì che non rischiasse dare per forza ciò che poteva e doveva spontaneo; ed il Rossi adempiva allo incarico con prudenza singolare di diplomatico, e più con affetto d’Italiano, che tale era pur sempre.11»

[p. 387 modifica]A quest’ode pindarica del Farini aggiungeremo qualche parola del nostro, e diremo del Rossi prima, dell’ Inghilterra dopo.

Incominciando dunque a discorrere del Rossi, converremo che fa bene il Farini, uomo del giusto mezzo, di esaltare in lui uno de’ suoi campioni.

Quanto a noi, mentre lodiamo e chiniamo il capo al profondo scrittore e cattedratico di diritto penale e di economia politica, Pellegrino Rossi, non siam di quelli che videro nel medesimo quasi un martire del papato; ma sì bene un abile, astuto, ambizioso legislatore, che lusingavasi di conciliare papato e costituzione, religione apparente e libertà reale, trionfo degl’interessi materiali e intronizzamento del Dio Oro, poco importa se basato sullo scadimento morale di cui facevasi addebito al suo protettore Luigi Filippo. Noi in una parola che lo conoscemmo da vicino e ne ammirammo l’ingegno, siamo ben lungi dallo ammirare la sua politica. Abbiam presente il suo manifesto dell’aprile 1815 ai popoli delle Romagne per farli insorgere; conosciamo i suoi facili passaggi dall’una all’altra cittadinanza in guisa da renderlo piuttosto cosmopolitico che italiano; non ignoriamo la lettera che nell’anno 1845 gli diresse a nome dei cattolici di Francia il conte Regnon, in cui qualificavalo da vecchio carbonaro; rammentiamo le sue negoziazioni anti-gesuitiche, ed i suoi progetti per decurtare i mezzi del clero nello stato pontificio. Il Rossi adunque, secondo noi, con astuzia volpina, e con freddezza di vecchio diplomatico, tarpar voleva con bel garbo le ali al papato, mentre i rivoluzionari puro sangue volevan strappargliele a forza, ed a prezzo di dolorosa e cruenta lacerazione. Ma del Rossi e delle sue gesta avremo occasione di parlare anche più diffusamente in seguito.

Riportando ora la nostra attenzione sull’Inghilterra e alla lettera di lord Palmerston a lord Minto circa il modo di condursi col Santo Padre, diremo che, a parte la incon[p. 388 modifica]vemenza d’immischiarsi nella organizzazione politica degli stati del continente in genere e di quel di Roma in ispeeie, dopo tre secoli di silenzio e d’interrotti rapporti, indurci dovrebbe in gravi sospetti circa la rettitudine delle sue intenzioni, tanto più che aprendo le pagine della storia vedemmo spesse volte gl’innganni e la perfidia sedere a lato, quai consiglieri, di chi reggeva il freno delle cose della Gran Brettagna.

I consigli amichevoli pertanto e le filantropiche espan- sioni del quanto astuto, altrettanto abile e ragguardevole ministro inglese rivestono tal dubbio carattere, che senza desiderio di malignare, a noi sembra potersi tradurre così:

«Bravo, Santo Padre. Cedete, riformate, alterate coraggiosamente un poco alla volta l’impianto di codesto rancido governo pontificio. Ammodernatelo, rinnovatelo, e voi sarete lodato da tutti gli uomini colti e civili. L’inghilterra, tempo già fu, dette al papato uguali consigli, ma indarno. Essa non era sola in allora, eppure tutti ora sola la lasciano, fedele e costante esecutrice del mandato civilizzatore. Congiuntamente alla Inghilterra soscrissero nel 1832 altro potenze un opinamento, cui diessi il nome di Memorandum, ma i consigli rimaser senza effetto. Oggi la sola Inghilterra che ama davvero gli stati romani, torna in campo onusta di benevoli consigli, confortatrice di liete speranze, e mentre quelli rinnuova, queste riaccende e rinvigorisce.»

Domanderemo se un cosiffatto linguaggio poteva considerarsi come figlio della sincerità e della benevolenza, o non piuttosto come una emanazione di quell’anti-papismo anglicano, che agogna costantemente a vedere affievolito, e se fosse possibile anche distrutto il clerical regime?

A che quell’avviso che il governo inglese non vedrebbe di buon occhio, e non tollererebbe una invasione straniera, se non per ingannare come sempre le italiche popolazioni, eccitandole e allucinandole prima, abbandonandole poi?

E non fecer così e il general Bentinck, e il generale [p. 389 modifica]Nugent alloraquando eccitavano gl’Italiani con promesse di libere instituzioni, purchè a loro sì unissero per ischiacciar la potenza del loro più implacabile nemico Napoleone I? 12 E non fecer così nel 1848 co’ Siciliani? Qual pro ne venne loro dalle fatteci promesse della superba Albione? Su questo peraltro avrem luogo di ritornare in proseguimento dei nostri annali storici.

Il linguaggio della Inghilterra aveva dunque piuttosto le apparenze di un tranello al pontefice, di un incoraggiamento ai nemici del pontificato, e di un inganno di più per le bersagliate e tradite popolazioni.

E questo procedere così doloso ed iniquo dovrà riscuotere gli elogi di chi sente la propria indipendenza, e di chi sostener vorrebbe la dignità del proprio paese?

Oh se avessimo avuto meno protettori! Il governo pontificio con tutti i suoi difetti e la sua non perfetta amministrazione, possiede in se tali risorse, da costituire uno dei più floridi stati, e nel tempo stesso uno dei più miti governi. Ma se viene costretto a porsi in guardia per garantirsi dalle mene, dagl’intrighi, e dalle minaccie di volerlo rovesciare, tanto dovrà consacrare di cure e pensieri per la propria preservazione, quanto dovrà sottrarne dalle sollecitudini di quelle migliorie, che nello stato soltanto di derfettissima quiete possono introdursi. Si rammentino i nostri lettori ciò che dicemmo al capitolo X di questo volume sulle finanze dello stato pontificio, cioè: che fino all’anno 1827 vi faron sopravanzi, che nel 1828 e 1829 vi fu un piccolo deficit, ma cagionato dall’incasso minore per l’alleggerimento di tasse introdotte da Leone XII, e che i guai incominciaron dalla rivoluzione di Francia nel 1830, che partorì quella del 1831 nelle Romagne. Se dunque i deficit, i prestiti, e le rovine incominciaron da quel tempo soltanto, non dimentichino i giovani che ci seguiranno, queste verità incontrastabili, e ne inferiscano che non fu [p. 390 modifica]già la mala amministrazione, sì bene le improntitudini dei mestatori politici che ci fecer dono di queste sciagure.

Ci siamo soverchiamente diffusi in parlare di lord Minto, e della sua missione in Roma, nel far la qual cosa se tenemmo un linguaggio franco e severo, questo si riferì soltanto alla sua vita pubblica. Che se vuolsi riguardare alla sua vita privata, alla sua istruzione, alla nobiltà e disinvoltura delle sue maniere, non potremmo che tesserne gli elogi, e rendere omaggio alla onoratezza del suo carattere come uomo privato. Noi lo conoscemmo personalmente, e non possiamo se non lodarci di lui e della sua cortesia.

Lo stesso sia detto degl’Inglesi in genere, e niuno più di noi può parlarne per il contatto continuo che da circa trent’anni ce ne rende famigliare la conversazione. Essa ci rivela un popolo di svegliatissimo ingegno, amante della perfettibilità e della solidità nelle cose che eseguisce, ed il solo che abbia saputo procurarsi e mantenersi la libertà.

Sono gl’Inglesi prodi, coraggiosi, amantissimi della istruzione e dei miglioramenti sociali. Sono non facili è vero nel contrarre amicizie, ma contrattele una volta, son fermi nel mantenerle. Sono eminentemente ospitali e socievoli, e più di noi amanti della patria, e del proprio governo. Non mai si ricusano dal far sagrifici ove l’onore nazionale gli esiga. Presentano insomma elementi tali di unione fira loro, che non è prodigio se fecer tante cose tragrandi, le quali senza l’unione e il patriottismo che gli anima non sarebber loro potuto riuscire. In una parola, riuniscono in se i germi che ne fanno un popolo fra i più potenti e civili del mondo.

Dopo questa digressione riprendendo la nostra cronaca diremo che il 3 di novembre venne conchiusa in Torino la lega commerciale e doganale fra Piemonte, Roma e Toscana, per mezzo di monsignor Corboli-Bussi rappresentante il governo di Sua Santità. 13

[p. 391 modifica]Il giorno 4 recossi il Santo Padre in forma pubblica a san Carlo al Corso, secondo il consueto. Il terzo e quarto battaglione civico guarnirono il Corso; i balconi erano orlati di drappi, ma i giornali di quel tempo avendo taciuto sugli applausi al Santo Padre, convien ritenere che non ve ne fossero stati affatto.14

Lo stesso giorno 4 ebbe luogo la riapertura delle scuole in Roma. A quella dei Gesuiti nel collegio romano concorsero pochi giovinetti. In seguito però venner frequentate quasi come prima. Nè fu da stupire per la diminuzione del numero degli alunni; imperocchè eransi fatti imprimere alcuni foglietti e mandati alle varie famiglie di Roma. Uno di essi era un Indirizzo ai padri di famiglia, e l’altro portava per titolo: Ai padri di famiglia italiani Vincenzo Gioberti. Con detti stampati si avvisavano i padri che se avessero proseguito a mandare i lor figli alle scuole dei Gesuiti, ne avrebbero avuto dei figli ingrati, sleali, diobbedienti, rapaci, spergiuri, capaci insomma di qualunque delitto. Riportiamo i detti scritti in sommario, ed a suo tempo vi tornerem sopra parlando dei Gesuiti.15

Il giorno 5 ricevette il Santo Padre in particolare udienza 1 principe Giorgio di Prussia.16

Il giorno 8 poi ricevette nel modo stesso tanto il principe Massimiliano di Baviera, quanto il conte di Minto, custode del sigillo privato di Sua Maestà Britannica, ed uno dei componenti il Beale Gabinetto. È il medesimo di cui abbiamo parlato lungamente di sopra sotto la denominazione di lord Minto. Minto è la contea, ma i conti di Minto appartengono alla famiglia Ellis.17

Analogamente al motu-proprio sulla Consulta di stato [p. 392 modifica]dovendovi essere oltre il presidente anche un vice-presidente, venne egli eletto da Sua Santità in persona di monsignor Camillo Amici il giorno 11 novembre.18

Lo stesso giorno vi fu un pranzo militare nel refettorio dei padri Benedettini a san Paolo.19







Note

  1. Volendo noi parlare di lord Minto, incominceremo dal giorno in coi giunse in Roma e continueremo fino a quello nel quale ne partì, invadendo cosi per qualche momento il campo destinato ai capitoli successivi. E ciò facemmo porche desiderando parlarne fondatamente, volemmo dir di lai tutto quello che sapevamo, non già a salti, ma seguitamente per maggior comodo dei nostri lettori. Si avrà quindi l’inconveniente (che ei fu impossibile evitare) di dover cioè ripetere le particolarità che riguardan quest’uomo, riportandole in complesso in questo capitolo, e separatamente negli altri, secondo l’epoche in cui occorsero.
  2. Vedi Farini, vol. I. pag. 270, edizione di Firenze del 1850.
  3. Vedi le Notizie del giorno del 4 novembre. — La Pallade, dal 4. — La Bilancia del 5.
  4. Vedi la Pallade del 23, 24, 25, 29 ottobre, e 2 novembre.
  5. Vedi la Bilancia del 5 novembre 1847.
  6. Vedi la Pallade num. 100, pag. 2; vedi l’Italia pag. p7.
  7. Vedi il vol. II della Civiltà Cattolica dell’anno 1850, pag. 856.
  8. Vedi la Pallade del 14 marzo 1848, numero 192.
  9. Vedi il ritratto del Viscusi nel vol. Caricature, numero 82.
  10. Vedi la Pallade del 18 aprile. — L’Epoca di detto giorno. ’
  11. Vedi Farini . volume I, pagina 273.
  12. Vedi Angeloni Dell’Italia uscente il settembre 1818. — Parigi 1818, volume I, pagine 37, 39, 66.
  13. Vedi Farini lo Stato romano, volume I, pagina 269. — Gioberti Del rinnovamento civile d’Italia, volume I, pagina 817. — Documenti, volume III, numero 86.
  14. Vedi il Diario di Roma del 6, la Pallade del 5, e la Bilancia del detto giorno.
  15. Vedi il sommano numeri 9 e 10. — Vedi detti stampati nel III volume dei Documenti ai numeri 78 e 82.
  16. Vedi il Diario di Roma del 6 novembre 1847.
  17. Vedi il Diario di Roma del 9 detto.
  18. Vedi le Notizie del giorno, dell’11 novembre 1847.
  19. Vedi la Pallade del 13 detto.